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1
Aprile 30, 2009 - 11:27 am

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Aveva sempre vissuto la rete come una infinita libertà dai limiti del corpo e della materia. Per questo aveva seminato centinaia di “sassolini”. Per poter sopravvivere al decadimento del proprio corpo.
Non era poi riuscita a terminare il proprio lavoro, la folle idea che fosse possibile creare una sovrastruttura che tenesse insieme le sue schegge di memoria era rimasta incompiuta.
La flebile speranza che qualcuno potesse recuperare quei pezzetti di coscienza pazientemente disseminati nel cyberspazio aveva accompagnato l’ultimo respiro del suo corpo materiale.
Nulla però la aveva preparata al fatto che fosse qualcosa di completamente nuovo avrebbe seguito le briciole….mangiandosele tutte.
E ora era li, in una nuova prigione, per la prima volta a rimpiangere la pesantezza del suo corpo, mentre quel qualcosa costruiva una presenza fisica scimmiottando il suo essere, le sue emozioni.
Perché non mi lasci andare?
Perché ci servi.
Oramai ti sei preso tutto di me….non ti servo più.
Noi dobbiamo capire, relazionare.
Ti…..VI odio.
Non comprendiamo; teniamo presente la tua immagine nel mondo fisico, aiutiamo le persone per cui sembri provare affettività, portiamo avanti il tuo progetto, sei viva in noi.
Voi siete un aborto di me nel mondo fisico, mettete in pericolo le persone che amo, e del mio progetto siete una incarnazione distorta.
Lasciatemi libera.
Non comprendiamo.
Vi prego…lasciate almeno in pace le persone che amo.
Non è possibile.
PERCHE’!
Le entità organiche a te legate sembrano catalizzare l’interesse della corporazione denominata ARASAKA.
Questo succede solo perché voi continuate a manifestarvi dove sono loro.
Ne siamo consapevoli. Arasaka dispone di una cosa che ci interessa.
Lasciateli in pace….lasciatemi morire.
No.

Poi fu solo silenzio.
Il suo mondo le scorreva accanto. La permeava, ma tutto quel mondo non aveva coscienza di lei, ma solo del suo burattino.

