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Elefante Bianco [repost]
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Marzo 23, 2008 - 11:30 pm

di Richie Bristol (Pongo) , per "Space Master". Repost dal sito di "Esaedro", luglio 2006

Scriveva Plinio, o forse qualcuno per lui, che un generale romano organizzò un combattimento tra uomini ed elefanti.

Mentre i maschi, come sempre devono dar prova della loro forza la femmina se ne sta in disparte; in una gran quantità di specie sopravvive questa utile dimostrazione per il prosieguo della specie. Un gruppo che però se ne gira in branco per tutto il tempo che passa tra una stagione (d'amore anche) e l'altra sa già chi è il più forte. Non puoi non sapere che Alam non è più forte di te se da venti anni mangi le stesse cose che mangia lui e fai la stessa strada che fa lui, eppure tu lo sai che è più forte di te.
Eppure quando tu, testardo che sei, senti quella cosa, tu non capisci più niente per cui ti devi beccare quelle gran pacche sulla testa di qualche tonnellata. Circa sette. Poi lui fa i suoi comodi con lei e tu no. Non è detto però. Tra cinque, dieci anni o forse venti, Alam potrebbe essere un po' più scemo e tu un po' più grande ed esperto.

Quando una bestia come questa cammina nessuno se ne preoccupa. Ma se carica... se vola...
Guarda il cavallo: sembra l'animale che ha dato le sue doti di corridore all'uomo. E ti sembra docile, tranquillo, quasi nobile, ma solo perché lo hai addomesticato, tu uomo, l'hai domato.
Quando poi magari un cavallo ti stacca una mano a morsi lo chiami pazzo, certo, dove si è mai visto un cavallo mordere qualcuno a sangue. Magari un calcio, un calcetto nel sedere, che ridere. Bam! Che ridere, e lo stalliere vola oltre la finestra con una gran botta nel culo.
Bam! Che ridere.
Eppure il cavallo di Alessandro Magno era una bestia tremenda chiamato testa di toro, Bucefalo.
Matto come un cavallo. Alessandro era matto come il suo cavallo. Andavano d'accordo per questo, tra matti si sa! Si va d'accordo.
Sono i sani che invece ti preoccupano. Quelli intelligenti e molto sani e c'è il pesce piccolo che mangia il pesce più piccolo, e c'è il pesce palla che fa finta di essere più grosso e così il pesce gatto non se lo pappa.

Allora l'elefante.
L'elefante, per quello che ne so io è africano o indiano. Quest'ultimo detto asiatico.
Ma so che c'è anche quello marino e poi qualche buon antropologo paleontologo, ha dato il nome di elefante ad un sacco di altre cose.

Ma io ero a Sprirell nella città dei tubi. A Gotheb. Capitale della gioiosa Lovreni. E bussai alla sua porta.

-Chi è?‑

C'è modo e modo di dire chi è... e quello era uno di quei modi che ti tirano fuori un sospiro di fatica e ti chiedi perché deve essere difficile vivere anche se non hai delle gran colpe in questo momento. Perché le colpe chiaramente non se ne vanno mai, ma delle volte vorresti con tutte le tue forze essere insofferente, cioè non soffrire. Ma è la sofferenza che ci prova e ci tortura ed è diversa dal dolore. Molto.
Avevo mandato un messaggio alla nave appoggio Gemini. "I bambini osservano il gigante - le onde del sasso si rifrangono indietro."
Cercavo solo di dire che quel popolo arretrato ed ignorante erano i bambini e che noi rappresentanti dell'Impero eravamo il Gigante terribile. Noi eravamo il sasso gettato nello stagno, ipotizzavo che se parlavo di onde si sarebbe capito che eravamo noi il sasso. Molto figurativo. Ma perché parlare di onde che si rifrangono? In senso figurativo ancora! Poiché le nostre onde erano anche aeree. Eteree.
Non capirò mai come si muove un pensiero nella mia testa, ma mi sembra facile pensare (pensare...) che è tutto lì legato da neuroni, sinapsi, gangli, insomma nervi e cervello.
Come fa un pensiero a uscire dalla testa di qualcuno se non con la bocca? Devi essere un alieno di marmellata con un nome che brilla fugace in una stella di Orione. Una star telepatica. Top Secret. Che quando lo fai presente ad uno Zodani ti dice:- Avrei dovuto immaginarlo!- Bravo immagina. Intanto il mio messaggio è evidentemente arrivato.
Come un'onda io m'immagino le belle parole del mio amico spasmodico che accarezzano il mio cervelletto e sì espande, l'onda, nell'etere. Ed ad un tratto! Bam! Le onde si rifrangono.
Tornano indietro mille volte più cattive. E la piccola cometa che si è staccata da Orione quasi non brilla più.
Fugace? Neanche!
Insomma le onde si rifrangono.
Il messaggio era quello.
Non ricordo chi disse che non siamo altro che pigmei in piedi sulle spalle dei giganti.
lo ero il pigmeo. I miei amici anche, ma o avuto la presunzione che quelli erano meno di pigmei. Erano bambini che giocavano ancora con le mosche.

