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Cyberpunk 2.2 "Trans Europe Express"
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21
Giugno 7, 2007 - 2:45 pm

Nella pellustrazione delle strategie a volte si incappa.
Il terzo contatto non era pianificato.
Il mio nemico si era ritrovato nella nostra scia.
Avversari.
Zenden Griffith Valden.
Nemici.
Posizione appoggiata trasversa dal finestrino, immediatamente sopra l'alzo di tiro vedo Zenden.
Sta commetendo un errore. Se la deve essere presa. Lo devono aver recuperato dopo la bella ad-dormita con Olga Vadek. Gliene avranno detto quattro, lui avrà inghiottito, accumulato bile, ora è pieno.
Ora sbaglia.
Il lanciagranate è un arma terribile, ma per poco molto poco non gli riesce.
Lo anticipo di un soffio.
Raffica lunga, alcuni colpi sulla carozzeria della macchina altri sul selciato altri nel cosmo laddietro da dove proveniamo.
Sbaglio mio.
L'ho mancato. Ho perso la concentrazione.
Lo vedo sorridere. Ora tocca a lui.
Penso di lanciarmi fuori, penso a Li, penso a Jagger ed a Olga. Di Barns penso che non mi importa. Penso troppo. Siamo spacciati.
La vettura di Zenden fa delle scartate laterali; vedo il fumo uscire dalla sua arma e poi odo la detonazione. Sono quei pochi attimi che mi tengono vivo fino alla fine della pista, della strada. Oggi c'è battaglia, oggi ho una ragione per battermi la quale è solo la stupida bugia: per rimanere vivo! La gonfio, la esagero un po' e specifico: per rimanere... vivi. Li, Papa-Jag, Olga Vadek e perchè no anche Thommy "Gun" Barns. Ma quando mi sento trattenere il respiro come se fosse l'ultimo in realtà mi rendo conto; me ne rendo conto, che volevo esser qui a combattere questa battaglia, perchè io Ho bisogno della guerra e ne voglio ancora e dunque spero, quasi prego l'iddio latente, di darmene un'altra con un filo ancora più sottile. Non può essere questa l'ultima. Non può. Ancora una, dopotutto quello che ho, abbiamo, passato? parole come promesse, amori come fuochi nucleari, odi come acqua di linfa.
Non può essere l'ultima. Dammene ancora una goccia.
Il colpo ci ha mancati.
Ringrazio.
"Quanto siero velenoso avevi nel fegato, per non aspettare, per non chiedere appoggio, rinforzi. Quanto Zenden?"
Seleziono.
"Rispondi in fretta Zenden."
Tre colpi.
"Hai poco tempo."
Shot!Shot!Shot!
"Correggo."
Oltre il mirino, dalla testa di Zenden vedo gli occhiali scuri volare indietro nel passato.
"Tempo zero."
Vedo lo schizzo del sangue.
"Adios Compagnero."
Se fossimo stati colpiti ora saremmo pezzi di morto sull'autostrada della Francia.
Li-Ann frena. E' un bel nome Li-Ann. Li-Ann frena e sbatte con proposito e forza contro l'auto nemica la quale stride contro il guard-rail.
Metallo contro metallo.
Jagger e Barns mi aiutano a finire il lavoro meglio di come era cominciato.
Aprono il fuoco.
Terzo contatto.
Adios Compagneros.
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Charlie "Crow" Griffith

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Robert "Screwnecroworm" Valden
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Karl "SleepTight" Zenden
...e sono quattro

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22
Giugno 9, 2007 - 7:55 am

Erano passati all’incirca venti minuti da quando avevano lasciato il motel, con le macchine ancora crivellate di colpi e da cambiare al primo autonoleggio, quando Betty finalmente aprì gli occhi “Qualcuno ha qualcosa da mettere sotto i denti?”
Li, che nonostante il forte colpo al cranio era nuovamente alla guida del mezzo, a quell’uscita rise di gusto e chiese a Olga, che era seduta sui sedili posteriori assieme alla Poser, di passarle i croissant che avevano tenuto da parte per lei.
Nonostante i lividi parzialmente mascherati dal trucco e il fatto che non fosse propriamente in forma, si vedeva che il riposo e la trasfusione le avevano giovato.
Li ancora non riusciva a capacitarsi di come Betty avesse potuto continuare a dormire sonoramente nel bel mezzo di uno scontro a fuoco come quello che avevano avuto al di fuori dell’albergo… doveva essere stata davvero allo stremo delle proprie forze quando li aveva raggiunti. Ripensarci faceva ancora aggrottare la fronte alla minuta rigger “Appena ti riprendi, ricordami di suonartele di santa ragione” cominciò a riprenderla bonariamente Li, senza nascondere minimamente il sincero piacere che provava nel rivederla “irriconoscente che non sei altro… farci preoccupare in quel modo… far agitare mezzo mondo per niente… Sei una pazza incosciente”.
“Mi annoiavo” ribatté candida l’altra, facendo spallucce e addentando l’ennesima brioche.
“Sta attenta che non mi annoi io…” la minacciò scherzosamente Li “Accidenti a te… avevo fatto preallertare un comitato d’accoglienza in patria coi fiocchi… sarebbero stati presenti tutti i migliori stilisti… una fatica che non ti dico a rintracciarli… e tu che fai? Rovini tutto! Guastafeste…”.
“Una signora si fa sempre attendere un po’…”.
“Sì” aggiunse beffarda Li “specie quando i ritocchi al trucco richiedono un po’ di sforzo, immagino!”
Dallo specchietto retrovisore vide Betty sorriderle imbarazzata mentre cercava di sistemare tatticamente alcune ciocche di capelli
“Certo che comincia a essere un’abitudine per te beccarti certi lividi in faccia…” commentò la cinese con un sorriso ripensando alla mattina successiva all’incontro con i Preachers
“Ce l’hanno con me”.
“Tutta invidia, ne sono certa”
“Sicuramente…” concordò Betty ripulendosi la bocca.
“Fatti un’altra dormita. Potremmo aver bisogno di averti in forma prima del previsto…” le consigliò l’amica rabbuiandosi in volto per un momento. Subito dopo però sdrammatizzo aggiungendo “Anche se devo dire che con te dormiente ce la siamo cavati niente male… Ed e Olga te lo possono confermare”.
“Questo perché io vi trasmettevo un senso di tranquillità con la mia presenza”.
“Umpf… peccato ci fosse qualcun altro a rovinare l’effetto generale con la sua… Comunque ne abbiamo tolti di mezzo altri due” la aggiornò “Ora mancano solo Sergej e Sonja”
“I due più tosti”
“Beh, non potevamo mica privarti di tutto il divertimento…”
“Immagino saranno un po’ feriti ora”
“Già. Feriti e incazzati. Spettacolare combinazione”.
“Piuttosto, cerchiamo di non scordarci della polizia…”
“E chi se la dimentica? Sono venuti a trovarci anche in albergo!”
“Eh… sono ragazzi simpatici. E soprattutto ben attrezzati”.
“Non gli devi piacere molto, comunque, perché non hanno degnato le tue performance di grande attenzione… a quanto pare preferiscono tipi vivaci come noi”.
“Già…” concluse Betty rabbuiandosi in volto “Spero solo di non aver gettato troppa luce su di voi”.
“Non t’illudere” minimizzò Li “ad attirare la loro attenzione ci abbiamo pensato divinamente anche da soli… E poi i nostri amici ci hanno sicuramente aiutato con un po’ di sana pubblicità” era praticamente impossibile che la polizia potesse essere sempre sulle loro tracce senza qualche soffiata e Li era sempre più certa che i loro avversari avessero qualche buon contatto tra i vertici delle forze dell’ordine europee “Se continuano così potremo assumerli come manager”.
Betty rise suo malgrado “Mi auguro non abbiano contatti in zona”.
“Beh, sicuramente qualcuno in meno ce l’hanno, vista la fine che ha fatto Barbara, ma temo che l’ex di Greta abbia mani molto lunghe”. Poi, dopo un attimo di silenzio e di riflessione aggiunse “Sia l’uomo che la donna”.
“Mi preoccupa molto l’uomo”.
“Mah, più a breve termine m’impensierisce parecchio anche Sonja, anche perché ora i loro attacchi si faranno più sottili”.
“Già… cambierà decisamente tattica, ora, e non so cosa aspettarmi”.
“Non hanno più i numeri per attaccare frontalmente” concordò Olga “e oltretutto conoscono perfettamente la nostra destinazione”
“Il che li rende più pericolosi e difficili da rintracciare” concluse Li, che provava sempre più la sensazione che ci avrebbero messo un bel po’ prima di riuscire a tornare a S. Francisco. Sempre che riuscissero a tornarci “Spero che Greta abbia qualche idea in più, visto che li ha conosciuti bene in passato, ma personalmente ritengo che potrebbero tentare di farci abbassare la guardia lasciandoci in pace per un po’… salvo attenderci amabilmente a destinazione, in modo da radunare forze e contatti nel frattempo e progettare con calma una strategia”.
“Credo anch’io che ci attaccheranno direttamente a Ginevra”
“Olga, a Ginevra ci aspetta qualcuno?”
“Sì, il nostro contatto è il professor Linz… che oltretutto mi pare di capire sia una persona che interessa anche a voi… e non credo sia un caso”.
“Già”confermò torva l’orientale, pensando alle nano macchine che tutti loro avevano in corpo “Hai anche un suo recapito telefonico?”
“No”.
“Ma sa che stiamo arrivando?”.
Olga annuì “È stato avvertito dall’ambasciata”.
“Dovremmo cercare di contattarlo telefonicamente” disse Li, pensando ad alta voce. Stava valutando l’eventualità di incontrarlo fuori dal Cern e di bypassare così la sorveglianza degli avversari. Ma era un’idea assurda e pericolosa, si rese conto da sola.
“Non è possibile. C’è un protocollo preciso da rispettare”.
“Rinfrescami la memoria”
“Arrivati al Cern non è indispensabile la mia presenza. Il codice di riconoscimento all’ingresso lo posso passare anche a voi. Una volta dentro Linz porterà la valigetta e chi la trasporta in uno spazio intermedio per l’ispezione del contenuto, poi indicherà una diversa via d’uscita, suppongo attraverso la rete sterminata di sotterranei del Cern”.
“Non intendo consegnargli il pacchetto e basta… con quell’uomo dobbiamo fare una sana chiacchierata”.
“Dovrete dargli argomenti interessanti”.
“Una nostra analisi del sangue?” ribatté torva la cinese “Il materiale di Venezia? Ne abbiamo parecchi di argomenti interessanti”.
“L’unica incognita è che tipo di interesse abbia lui… Certo è che non appena vedrà il chip coi vostri dossier, farà 1+1=2”.
“Mi piacerebbe sapere cosa significa per lui quel 2… Oltretutto non tengo a fargli sapere che conosciamo il contenuto di quella valigia, anche se solo in parte”.
“E’ una incognita a cui è opportuno prepararsi”.
“Cosa credi possa succedere? Che ci sbatta la porta in faccia perché una volta letti i vari dossier non saremo più dei casi interessanti? O che ci trattenga per usarci come topi da laboratorio?”
“Non lo so. Dipende dal tipo di interesse che ha in quella valigetta l’Unione europea”
“Quanto a questo mi pare abbiano fatto un buon casino per averla!”
“Decisamente. I servizi segreti europei erano anni che non erano così attivi”.
“Mi chiedo se non valga la pena di omettere dei pezzi in quella valigia... tanto per rendere più interessanti le nostre argomentazioni…”
“Credo che Linz sappia già cosa contiene la valigia”.
“Allora forse potrebbe davvero valere la pena di farla consegnare a uno di noi. Mi piacerebbe vedere la reazione di quell’uomo”.
Dopo un attimo sembrò esserle venuto in mente qualcosa “A proposito…” disse, digitando un numero sul cellulare “Cons, hai dato una letta a quell’accidenti di chip, oltre a copiarlo e spedirne i pezzi in giro?”