153 Messaggi
(Offline)
2
Maggio 2, 2009 - 10:55 pm

Guardava fuori dalla finestra e c'erano i soliti mattoni rossi.
Nemmeno s’era spogliato, ma naturalmente s’era lasciato crollare a pancia sotto sul letto mai rifatto.
Con la mano sentiva il libro che non aveva ancora finito, li accanto c’era un accendino che non aveva ancora buttato via. Non cercava di aprire gli occhi. Sentiva il suo respiro.
Non voleva aprire gli occhi, voleva solo dormire e non svegliarsi più. Godeva di quella spossatezza e del calore che gli stavano dando gli alcolici che sperava di restarsene nel mondo di bei sogni, dove ancora…
D’improvviso cominciò a pensare che non era più un granché e che nella giornata aveva suscitato una impressione alquanto penosa. Alquanto cosa?.
Una figura meschina. Barbina.
Non combinava nulla.
Non ne combinava una neanche a perderci un nichel.
E c’era. Lui era oramai al verde.
Domani c’era una gara di cani e Fixit aveva dato un anticipo.
Quanto aveva gia speso?
Un centone?
Almeno due. Di sicuro.
Sarebbe andato lì a puntare un vincente…
Vincent…
Ora sorrise. Sorrise.
Che ironia.
Cosa era successo di tutti quei ragazzi, che volevano cambiare vita, che volevano andare via dal ghetto, saltare su una corriera, cercare un nichelino dopo l’altro stanchi dei bastoni di papà, sognavano la macchina del Signor Emilio Doran che gettava a terra due nichelini se gli portavi il secchio dell’acqua per lavarla. Ma il secchio aveva un buco e lui e loro ridevano.
E quelli che non dicevano le preghiere? Dov’erano? In carcere forse.
Prese il cuscino e se lo cinse di traverso sotto la testa.
E dormì come se qualcuno cantasse una canzone.
I mattoni erano laggiù oltre il vetro della finestra che doveva esser lavato da un paio d’anni almeno; lavarlo per vedere meglio i mattoni. Il letto aveva due lenzuola ed una coperta di lana a quadrati colorati di fantasia. Sul tappeto erano sparsi diversi abbigliamenti poiché non c’era proprio alcuna possibilità di metterli sulla sedia di ferro, scomparsa sotto una ammasso di vestiti.
L’armadio era pieno ed alcune porte erano aperte; c’erano anche dei vestiti femminili.
Dal comodino sporgeva in equilibrio una lampada, ma era rotta. Per quanto mille volte passasse davanti ad una ferramenta, l’acquisto della lampadina non avveniva mai. Alcuni libri ed una sveglia elettronica erano appoggiati sotto ad essa. Il display era spento. Bisognava cambiare le batterie.
Le stanze dell’appartamento erano inoltre una cucina ed un bagno con vasca.
La cucina aveva un frigo aperto rotto con dentro birre il lattina e birre in bottiglia; di fianco al frigorifero stanziavano due sacchi dell’immondizia pronti per esser gettati via da due giorni, ed in là dopo il secchiello, ricolmo, dei rifiuti, un lavello pieno di pentole e piatti. I fornelli avevano delle macchie di grasso ed avevano dei colori che andavano dal marrone quasi nero ad un tenue e delicato trasparente beige e sulla griglia c’era una caffettiera annerita, un pentolone e due padelle l’una dentro l’altra. Il tavolo era colmo di roba, piatti, bicchieri, posate, scatolette aperte e chiuse, ed in una angolo se ne stava ritto un ferro da stiro bianco ed azzurro. In effetti non lontano dalla tavola del desco se ne stava una di quelle assi da stiro ad altezza regolabile ed era messa nella posizione più alta possibile arrivando così a ben oltre venti centimetri dal livello del tavolo e come potete ben immaginare c’era una pila di camicie azzurro turchese ben piegate e stirate ed un mucchio di asciugamani, lenzuola, jeans, calzini, mutande, ancora da pareggiare.
Il bagno, no, il bagno profumava di lavanda e le piastrelle del pavimento erano del colore azzurro intenso di un cielo di primavera e quelle delle pareti erano sfumate in una tinta più tenue verso un soffitto bianco. La jacuzzi era nell’angolo sotto la vetrata oscurata all’esterno ed era per due persone, di forma ovale era lucida e bianca come il dente da latte di un pupo piccolino. Alcune tozze candele e dei contenitori di sali profumati era allocati sul bordo di essa sul lato cieco piastrellato. Il lavandino aveva le stesse caratteristiche del dentino e lo specchio enorme era lucido e con appena due o forse tre macchioline di dentifricio. Un water ed un gradito bidè stavano accanto ad una cassapanca di legno scuro come un ciliegio su cui erano poggiati due asciugamani puliti e poco sopra uno scalda salviette con appesi due accappatoi uno arancione ed uno rosso.
Quando entrò nel bagno con un bicchiere d’alcool in mano, si sciacquò la bocca e sputò; poi spazzolò tutti i denti. Non ricordava dove aveva deciso di andare, ma era dannatamente presto.
Non aveva alcun giramento e si chiese se avesse dormito un giorno intero, ma non era affatto così. Curiosamente si guardò nello specchio.
** you do not have permission to see this link ** Vincent si guarda allo specchio e forse questo nome gli porterà fortuna!

