Sabbia e Pace, Montagne e Morte. | Terra Di Mezzo | Forum

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Sabbia e Pace, Montagne e Morte.
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Febbraio 19, 2007 - 6:41 pm

Era la sabbia!
La sabbia era in ogni dove, ricordo.
Era come se il mondo intero, da ogni angolo nascosto, avesse portato un granello e lo avesse fatto cadere proprio lì, davanti a noi.
Ogni passo era come sabbia.
Una sabbia fine, sottile come una polvere e Tara raccontavava, che forse questo era l'ultimo viaggio.
Così tutti quando ne avevamo avuto abbastanza della sabbia tra i capelli, nelle pieghe dei vestiti, nelle mutande, nelle orecchie, nel naso, fin sotto la lingua; quando insomma eravamo stanchi di tutta quella polvere, arivammo in vista delle Montagne Gialle.
Fu allora che io, e certo anche altri assieme a me, cominciarono a pensare che forse tutta quella sabbia non era un male lasciato da qualche Valar o potente Maya.
Forse in mezzo al deserto era più facile pensare, più facile pensare a domani. Nessuna certezza, ma una sensazione di sconfinata tranquillità, più volte ci aveva sorpreso. Ricordo che una volta fu all'all'alba poco prima del sole, o durante una pausa del cammino.
La gente si trovavava d'un tratto distante persa a seguire le linee irregolari dell'orizzonte; sconfinava così in una meditazione inconsapevole che riportava loro ad una pace, non sconosciuta, ma solamente dimenticata.
Erano lontani.
Una sera ricordo, mi rizzai dal mio giaciglio, il fuoco aveva solo una bronza rossa, e la frescura mi diede un violento brivido lungo la schiena, poi vidi il profilo ondulato nero, ed un cielo blu come il mare in certe mattine di primavera, e migliaia di migliaia di stelle facevano chioma ad una luna di tre quarti calante.
Pensai ad un sogno. Neppure un filo d'aria, solo quel pungente freddo.
Rimasi lì non so quanto tempo credo poco, ma mi parve abbastanza lungo, a guardare il nulla assorto in quella pace che gli altissimi dei avevano sognato con la loro Musica.
Poi sentii il respiro dell'aria, del vento, una leggera raffica che Manwe, lasciava scivolare dalla sua montagna altissima fino al mare dove una nave l'avrebbe presa.
E vi dico che molti parlarono di questo e di come era facile amare ed odiare il deserto al tempo stesso.
Quando poi arrivammo in vista delle montagne Gialle, questi pensieri, si spensero, come il soffio su una candela, e tutto parve più buio, più difficile, più tremendo.
Fino ad allora non avevo mai pensato che non sarei tornato indietro, fino ad allora sognavo Chyriare in un estate sotto la sua ombrosa pergola di vite che osservava il mare. Davanti a lui i suoi libri, le sue pergamene ed i suoi inchiostri, e posato in un angolo ancora il suo strumento musicale non lasciato lì a prendere polvere, ma lucidato ed accordato pronto per una sonata.
Dicevo che sognavo di essere su una nave tutta mia, una nave veloce e potente, che avevo chiamato La Perla Nera. Ed entravo nel porto dove a mezza costa c'era la casa di Chyriare, e poi correvo su per le strade verso la dimora, e mentre mi avvicinavo sentivo la musica del Mastro, una musica dolce, quasi triste, silenziosa, fino a che davanti a lui, la melodia cessava, e con un abbraccio ci salutavamo dicendoci: solo un'anno questa volta è passato!
E gli raccontavo dei miei viaggi, rassicurandolo che gli avevo portato dei doni che i miei marinai gli avrebbero fatto avere, ed avevo portato piante strane, che io non avevo mai visto, ed animali esotici colorati ed intelligenti. Ed allora lui lieto mi chiedeva del mondo, della gente, e lui parlava con arguta favella della vita e della nobiltà in essa spesso celata.
Così pensavo ad una nave, un capitano, un amico, un porto, un vento di traverso...
Sotto quelle Montagne scordai tutto in un istante credendo di essere arrivato ai miei ultimi passi.
Così prossimo alla fine da credere che comunque sarei tornato polvere nella polvere.
Polvere alla Polvere.

Anno 74 Quarta Era
Cronache di Suri
Il Cennecath

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Marzo 13, 2007 - 6:01 pm

IL PORTOLANO.

L'aveva perso.
Non aveva più dubbi. L'aveva perso e lo disse ad Arakhon. Non riusciva più a ritrovarlo. Arakhon gli disse che forse l'aveva lasciato in città e che quando sarebbe tornato indietro l'avrebbe ripreso.
Padron Arakhon era stato gentile e pieno di buon senso.
All'inzio si era meravigliato e disse sbalordito:
-Non ci posso credere.-

Poi Suri svuotò lo zaino, riavvolse la corda elfica, sistemò meglio le provviste di carne secca e formaggio. Vide il suo coltello da pescatore e se lo mise in tasca, poi guardò di nuovo verso Arakhon e questi si voltò verso Ender che stava pianificando l'avanzamento nella città.
Suri rimise a posto il poco bagaglio contento di aver ancora abbastanza cibo e di aver riempito gli otri con l'acqua della cisterna che avevano trovato.

Era sicuro di averlo portato con sé e non di averlo lasciato in città.
Forse gli era caduto nello scontro che avevano avuto con i sudroni mascherati; si ripromise al ritorno di osservare bene il terreno, e che forse l'avrebbe ritrovato. Tutto il viaggio da Ostelor fino a Tul-arad e tutto il viaggio nel deserto fino al ritrovamento di Khalid, tutti quegli appunti erano andati persi. Dovevano ripassare per di là, avevano lasciato laggiù il principe Mutamin, per cui avrebbe guardato attentamente.

"E' un segnò." Pensò.
E guardò Tara che di fronte ai pericoli si gettava senza riflettere.
"Lei non vuole più vivere." e iniziò a salmodiare quella piccola preghiera che da piccolo gli dicevano di dire quando usciva con la piccola barca.
Si immaginò quel giorno freddo sulla "Matala Wesi", Acque Basse, a pregare e così mentalmente ripeteva.

"Sento il cuore di Ulmo battere,
batte il mio cuore.
La voce di Osse mi giunga,
parla il mio cuore,
vedo i capelli di Unien,
felice è il mio cuore.
Lascio la costa della terra,
mentre il diletto di Sulimo,
Signore del Respiro di Arda,
mi porta sotto il cielo di Elberth,
sua sposa.
Batte il mio cuore.
Parla il mio cuore.
Felice è il mio cuore."

"Ho fatto una promessa, l'ho fatta a Chyriare, tornerò, devo tornare.
L'ho promesso. Batte il mio cuore. Parla il mio cuore. Felice è il mio cuore."
Il portolano l'avrebbe ritrovato, ne era sicuro.

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3
Marzo 25, 2007 - 3:03 pm

Morte tra le Montagne Gialle.