Dovettero attendere di aver cambiato mezzi prima di avere il tempo di analizzare con attenzione quel chip. Erano dei dossier sanitari su tutti loro, Sastre incluso, ed erano dettagliatissimi: cyberware, malattie, particolarità di ognuno e anche la data del presumibile contatto con la generazione 1. Ma c’era anche dell’altro… in quel chip c’era una nota sulle condizioni di risveglio delle nanomacchine dalla quiescenza. Se il corpo ospite fosse stato in fin di vita [mortale 2], si sarebbero riattivati.
Accidenti… pensò Li mentre le si gelava il sangue nelle vene Ci siamo andati davvero vicino… e lo sguardo le si posò inevitabilmente sull’ombroso Edgard. Ma chi diamine poteva aver ottenuto informazioni così dettagliate su tutti loro? Gallego? Yaa? La Arasaka? E quando diamine li avrebbero analizzati tutti in quel modo? Cominciava decisamente a innervosirsi.

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23
Giugno 14, 2007 - 12:05 pm

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Male….era andato tutto male.
Si era rattoppata un po’. Applicatori di emetici e sinthoderma sulle ferite…un controllo alle attrezzature…si, il cyberware era tutto in ordine.
Una chiamata,
“Si, signore.”
“Non ancora”

Si mise a tamburellare le dita sul calcio dell’ AK.
“Ho perso più della metà della squadra.”
“Non lo so, ma perché dovrebbero aprire la valigetta?”

Si irrigidì come uno scolaro richiamato bruscamente.
“No….per farlo avrei bisognosi un’autorizzazione”
Guardò la testa di Sergey, intento alla guida.
“Ho bisogno di una copertura di 1 ora per usare un veicolo diverso senza che la sicurezza nazionale mi piombi addosso.”
“30 minuti ?!? nono…me li farò bastare….Le trasmetto le coordinate per la consegna del mezzo.”
“Stia tranquillo, lo so che il tempo stringe…..”
Intanto le immaginino delle Breaking news scorrevano.

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24
Giugno 14, 2007 - 12:35 pm

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“….Interrompiamo la normale programmazione per comunicare la clamorosa decisione dei rappresentanti delle colonie orbitali..
Oggi, al termine di un confronto, evidentemente infruttuoso con i rappresentanti dei governi titolari delle stazioni, e delle corporazioni private maggiormente coinvolte nella loro costruzione e gestione, è stata diffuso un comunicato in cui si annuncia una misura drastica: il blocco dei trasporti da e verso la terra da parte delle colonie e il blocco dei traffici mercantili e civili verso la luna e marte…..”

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25
Giugno 14, 2007 - 4:13 pm

Fuochi.
Era stato un fuoco incrociato.
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Barbara Blonde Levi
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Mikhail Redeye Volkov
Andati.
Era stato un fuoco incrociato, scattato con qualche secondo di ritardo con troppo affidamento sull'arma pesante. Ramirez aveva tra le gambe l'oggetto e la bandoliera di colpi. Ramirez ascoltava in silenzio mentre Li, Betty, Jensien ed Olga parlavano di qualcosa. Il futuro.
Greta rivelò a San Francisco i nomi, le abiltà ed il numero degli avversari. Era stato un buon vantaggio tattico, e quella squadra era stata preparata per una persona sola: Olga Vadek.
I Santi Francescani erano capitati dopo, molto rapidamente. Nella regola di guerra è tre volte uno. Dovevano arrivarne altri. Non c'era verso. Un rincalzo, così lo chiamano quando la fila anteriore cade. Ramirez, ombroso, pensava ancora allo scontro tattico, si voltò a guardare indietro, quando la radio parlò.
Il generale, quello vero, avrebbe stretto le sue dita in un pugno.
Dirompente.
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Edgar guarda indietro, lontano, nessuno sa dove, nessuno lo saprà.

