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Il Gioco di Ruolo in Giappone.
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Agosto 14, 2007 - 1:57 pm

Pubblico questo interessantissimo articolo, tratto dal sito kaosonline.it, che descrive una sessione di gioco di ruolo nel Paese del Sol Levante.. per quante differenze ci siano (di mercato soprattutto), tantissime similitudini ci riportano alle nostre sessioni "italiche".

"GDR JAP
di Emanuele Granatello.

Scopriamo di più su come vivono i giochi di ruolo in Giappone.
Da più un anno vivo nel Paese del Sol Levante; un’esperienza sicuramente unica, che pochi privilegiati possono dire di aver fatto. Soprattutto un’esperienza che mi ha insegnato a non credere a tutti i luoghi comuni (nel bene e nel male) che aleggiano attorno a questo paese sfuggente, e che mi ha portato a scoprire alcune cose non molto conosciute sul, diciamocelo, bizzarro popolo (ovviamente da una prospettiva occidentale) che lo abita. Essendo un grande appassionato del cosiddetto intrattenimento intelligente sono riuscito, dopo lungo peregrinare, ad assistere ad una sessione di gioco di ruolo arbitrata e giocata da giapponesi. Il mio interesse sulla pratica del gdr da parte degli stranieri e’ dovuto, oltre alla passione per l’hobby in sé, anche per motivi che potrei definire antropologico-culturali; infatti il gioco di ruolo (in giapponese teburu roru purei – table roleplay) si basa soprattutto sulla comunicazione orale. Visto che la lingua che parliamo influenza profondamente il nostro modo di pensare, e quindi di agire, mi sono chiesto in che modo un giapponese, la cui cultura e lingua sono estremamente diverse da quelle occidentali, partecipasse ad una sessione di gdr.
Ma andiamo con ordine.
Prima di tutto devo dire che per quel che riguarda la quantità di titoli di gdr, il Giappone è un paese fortunato. Contrariamente all’Italia, in cui il mercato è da sempre asfittico e limitato, quello giapponese è molto più florido, nonostante l’agguerrita concorrenza di altri tipi di intrattenimento (su tutti il videogioco); è una mia supposizione, ma credo che ciò sia dovuto anche alla popolazione dell'arcipelago, circa il doppio di quella italiana, su una superficie di poco superiore a quella della nostra penisola. Sugli scaffali delle librerie generaliste – librerie, non solo negozi specializzati e covi di “otaku” – fanno bella mostra di sé vari volumi dedicati al gioco di narrazione. Anche qui, ovviamente, la parte del leone la fanno Dungeons&Dragons e il D20, ma di facile reperibilità sono anche, a puro titolo di esempio, la 4a edizione di Shadowrun, il recente Stormbringer, Gurps (il cui supplemento giapponese dedicato alle arti marziali ha una delle copertine più ridicole che abbia mai visto) e l'ultima edizione di Call of Cthulhu. A proposito di quest'ultimo titolo, ho trovato di estremo interesse un supplemento “made in Japan” dedicato all'epoca dei samurai rivisitata in chiave cthulhoide, un vero must per appassionati. Sul piano invece delle produzioni indigene invece mi dicono che tra i titoli più in voga ci sono Daburu Kurossu (Double Cross), un gdr di stampo fantascientifico-soprannaturale, e Sodo Warudo (Sword World) un fantasy medievaleggiante che ricorda moltissimo nella grafica (ma anche nei contenuti) il fumetto Record of the Lodoss War e i videogiochi giapponesi “adventure” che da anni spopolano anche in Occidente. Per le riviste abbiamo la popolare Rule&Roll, che tratta soprattutto i titoli e lo stile di gioco più in voga (lo hack&slash, genere sempre molto criticato ma che rimane frequentatissimo).
Sempre parlando di pubblicazioni, esiste invece un tipo di prodotto che non ho visto in altri paesi. Vengono chiamati RPG ripurei – RPG Replay e si tratta praticamente di libri tascabili (300 pagine circa) che descrivono in dettaglio una sessione di gioco di ruolo, quasi come se si trattasse di un copione, inframmezzati da qualche illustrazione. Molti dei lettori avranno provato a scrivere le cronache delle proprie gesta attorno al tavolo, su internet si trovano migliaia di pagine di questo tipo, ma credo che pochi hanno mai pensato di stamparle per il mercato librario.