Un piccolo rivo.
C'era una piccola polla da cui usciva un ruscello.
Avevano visto dei cammelli abbeverarversi e certo sarebbe stato un vero colpo di fortuna catturarne qualcuno e tornare a Tardaust con delle cavalcature, ma erano selvatici.
Suri li guardava con attenzione. erano animali selvatici.
Gli sarebbe piaciuto acchiaparli e portarli in città. Valevano molti pezzi d'oro e rivenderli sarebbe stato un guadagno per
padron Arakhon. [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

Sicuramente avrebbe fatto notizia un gruppo che rientrava in città con una dozzina di cammelli selvatici provenienti dalle Montagne Gialle e chissà quale prestigio avrebbe dato a quel Valdaclo straniero.
Suri sorrise tra sé, ma subito un ombra gli passò sul volto.
Tara... dov'era Tara? [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Perché se n'era andata in quei cunicoli? Perché tanta devozione in quella missione. La ricordava sorridente ad Ostelor e quando gli chiedeva perché le facesse dei regali? Arakhon alla fine era riuscito a cacciare una gazzella, e si interpellò su cosa farebbe per fedeltà al suo padrone.
Padron Arakhon che non voleva che lo chiamasse con quel titolo. perché mai poi? Lui era il suo padrone, il suo mentore, gli aveva insegnato a leggere il comune, gli faceva portare Ponto a spasso; il suo amato cane; gli aveva dato una barca per pescare; l'aveva portato oltre il suo piccolo mondo conosciuto; l'aveva portato con sé.
Certo che era il suo Padrone, ma anche il suo Maestro dunque.
E ricordando ancora Tara con un velo rosso attorno alla testa si chiese se anche lei sentiva la stessa cosa per Ar-Venie. [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Erano queste cose che si chiamavano dedizione. Dedizione per una famiglia! Una famiglia come gli Eshe.
Per questi motivi dunque uno si porta fino all'ultimo sacrificio e si chiese cosa gli fosse preso quando incontrarono gli orchetti sulle scale ed invece di scappare si mise a correre verso di loro come un pazzo. Poi ripensò al principe [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Mutamin lasciato in un anfratto mezzo moribondo. Ora probabilmente... erano passati dei giorni e non l'avrebbero più ritrovato. C'era da pensare solo al peggio. Un principe che aveva delle mogli e dei figli era venuto in questo angolo della Terra Di Mezzo a morire per scoprire se c'erano orchi e se c'era qualcuno a comandarli e qualcuno certo c'era. Ci doveva essere e Tara era andata a fondo, era entrata nell'abisso, lei la risposta l'avrebbe avuta. Quella statua scura nella profondità era all'ingresso del Buio.

Dovevano tornare indietro pensò Suri; almeno loro dovevano tornare indietro per avvisare qualcuno che delle vecchie storie qualcosa sopravvive, qualcosa vive e quel qualcosa presto sarà forte.
Khalid era distrutto da questa impresa, anche lui era un servo ed anche lui serviva un padrone, ma ora il padrone era andato lontano.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

C'era molto da fare.
Ma Suri solo poteva immaginare, Suri era ancora troppo giovane per sapere cosa fosse il domani.
Sulimo soffiò sulle spalle calde dal sole e si sognò con forza sulla Daracil [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
l'ammiraglia degli Eshe con la prua a Ovest in un mare sconfinato e sognò di tenerne il timone e di nascosto guardare i capelli dorati di Urrit. [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Un sogno ad occhi aperti come fanno i ragazzi quando diventano uomini.

Si sorprese nel aver deciso di chiedere a padron Arakhon di lasciarlo provare a prendere i cammelli.

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Aprile 22, 2007 - 2:31 pm

IL DELIRIO DI ARAKHON.

Il colpo di tosse arrivò improvviso e violento e gli bruciò i polmoni. Si sentiva bruciare le carni, ma non vi badava; i suoi pensieri correvano alle Montagne Gialle ed oltre verso casa.
Quando riaprì gli occhi era buio. Doveva essere calata la notte. Sentiva la fronte bagnata di sudore, un sudore freddo. Guardò verso la finestra aguzzando lo sguardo, ma non ne distinse nemmeno i contorni e si accorse del silenzio. Un grande silenzio. Tombale.
Cercò di voltarsi verso la porta, ma il capo non gli riuscì di ruotarlo.
"Cosa succede?"si chiese.
[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
D'istinto cercò le sue armi, ma le braccia, il corpo, non avevano la volontà di ubbiddirgli. Sentiva il sangue scorrergli nelle vene delle spalle, delle braccia, delle mani ed un formicolio nelle dita, ma nulla si mosse. Il suo corpo non si muoveva e se ne accertò con disperata furia.
-Chi c'è!- dunque chiese. La sua voce gli parve cavernosa e di un'eco simile a quando ci si trova in una sala chiusa con mura spesse; come in un tempio gli parve.
-So che c'è qualcuno! Chi siete?- chiese ancora e la sensazione di essere in un largo spazio gli sembrò vera.
Spalancò gli occhi, li aprì il più possibile in cerca di un fiacca aura di luce ma nulla; attorno vi era solo il buio più pesto ed un silenzio ovattato.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-Chi siete! Cosa vuoi incapace, stammi lontano! Ho già chi mi cura.- Per un attimo l'aveva visto. " Quel cialtrone, gli dei proteggano chi sta male quando nei paraggi c'è quel macellaio." iniziò a pensare.
-Cosa vuoi? M'hai dato uno dei tuoi veleni farabutto, la pagherai.- [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-Antha Farris!- esclamò quando la intravvide uscire dalle tenebre.
-Sei tu Antha... ma tu sei morta! e stato quell'inetto di Shabla, lo so! Aiutami.-
Nel buio l'ombra dell'anima scomparve ed un caldo soffocante gli entrò nei polmoni. Un caldo secco, fino nella budella, lo avvolse. "Sono stato catturato da loro!" -Antha sei mia sorella!- provò. -Nonostante tutto, già! Hai il mio stesso sangue.- rimase solo il silenzio alla sua riposta.
"... ed i fratelli non fanno che combattersi." Si immagino gli eserciti di Ostelor ed immagino gli eserciti di Gorndor. Immaginò stendardi [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
schiantarsi a terra e uomini combattersi in una calca incomprensibile dove nessuna armatura aveva un senso e nessun vessillo era diverso dall'altro, tutto era schiacciato tra il fango ed il sangue.-Siamo fratelli Antha. Nonostante tutto.-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
- Anche voi siete qui!- Nell'oscurità quel volto lo guardava sereno, come se finalmente fosse giunto un momento atteso. -Io ti ho ucciso dannato...- gridò incredulo. -... e ti ucciderò di nuovo se sarà necessario!- ma a quelle parole il volto scomparve ed un rumore metallico provenne dalla sua sinistra. Girò velocemente gli occhi, unica parte mobile di un corpo imprigionato da chissà che tipo di veleno, e la vide per terra.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Nella mente[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
si ricordò di quel volto incontrato nel deserto.-Anche te ho ucciso, strega...-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-... di te resta sol un teschio scalcificato.-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
- Voi siete morti!-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-Pestan! anche tu!- si sorprese nel vedere il possente guerriero di cui, nell'attimo della sua morte, ebbe pietà del suo fortissimo corpo.-Pestan, allora...- ed un dubbio lo angosciò:-..allora anch'io, anch'io sono morto!- Gli occhi si sbarrarono e vinto da un terrore profondo tentò di scuotersi da quell'incubo divenuto realtà, ma bloccato, immobile e fermo, gridò a lungo, mentre dal buio altre anime apparivano.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-Mutamin! Principe! Anche voi, non è stata colpa mia.- esclamò per difendersi.-Abbiamo dovuto lasciarv...-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-TARA! No! Tara anche Tu!- [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Si calmò ed il respiro era affanoso e difficile. -Tara!- bisbigliò mentre il sudore gli scendeva sul corpo bloccato da qualche stregoneria.- Tara, amica mia.-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-Non guardarmi così! il tuo splendido sorriso... Tara non andare... te l'avevo detto...- e la figura scomparve lasciandolo con un gran dolore nella testa e lacrime gli scescero sul volto mentre chiuse gli occhi. -Nooo. Tara.- Singhiozzò. Si scosse tutto per liberarsi, ma la morsa non mollò. Sgranò gli occhi e si sentì più forte. In quell'ombra ultraterrena[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
quelle facce erano venute a cercarlo.-Siete venuti a prendervi la vostra vendetta.-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
- Tutti voi la volete, ma sono spiacente!-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
-Arrivate tardi!-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
e preso da uno strano spasmo[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
sorrise.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