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26
Giugno 15, 2007 - 1:39 am

"Sonja Decker.
Sergey Volkov.
L'ultimo contatto.
L'ultima zampata.
Era destino.
Non volevo.
Hanno scritto dei romanzi sul destino.
Non so quali che fossero questi regole, non so quale era questa guerra, non so chi ha schierato gli eserciti, mi sento molto soldato. Messo in riga sul filo a non pensare, a non discutere.
Spara Ramirez.
Shot!
Spara Ramirez.
Shot!
LiAnn é brava, anche lei è un buon soldato, anche lei combatte.
Puntiamo, non abbiamo paura e andiamo a sparare.
Puntare, mirare bene, fuoco.
Ha imparato la tattica ormai, quella di difesa dall'agguato: non ci si ripara, non si scappa: si va incontro al fuoco, al nemico, in modo assurdo, si punta contro rapidi ed il più diretti possibile.
Dritti sulla linea di tiro; dritto in bocca. Così lei punta Decker. Così lei punta Volkov.
Non me ne frega niente di Volkov, il quale muore in una bara d'acciaio corazzato, ma di Sonja Decker.
Non volevo."
Tre colpi!
Shot!Shot!Shot!
Vede lo schizzo di sangue.
Quasi Deja-Vù.
"Piccolo capitano, non un generale, solo un piccolo capitano, senza rincalzo, senza esercito. Ricordo i pugni, le lame, l'occhio che mi strappava dall'orbita, il dolore, il male. La ferita ben più profonda nell'anima, ma non volevo.
Hai sbagliato a lasciarmi vivo Sonja Decker. Hai sbagliato in modo inderogabile a tornarmi di nuovo sulla strada.
Non dovevi lasciarmi vivo. Maledetta!"
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Sergey BigBrother Volkov
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Sonja Chief Decker
"Adios Compagneros!" Pensa Ramirez quando si gira.
"Un giorno..." Pensa Ramirez quando entrando nel Cern si volta a guardare indietro.
"Un giorno qualsiasi mi raggiungerete... un giorno."

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27
Giugno 15, 2007 - 9:07 am

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Poggiò il binocolo sul sedile e prese il contenitore del caffè. ne bevve un sorso e fissò in lontananza le macchine che si allontanavano.
Di li a poco sarebbe arrivata una squadra di pulizie e il relitto della power armor sarebbe scomparso.
Del corpo decapitato di Sonja Decker, invece, si sarebbe occupata la polizia.
Bravi davvero. Da tenere d'occhio. Ottimi soldati, un manipolo di persone specializzate e ben organizzate.
Da tenere d'occhio.
A breve sarebbero entrati al CERN, e il governo Europeo avrebbe avuto la quasi totalità della generazione 1, servita su un piatto d'argento da Anthony Yaa.
"Un giorno ti appenderò per i piedi Tony, e allora mi divertirò un po'."
Il tempo era pochissimo.
Doveva intercettarli, doveva verificare da che parte stavano.
Il tempo in cui tutti si dovranno schierare è vicino.
Girò la macchina e si diresse a sud.

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28
Giugno 15, 2007 - 9:26 am

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Appena vide Greta Vadek rimase per un'attimo incredulo.
Poi realizzò che probabilmente era un regalo di Anthony Yaa.
Bene.
Meglio.
Li avrebbe sottoposti tutti alla procedura, liberandoli di quel fardello. La guerra civile era vicina, e queste informazioni avrebbero permesso di essere più attrezzati contro le nuove armi delle colonie..
Molto bene.

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29
Giugno 15, 2007 - 9:42 am

Non aveva dovuto attendere che Greta li chiamasse per essere al corrente della richiesta di Linz, il suo drone le aveva già trasmesso tutto. Come diamine faceva a saperlo? L’affare puzzava, ma non vedeva grandi alternative. Si tolse il cavo dal braccio e passò il travestimento a Betty, poi si avviò in silenzio.
Suntech… su quel mostro corazzato che avevano appena steso c’era il simbolo della Suntech… La attraversò un velo di tristezza, che allontanò volutamente. Bene. Adesso era pronta.
Si sentiva fredda. Vuota. Determinata.
Sfilò il cellulare e mentre si avviava nella tana del lupo mandò alcuni messaggi. Ai cinesi non piacciono i lupi. Ma lei evidentemente aveva sangue mongolo nelle vene.

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30
Giugno 20, 2007 - 11:51 am

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Consuelo, dopo aver ricevuto il messaggio di risposta da Greta ed essersi assicurata di non aver nascosto il chip in maniera troppo banale, scende dalla macchina con aria quasi spensierata, apre il bagagliaio e ne estrae il suo zainetto poi tornata allo sportello del guidatore lo chiude a chiave, come se avesse parcheggiato in centro a San Francisco.
Guardandosi un momento in giro a cercare con lo sguardo tutti gli altri membri del gruppo si incammina verso la posizione di Olga cantando una vecchia canzone:

All vision, missin in the air
All supspiction missing in the brain

In another place, in another time
You can feel the fallen
In another place, in another time
You can hear the broken
It’s an illusion, you are not here
It’s a confusion, you are in the dream
... in the dream

I'm never coming back
Just keep on drifting carried away with the tide
I dream
I don't recall my name
But does it matter? Now I've got a place to hide
Away
Lonesome dreamer let me see your face
I will tell you the nature of my games

Spensierata e tranquilla può apparire agli occhi di qualsiasi bravo osservatore, una tranquillità inverosimile soprattutto per chi sa in che guai si trova e che potranno presto peggiorare. Passi lenti e tranquilli la portano presso le gradinate su cui si era fermato il gruppo d’ambasciata. Il suo ondeggiare i fianchi è qualcosa di veramente provocante, ma lei non ci bada e saliti quei primi gradini si avvicina a Greta e le passa il dorso della mano sul suo volto come una dolce carezza. La tensione che c’e nell’aria si direbbe che non la tocchi minimamente, basterebbe un niente che a qualcuno saltassero i nervi, ma lei, fatto un dolce sorriso al capo del gruppo, volge la sua persona verso Linz come a dire di essere la prima a rischiare.
Ingenua? Irresponsabile? Non si capisce, occhi teneri senza paura, senza rabbia incrociano lo sguardo dello scienziato.

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31
Giugno 20, 2007 - 3:20 pm

Tensione.
Il bolide rombò oltre un camion danese.
Accumulo di tensione.

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Teneva il volante della vettura con una mano, da tre o quattro ore. Nessun crampo nella sua muscolatura. La notte aveva dormito a tratti, preoccupata. All’alba c’era stato lo scontro.
Seduta al volante guardava la scia grigia bruciarsi sotto le ruote.
Una mano si poggiò sulla sua.