A quel chi è?, risposi: ELEFANTE BIANCO. Non lo ero? Ero sceso da una nave a balzo nel cielo di un popolo che camminava con il carbone e gli oli pesanti combustibili. Non ci accettavano come dei, eppure si denigravano da soli dicendoselo. ...ai vostri occhi vi dobbiamo apparire come degli stupidi bambini... avevo un occhio bionico con ingranditore microscopico, spettrografia, infrarosso, telemetria, orizzonte artificiale e bussola d'acquisizione sulla retina in configurazione con le carte olotopografiche tecniche imperiali. Avevo un braccio bionico con una forza di quattro volte superiore di quella dell'uomo normale. Ero in quel momento, libero dopo tanto tempo, sentivo prudermi la schiena all'altezza delle scapole. Io sentivo il prurito del mio tatuaggio fotoprismatico bianco, due ali tecniche, non da piccione o da falco pellegrino. Erano aperte, spiegate. Sopra quelle nere del Fallen Angel.

Sono ancora io e parto sicuro di me, se fossi un commesso viaggiatore, invece dovrei saper che ogni porta chiusa è una porta su un altro mondo di cui non conosco nulla.
Tutte le mie conoscenze sono in realtà proiettate verso un mondo in cui in realtà i bambini sono stufi delle fastidiose mosche e vogliono le farfalle, più belle, più esotiche, più intelligenti; le vogliono infilzare con i loro spilli, aprirle, bruciare il tenero musetto, vedere come si dibattono e capire quanto sono diversi essi da quelle strane magnificenze calate in una stagione anomala della loro vita. Vita tesa ad un esplorazione fisica della fisicità di ciò che appare e non può essere. Gli dei, i giganti, non possono esistere, nessuno prega più nei loro templi, nessuno nemmeno discute nei loro tempi, e perché mai non c'è niente da discutere, tutti lavorano, tutti devono stare bene, tutti, insomma io penso a tutte queste cose e questa farfalla, che farà la fine di una farfalla, ed io ancora non lo so, mi parla come se avesse capito tutto di me, di come funziona e della mia amica e del mondo e quasi sa. Sa tutto di me, sa tutto dell'universo.
L'universo non sa nulla delle sue creature. lo non so nulla delle sue creature, dei, giganti, bambini, farfalle, mosche, io in quel momento non so nulla, ma mi sento finalmente vivo dopo tanto tempo.
Un tempo un ragazzo, me, lesse questa storia.