-Tutti voi, arrivate tardi, nessuno di voi è riuscito a cogliere la mia vita.- constatò ridendosela.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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-Tutti voi arrivate tardi...-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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-...nemici miei...-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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-...amici miei..-[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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-...troppo tardi! Il fato mi ha preso con sé!- ed improvvisamente si sentì diverso, in pace.
-Gli dei hanno deciso diversamente per me!- si schernì di loro e delle loro magie mentre si alzò in piedi senza più catene invisibili.
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E mentre tutti loro gli giravano intorno maledicendo il suo nome ed i suoi passi, passati e futuri, un'altra coscienza prese possesso del suo animo, al punto che quando gli fu chiara, iniziò a ridere.
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-Eccovi giunti tardi.Eh!Eh!Eh!-
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E più essi si facevano minacciosi e più la sua risata diventava forte e sguaiata...-Ah!Ah!Ah!-
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... tanto che allargò le braccia verso l'alto. La risata si fece fortissima e sdegnadoli del proprio sguardo lo sollevò verso il cielo pesto; divertito, come da molto tempo non gli capitava. Rise di tutti loro, rise della propria morte, e ridendo chiuse gli occhi rinfrancato nello spirito e nel corpo.

Lentamente quando si esaurì la sua ridarella, sollevò le palpebre e si accorse che doveva essere giorno pieno. Vide Suri[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
davanti a sé con una pezza umida in mano sorridergli.

-Che c'è AraKhon vi divertono i vostri sogni?- riconobbe la voce sarcastica di Ender, ma non lo vedeva, era nella stanza e sentì il rumore di un liquido che veniva versato. D'istinto cercò con gli occhi prima le proprie armi alla sua destra e le vide immediatamente; erano a portata di mano."Bravo Suri." pensò ed immediatamente dopo guardò a sinistra da dove provenivano i passi.
-State meglio padron AraKhon!- affermò Suri sereno.
Vide le gambe di Ender ed il suo spadone penzolargli al fianco. Si preoccupò.
Davanti alla sua faccia Ender gli porgeva un calice di metallo.
AraKhon sollevò lo sguardo e vide quello divertito di Ender.-Che c'è AraKhon non vi va un po' di vino?-
Arakhon cercò di tirarsi su. Sentiva una frescura su tutto il corpo e sapeva che era sudore. Immediatamente Suri cercò di aiutarlo prendendolo sotto le spalle. Si sentiva debole.
-Non dovete bere padron AraKhon vi...-
-So cosa mi fa bene Suri!-Sbottò alterato da quelle premure da bambinaia.-Lo so da me!Chiaro?- lo sgridò.
-Si padron AraKhon.- rispose dimesso Suri sistemandogli meglio i cuscini dietro la schiena.
-Dai qua Ender!- e prese la coppa per trarne un piccolo sorso legittimo solo per umettarsi le labbra e la bocca.

-Tieni.- disse porgendo la bevanda a Suri.
-Devo bere anch'io padron AraKhon?- domandò il servitore incredulo.
-Poggia lì dannazione!-

Con i pugni AraKhon fece uno sforzo per tirarsi contro lo schienale del letto e ci riuscì. Sentiva delle piccole punture in tutto il corpo e soprattutto nella gola e nel petto; era come se il sangue ritornasse a circolare dopo tanta immobilità.
Si mise a posto le coperte da solo e parlò:
-Ender siete libero di andare quando volete, ma se restate che non vi salti più il picchio di mettermi il vostro ferro sotto la gola!-
Cercò ancora una posizione migliore ed un piccolo specchio catturò la sua attenzione.
-Dammi uno specchio Suri.- Ordinò un secondo prima che Ender parlasse.
Suri gli porse lo specchiettò ed AraKhon si esaminò il volto. La cicatrice era ancora là e la barba aveva bisogno di una sistemata.
-Allora Ender siete ancora qui?-
Ender sorseggiò tranquillamnete il vino che si era già versato per sè.
-AraKhon...-iniziò ender, ma AraKhon lo interuppe subito.
-Non voglio un ubriaco al mio capezzale!- e dunque Ender per ripicca e sfida bevve ancora -Alla vostra AraKhon!- brindò fino a svuotare il bicchiere.
AraKhon aspettò che quel capitano mercenario si sgolasse il vinello per parlare.
-Ancora qui Ender?-
-Sì. Ho una spalla rotta cretino.-
-Non importa, rendetevi utile, andate a cercare informazioni e non ubriacatevi.-
Ender se ne andò ed AraKhon si guardò ancora nel piccolo pezzo di vetro.
-Per gli dei! Sono ancora vivo!- esclamò incredulo.
-Sì, padron AraKhon, lo siete.- asserì il giovane servo.
-Nessuno vive per nulla!- bisbigliò.
-Belle parole!- disse Suri immergendo una pezza pulita in una bacinella d'acqua in cui gallegiavano alcune foglie.
-E quando si vive molte sono le cose da fare.- continuò AraKhon sbirciando nel profondo la propria faccia nello specchio.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

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Giugno 10, 2007 - 8:42 pm

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Risalire sulla Baghlah con un sorriso fu facile. Sentire sotto il piede quel movimento che dà un imbarcazione solo perché è posata su dell'acqua.
Mi accorsi subito del movimento.
La caviglia mi tenne in equilibrio e poi l'altro piede mi sorresse. Appena percettibile, appena appena.
Eravamo su una barca, noi della famiglia Eshe, noi navigatori estremi di Ostelor, la distante Ostelor.
E fu una discesa di gioia.
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Ghaouti[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Uluk[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Badih
Ci accolsero cantando e ballando e ci dissero di come il principe AraKhon sia famoso in questa terra secca.
E quei giorni fino a Tul-Harar furono per AraKhon di riposo e di rinfranco poichè sapeva che al suo arrivo molte sarebbero state le cose da farsi. Vedere di nuovo Kirdan il cavaliere, incontrare Samanduin, Niasi e suo padre Mobarek e...
Yampe[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