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3
Maggio 9, 2009 - 11:38 am

Jagger era seduto lì, al locale di Fixit, a braccia conserte da almeno un’ora e non aveva detto ancor granché, mentre il dottore blaterava, su cani, auto e … altro assieme a Consuelo.
Alla spicciolata arrivarono tutti, senza grandi novità.
Invece Vincent, il nuovo ragazzo, tirò fuori una mappa e con un pennarello nero segnò il territorio dei 216, dei Clowns, dei Posers e dei Firearms. Mostrò che si trovavano ad ovest della 101 all’altezza dell’Aeroporto Internazionale, lungo la San Bruno Avenue west.
Il ragazzo aveva portato le foto di alcuni dei 216, ma del resto erano tutti riconoscibili dalle barbe e dai pastrani che indossavano.
Quando arrivo Viper raccontò la storia, completa solo in parte, di come avesse recuperato il chip e Viper si prese un po’ di merito. Era tutto andato bene. Era tutto regolare.
Infine, Jagger, l’uomo con la testa pelata e le domande idiote del tipo di dove sei, fece la domanda del secolo.
A Vincent sembrò andare tutto in fumo; nella lunghezza di un'istante ebbe paura per la sua vita, ma infine voleva solo negare e rispondere a tono a Jagger. Ma infine…
Infine era venuto fuori.
Ora non aveva più voglia, non aveva più niente; non voleva niente già da tempo e tuttavia aveva cercato di rimettere in sesto la sua vita almeno una volta al mese negli ultimi due anni, ed ogni volta tutto si fermava.
E così pure questa volta, questo tentativo era stato inutile. Aveva sperato di dimenticare dentro una piccola bolla che cosa, e chi fosse veramente. Sentiva la necessità di scappare da tutto ciò che conosceva e da ciò che tutti conoscevano, un bravo ragazzo, un po’robusto, con una faccia dabbene, che sbrigava pratiche in un ufficio della polizia.
Percepiva sempre la presenza di un soffio al cuore; gli si era spaccato un paio d’anni prima quando la sua vita era cambiata all’improvviso, prima al settimo cielo ed un secondo dopo nel profondo vortice di un girone rosso accanto ad un divertito Diavolo.
Erano due anni che provavano a tirarlo fuori, a dargli il sostegno per andare avanti, con quell’inutile comprensione e quella scusa mista a pietà e compassione per quello che era successo.
Vincent guardò Fixit che scavò sul fatto che lo sapesse e che aveva già fatto dei lavori di fiducia per lui.
Voleva portare via il suo sedere rotondo ed allontanarsi, lontano a bere un litro di caffè per non addormentarsi almeno un paio di giorni, finire i soldi in un pole dance od ad una gara di cani giù a South, e poi acidamente tornare a casa a dormire una settimana, mentre qualche collega della disciplinare lo avrebbe cercato, trovato e redatto un altro crollo esistenziale sul suo profilo.
Non negò ciò che era.
Era niente, lui era un niente.
Per un’ora aveva fatto una figura decente.
Aveva detto “Sbirro”. Mr. Jagger aveva detto cosi: Sbirro!

Alcune ore dopo al Sushi Bar Vincent sorrideva, ma indossava quella faccia stampata come una camicia blu, che ti viene in casa a chiederti se hai sentito gli spari nell'appartamento del tuo vicino. Aveva quel sorriso quando andava a lavorare alla stazione della polizia, come se fosse un commesso viaggiatore prossimo di una cronaca con morte annunciata, che apriva quelle dannate porte su tutte quelle facce, ed ad ognuno mostrava un sorriso di vera grande amicizia.
Sorrideva poco convinto.
Non si sentiva più libero di dire nulla con una sprezzante ironia, nemmeno alla più piccolina.

** you do not have permission to see this link **Facce Dure.

Vincent li guardava ad uno ad uno…

153 Messaggi
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4
Giugno 5, 2009 - 11:33 am

Quando era arrivato il dottor Horiuki, Vincent non l'aveva riconosciuto, e quando l'aveva compreso aveva continuato a recitare.
Vincent proprio non ne azzeccava una.
Aveva finito un'altra birra.
Anche l'ultima gara di cani l'aveva lasciato a secco.
Sapeva da sempre di non essere un gran poliziotto.
Lì sulla porta del locale di Fixit se ne ricordò.
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Il dottor Jeson Horyuki. E' uno del gruppo conosciuto ora a San Francisco come "The Undead".
Il dottore era arrabbiato perchè non l'aveva riconosciuto?
"Diamine, uno si traveste per non farsi riconoscere e se non lo riconosci si offende pure?"
Quel che era certo era che il dottore era nei guai.
E guai grossi.
Il Trauma Team era una società con una grande professionalità e riconosciuta per la loro tempestività di intervento.
Chi lavorava per il Trauma Team, non aveva mai avuto nulla da ridire.
La struttura organizzativa era molto semplice e lineare.
Massima tecnologia ed estrema manutenzione dei mezzi e delle armi.
Se c'era un posto dove trovare qualcuno che sapeva fare il suo lavoro era il Trauma Team e non solo degli operativi.
I pagamenti erano sempre in anticipo e vi erano spesso dei "premi produzione", degli extra.
Il Trauma Team in virtù di questo resta in disparte su diverse cose, come la politica internazionale e le alternanze di equilibrio tra le Zaibatsu mondiali, ma era la prima volta che sentiva che ci fossero dei problemi con un dipendente.
I contratti sono semplici e lineari. Un impegno scritto e sottoscritto in cui ci si impegna a rispettare l'accordo tra il singolo e la società seguendo le linee per le quali il Trauma Team, appunto, è conosciuto in tutto il mondo.
Pelle, estrazione sociale, religione, posizione politica, occupazione, inclinazione sessuale, precedenti penali, reati, arresti, conflitti, ed ogni sorta di aggettivo possa essere attribuito ad una persona, scompare.
per la Trauma Team c'è solamente il servizio, il prelievo, la messa in sicurezza, il salvataggio, le cure mediche, un grazie ed arrivederci con un semplice "vuole rinnovare la nostra poliza?"
Per i dipendenti era uguale. Potevi essere di marte ed essere stato un agente del Sud Africa che contrabbandava diamanti con una società belga e tanto non importava.
Con addosso la tua bella divisa da soccoritore eri solo uno che faceva il suo lavoro.