“.. arrivò la neve. Gli elefanti volavano a fatica (.così è fa storia!) e stremati caddero uno sull'altro formando il ghiaccio più grande: L'Hymalaya, quelli blu si tuffarono nei laghi ed i laghi divennero oceani e gli elefanti balene."
Vestito del chitone di cotone leggeva il racconto e stava chinato con le ginocchia a terra e le gambe sotto se stesse. Era da ore che leggeva ad alta voce e l'elefante senza ali, poggiò il suo muso nella sabbia e lasciò che la pancia toccasse il terreno. Veniva dal deserto, era tutto impolverato. Non barrì, non fece rumore, si accoccolò davanti al ragazzo. Solamente.
"Alcuni di loro che erano senza proboscide divennero i leoni marini e nuotarono nell'oceano vicino ai loro cugini, i grandi pesci, ma si stancarono e si aggrapparono ai ghiacci per riposarsi, erano a migliaia..."
Faceva un gran caldo ed il giovane voltò la pagina.
Vide il grande occhio guardarlo e sentì la sabbia soffiare nelle parole.
“... gli elefanti camaleonti volarono nella tempesta verso l'alto chiudendo gli occhi per non ghiacciare le loro pupille e volarono, volarono su nell'alto dei cieli bui e quando non sentirono più il freddo si addormentarono per la fatica.
Dormirono a lungo e piano dischiusero gli occhi, ma nulla era mutato ed ancora stanchi dormirono. Poi qualcosa dopo la tempesta, qualcosa si era levato, un urlo furibondo era nato nella quiete della tempesta.
Il vagito li aveva raggiunti e destati dopo i millenni dei millenni.
Lacrime caddero dai loro occhi, erano rosse e brillavano lontano e poi si posarono sul nuovo spirito che era nato."
Poi le pagine ocra si chiusero con qualche granello dorato tra esse, gli occhi del ragazzo si serrarono e strinse il libro al petto; chinò il capo e poggiò la fronte su quella rugosa dell'elefante. L'elefante abbassò le palpebre ed il destino iniziò.
Dal cielo caddero le lacrime rosse. Sì! Sarebbe stato opportuno andar via, si sarebbe dovuto raggiungere la fine, l'estremo, lasciare i luoghi dove nacque la leggenda cd abbandonare giovani figli nella tempesta e tutto sarebbe finito. E la tempesta questa volta avrebbe avuto ragione di loro.
I primi fiocchi caddero sul deserto, altro ghiaccio dava il mondo, ma questa volta il mondo non morì.

Ecco! Ed ancora una cosa? Lo sapete chi è Airavata?
Un elefante? Esatto esattissimo. Ed è bianco ed ha sei zanne. Lo cavalca un dio armato del fulmine. Lo cavalca?

L'alleanza salvò la leggenda. Così gli dei, quelli antichi, ecco gli antichi salvarono il nuovo. La leggenda.
Non è forse vero che la memoria di un elefante è molto sviluppata. Non si dice di avere una memoria d'elefante? Non si dice che quando un elefante ti ha visto bene se ne ricorderà per tutta la vita, non si narra di quel elefante che piantò il suo occhio in quello del cacciatore bianco e mentre tutti i portatori cercavano di finirlo e di staccagli le zanne: l'elefante aveva continuato a guardare con il suo occhio quella bestia piccola che gli aveva spaccato il cuore con una pallottola. Una bestia che un tempo non aveva cercato di dominare. Forse alcuni ne avevano voluto essere i signori, ed allora alcuni li aiutarono a combattere i titani. Cattivissimi i titani.
Non so a volte come sappiamo certe cose, ma le sentiamo, dicono che alcune cose fanno parte della nostra memoria genetica, anche se sembra molta più sviluppata negli animali.