E così guardavo Khalid guarire dalle sue ferite, vedevo la piccola Farah cercare il vino per Ender che godeva della allegra compagnia dei tre marinai. Vedevo Ciryaher suonare tranquillo mentre Tuja preparava qualcosa. Eravamo in un altro mondo e vi navigavamo e tutti ridevamo quando AraKhon quando si bagnava i piedi nel fiume e si rovesciava in testa un secchio d'acqua. Uno per sé ed uno per Ponto che abbaiava e si scuoteva tutto schizzando dapertutto e lei, Mijad, la donna orientale si lamentava nella sua incomprensibile lingua. Ed Arakhon al vederla si bagnava ancor di più per resistere al desiderio che montava ed allora calava di nuovo il secchio e si bagnava e "lavava" diceva, Ponto. E poi lavava Ender che cercava di salvare la brocca di vino dall'acqua e Farah rideva e parlava in una lingua che non si capiva. Così Badih si raccomandava di non riempire troppo la Baghlah altrimenti saremmo affondati e Uluk rideva e parlava in una lingua che non capivo ed allora Ghauti prese un sechhio, lo calò, lo colmò e lo vuotò in testa al vecchio dicendo qualcosa in apisaico, qualcosa come vecchio brontolone. Ed il vecchio lo ammoniva non so in che lingua, minacciandolo con un dito alzato, ed allora Uluk rideva profondo. Ender in adunaico diceva cretino anche a Gauthi oltre che ad Arakhon perchè quello scoscio era finito nel suo bicchiere e sulla sua faccia. Ed anche Khalid sorrideva e forse si immaginava qui il suo padrone mentre vedeva me che scivolavo sulla tolda e dicevo che padron AraKhon ha una nuova amica e gli Eshe una nuova spesa. Ed allora Arakhon riempiva bene il secchio e mi annaffiava arrabbiattissimo e mentre Khalid diceva di smetterla perché le risate gli facevano male alle budella, rimanevano solo le voci lamentose della donna orientale e del vecchio Badih mentre il tramonto scendeva ad Ovest. Eravamo contenti in quei piccoli giorni sul fiume Siresha.
Poi arrivammo in vista del verde della foresta, giungla ed infine dopo qualche altro giorno eravamo lì vicino alle sue mura, la città con il tesoro più grande del mondo.
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Tul Harar

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6
Giugno 29, 2007 - 9:45 am

Nell'anno settantacinquesimo...
...fummo di ritorno a Tul Harar. Incontrammo Yafai Mobarek, il Cavaliere Kirdan e padron AraKhon indossava ora una splendica armatura di pelle sbiancata. Con indosso quell'armatura bianca Padron AraKon appariva come il principe delle nostre terre, poiché solo un principe poteva essere l'uomo a cui tutti si rivolgevano con inchini. Le sue imprese di quel breve anno erano ormai leggenda e molti se ne meravigliavano, chiedendosi quanto coraggio avessero questi valdacli, questi uomini del mare occidentale?
Dovetti tuttavia ricordare a padron AraKhon di incontrare la sua futura moglie Niasi e fu li che mi accorsi che forse non avrei avuto il coraggio di vedere il biondo oro dei capelli di una ragazza che stava nei quartieri Eshe.
Domandai a Chiryare cosa fare e lui mi disse che mi avrebbe scritto qualche parola, forse un canto per aiutarmi. Mi sentivo allora come un giovane per la prima volta alle prese con l'amore, e cos'altro ero se no? Ero un ragazzo con quei suoi primi pensieri dove tutto si offuscava quando pensava ad un amore, all'affetto per l'unico amore. Un amore viscerale ed inaccettabile tanto che decisi di parlare anche con Yampe.
Yampe era sempre intenta a proteggere il suo corpo, a nettarlo, a profumarlo, ad ungerlo di oli. Era una di quelle donne di cui l'uomo non può fare a meno di chiedersi, fino a dove puoi essere suo amante, amico, conoscente. Io ero un suo conoscente in quei momenti, certo, non un amico di qualche sorta.
Allora la incontrai e le parlai di commercio, di commerci in queste terre.
Le dissi che avevo osservato che gli uomini fanno viaggi d'affari e che le loro mogli a casa badano ai loro affari mentre sono via.
Le sue occhiate mi confondevano, le proposi la società. Volevo darle il mio denaro essere alla pari nella questione. Ogni suo movimento era puro stimolo di libido e lei mi disse che non sapeva se sarebbe stata in grado di fare qualcosa di simile. Le suggerii di parlare con qualche suo amico che l'avrebbe sicuramente aiutata e di far presto perché saremmo partiti di nuovo. Mentre mi sottraevo alla sua presenza decisi di dirle il principale motivo della mia visita. I suoi occhi si insinuarono nei miei con ambigua voluttà. Le dissi di una certa donna, restai vago; le dissi, che volevo farmi notare.
Le dissi che non sapevo cosa dire.
Le dissi che non sapevo cosa fare.
Le dissi che la sognavo.
Le dissi che in sogno la baciavo.
Le dissi che mi riempiva il petto gonfiandomelo.
Le dissi di aiutarmi.
Lei mi toccò le spalle.
-Se tu vuoi… io posso mostrarti… come essere dolce con lei.-
Mi passò attorno mentre le sue mani erano scese in un abbraccio sul petto.
Ricordo che le dissi che non ero interessato ai suoi favori.
-Io posso mostrati come fare con lei.-
Il profumo di mandorle veniva dai suoi capelli scuri e scostandomi arrossii. Divenni goffo e farfugliai. Le lasciai così i miei risparmi. Trenta monete d’oro coniate in questa nuova città, Tul Harar. e che presto altri gliene avrei dati se sarebbe stata la mia esemplare consociata d’affari.
Un'ultima, approffondita, occhiata in bilico su qualche ripensamento le diedi... Suri[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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Yampe ... poi uscii e deglutii.
Lei era Yampe. La veramente bell'amante di padron AraKhon.