Per quanto riguarda il gioco organizzato invece, almeno qui a Nagoya la situazione è abbastanza deprimente, almeno per ciò che sono riuscito a vedere finora. A fronte di una popolazione di milioni di abitanti ci sono pochi gruppi di gioco, che si incontrano una o due volte al mese. Il gruppo che ho iniziato a frequentare è misto, stranieri e giapponesi, e si riunisce una volta al mese all’ultimo piano di un negozio di videogiochi e giocattoli (Joshin Kidsland) per giocare per lo più a giochi da tavolo e miniature (notevole anche la presenza di Wings of War miniature comunque). Da quello che ho capito, almeno nella prefettura di Aichi (che ha Nagoya come capoluogo) i giocatori si incontrano per lo più privatamente in casa. E’ anche molto forte il fenomeno de “lo compro ma non ci gioco”; d’altra parte il Giappone è la patria dei collezionisti.
Proprio in una di queste riunioni, tra una partita di Warhammer e una di Dungeonbowl, sono riuscito a convincere un gruppo di giocatori di ruolo a farmi assistere ad una loro sessione. Ciò che mi ha impressionato prima di tutto è il luogo dove ci siamo riuniti: un centro della municipalità di Kariya (località nei pressi di Nagoya) dove i cittadini possono riunirsi liberamente pagando una piccola quota. Per me, proveniente dal Sud Italia ed abituato al massimo agli oratori o a stanze comunali sporche e ammuffite, entrare in questo luogo (ripeto, PUBBLICO) molto spazioso, pulitissimo, dotato di aria condizionata e addirittura di cucine funzionanti, ha significato subire un piccolo shock culturale. La stanza da noi utilizzata era arredata con tatami e fusuma (porte scorrevoli) zabuton (cuscini) e tavolini pieghevoli bassi: ebbene sì, in Giappone si gioca a terra.
Il titolo scelto da Itakura san, il master, è il D20 modern. Una cosa che salta subito all’occhio sfogliando il manuale, è il massiccio utilizzo di katakana-go, ovvero di traslitterazioni di termini stranieri. Anche termini facilmente traducibili in giapponese, vengono traslitterati piuttosto che tradotti: abbiamo quindi terepasy (telepathy), majikku (magic) ecc. ecc. C’è da dire che questa pratica è molto utilizzata, oltre che nella maggioranza dei manuali di gdr, anche nel giapponese moderno, che sta subendo una vera e propria invasione di termini stranieri (pronunciati ovviamente alla giapponese). Certo aiuta lo straniero a comunicare (a volte) ma d’altra parte la lingua ne risulta irrimediabilmente “corrotta”.
L’avventura proposta ai giocatori era estremamente semplice e lineare e, anche se il mio giapponese ha ancora grossi margini di miglioramento, sono riuscito a comprendere il tutto senza grossi problemi. Riassumendo in breve la trama, i nostri eroi rimangono bloccati in una città del Texas (sì, i giapponesi, anche più degli italiani, sono esterofili), il loro mezzo di trasporto è senza carburante e nella città non è possibile procurarsene. In città avvengono fatti strani, dietro i quali si nascondono praticamente i rakshasa, razza mostruosa direttamente importata dal manuale dei mostri di D&D e piombati negli Stati Uniti Contemporanei. Devo dire che nonostante (o dovrei dire grazie a) la trama estremamente banale (con tanto di combattimento finale davanti ad altare per sacrifici umani) si è riso tantissimo. Chi si immagina dei samurai estremamente seriosi attorno ad un tavolo sbaglia di grosso. Battute a go-go, che vertono, ovviamente, sui topos della cultura pop, inerente al mondo dei gdr e non. Ce ne è per tutti, da Paranoia (“Shimin! Shiawase desuka? - Cittadino! Sei felice?”) a Doraemon, da A-Team, a Mazinga Z, il gioco di battute, riferimenti e rimandi è stato pressoché costante. La cosa sorprendente (e a tratti spaventosa, se vogliamo) è che i riferimenti sono praticamente quasi gli stessi fatti dal gruppo italiano di gdr medio. Infatti ne ho capito gran parte senza dover farmeli spiegare. La differenza è che mentre in Italia la mia generazione è stata bombardata (positivamente? Negativamente? Difficile dare un giudizio) quasi esclusivamente da pop “straniero”, la mia controparte generazionale nipponica ha prodotto anche i propri miti (col senno di poi, spesse volte molto trash, ma comunque farina del proprio sacco). La cosa più divertente in assoluto è stata quando l’esponente del sesso femminile, per nulla intimorita dalla presenza di un estraneo come me, ha chiesto al master, riferendosi ad un compagno estremamente casinista e sboccato “Master, lo posso uccidere”? E io che pensavo che fosse tutto diverso. Devo dire che, con i dovuti distinguo, le modalità di interazione nel gdr classico, sia durante il gioco vero e proprio che durante le parti di meta-gioco, sono estremamente simili a quelle delle sessioni a cui ho partecipato in Italia. Se da una parte ciò mi ha un po’ intristito (siamo sempre alla ricerca dell’esotico!) dall’altra parte mi ha rallegrato: dopotutto i giapponesi, quando a loro agio, sono molto più simili a noi di quanto pensassi."

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