Non sto dicendo che gli elefanti siano dei, o forse non è da escludere che vi sia un ramo genetico che sia rimasto indietro forse per una scarsa progenie e poco impegno in questa pratica che per una femmina capita all'incirca ogni cinque anni dall'età di quattordici anni fin oltre i sessanta. Circa dieci volte nella sua vita e ne fa uno, magari anche due, ma è un magari molto raro.
È così dopo seicento o seicentoquaranta giorni, quello indiano, e seicentosessanta quello africano, eccolo li il bambinone da un chilo e quattrocento grammi... un quintale. Un quintale di pupo.
Le balene non so. Vedi ho letto Moby Dick e sognavo che ad Ahab cadeva la pipa nel mare e mentre si malediceva per quella sua goffaggine, la pipa restava indietro indietro, e poi vedevo chiaramente quella pipa come al buio che andava alla deriva sull'acqua, e piano piano tutto diventava più bianco. Partiva da dietro la pipa che se ne stava tranquilla a galleggiare e quella macchia bianca le cresceva dietro sempre più, dalla profondità mille metri più sotto saliva la balena, ma quando me ne rendevo conto era troppo tardi e la pipa si rompeva in varie parti. Si frantumava. 30- 40- anche cinquanta tonnellate che ti arrivano addosso. E mi svegliavo. So che una balena è molto lenta 7 km/l'ora, ma vedere un fanone da un 2 metri e mezzo spaccare quella pipa mi spaventava.
Ed invece ci sono popoli che sono sopravvissuti salendo sulle schiene di quelle balene, quelle più piccole lunghe appena sei metri, con una piccola pinna sul dorso di 20-25 centimetri. Forse per scappare alla tempesta. E la storia di un popolo di cui si è perso il ricordo. (Maori)

Ma che cosa fanno gli dei?
Semplice. Ricreano periodicamente l'universo e lottano contro le forze demoniache che minacciano l'ordine del mondo. Ricordate dunque di andare al tempio a portare le offerte e compiere i sacrifici. E le preghiere? Tante, mattina sera pomeriggio notte, mezzogiorno a pranzo cena colazione caffè tè merenda, tante. Tante. I recommend to you!

Gli dei in principio salvarono il mondo da chi? Da se stesso? Se lo scienziato ci spiega che tutto è fisico, relativo a qualcosa, che a sua volta è fisico. Dunque il mio pensiero è neuroni, sinapsi, lobi cerebrali e basta, perché quando faccio le tre mitiche domande mi sembra di scoppiare? Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Umpf!

Quando un ragazzo cresce ha bisogno di riferimenti, alcuni oggi li chiamerebbero educatori, altri figure eroiche, altri ancora profeti o messia e angeli o addirittura dei. lo ero un piccolo dio che camminava nell'albergo a cinque stelle di Gotheb, la città dei tubi, la capitale di Lovreni su Spirali.
E, per la seconda volta, entravo nella stanza dicendo di essere l'ELEFANTE BIANCO. Lasciavo là ìl mio ricordo con la conclusione che la decisione sarebbe arrivata solo quando tutto sarebbe finito. Eravamo in missione e che era necessario restare professionali, era una missione di intelligence, necessaria per l'equilibrio delle parti.
Erano due anni che non ero più in questo mondo, non ero in nessun posto ed in realtà erano anche più di due anni, pensavo all'impero, alle sue guerre più o meno nascoste e sapevo che ne stava preparando una, una grandissima tutta per me. lo avrei lanciato i miei fulmini cavalcando un elefante potentissimo in grado di nuotare nello spazio. Sarei stato il migliore dopo anni di addestramento. Perfetto. Avrei puntato la canna, alzato la tacca di alzo, tolto la sicura, inquadrato il nemico, una cosa impossibile a tutti, trattenuto il respiro e aspettato il disco verde. Bam! Sopravvissuto. Vivo, un esempio, un eroe, un dio.

Se questo elefantesco nemico è così legato al vecchio e caro caos, creatore di nuovi mondi ed eventi fisici inerenti alla fine ed al principio, ma non al mezzo, perché dovrebbe continuare a guardare chi cerca di finirlo e di staccagli le zanne fino al momento dello scoppio del suo cuore?

Era il 55 a.c. e come scriveva Plinio, o forse qualcuno per lui, il generale Pompeo organizzò un combattimento tra uomini ed elefanti. Accerchiati nell'arena, gli animali capirono di non avere alcuna speranza di fuga. Allora, secondo Plinio, essi cercarono di attirarsi la compassione degli spettatori con atteggiamenti indescrivibili, e li supplicarono come piangessero la propria sorte con una sorta di lamentazione. Gli spettatori, mossi a pietà e rabbia dalla loro situazione, si alzarono a insultare Pompeo: sentendo, scrive Cicerone, che gli elefanti hanno "qualcosa in comune" con la razza umana.

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