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Luglio 5, 2007 - 10:14 pm

Si mise le mani nei capelli.
Erano bagnati di sudore.
Si stava accompagnando insieme alla piccola Farah, la quale con loro era arrivata fino a Tartust. La piccola mora non si era mai lamentata delle avversità. Nessuno si lamenta mai qui per le difficoltà. Erano un popolo molto forte.
Il mercato di Tul Harar.
Suri indicava un'oliva e Farah parlava. Suri indicava delle mele e Farah gli diceva qualcosa nella sua lingua. Suri le indicò delle stoffe e Farah gli diceva i diversi tipi, cotone, lana, seta, lino e poi i colori verde, giallo, azzurro, bianco, rosso. Suri le indicò un vestito colorato leggero che lasciava le spalle e le braccia libere e sulla schiena aveva un ampio cappuccio.
Lo immaginò indossato dalla figlia di Tara.
Guardò Farah.
Le aveva comprato degli abiti a Rintark ricordava, ma ora erano solo dei miseri cenci indossati alla meno peggio. La ragazzina di colore accarezzò l’abito leggero ed allora Suri le indicò una ciabatta e lei subito stava al gioco. Stavano imparando l’uno dall’altra.
Suri scoprì che il vino, il grano ed il legname provenivano da Tyarett a Sud. Che a Tul Isra c’erano i migliori Farmacisti e Speziali. Da Tulpoac oltre lo Specchio di Fuoco arrivava l’ambra e che quelle stoffe arrivavano da Tartaust.
Poi videro la bestia.
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Immonda bestia puzzona.
Suri rise forte si chinò verso il muso sdentato, ma non vi andò troppo vicino. Per alcuni mesi era stato cavaliere del cammello anche se gli pareva che spesso quelle bestie facevano quello che volevano. AraKhon aveva speso una fortuna per averne alcuni.
Si ricordò gli strali che arrivano nella notte… Il cammello morto… Il principe AraKhon che imprecava.
Suri ondeggiò avanti ed indietro come se fosse in groppa al quadrupede e Farah fece uguale. Parlarono con il Muskin e nel stentato linguaggio a tre si compresero.
Videro pesci, vasellami di rame ed anfore di terracotta; fichi secchi e chicchi di Kafe del Chennecatt oppure galline, piccioni, uccellini cinguettanti e Gacalac dalle piume sgargianti del Sara Bask.
In quella città era possibile trovare tutto quello che veniva prodotto nell’entro terra e anche da altri luoghi.
Era un porto in cui ogni uomo poteva portare la sua mercanzia. Da ogni dove della terra.
Il servitore vide alcuni prodotti della sua terra, lanterne per la pesca, alcune spade.
Per commerciare erano necessari asini e cammelli per portare le merci da un luogo all’altro; i primi per le zone verdi a sud della città gli altri per quelle zone desertiche dove “navigavano” come navi sulle onde e di nuovo fece quel movimento come un ubriaco sulla tolda d’una nave. Ecco perché il Ender l’aveva chiamata “la nave del deserto”. Farah lo imitò e mise la mano tesa di traverso sulla fronte stendendosi in avanti come a scrutare in lontano orizzonte e le chiese:
ما لك أشعار؟
اضيفت كيباب! gli rispose.
Presesi per mano corsero attraverso la folla fino ad una piastra d’acciaio dove sfrigolavano carne e verdure.
Mangiarono girovagando per il mercato.
Suri si soffermò sulle corde e su delle vele. Un’onda gli si agitò dentro e scivolò via sulla chiglia.
Si ritrovarono sull’altro lato del caravan serraglio.
Osservarono.
Alcuni erano legati solo alle mani con delle corde altri quelli più forti, parve loro, avevano dei cerchi al collo e delle catene alle gambe. Alcuni erano giovani come Farah e meno, altri avevano l’età di Suri ed altri ancora erano uomini maturi. Un muskin stava narrando la storia d’uno d’essi e ne elogiava la cultura e l’amore per le scienze. Un agiato signore con una barba arancione e con con un turbante di seta bianca sul quale spiccava un vetro od un gioiello rosso, gli sollevò il mento e lo guardò negli occhi. Poi prese le mani e gliele girò.
Domandò!
Dei numeri parvero a Suri.
Altri numeri furono la risposta.
L’agiato signore imprecò contro il Muskin sul prezzo com’era usanza; si dissero di essere talmente nobili che tutta la città li avrebbe conosciuti per una tale e generosa offerta e di discendere da antiche ed ancor più nobili famiglie e che nonostante il sangue, le generazioni passate, il loro retaggio era rimasto puro e così a mano a mano che dichiaravano la loro onestà, il prezzo si stabilì sentenziando che per loro era certo stato un onore aver trovato sulla propria strada una così rispettabile persona.
La corda fu tagliata.
Le due gambe anchilosate si stirarono in piedi. Aveva un tronco e due braccia, una testa pelata ed il naso sottile e curvo come quello di un falco. Aveva trent’anni all’incirca.
Disse qualcosa mentre si metteva la mano sul cuore: -Uno può avere pace o uno può avere libertà, ma non immediatamente.-
Poi chinò il capo verso il raffinato, facoltoso, signore barbuto.
-Samar Walli ed Said è il mio nome.-
-Io sono Muhamed! Il mio signore, e padrone, sarà contento d’avere un nuovo maestro d'algebra per il suo ottavo figlio.-
e gli mise una mano sulla spalla.
Un uomo armato al seguito del canuto ben vestito, diede i soldi al muskin.
I due schiavi, conoscitori della matematica e della astronomia si allontanarono conversando amabilmente, da pari, con un seguito di tre guardie.

La mano di Farah si strinse in quella del giovane Suri.
Andarono ancora per il mercato.
Ripassarono dal sarto ciabattino.
Acquistarono quel bel vestito e due bei sandali ornati con dei sassi colorati e con lacci che si intrecciavano sulle caviglie.
Farah ebbe un vestito e calzature nuovi. Il mercante le regalò un bracciale di pietre colorate.
Farah era raggiante.
Suri era contento ed aveva imparato altro sulla cultura di quella terra.[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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... ma quando arrivò a casa Eshe gli scese un velo sulla faccia. Non aveva trovato quello che cercava e passeggiò nel giardino fino a tardi immaginando vesti, gioielli, cavalli, musiche e canti, uccelli in volo, dolci tramonti, brezze mattutine, lusinghe e tante parole. Steso nel letto, poi, la pensò, la sognò.