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Ed, che era seduto accanto a lei.
“Todo bien?”
Di norma era un tipo estremamente silenzioso, apriva bocca solo se era costretto.
“Sei stanca?” le chiese. La mano si ritirò.
Sbirciò nello specchietto retrovisore centrale.
“No”.
Gli altri dietro dormivano, o almeno ci stavano provando.
“Tutto a posto” gli confermò.
Forse per altri venti chilometri non ci fu nulla da dire.
“Dì tutto l’alfabeto e poi scegli una lettera”.
Bizzarro da parte di Ed. Se ne stava sempre in silenzio a guardare fuori dal finestrino con aria assorta. Uno avrebbe potuto pensare che fosse impegnato a risolvere chissà quali dilemmi morali e d’un tratto se ne usciva fuori con delle trovate assurde. Come quella.
Una lettera… A dire il vero quella che le ronzava in mente non era propriamente una lettera. 龍… “Il cinese non ha un alfabeto, Ed”.
“Chi se ne frega. Hai capito” ghignò scuotendo la testa avanti ed indietro.
Li sorrise. Aveva i capelli sporchi. Li toccò i propri. Sporchi anch’essi. E va bene, allora. Giochiamo… Però quello che mi è venuto in mente è davvero 龍… anzi, ad essere del tutto onesti 龍 non è corretto… Quello a cui stavo pensando si scrive in un altro modo. 竜…
“R” gli rispose.
“R? Me gusta R. Ci sono un sacco di cose con la erre”.
“Sì, rogne…” mormorò Li impercettibilmente.
“Dimmi una cosa con la erre”.
“R… randellate in faccia” buttò lì tra il serio ed il faceto.
“A chi? A me?!” le disse Edgar voltandosi finalmente nella sua direzione.
Li non poté far a meno di sorridere “No, non a te. A me”.
“A te?”
“Già!” rispose Li, di nuovo seria, con lo sguardo nel vuoto compresso sul parabrezza “Tutta una serie di cose che ci siamo appena lasciati alle spalle per me sono state come randellate in faccia. Cerco di non pensarci”.
“Va bene, allora. Al primo posto abbiamo randello. Al secondo posto?” Continuò lui annuendo.
“Al primo c’era rogne, ma te lo sei perso” gli rispose girandosi verso di lui con un sorriso amaro sulle labbra. Non gli stava affatto dando una mano. Gliela stava tagliando. Ed stava cercando semplicemente di tirarle un po’ su il morale. Perché comportarsi così?
“Uhm…” continuò Edgar senza darsi per vinto “Proviamo un terzo vocabolo… R come… rododendro”.
“Uh?” commentò Li, sorpresa “Rododendro?” Ma è un fiore…
Ed rimase qualche attimo in silenzio, lo sguardo perso al di là del vetro. Fine dei giochi pensò la rigger leggermente dispiaciuta.
“La erre in cinese non esiste” affermò Edgar ad un tratto, otto chilometri dopo, lo sguardo sempre lontano. Un punto in comune laggiù nel vertice della prospettiva stradale. Due vertici diversi. “Come ti è venuta questa lettera?”
Li rimase di sasso. “È solo diversa da quella americana, ma c’è”. Almeno lei nelle trascrizioni dal cinese l’aveva sempre vista usare “E’ una lettera che mi piace” concluse.
“Ma i cinesi non la pronunciano”.
Soliti stereotipi! “Beh, io ho imparato a farlo!”
“No, non ce la fanno” le disse voltandosi con sorriso “Plova a dilla?”
“Scemo!!!” lo apostrofò ridendo. Era così buffo vederlo sorridere e scherzare…
“Lododendlo” continuò a canzonarla lui.
“Sono nata in America, Ed!” protestò l’orientale ridendo ancora “Non la pronuncio bene come te o Consuelo, ma riesco a dirla tranquillamente. Mi piace anche per quello…” continuò poi, distogliendo lo sguardo dall’ispanico al suo fianco “Mi piacciono le cose che teoricamente non posso avere…”.
“Che stlana cosa: una cinese in Amelica! Cosa fai a Ginevla?”
Già. Se lo chiedeva pure lei, ogni tanto, in momenti come quello. Cosa diamine ci fai qui? Perché mai ti sei ficcata in questa situazione?
“Cerco la libertà” gli rispose di soppiatto, senza guardarlo. Era vero. “È per quello che la gente è sempre venuta in America, no?” Cercò di tirarsi fuori da un’angoscia.
“Certo”.
“A dire il vero…” continuò Li “…neanche gli Americani riescono a pronunciare la R dei latini”.
Io sono latino”
Questo lo so, sciocco.
“E comincio per R”.
“Per R?!” Accidenti… Non ci aveva pensato. Edgar era sempre stato semplicemente Ed… Era vero.
“Ramirez” disse lui stabilendo l’ovvio “…per te”.
Li ci rimase davvero male. “Eh? Non posso chiamarti per nome?” Non capiva perché ora Edgar volesse stabilire o marcare tanto le distanze con lei “Ti senti più Ramirez che Edgar, Ed?”
“Es una cosa unica. Come mi sangre”.
Li si rilassò un attimo. Forse non era una presa di distanze. No. Era solo una delle stranezze di quell’uomo. “Sai, noi orientali anteponiamo sempre il cognome al nome. La famiglia viene prima. Il singolo non conta”.
“Prima il sangue. Mi piace” asserì Ed, serio. “La tua famiglia. Bene. La tua famiglia è Zhang” le ricordò.
張… “Sì, ma io non posso più essere 張” rispose Li con la voce resa più flebile dai ricordi, dal dolore. “Non posso neanche più usare l’ hanzi di mio padre per scrivere il mio cognome”.
“Non puoi? L’ha ordinato il tribunale?”
Aveva colto. Era un uomo intelligente.
“L’ha ordinato mio padre. Ho imparato a scriverlo in modo diverso…”. Già. Ora era 俐安…
“I padri dicono un sacco di cose ai figli per farli crescere” obiettò Edgar.
“Non l’ha detto solo a me. Lo ha detto anche al giudice”.
“Chi è tuo padre? ¿Como se llama?”
“Zhang Wu”
“E tu come ti chiami?”
“Li Ann…” e soffocò con dolore il proprio cognome.
“E tua mamma? ¿Como se llama?”
“Zhang Huang Lihua…”
Quante domande faceva quel giorno Ed. Era davvero strano. Eppure Li non ci stava facendo particolarmente caso. Rispondeva a domande che normalmente l’avrebbero fatta chiudere a riccio senza pensarci troppo su. Forse era lo strano potere di quell’uomo che non parlava mai. O forse aveva semplicemente bisogno di parlare, di parlarne con qualcuno. “Lihua… 华… 李 vuol dire giglio. L’ho sempre trovato bellissimo”.
“Sei un po’ Huang e un po’ Zhang”.
“Hm” commentò Li “Ma Zhang viene prima. Non è un caso”.
“E il giudice che ha detto?”
“Che se mio padre non ha più una figlia, io non ho più un padre”.
“Era un giudice cinese? O amelicano?” Un altro sorriso.
“Americano” rispose guardandolo torva in volto. Non era più in vena di scherzare.
“E tu hai detto di sì”.
“E che altro potevo fare? Era mio padre!” La decisione di un capofamiglia non si poteva certo porre in discussione. Ma forse questo Ed non lo capiva.
“Carta canta!”
“Già”. Quell’uomo continuava ad andare a segno con poche parole. Un mistero. “Io l’ho deluso e lui mi ha punita”.
“Come?”
“Togliendomi ciò che sono”. Perché per gli occidentali doveva essere così difficile da capire?
Ed scosse la zazzera sporca, ad indicare che Li aveva frainteso “Come lo hai deluso? Posso saperlo?”.
Li restò qualche attimo a guardarlo. I capelli ricci gli scendevano sul volto, grave come sempre, mentre la guardava dritto in faccia. Era sereno, imperturbabile… incomprensibile come al solito. Disarmante.
“Io non ho… onorato il suo nome. Non ho portato alto il nome della mia famiglia”. Chissà se avrebbe capito…
“Parliamo del tempo!? Che significa non ho portato?! Siamo in America?”
Aveva reagito con vigore. Per gli standard di Edgar, of course. Quella minima reazione l’aveva parecchio sorpresa. Se di fastidio si era trattato, ad ogni modo, Edgar lo aveva fatto sparire l’attimo successivo. “Che dovevi fare?” le chiese con tono nuovamente pacato.
Li rispose lentamente, osservandolo in volto. Come si poteva spiegare un’intera cultura in poche frasi? “Seguire il loro esempio… dare sempre il massimo… Rispondere alle loro aspettative”. Ma perché mai gli stava rispondendo?
“Pel onolale il suo venelabile nome!” concluse Edgar, tornando a guardare fuori dal finestrino.
Si stava facendo beffe di lei. Lei gli aveva concesso di vedere cose che non mostrava mai a nessuno, cose che avevano così tanto valore che di norma le teneva per sé e quel cretino la stava prendendo in giro. “Non scherzare, Ed. Sono cose importanti per me”.
Si era sentita colpita dove c’era una vecchia ferita, ma Edgar sembrava non darci particolarmente caso.
“Sei andata in un altro posto?” le chiese dopo qualche attimo, come se niente fosse “Dovevi andare all’università?”ipotizzò.
Quel mezzo sconosciuto era davvero sbalorditivo. O forse quella strana era lei, perché invece di mandarlo al diavolo o tagliare corto stava continuando a rispondergli. Chissà… forse era semplicemente curiosa di capire dove sarebbero andati a parare “Ci sono andata”.
“Davvero? Forte! Non bastava?”
Li si rassegnò all’idea. Comprendere Ed? Se stessa? Si sistemò più comodamente sul sedile, mandò all’aria i suoi interrogativi e riprese a rispondere a quelli dell’uomo seduto accanto a lei. Non sempre le cose dovevano avere un perché! “Non bastava a me. Quindi ho cominciato a fare di testa mia” gli rispose seccata.
“Bene. Si cresce! E glielo hai detto?”
“Inizialmente no. Lo facevo di nascosto”.
“Ti drogavi!”
“No!” rispose Li con più foga di quanto non avesse inteso “Quello no. Quello mai”.
“Uscivi con le femminucce?” Li stava per dargli un altro sonoro “No” quando Edgar fece un’altra domanda “Rubavi?”
“N… ni. Scendevo nello sprawl”.
“Bene!”
“Facevo da palo in una banda”.
“…di femminucce?” aggiunge Edgar con un sorriso sornione sulle labbra.
Di nuovo quell’insinuazione. “Femminucce mai, mi piacciono le donne forti!”. Come Greta, idiota. Ci avrei anche provato, ma mi hai battuta sul tempo! E comunque poi è tornato in scena Joy… Beh, forse è meglio così. Forse è più salutare per tutti.
“Guarda che il palo becca come l’autore! Una banda di fuorilegge…”
“Lo so, ma non mi hanno mai beccata” replicò Li.
“Ma tuo padre l’ha saputo! Ti ha fatto seguire dalla mamma, ti ha letto il diario?”
Li ignorò volutamente quelle prese per i fondelli. Ma perché la stava trattando come una bambina?! “Mio padre è stato parecchio generoso a dire il vero. Ha chiuso un occhio in un sacco di occasioni”. Era la prima volta che lo ammetteva, anche a se stessa. Eppure era vero. Dargli tutta la colpa era certamente più facile, ma sarebbe stato sicuramente anche ingiusto.
“Generoso?” il folto sopracciglio sinistro di Ed si alzò lentamente, a dimostrare tutta la sua incredulità.
“Diciamo che ho un po’ esagerato… e a quel punto è esploso”.
“C’è stato un momento in cui hai superato il limite”.
“Già”.
“Cos’è successo? Sono tutto orecchi ed ho tempo! Mi accendo una sigaretta!” disse Ed rovistando nel taschino della sua camicia.
“Che fai, mi prendi in giro?”
“No, racconta. Vuoi fumare?”
Disarmante. Quell’uomo era semplicemente disarmante. “Sì, forse è meglio se me passi una”.
“Te la preparo. Vuoi il filtro? Ce li ho”.
“Fai tu. Io di norma non fumo” E neppure parlo di me. Ma pare che siamo in vena di eccezioni, quest’oggi. Speriamo di non dovercene mai pentire…

