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Informazioni: il valore del cammello (e di tante altre cose)
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Luglio 1, 2007 - 4:48 pm

Il nostro Suri, ormai avviato, avendo messo a frutto le lezioni di Min Curloer e i consigli di Samaduin, verso la carriera di buon amministratore dei beni della famiglia Eshe a Oriente, ci chiede:

Qual'è, a Tul Harar nel Grande Harad, l'effettivo costo di un cammello, di un cavallo, di un asino?

Non è facile rispondere; molte cose nella Terra di Mezzo non hanno un valore definibile in monete, in oro o in argento. E anche quando questo valore sia definibile, tantissime altre valgono molto in una contrada, molto poco in un altra. Moltissimo è lasciato all'arbitrio dei re, dei signorotti e dei proprietari terrieri, non esistendo, con pochissime eccezioni, un'economia di mercato. Spessissimo, quindi, alla domanda del giocatore: "Quanto mi costa il cammello?", il Narratore da' una valutazione arbitraria del valore di un bene nel mondo del "Signore degli Anelli", affidandosi alla situazione e al tiro di dado.

Come mai? Iniziamo riportando interamente un articolo di Andrea Parisse sulla nascita della moneta ...

Prima di capire cosa ha spinto l'introduzione del metallo-moneta è interessante riportare la famosa storia delle "oche del campidoglio" da cui si può far risalire l'etimo del nome "moneta". Nel 396 a.C. Roma si trovava sotto l'assedio dei Galli di Brenno; sulla cittadella del Campidoglio vi era il tempio dedicato a Giunone dove venivano allevate delle oche sacre alla dea. Una notte, al sopraggiungere dei Galli, le oche presero a starnazzare e svegliarono l'ex-console Manlio che dette l'allarme. L'attacco fu quindi sventato grazie alle oche sacre. Da quel momento la dea Giunone acquisì l'appellativo di Moneta, dal verbo monere che sta per avvertire, ammonire, in quanto si credeva che avesse destato le oche per avvertire dell'arrivo dei Galli.
Successivamente, nel 269 a.C., in prossimità del tempio venne edificata la zecca messa proprio sotto la protezione della Dea Moneta. A quel punto fu il linguaggio popolare a trasmettere l'appellativo della Dea dapprima alla zecca e poi a ciò che lì veniva prodotto. Il nomisma dei greci ed il nummus dei latini divenne quindi moneta.

Il metallo-moneta assunse importanza solo con il crescere del commercio esterno verso altri villaggi o regni, per tale motivo i primi popoli che se ne servirono furono quelli conquistatori, che iniziarono ad affiancare la merce-moneta al metallo-moneta.
Già 2100 anni prima di Cristo, i Babilonesi utilizzavano un sistema misto orzo - monete d'oro / d'argento, il cui rapporto fisso era disciplinato dal codice di Hammurabi (re di Babilonia della prima dinastia).
Nella civiltà Egea (II millennio a.C.) venivano usate monete di rame pur essendo il bue l'unità di misura principale. Documenti Persiani del 500 a.C. testimoniano di imposte pagate sia in cavalli, cereali, schiavi sia in monete d'argento. Gli antichi Etruschi utilizzavano pezzi grezzi di rame e nell'antico stato Ebraico il bestiame, l'oro e l'argento.
A Roma l'economia fu all'inizio prettamente agricola ma già nel 430 a.C. comparve la prima forma mista: le multe si pagavano in moneta metallica. In Gallia e Germania bestiame, barre di metallo e anelli. E ancora, nel Medio Evo, in Inghilterra, si usavano anelli, monete e bestiame.

Quali vantaggi presenta dunque il metallo per spiegare la sua introduzione ed il persistere del suo utilizzo fino ai nostri giorni?
Il metallo è sicuramente:
- conservabile: i metalli nobili tra l'altro non deperiscono nel tempo;
- divisibile e riunibile nelle quantità necessarie al caso;
- trasportabile: grande valore in poco volume. I Fenici che esportavano merci utilizzando navi come potevano accettare dai Greci come pagamento mandrie di bestiame?
- nascondibile: provate a nascondere una mandria di buoi!
- stabile nel valore: una coperta assume valore diverso a seconda del popolo, un bue può valere cinque pecore in Inghilterra e un cammello in Egitto senza contare il fatto che col tempo invecchia e muore;
- riconoscibile: un popolo che sceglie conchiglie per moneta può trovare difficile usarle ove la moneta sono le pelli;
- valore intrinseco: ciò che ha valore per un popolo può non averne per un altro. A che serve un utensile da pesca per un popolo dedito alla pastorizia in alta montagna?

Una via commerciale importante esisteva tra il cuore dell'Asia, le valli del Danubio e le regioni del nord Adriatico; altre vie univano il nord Italia alla Gallia, fino alla Spagna e da qui tramite le navi fino al mar Baltico. Ciò poteva essere visto come un unico grande mercato di estensione enorme: la necessità di unificare il valore di scambio era palese.

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Luglio 1, 2007 - 5:03 pm

Ma torniamo a Suri, e al costo del suo cammello...

Abbiamo parlato di pochissime eccezioni, e di contrade, nella Terra di Mezzo, nelle quali un sistema, un'economia, effettivamente esistono (per quanto non certo rispondenti alle regole moderne); in queste contrade la necessità di unificare, in qualche modo, il valore di scambio si è presentata già nella Seconda Era, all'epoca dei Grandi Re.