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Ottobre 5, 2008 - 3:25 pm

Aveva carezzato Sereloth appena sotto la palpebra.
Alcune ore prima Suri aveva dato quella carezza.
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Aveva acceso un fuoco e cucinato per loro, per Khalid e la principessa Lal, per il principe Dhaud e per la piccola Tuja ed infine per i due orientali Zu e Tzu.
Ora era sceso il sole. Nessuno degli abitanti del villaggio aveva il coraggio di avvicinarsi a loro e dunque era stato facile trovare del cibo abbandonato nelle quattro case dei contadini.
Era probabile che alcuni di loro pescassero a causa della vicinanza del lago e Suri trovò i loro attrezzi da pesca. Alcuni ami, delle semplici canne di bambù ed una scatola con delle esche.
Dei vermi.
Vi erano pure delle reti con in alcuni punti legate delle zucche come galleggianti. "Che idea!" pensò Suri. Gli era parsa bizzarra.
Si ricordò quando non viveva altro che di quello. Della pesca. Ad Ostelor.
Ancor prima di essere il servo di AraKhon egli serviva Ar-Venie. Nella sua casa nei giorni freddi dell'inverno, o sulle barche della piccola flotta di pescherecci che avevano gli Eshè.
Gli venne a mente la casa. Inziladum. E quel cane gigantesco Ponto.
Quando AraKhon era stato riscattato dai pirati assieme ad Artagora ed a Chyriarer, Ponto era stato il primo ad accorgersi dell'arrivo del padrone, ancor prima del suo ingresso nella villa.
Aveva aperto gli occhi ed aveva iniziato a ringhiare. Suri aveva provato a calmarlo, ma questi aveva iniziato ad abbaiare forte ed a tirare con forza la catena di ferro. Quando infine arrivò AraKhon, AraKhon stesso lo sciolse e Ponto iniziò a rotolarsi ed a mugugnare per farsi accarezzare e grattare e se AraKhon smetteva il mastino iniziava ad abbaiare forte forte fino a quando AraKhon, infine, si stufò di quel gioco e gli urlò di stare zitto e a cuccia.
Ponto aveva ubbidito acquattandosi a terra e passandosi la lingua sul naso ed AraKhon gli aveva dato un’ultima carezza sul dorso nero e sorridendo era andato dalla sorella con i due nuovi arrivati.
Ponto ubbidiva anche a Suri. Suri lo aveva lavato, lo aveva portato a passeggio, lo aveva accudito, ma quando AraKhon faceva un gesto al mastino, Ponto non esitava, non si faceva pregare, Ponto era un cane fedele.
Fedele ad AraKhon.
Suri aveva trattato Sereloth come se fosse un animale domestico e si rendeva conto che non era affatto così. Quelle creature mitologiche delle vecchie storie che Arto gli raccontava erano delle bestie ferocissime e portavano morte e distruzione. Non poteva trattali con carezze sulla fronte e grattatine sul posteriore.
I Draghi facevano paura, i paesani erano fuggiti terrorizzati.
Tuttavia Suri con Sereloth aveva cercato di essere sincero e di dare loro le attenzioni che un cavaliere da al suo cavallo. Aveva chiesto qualcosa su di loro, s'era preoccupato se avessero bisogno di mangiare. Aveva persino, scioccamente, cercato di guarire una delle ferite di Seroloth con un piccolo incantesimo senza sapere che le loro carni erano in grado di guarire da sole in pochissimo tempo.
Erano creature magiche.
Non erano dei cani obbedienti, ma avevano dimostrato d'avere una grazia ed una delicatezza in certi momenti che il deceduto Ponto proprio non possedeva.
Magiche e pericolose.
Avevano cercato di ribellarsi, di portarli in contrasto, di bruciarli, erano intelligenti ed avevano parlato di alcuni patti.
Suri aveva raccomandato a Sereloth di stare attento, di non rischiare se proprio non doveva e di proteggere Padron AraKhon e la Regina Quing-Wen ad ogni costo.

Era buio.
AraKhon e Quing-Wen erano volati verso sud a cavalccioni di uno stupendo e terribile Drago Rosso. Il cielo era avvampato di fuoco e poi erano scomparsi oltre l'orizzonte.
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Suri trovò Nailò nell'oscurità vicino al lago.

Era sdraiato per terra e lo si sarebbe scambiato per una serie di pietre sulla spiaggia di ciottoli se non fosse stato per il suo occhi rosso. Sempre aperto, sempre vigile.
Nel cielo erano salite le stelle. Suri le osservò bene e la Luna era crescente.
I raggi della volta celeste gli fecero vedere il sangue nero rappreso sopra il sopraciglio del Drago.
Nailò aveva appena ruotato l'iride rossa verso Suri, ma poi tornò a guardare il lago, placido come uno specchio con i riflessi delle stelle più basse oltre le montagne ad Ovest.

Laggiù, sul fondo dormiva per sempre "Fogli Cadente Lassen" il Drago Verde.
Suri si sedette accanto al silenzioso Drago Nero, poggiò la schiena sul collo massiccio della bestia, gli diede due buffetti che ogni probabilità la creatura d'acciaio nemmeno sentì.
"Ho paura per Padron AraKhon e Quing-Wen come tu ne hai per Sereloth! Se potessi fare qualcosa per loro li aiuterei." disse alla creatura alata.

Suri guardò il lago finché non si addormentò pensando che forse Khalid "Lo Scuro", il campione del nuovo re, sarebbe potuto partire all'alba verso Ra-Morij a cavallo del Drago Nero assieme a Zu "Volpe di Seta".

Quando poi la stanchezza lo soprafece definitivamente, Suri sognò di volare in un giorno d'estate sopra il deserto, sopra il mare, sopra le giungle, sopra i fiumi, sopra le città, sopra le nubi.

In un giorno di pace.

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Nel rispetto dei patti. Lassen. Foglia Cadente. Il Drago Verde.

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Ottobre 21, 2008 - 6:26 pm

Erano rimasti vivi.
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Suri assieme a Tuja, il Principe Daoud e "Volpe di Seta" e l'accigliato Tzu erano scesi con due barche lungo il fiume.
L'aquila di Tzu volava con calma nel vento.
Suri non faceva altro che pensare ad Arakhon, a Quing-Wen ed al Fiore Rosso: il drago Sereloth.
Pensava a loro che volavano verso sud, verso Ra-Morij, verso l'esercito di Ieasu, verso il capitano dei Mumakani Umar Dwalat, verso Yasemi, verso Jaichim e verso un unico amico rimasto ancora laggiù Ciryaher.
Immaginava il drago arrivare sulla città e volarvi sopra e tutti lo vedevano.
Tutti dapprima sarebbero rimasti basiti, poiché poteva essere un uccello o magari una grande aquila.
Poi il drago virava e tornava indietro e sbuffava il suo fuoco con noia e rabbia, ed allora sì, tutti si sarebbero capacitati di quella possibilità; che fosse un drago, come dicevano le profezie e tutti avrebbero sperato che a cavalcarlo fosse stato uno dei principi del drago. Tutti la nutrivano quella speranza giacché un drago senza cavaliere sarebbe stato sicuramente la loro sciagura. La loro fine.
Doveva esserci un cavaliere, magari quello straniero giunto dall'ovest, quello con quella orribile cicatrice sulla faccia, non importava purché ci fosse… un cavaliere.
La gente avrebbe iniziato a cercare riparo quando avrebbe notato il dragone fare dei cerchi più piccoli nel cielo ed infine calarsi fulmineo verso il palazzo reale.
A quel punto, la fantasia di Suri si fermava; sperava solo che fossero arrivati in tempo e che Cyriaher e re Naerus fossero ancora vivi.
Sopra a tutto sperava che non succedesse nulla a Quing-Wen, addirittura più che ad AraKhon; AraKhon sapeva difendersi, lui ce l'avrebbe fatta.

Avevano deciso di lasciare la Principessa Lal e Khalid al villaggio sul lago assieme al dragone nero Nailò. Entro qualche giorno Nailò sarebbe guarito e dunque li avrebbero raggiunti in volo.
Che meravigliosa sensazione era il volare.
Come un uccello sopra le pianure, i fiumi, le colline e le montagne.
Quella sensazione riempiva Suri forse ancor più di quella che aveva quando saliva verso la prua della Daracil e sentiva le onde tagliarsi sullo scafo e con l’occhio del lupo di mare scrutava inebriato la linea uguale dell’orizzonte aperto sul mare.