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32
Giugno 20, 2007 - 3:34 pm

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Apparve il primo segnale. Ginevra 213 Km.
Un paio d’ore al massimo.
La torpedine penetrò il chilometro.

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“Está bien” disse Ed iniziando a caricare la cartina di tabacco “¡Habla!”.
“Cosa vuoi sapere? Come tira la corda una stupida ragazzina figlia di papà?”
“Del cinese americano e di sua figlia, sì!”
“Mio padre è un brav’uomo, Edgar, ma è figlio della sua cultura e del mondo in cui vive”. Lo stava dicendo tanto al compagno seduto al suo fianco intento a rollarle la sigaretta quanto a se stessa. “Della prima sono figlia anch’io, mentre il secondo l’ho ripudiato. Ho cominciato a frequentare lo sprawl perché ero stufa ed annoiata del mondo dorato e putrescente in cui ero cresciuta”.
“Tieni” le disse porgendole una sigaretta e mettendosene un’altra in bocca “Te la accendo?”
“No, quello lo so fare, grazie”. rispose infilandosi la sigaretta tra le labbra e sporgendosi nella sua direzione per avvicinarsi all’accendino.
“Continua” le disse Edgar, riponendo l’accendino nella tasca della camicia.
Li tirò una lunga boccata, mentre cercava di riordinare i propri pensieri.
“Ero circondata da gente come Kane. Alcuni migliori di lui, altri no, ma lo standard era quello”.
Altra boccata.
“La mia famiglia aveva un sacco di quattrini. E di potere”.
“Kane è l’uomo medio del mondo da cui provieni”.
“Ne è un esempio, ma grazie al cielo non sono tutti così”.
“Ricchi. Allora eravate ricchi. E poi?”.
Li non sapeva da che parte iniziare “Vedi, Kane pensa solo a se stesso. Per lui al mondo c’è solo Kane…”.
“Non mi interessa Kane”.
Li non gli badò e proseguì lungo il filo logico che aveva intrapreso “…ma per un cinese è diverso. Per mio padre ci sono i Zhang, non c’è solo Wu. C’è la famiglia Zhang e la Corporazione. Quello che fa, lo fa nell’interesse della famiglia Zhang e della Corporazione. È così che funziona e io avrei dovuto fare lo stesso”.
“Arasaka?”
A quella domanda Li non poté far a meno di sorridere “No, no. I miei lavorano per la Suntech, che è legata al governo cinese. La Arasaka è composta per lo più da giapponesi. Non è la stessa cosa. Non siamo la stessa gente…”
“D’accordo”. Semplice accettazione. Ed era così.
“Mio padre mi ha dato tutto quello che di meglio aveva da offrire la famiglia Zhang e la Corp e per questo gli sono davvero grata, Edgar”.
Aspirò e dopo un attimo esalò il fumo dalle narici.
“In cambio si aspettava gratitudine ed accettazione delle regole, ma non ce la facevo proprio a sottostare a certe… norme, anche se le capisco tuttora. Intendiamoci, non farei mai nulla che potesse nuocere alla mia famiglia, a nessuno dei suoi membri. È qualcosa che ho radicato dentro…”.
“Bello”.
“Ciononostante non riuscivo ad annullare la mia personalità, neanche per servire la mia famiglia o la corporazione di mio padre. Ho cominciato a pensare a me come Li Ann Zhang e non come Zhang Li Ann. Sembrerà una banalità, ma non lo è. Non mi andava più di uscire con i ragazzi delle altre famiglie della Corp o delle Corp alleate: volevo scegliere da sola con chi uscire. Non mi andava di vivere solamente nell’ambiente in cui ero nata, quindi sono scesa nei quartieri bassi. Non mi interessava fare un lavoro trovatomi da qualcun altro, quindi ho mandato tutto all’aria e me ne sono cercata uno mio. Volevo solo trovare la mia strada…”.
Edgar stava fumando in silenzio, lo sguardo rivolto al panorama.
La stava ancora ascoltando? Chissà… Forse era meglio così, meglio che non le prestasse eccessiva attenzione o non sarebbe mai riuscita a concluderlo quel discorso “…per farlo, tuttavia, ho buttato tutto quello che mio padre aveva faticato ad ottenere per me. Sai, a ripensarci credo di averlo ferito nel profondo. Eppure lui si limitava a guardarmi in silenzio, con le mascelle serrate. E io, scema, non vedevo che quella non era rabbia, ma dolore e delusione, e stupidamente continuavo a tirare la corda. Non so ancora il perché. Forse per ottenere una reazione di qualche tipo. Forse per vedere dove potevo arrivare”.
La voce di Li si spense, mentre i suoi pensieri si perdevano sullo sfilare dei 180 orari, in cerca di una risposta che forse non avrebbe trovato mai.
Sentendo che era sceso il silenzio, Ed si voltò verso di lei e la invitò a proseguire “Nuove esperienze. Vedere il mondo. Quello vero, l’altro lato, il rovescio della medaglia. «Chi sono? Cosa voglio?» Cose così, giusto?”
Sembrò svegliarsi dal proprio torpore. La sigaretta era ormai finita e aveva quasi bruciato il filtro. La porse a Ed, che la infilò nel posacenere, e poi continuò “Scusami. Ti sto riempiendo la testa di cazzate” gli disse osservando il gesto.
“Cosa è successo alla fine?” la incalzò.
Li lo osservò per un attimo, in cerca di qualche emozione che trasparisse da quegli occhi di colore inquietantemente diverso “Ne hai un’altra?”.
“Seguro” le rispose, tirando fuori il necessario dalla tasca.
“Perché ti interessa sentire questa storia, Edgar?”
“Forza, continua. O me lo dici adesso o non me lo dirai più!”
Non le aveva risposto, ermetico come sempre. Aveva ragione. Se non avesse continuato ora, l’occasione non si sarebbe ripresentata mai più. E forse era venuta l’ora che Li trovasse il coraggio di prenderne atto parlandone con qualcuno. Solo continuava a non capire che interesse potesse avere qualcuno a sentire cose che non lo riguardavano affatto “Non ci perderesti nulla, credimi”.
“Lasciami vedere, prima!”
“Ero solo una stupida ragazzina” E se, dopo che avrai visto, quello che hai davanti agli occhi non ti piacesse più? E se, dopo, l’opinione che ti sei fatto su di me dovesse cambiare? “Per tanti versi lo sono ancora”. Li sospirò, accendendosi la seconda sigaretta che Edgar aveva preparato, poi continuò “Prendevo la vita con troppa leggerezza. Questo almeno ho imparato a non farlo più. Saranno le vite che ho sulla coscienza…”.
“Quali vite?” sbottò lui.
“Ne abbiamo lasciate un paio stese sul prato prima di partire… vuoi tornare indietro a verificare?”
Edgar finse di non cogliere “Allora? Hai rubato i soldi della cassaforte e sei sparita sei mesi a Rio?”.
Li sorrise “Sai già cos’ho rubato, Edgar”.
“L’ho dimenticato”.
Silenzio.
“Automobili?”
“Sì, ho rubato un’auto…”
“Ha importanza di chi fosse?”
Oh, sì che ne aveva. “È buffo. Assieme ai miei amici rubavo cose in continuazione… facevo un sacco di altre cose che la legge non gradisce, eppure non mi hanno mai beccata”.
“Ma con l’auto come andò?”
“L’assurdo è che sono finita dentro per furto l’unica volta che l’auto l’ho presa semplicemente in prestito. Era l’auto di mio padre”.
“E le vite di cui sei responsabile?”
Li glissò la questione e proseguì con il suo racconto “In quel periodo non vivevo più dai miei. Andavo e venivo a piacimento, ma passavo tre quarti delle mie notti nel letto di Joy. Di quando in quando, ad ogni modo, tornavo a casa a prendere quello che mi serviva. Soldi. Cibo. Cose così”.
“E un quarto di quelle notti?”
Li ignorò volutamente quella domanda. Non le piaceva l’implicazione messaci da Edgar. Non erano affari suoi. Fingendo di non aver sentito, continuò a parlare “Quella sera c’era una gara importante giù in città…”
“Clandestina?”