Il Grande Harad e i Domini dei Valdacli sono due di queste contrade (così come, a nord, Umbar, Gondor e l'Arthedain). Tul Harar, principale porto del Golfo di Ormal e crocevia dei commerci fra l'Ovest e l'Est, ha, a poco a poco, imposto il suo meccanismo di scambio e la sua moneta al resto delle città del Chenna e del Siresha, nonché, sul finire della Terza Era, il concetto di lettera di credito scambiabile in argento. Le lettere di credito del Grande Harad non sono negoziabili al di fuori dei suoi confini, ma il peso d'argento di Tul Harar è riconosciuto nei Domini Valdacli, nell'anno 75 a un tredicesimo della moneta di Ostelor (fortemente indebolita dall'inizio della guerra con Gondor), e le due terre continuano a mantenere rapporti di commercio molto stretti. Samaduin, avvertito della guerra da Ar-Venie, ha convertito in argento di Tul Harar la moneta di Ostelor prima della battaglia di Maldor, mantenendo quindi salvo, a Oriente, il valore del tesoro della famiglia Eshe.

E' sulla moneta d'argento di Tul Harar, quindi, che Suri deve basare il valore del suo cammello.
Le tabelle del regolamento di MERP, Seconda Edizione, ci danno il costo di un mezzo di trasporto all'Ovest e fino a Umbar; a Umbar, Suri dovrebbe pagare l'equivalente di:

    - 3 monete d'oro per un asino
    - 8 monete d'oro per un cavallo da viaggio
    - 12 monete d'oro per un cammello
    - 20 monete d'oro per un cavallo da guerra

a Tul Harar, un cammello è molto più prezioso, e quindi:

    - 32 monete d'argento per un asino
    - 45 monete d'argento per un cavallo da viaggio
    - 80 monete d'argento per un cavallo che possa viaggiare nel deserto
    - 35 monete d'oro per un cammello

Veniamo poi al valore di uno schiavo.

Nel Grande Harad, il commercio degli schiavi, avversato dagli Amazigh dei deserti, è una delle principali fonti di ricchezza del ceto dominante. La società delle città della parte orientale del Grande Harad, dalla "Terra fra i due Fiumi" sino alle foreste verso Morija, si basa (con differenze più o meno sottili nelle varie città) su una suddivisione in tre ceti rappresentati dagli uomini liberi di alto rango (i "parlatori", come Yafai Mobarek), gli schiavi (come Farah), e i Mushkin, mercanti o persone libere ma di basso rango, le quali legalmente si trovano in una posizione intermedia tra "parlatori" e schiavi. Gli stranieri non fanno parte della società, ma sono da essa stessa tollerati a seconda dei vantaggi portati. Molti schiavi sono prigionieri di guerra, la maggior parte provengono dalle razzie dei pirati, ma alcuni vengono reclutati tra la popolazione stessa del Grande Harad. I cittadini liberi possono essere ridotti in schiavitù come punizione per particolari reati; inoltre vige la consuetudine che i genitori, spinti dalla necessità, vendano i figli come schiavi, o ancora che un’intera famiglia sia ceduta al creditore in pagamento del debito per una durata massima di tre anni.

Gli schiavi sono proprietà del loro signore come un qualsiasi altro bene: possono venire marchiati, frustati e severamente puniti nel caso tentino di fuggire. Poiché è comunque vantaggioso per il padrone che gli schiavi siano forti e sani, essi vengono in genere trattati senza inutili crudeltà e godono di alcuni diritti, potendo svolgere affari, prestare denaro e riscattare la propria libertà. Se uno schiavo si unisce in matrimonio con una persona libera, i figli che nascono da questa unione sono persone libere.

Il prezzo di vendita di uno schiavo varia a seconda del mercato e delle caratteristiche dell’individuo in vendita; il costo medio di un uomo adulto si aggira, a Tul Harar, intorno alle 20 monete d’argento.

Ma quanto costa la terra, a Tul Harar?

Suri vorrebbe acquistare diversi acri di terra, con un pozzo o un rivo. Beni molto preziosi, l'acqua e la terra fertile, nel Grande Harad; ma sulle coste del Golfo di Ormal è possibile possederne, c'è acqua in abbondanza, e tutt'attorno alla foce del Siresha, fino a molte leghe di distanza da Tul Harar, in particolare verso il meridione, la terra è estremamente fertile. Ancora una volta, però, non è facile rispondere; la terra, a Tul Harar, non è in vendita al mercato. Tutta la terra è di proprietà dei "parlatori", ovvero del ceto dominante; una legge in vigore dalla fine della Terza Era stabilisce i criteri di suddivisione delle terre conquistate fra i conquistatori, ma le terre di Tul Harar sono già da tempo immemorabile di proprietà delle famiglie, che non hanno alcun interesse a venderle. Il contadino è alla base della piramide, e non ha praticamente nessun diritto sulle terre che coltiva, con pochissime eccezioni (alcune porzioni di terra fertile furono distribuite fra i soldati in occasione di vittorie molto importanti, e questi soldati ne sono gli effettivi proprietari). Non essendoci mercato di terra, non c'è quindi un prezzo. Per ottenere la sua terra, quindi, Suri dovrebbe rivolgersi a Mobarek, o a qualcun altro dei nobili, ottenendola in dono.

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