Al delta del fiume si scontrarono contro con un gruppo di sbandati dell’esercito di Chya. Tzu fu quello che riportò ferite più gravi, ma appresero così che la battaglia era stata vinta.
Vinta dalla nuova regina e da un principe straniero suo alleato, quando piombarono dal cielo montando un possente drago sputa fuoco.
Quing-Wen era stata ferita leggermente.

“…E fu così che per la prima volta il Capitano di Ostelor, AraKhon Eshe, ricevette gli omaggi di un vincitore. Sì! Il mio buon padrone, quello che avevo servito in tutti questi anni, bestemmiatore; quello che a spalla avevo portato fuori dalle peggiori bische del porto di Ostelor, ubriacone; quello li che non resisteva al denudarsi di una bella donna, fornicatore; quello che non sopportava d’avere schiavi, idealista; quello che rispettava i nemici sconfitti, leale; quello che malediceva di tanto in tanto il proprio sangue, irriverente; quello che non sopportava i propri obblighi verso la famiglia, sfrontato; oppure i doveri verso la sua città, irriguardoso; viceversa verso gli alleati, verso addirittura il mondo intero, impertinente; quel mio “Padrone” era oggi un uomo stimabile e degno.
Degno della corona che portava, della spada che brandiva, della cavalcatura che montava.
Stimabile per le parole che diceva, per i giuramenti che faceva, per i gravami che si prendeva.
Quel giorno fui fiero di essere il suo capitano.

Lo vidi quel giorno posare la corona sul capo della regina Wei ed il popolo di Ra-Morij festeggiò per dieci giorni un nuovo inizio.
L’era della Regina straniera Wei.
La minuta Quing-Wen-Fen.
Nuova Sovrana di Morija.
Signora dei Principi dei Draghi.
Ultima Shen-Jin del Sapere Segreto.

In un giorno, finalmente, tutti seppero che eravamo gli Eroi delle Profezie!

Eravamo tutti vivi.
Eravamo tutti vivi, ma al limitare tra noi, al guardare bene, tra noi mancava, quel naso a punta, quel mantello alle spalle del quale stava sempre appeso un mandolino. Ne mancava la musica, il sorriso spensierato di chi aveva cercato la felicità e non l'aveva mai trovata.
In quei giorni che seguirono ci accorgemmo che il menestrello di nome Cyriaher non era in mezzo a noi e perdemmo sempre più le speranze di rivederlo. Era svanito ed anche quei giorni, e tutto poi, sarebbe stato più amaro."

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Ciryaher, il medico menestrello de "Il Lungo Viaggio"
Anno 75
Dalle cronache di Suri
"The Longest Journey"
Ra-Morij
Il giorno degli eroi.

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Ottobre 23, 2008 - 3:03 pm

Nel 75esimo anno della quarta era...
Nei resoconti del Capitano Suri di Ostelor si narra...

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"...Al sorgere del mattino del primo giorno di novembre, la flotta di Ra-Morij ruppe il blocco navale dei pirati Mumakani. Molti furono i prigionieri e molte le perdite nonostante gli aiuti dall'alto del drago.
Ricordo che per tre giorni ci furono i preparativi e le discussioni per partire. L'ultima lettera che ci avevano recapitato da parte di Ciryaher, aveva parlato della declinazione del sole durante il solstizio d'inverno per poter individuare il terzo punto del triangolo con vertice la luce misteriosa.

Infine partimmo il quarto giorno del nuovo mese.

Salutai la regina Wei, AraKhon, Tuja e Khalid; diedi una carezza a Nailò, e due buffetti a Sereloth, ripromettendomi di gettar via al più presto l'anello del drago che portavo appeso al collo.
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El Mu'had m'aveva chiesto una cosa importante a chiusura della sua ambasceria e della sua intercessione con i parlatori di Tul Harar a favore della famiglia Eshe e dunque con grande rammarico chiesi alla Regina Wei sette navi della flotta.
Le navi di Ra-Morij sono legni veloci e possenti e portano più 200 uomini, le feci caricare di rifornimenti e soldati e dovetti scrivere tutto un proclama firmato in anticipo dalla regina nel quale includevo su ogni nave dieci dei prigionieri mumakani con mansioni di marinaio. Precisavo che tali navi sarebbero servite per i rifornimenti e per la difesa di Tul-Harar e che erano a disposizione di Ar-Arkhon per onorare la sua riconoscenza per lo sceicco Zayed di Tul-Harar. Nel proclama si riconosceva il grande lavoro svolto dall'ambasciatore Mu'Had il quale aveva messo solide basi su una probabile e forte collaborazione con il nuovo regno di Morija e le terre del fiume Siresha e che egli stesso si sarebbe occupato delle sette navi con una rotazione di due al di fuori del porto, due per approvvigionamenti ed una a riposo in porto.
Avevo fatto dono della spada e dello scudo che Barack aveva oltrepassato uccidendo il capitano Umar Khel quando assaltammo la nave pirata che ci aveva attaccato.
Barack era morto per difendere Mu'had.
Io, Suri, gli avevo ordinato di difendere El Mu'had a costo della vita e così era stato. Ora quelle armi era giusto che ricordassero, in ogni istante di pericolo, a Saib Mu'had che tutte le forze degli Eshe sarebbero state tra lui ed i suoi nemici fino al sacrificio estremo e che, come ci chiama lui, gli improbabili eroi, avevano un'unica parola.
Non avevo però, pensato che nella tradizione dei popoli del deserto ogni regalo viene ricambiato con uno di altrettanto valore o addirittura più prezioso.
El Mu-had mi diede una strana pelle dicendomi che era quella di un vampiro e che ne avrei potuto fare un mantello dalla capacità illusoria come quella di un camaleonte e mi indicò da chi recarmi a Tul-Harar per commissionare il lavoro tutto a sue spese.
Stavo imparando molto da quest'uomo che alla richiesta di alleanza da parte di Umar Dwalat aveva, dopo grandi preamboli risposto che avrebbe bevuto dal suo teschio e che sarebbe stata sua grandissima premura trovare un mastro cesellatore per creare un degno sostegno alla sua "coppa".

La mole di lavoro per i preparativi di quella partenza mi spinse a rinviare la stesura dei vari messaggi che Padron AraKhon mi disse di spedire e mi concentrai molto sui preparativi della Daracil, delle sette navi e della nave del principe Dauod El Raschid. E dunque allesti quelle nove navi al meglio delle mie capacità. Quando salimmo sulla Daracil, sia El Mu'had ci accorgemmo che l'equipaggio della Daracil era oramai formato da orientali di Morija, quattro rematori e tre marinai di Ostelor e rimanevano solo una dozzina di uomini di Tul-Harar. Nibar l'attendente muto del Falco lo nominai immediatamente nostromo.