“Fai un sacco di domande oggi, Edgar” rispose a quel punto Li, girandosi verso di lui a guardarlo negli occhi.
Ed sostenne lo sguardo, ma rimase impassibile.
“Sì, era clandestina!” rispose infine, sfidandolo con gli occhi a fare qualche commento in proposito “Come buona parte delle altre. Si guadagnava bene”.
Edgar non tradì nessuna emozione e Li distolse lo sguardo dai suoi tratti ispanici.
“Mio padre aveva appena comprato un’auto bellissima. Potentissima. In tutta sincerità non credo che neanche lui sapesse esattamente quali potenzialità avesse quel mezzo, così ho preso le chiavi e l’ho portata fuori dal garage. E ci ho gareggiato…”.
“Si scommette, in questo tipo di gare, vero?”.
“Sì. È con quello che si guadagna, per lo più”.
“E cosa si scommette, di solito?”.
“Soldi, se ne hai, ma ho visto gente scommettere di tutto” Bar, ad esempio…
“E tu non ne avevi”.
“Ne avevo. I soldi non erano un problema all’epoca”.
“Li hai messi al palio?”
“Qualcosina… Alla fine lo facevo più per piacere e gusto della sfida che per denaro. Mi ero fatta impiantare il co-processore per la guida da un paio di mesi” .
“Si corre uno contro uno, finché uno non ne esce vincitore e si prende il gruzzolo?” ipotizzò Edgar.
“Già. Di solito finisce così”.
“A che punto eri quando è successo?”
Li deglutì.
Sbirciò il contachilometri.
180 precisi.
Guardò bene la strada.
Stando attenta che non curvasse.
Che non si restringesse all’improvviso.
“Eravamo quasi al traguardo, quando qualcosa è andato decisamente storto. Non sono mai riuscita a ricostruire del tutto gli avvenimenti di quella sera. Il mio cervello deve averli rimossi. Andavamo veloce. Molto veloce. C’era una curva, mi pare, o una strettoia… non ricordo bene. I circuiti cittadini sono i più difficili, quindi i più redditizi. I veicoli si sono toccati. Abbiamo perso il controllo. Non riuscivo a ritornare in me per staccare il cavo e buttarmi giù dal veicolo. Ancora adesso non so come ci sono riuscita, ma in qualche modo devo avercela fatta, perché il giorno dopo mi sono ritrovata in ospedale. La macchina di mio padre si era disintegrata poco più avanti. Anche quella dell’avversario”.
“Eri salva, almeno. All’altro pilota come è andata?”
“Non l’hanno trovato a bordo pista. È rimasto dentro perché io gli avevo precluso l’uscita dal lato del guidatore. Il mio mezzo era a sinistra del suo”.
“È rimasto bloccato nella macchina ed è morto”.
“Ho dovuto rispondere di furto d’auto, di organizzazione di corse clandestine…”
“E di omicidio colposo”.
Li scosse appena la testa, quasi a voler negare l’accaduto “È saltato tutto per aria”.
“Ma qualcosa resta sempre …”
Sì, brandelli carbonizzati sparsi ovunque…
Ed sembrava incredulo “ …uno spettro”.
“Di quella sera è rimasto molto più di uno spettro! So bene che era omicidio colposo, Edgar!” gli gridò addosso, quasi con rabbia “Non avrei negato mai quella responsabilità!”
“Scusami”.
“No, tranquillo” gli concesse Li, con tono più pacato. Dietro qualcuno si era mosso. Li notò il movimento nello specchietto. “E’ che ancora adesso, per quanto assurdo possa sembrare, l’accusa che più mi pesa, quella che più mi ha ferita, non è quella che hai citato tu”.
Edgar continuava a guardarla con perplessità “È che non ho capito. Non mi è chiaro. Tutto qui”.
“Quando ho cercato di spiegare al giudice che non poteva esserci un’accusa di furto d’auto, perché l’auto che stavo guidando era di mio padre, mio padre ha affermato davanti alla corte, guardandomi dritta in faccia, che lui non aveva nessuna figlia. È la sola scena che riesco a ricordare di quel processo”.
“La sentenza quale fu, alla fine? A cosa ti condannarono? Qualche mese di galera, una multa salata?”
“Neanche me le ricordo, le parole del giudice. Dopo aver sentito quelle di mio padre, non ho capito più nulla. Non so esattamente che trattative sia riuscito a concludere l’avvocato… credo di aver annuito come un automa a tutto quello che mi diceva. Il risultato finale, ad ogni modo è stato che mi hanno confiscato tutto quello che avevo da parte. Era parecchio, ma non badavo ai soldi”.
“Niente gatta buia?”
“Mi sono fatta 5 mesi”. Erano cinque mesi a cui la sua mente non amava tornare.
“Cinque mesi” ripeté Edgar.
Li annuì, buia in volto, ma non disse nulla.
“Lo conoscevi il tipo? Era dell’ambiente?” le prese per tempo la sigaretta dalle dita e la spese nel portacenere assieme alle altre.
Li scosse leggermente la testa “L’avevo visto un paio di volte al massimo”.
“Era in gamba?”
“Abbastanza”.
“Avresti vinto?”
“Ha importanza?”
“Per me” affermò voltandosi verso di lei.
Li non sembrò averlo notato, perché stava guardando dritta avanti a sé. “Ho perso, Edgar. Ho perso tutto. E l’assurdo è che, anche così, me la sono cavata a buon mercato”.
In uno spazio angusto della sua periferia cerebrale, tutto scorre. Poi un guazzabuglio. L’inferno.
“Non lo so” le disse, massaggiandosi la barba ispida.
“Beh, ero viva, no?”
“Questo conta dicono”.
“Già!” commentò Li, amara.
“Mi fa piacere”.
“A me no”.
“No?”
“No! Non so neanche perché ti ho raccontato tutto questo, Edgar. Forse perché giunge il giorno, prima o dopo, in cui dobbiamo esorcizzare i nostri demoni”.
“Grazie”.
“Grazie?” si voltò a guardarlo, la fronte aggrottata. “Non ti ho fatto un favore”.
“Lo so, ma non importa”.
“Se lo dici tu”.
“Non ti commisero per ciò che è stato. Ha importanza?”
“Sì. Non voglio la pietà di nessuno, tantomeno la tua. Quindi sì, ha importanza”.
“Non l’avrai mai”
Li annuì, silenziosamente.
“Ora tuo padre cosa fa?”.
“Quello che faceva prima. Si occupa della sicurezza della Suntech”.
“Lo senti, qualche volta?”
“No”.
“Tua Madre?”
“No! Mia madre è una moglie fedele”.
“Segue la tradizione”.
“Già. Avrei dovuto essere come lei. Tutto sommato non sarebbe stato brutto, essere come lei” …se solo ci fossi riuscita.
“Hai fratelli o sorelle?”
“No”.
“Quanto tempo fa è successo?”
Li si voltò a guardarlo con espressione interrogativa.
“L’incidente” aggiunse Edgar, in risposta al suo sguardo.
“Un anno fa”. Un anno, due mesi e tredici giorni, per l’esattezza “La sopportazione di mio padre è durata quasi cinque anni”.
“Tu non volevi diventare come lui”.
“Io non potevo diventare come lui”.
“Prima o poi glielo avresti detto e sarebbe stato uguale. Forse”.
“Forse. Ma avrei meno responsabilità addosso. Meno dolore. Meno morte. Ho cercato di rimediare, da allora, ma credo che non ci riuscirò mai”.
“Ti saresti tirata fuori dicendogli che forse un giorno saresti tornata, se avessi capito che la strada che avevi intrapreso non era quella che pensavi adatta a te?”
Li scosse la testa “Sono sempre stata troppo stupida ed orgogliosa per fare una cosa del genere”.
“Dunque è andata”.
“Il tempo non torna indietro, mai, per quanto forte lo possiamo volere”.
“Sei qui per tua scelta”.
“Sì! Potrà essere stata una scelta errata, forse, ma pur sempre una mia scelta”.
“Non a causa di un padre severo…”
“No! dare la colpa a qualcun altro sarebbe ingiusto”.
“Dunque è una questione di scelta”.
Li annuì “La causa di tutto ciò che ho fatto e ancora faccio è solo mia”.
“Bueno”. Era un asserzione, più che un commento, e con quella sembrò considerare chiuso l’argomento, perché Edgar tornò a rintanarsi nel suo consueto silenzio.
Li si voltò a guardarlo un attimo, indecisa se essere più stupita di quell’improvviso ritorno al mutismo o della sua passeggera loquacità. Beh, era Edgar. Era normale che fosse strano.

Altro segnale. Ginevra 185 Km.
Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire. Per loro semplicemente CERN.
La locomotiva avanzò.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

(post a quattro mani)

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Giugno 24, 2007 - 12:27 am

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Le ultime parole che aveva pronunciato erano rivolte a Edgar “Me la faresti un’altra sigaretta, per favore?”
“Seguro” le aveva risposto e si era messo a preparargliela.
Li l’aveva accesa e se l’era fumata in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, la mente distante.
Era rimasta silenziosa lungo tutto il tragitto che li aveva portati all’aeroporto. Betty e Greta provarono a testare il terreno un paio di volte, ma ottennero solo distratti “sì” “no” “niente” trasmessi più con i gesti che con le parole. Viste quelle risposte, decisero di lasciarla in pace e si limitarono a guardarla ogni tanto con espressione preoccupata. Se Li se ne accorse, non lo diede a vedere.
Durante il volo finse di dormire o forse si addormentò veramente. Non era in grado di dirlo. Lo sforzo di non pensare l’assorbiva troppo per essere cosciente di qualcos’altro.
Arrivarono a San Francisco in pochissime ore. Questo avrebbe dovuto rallegrarla, considerato che non aveva desiderato altro da quando avevano lasciato Glasgow, ma la realtà era che, ora che era finalmente tornata, la cosa la lasciava del tutto indifferente.
“Vado a casa. Ci sentiamo” aveva salutato gli altri con un gesto della mano e si era allontanata verso una fila di taxi. Le era sembrato che qualcuno avesse fatto un passo nella sua direzione e che qualcun altro lo avesse fermato. Ma forse era solo un’impressione. In ogni caso non aveva molta importanza.
Salì sul primo taxi, gli trasmise un indirizzo e poi si accasciò sul sedile.

Joy aprì la porta con un sorriso e l’espressione piacevolmente sorpresa. Li non riuscì a modificare la propria.
“E’ andato tutto bene?” le chiese, facendole spazio e corrugando appena la fronte.
“Sono pulita” disse entrando in casa. Non riuscì a dire nient’altro. Si era riferita alle nano macchine, naturalmente, ma non c’era di certo il rischio che le sue parole fossero interpretate diversamente.
Non disse altro per tutta la sera.

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La mattina dopo si svegliò nel letto. Vuoto. Joy doveva averla portata in camera dopo che si era addormentata sul divano, tra le sue braccia. Non era stata molto di compagnia, ma ora era un po’ tardi per scusarsi. Lui era già uscito per andare allo Shamrock.
Li si fece una rapida doccia sonica e poi uscì a sua volta. Recuperò l’ambulanza, verificò che Giz, Nas e le altre cose che ci aveva lasciato fossero al proprio posto e si recò al dojo degli Swords.
Hideoshi era in fondo alla stanza e lei gli andò incontro. Non sembrava particolarmente stupito di vederla da quelle parti. Di recente era diventato un vizio.
“Ciao Li”
“Ciao. Ti spiace se mi alleno un po’ con voi?”
“Bastone o tubo?”
“Come vuoi” gli disse alzando appena le spalle. Aveva semplicemente bisogno di sfogarsi.
“Oggi sei da tubo. Vieni”.

Si stava allenando da circa un’ora quando alle sue spalle udì una voce nota chiamarla per nome. Si voltò, stupita “Che… che ci fai qui?”
Le sorrise. “Vuoi allenarti con me?”
Li rimase senza parole.
“Sfogati pure. Non aver paura di farmi male”.
Li annuì lentamente, troppo grata per riuscire a dire alcunché.