Ender di Ostelor.
Lo vidi laggiù poggiato alla paratia a guardare lo sbocco del porto verso il mare.
Era salito sulla Daracil nella notte e non si era mosso dalla coperta; aveva aspettato l'alba fredda di novembre ed aveva atteso che il sole dell'ovest gli baciasse il volto pallido.
Era avvolto in un mantello grigio scuro e la sua barba era incolta, trascurata, mi sorrise e mi strinse il polso. Vidi il suo lungo ferro penzolargli al fianco, battere e strisciare il legno della tolda. Doveva essere stato ferito al castello di Ieasu quando aveva cercato di liberare da solo Ciryaher.
Da solo contro un esercito.
Sembrava abbattuto e stanco di combattere e per tutto il viaggio si dimostrò schivo e di una falsa allegria a mal nascondere pensieri profondi.
Immaginai che forse si era spezzato qualcosa nel suo animo.
Non mi era mai stato molto simpatico per via della sua arroganza, del suo alito vinoso, per via del suo padrone, per via del suo gusto diabolico nelle lotte contro i nostri avversari, per via della sua maleducazione nei confronti del padrone AraKhon, ma quante volte ci aveva salvato quel suo insopportabile lunghissimo spadone.
Gli misi una mano sulla spalla e gli proposi di diventare per questo viaggio verso Tul-Harar il tramite tra noi e l'equipaggio del popolo di Ra-Morij.
Continuò a sorridere, non puzzava nemmeno di vino, e non disse né sì né no.
Sorrise inquietante più che mai.

Nei giorni di navigazione che seguirono stabilii che avremmo viaggiato come una punta di freccia con al vertice la Daracil e la nave del principe Daoud alla sua destra. In caso di nebbia avremmo legato le navi l'una all'altra ed in caso di tempesta avremmo navigato verso la costa in qualche cala abbastanza ampia com'era indicato sulle mappe che il Falco m'aveva consegnato.
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El Rashid, il principe Daoud, che era di un colore come l'ebano ancor più scuro del principe Khalid, scoprì che gli orientali avevano un sistema di comunicazione con le bandiere molto più efficace di quello che conoscevamo e dunque lo adottammo subito e cercammo di imparalo in fretta.

Poi scendevo nella cabina quando l'acqua che scrosciava sullo scafo era tranquilla e prendevo la penna d'oca e scrivevo...
Scrivevo per ore ed ore. Iniziai con fare una lista delle persone a cui avrei dovuto scrivere. Erano moltissime.
Trascuravo un po' i miei appunti di viaggio ed esaminavo le nuove mappe in cui ero arrivato in possesso dopo l'attacco alla flotta mumacana. Ora avevo anche le mappe delle isole dei domini valdacli dell'ovest e sapevo dove erano i porti sicuri dei pirati. Interrogando i prigionieri che avevamo fatto vincendo la battaglia navale avevamo scoperto che Umar Dwalat era fuggito con cinque navi e che gli esterling, gli stranieri che El Mu'had aveva visto, erano venuti a cercarlo nelle sue isole.
Pensai che solo una grande forza può muovere le navi di cinquanta pirati per bloccare addirittura il porto capitale di un regno, così lontano come Morija. La cosa, per l'ennesima volta si delineava scura e difficile da capire. Sapevamo inoltre che Zayed era in procinto di combattere una guerra lungo il fiume Siresha, mentre sotto le Montagne Gialle si preparava un esercito di sudroni ed orchi e chissà che altro. Se l'Harad non sarebbe stato unito, ma si sarebbe scontrato in una guerra interna, alla primavera dell'anno successivo era molto probabile che dalle montagne sarebbero calati molti orchi, ma questa volta non sarebbero state soltanto scorrerie.
Decisi perciò di scrivere una lettera a Cuskun Ertan, giovane capitano di Tartaust.

Scrissi molto la prima settimana.
Ogni volta che scrivevo una lettera prendevo fiato e mi chiesi cos'ero diventato oggi.
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Il guerriero Tzu era con noi, la sua aquila, colei che osserva, ogni giorno si levava nel cielo.
Mi aveva chiesto con disprezzo chi io fossi, nella convinzione che fossimo degli agiati e non seppi il perché, avevo nascosto che ero solo un pescatore di merluzzi delle acque fredde di Same.
Se non fosse stato per Tuja ad incalzarmi sulle mie origini, l’avrei trattato come un miserabile. Era la seconda volta che accadeva un fatto del genere.
Nascondere chi sono.
Non ho il sangue degli Eshe, né sono un uomo ricco, né uno pieno di gloria.
Fu un bene. Dire le verità in quel momento fu la cosa più giusta.
Risposi a Tzu con cortesia e gli parlai della fiducia.
La fiducia che dava a noi, “Suoi Salvatori” ci chiamava, ed al contempo mi aveva augurato e minacciato la morte in tre diverse occasioni, sia a me che a Tuja. Dimenticava gli anni in cui era cresciuto ed aveva maturato l’idea della via della spada ed a difensore di un villaggio, a come si era indurito e non lasciava più entrare nemmeno uno spiraglio di luce nei suoi grigi giorni e nel suo nero cuore.
Gli disse che un giorno, quando gli mancherà la fiducia, sarà morto dentro e che i suoi giorni trascorsi come guardiano non erano da buttare via. La semplicità di quel compito, e di quella gente erano la vita. Un vita regalata giorno dopo giorno dal suo “Salvatore”, il guardiano con la spada.
Mi disse che avrebbe pensato a quelle mie parole e dunque tacque e sprofondò nel silenzio mentre Tuja gli spingeva sulla faccia la coscia di un capretto che aveva cucinato intimandogli di mangiare.
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Riconsiderando chi ero e ripensando a questo lungo viaggio, giorno per giorno, ricordo quando con entusiasmo, portai un libro ad Artagora quando era stato imprigionato ad Ostelor assieme ad AraKhon.
Come ero felice di salire sull'ammiraglia degli Eshe e di fare rotta verso Ovest, e quanta baldanza avevo sul ponte quando le due navi mumacane avevano cercato di attaccarci ed ero rimasto ferito da una freccia alla gamba e quel malinconico cerusico di nome Ciryaher aveva curato la mia ferita nell'orgoglio.
Ricordai come all'arrivo della tempesta in prossimità del passaggio ad Ovest il capitano Jano Tulmir, cercò riparo in una radura dove ci incagliammo nella sabbia ed io con occhi da lupo di mare guardavo quelle nubi e quei fulmini nel cielo.
Come dunque imparai l'arte del calcolo, delle stelle, e delle rotte.
E poi a Tul Harar iniziai invece a far altri conti, a contrattare, ad amministrare un tesoro, a come padron AraKhon mi diede dieci monete d'oro per premio e poi in periodo di magra me le richiese indietro, a come pensai di contrattare per camelli e come vendetti lance e spade dei predoni che ci assalirono.
E poi infine verso ovest, dove dovetti imparare etichette ed arti diplomatiche da Quingwen e da El Mu’had ed a parlare ed a scrivere nel nome ed a nome del mio signore AraKhon.

El Mu'had aveva detto bene.
Affinchè si svolga la trama degli eroi vi è bisogno degli uomini come noi che ne sono l'ordito.

Pensai ancora ad una cosa che avevo nel cuore...
... e poi scrissi ancora mentre le onde divennero traverse sulla rotta e crebbero nella seconda settimana di navigazione.

Dal diario di viaggio della Daracil.
Da Ra-Morij verso Tul-harar.
Il Capitano del Sole Nascente, Suri.
"

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