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Giugno 24, 2007 - 12:29 am

Finalmente era arrivato. Era da prima di entrare al CERN che attendeva quel messaggio e ora finalmente era arrivato. Xiaoming ci aveva messo un po’.

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Aveva fatto di tutto, incluso recarsi dai Presidenti a smontare e rimontare gli ultimi pezzi dell’Air Force One per distrarsi nell’attesa di quel messaggio e ora che era arrivato non aveva quasi il coraggio di leggerlo.
Deglutì, si fece coraggio e premette invio.
Lesse il contenuto una, due, tre volte.
Non voleva crederci. Eppure le parole di Xiaoming non lasciavano spazio a dubbi. Alcune delle paure che l’avevano attanagliata da quando era giunta a Ginevra si erano appena fatte realtà.
Non è possibile… non può essere…

Era notte fonda quando suonò il campanello.
Guardò stupito la figura nello schermo del citofono ed aprì immediatamente la porta.
“Ciao Billy” disse, facendolo entrare.
“Ciao Joy”.
Il sosia di Roosevelt depositò sul divano una Li semi-incosciente, mentre Joy richiudeva la porta alle sue spalle.
“Cos’è successo?” chiese, facendosi avanti e scrutando la minuta figura distesa sul divano.
Li emise qualche suono incomprensibile girandosi di lato, gli occhi semichiusi. Non sembrava ferita.
“Non lo so. Non l’ho mai vista così. Nel pomeriggio è passata da noi, ma mi sembrava tranquilla… Invece un’ora fa sono andato al New World e l’ho trovata che si stava imbottendo di whiskey. Ho provato a parlarci, ma non è valso a granché. Me ne dovevo andare, ma non mi sembrava il caso di rischiare che si mettesse alla guida di qualche mezzo o facesse qualche altra cazzata. Non mi sono fidato a lasciarla lì”.
“Hai fatto bene a portarla qui”.
“Le ho fatto vuotare lo stomaco strada facendo, perciò la tappezzeria non dovrebbe più essere a rischio”
“Non ti preoccupare, adesso ci penso io, grazie”.
“Tienila d’occhio, ok? Non la voglio più vedere in questi stati”.
Joy annuì, guardando preoccupato la ragazza sul divano. Accompagnò il Presidente alla porta, lo salutò con una stretta di mano e poi tornò da lei, la preoccupazione sul volto sostituita da un altro sentimento.

Cominciò a toglierle i vestiti. Li non oppose nessuna resistenza.
Quand’ebbe finito la sollevò di peso e la portò in bagno. L’infilò sotto la doccia e aprì l’acqua. Fredda.
Lui aveva sempre preferito la doccia sonica, ma Li aveva insistito molto per installarla, anni prima. Quello gli sembrava un buon momento per utilizzarla.
Quando l’acqua gelida entrò in contatto con la sua pelle, Li gridò, risvegliandosi di colpo dal suo torpore. Joy la tenne sotto il getto d’acqua.
“Allora, sì può sapere che c… combini? È da quando sei tornata che non dici una parola, ti comporti in maniera assurda e fai preoccupare tutti quanti! Sto perdendo la pazienza… vuoi deciderti a dirmi cosa ti sta succedendo?”
Per Li fu come uno schiaffo. “È stato mio padre…”
A quelle parole Joy rimase di sasso. Chiuse l’acqua con una mano, mentre con l’altra continuava a sostenere Li, che ora stava tremando come una foglia. Cosa centrava adesso il signor Zhang?
Prese un asciugamano e ci avvolse la piccola figura tremante. “Cosa?” chiese piano, asciugandola con delicatezza “Cos’ha fatto tuo padre?”
Il volto di Li era rigato dalle lacrime “Il gruppo che ha cercato di farci fuori a Ginevra… l’ha ingaggiato mio padre!”.

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35
Giugno 28, 2007 - 9:52 pm

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“Questa giornata in ufficio non passa più, la questione in Europa mi ha scossa, per di più ho ucciso una donna, avevo sempre imbracciato armi, le avevo anche usate, ma mai nessuno si era fatto male.
Ma questa volta era stato diverso, ne sarebbe andato della mia vita, ma che vado a pensare togliere la vita altrui … NO! Che ci pensino Ed, Greta, Jag a farlo, io sono una specialista di sistemi di sicurezza non un soldato, sicario, mercenario…
Mi ero sempre atteggiata da dura quand’era nel branco dei “Los Caballeros” per potermi difendere ed evitare di farmi male, ma nessuno aveva mai superato il limite nemmeno quelli delle bande rivali, maneggiare quei giocattoli mortali come esplosivo e lanciagranate era sempre stato un deterrente non una effettiva minaccia per i miei avversari.
Lo sapevo sarei dovuta restare a casa oggi, ma poi…
Sicuramente mi avrebbero chiamata, siamo a fine mese quindi …
Di sicuro avrei fatto sorgere dei sospetti, anche se quel Stuart Falkenberg …
Che ci faceva li? Era li per caso? O mi stava pedinando? E se mi stava controllando, perché? Quali erano i suoi interessi? Certo che era li per me, Ed lo ha visto per ben due volte.
Mi pedinava quindi, ma perché? Anche lui sa tutto? Anche lui ha interessi su di me?
Troppe domande ancora non poste, troppe risposte non date, e ora questi europei che pretendono di muovermi come una marionetta.”

“Ora Basta!!!”
Sfortunatamente un pensiero ha preso voce.
“Signorina Locatero tutto bene?”
Era solo Kalyn un tecnico specialistico come lei che da oramai da più di un anno le teneva compagnia in quei tuguri di uffici che la Globaltech le aveva fornito per quando doveva eseguire il suo lavoro in sede centrale.
Lei adorava lavorare a casa, tra l’intimità delle mura domestiche e potersi stendere sul divano solo con la biancheria intima le aumentava la creatività, ma almeno cinque giorni al mese doveva passarli in sede per coordinarsi con tutti gli altri dello staff.
“Si grazie Kalyn, ma ti prego non chiamarmi signorina Locatero chiamami Consuelo, te l’avrò detto oramai un migliaio di volte.”
“Lo so signorina Locatero, ma non voglio mancarle di rispetto.”

Deve proprio essere un uomo, ma che dico uomo… un ragazzo di altri tempi, avrà si e no diciannove, vent’anni.

“Scusami Kalyn, la giornata è pesante e ho un giramento di testa, vado a fare una passeggiata, forse mi passa, torno entro 10 minuti intanto tu potresti coprirmi e se c’e qualche emergenza chiamami sul cellulare?”
“Non mancherò, signorina Locatero”

E rieccolo a tenersi distaccato, pazienza il suo modo di fare non mi disturba.

“Ti ringrazio, ci vediamo tra poco”

Una passeggiata è proprio quello che mi serve per schiarirmi le idee e respirare una boccata d’aria che non sappia di prigione.

Il camminare porta Consuelo sul piano degli uffici dirigenziali
“Mi scusi signorina cercavo l’amministratore delegato dell’EBM, il Sig. Falkenberg.”
“Mi spiace il Sig. Falkenberg non è in ufficio oggi.”

E ti pareva, troppo facile sarebbe stato.

“Mi sa dire se lo trovo domani?”
“Il Sig. Falkenberg è in ferie e non mi è stato comunicato quando rientrerà, spiacente di non esserle d’aiuto, se vuole può lasciarmi un messaggio lo consegnerò io appena rientra.”

Ecco dalla padella alla brace e ora come faccio?

“No grazie, non serve, non è importante.”
Pensierosa la ragazza si incammina verso gli ascensori per riprendere il suo posto.

In ferie quindi non era in missione per conto della corporazione. Oppure sì e questa è solo una copertura. Ma cercava me o i dati che trasportavamo? Che cavolo stai pensando Consuelo è ovvio che era interessato a ciò che trasportavamo. Ma allora al concerto di Midori era lì per caso? No, di nuovo questi pensieri… oddio devo distrarmi devo assolutamente distrarmi prima che la paranoia mi sommerga.

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