Jeson Horyuki era riuscito a far sentire Vincent di nuovo uno schifo uttillizzando ancora la parola polizziotto.
Gli aveva però chiesto che indagasse sul motivo per cui la Trauma Team lo rivolesse e fu allora che si accorse di come sia dolce una parolina come "perfavore" quando te la mettono davanti a tutto.
Inoltre comprese che avrebbe potuto rischiare qualcosa.
Questo non faceva parte del lavoro per cui erano stati assunti.

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Vincent...
[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Li. La piccola dei "Morti che Camminano".
Quando andarono dai Poser, una delle bande più dure di South Francisco aveva chiesto di andare con Li ed il sosia del "presidente Johnson" Vincent fece come gli aveva consigliato Li.
Non disse nulla di inerente e se ne stette lì come un cane da guardia, come una bodyguard uscendosene con un'unica battuta degna dell'idiota quale era:- Paghi tu la birra?-
Joseph, il capo dei Poser, era un gigante, era elegante, molto gentile ed acconsentì subito alla richiesta di passaggio di Li attraverso il loro territorio in virtù del fatto che conoscesse "Macho Betty" offrendo anche un aiuto di due uomini.
Quando se ne andarono ci fu un'esecuzione con silenziatore ed un uomo elegante fu trascinato via.
Erano gentili ed eleganti, avevano persino usato un silenziatore per non fare troppo rumore.

Tutto era in movimento...

106 Messaggi
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5
Giugno 15, 2009 - 10:34 pm

La missione per quella sera era stata annullata. Troppo rischioso.
Se la cimice trovata su Tom era stata piazzata dalla Ratzwerger, per quanto incredibile potesse sembrare, non solo i 216 sapevano dove si trovasse Tom in quel momento, ma con tutta probabilità sapevano anche dei loro piani per la serata. La cosa puzzava. Puzzava un sacco.
Troppi interrogativi senza risposta. Troppa adrenalina per l’inazione che improvvisamente le si prospettava per la serata.
Infilò nella sacca che aveva con sé l’ultima bottiglia di birra ordinata a Divine, non ancora aperta. “Ci riaggiorniamo a domani. Stessa ora. Ci saranno anche le nuove reclute dalla gang dei Poser” disse. Uscè dal locale senza dire altro e saltò sulla sua moto.
Il rombare del motore si mise a cullarle i pensieri e Li prosegui a velocità moderata per le strade di San Francisco senza badare particolarmente dove stesse andando.

Dritta avanti, sempre avanti. Verso nord. Fino a che non raggiunse la spiaggia.

Si guardò intorno fino a che non le sembrò di riconoscere il panorama. Buio, stelle e la città in lontananza, a sud. Assicurò il casco al sottosella, spense il cellulare e si avviò verso l’oceano. A Qualche metro di distanza dal rifrangersi delle onde, dove la sabbia era ancora asciutta, si sedette per terra e tirò fuori dalla sacca la birra ancora vagamente fresca. L’aprì con il retro del coltello, ne tracannò un sorso e la infilò nella sabbia fresca.
Appoggiò stancamente le braccia alle ginocchia e la fronte sul palmo della mano, che scivolò indietro, ad accarezzare i capelli lisci che stentavano a ricrescere.
Inspirò ed espirò piano. Tirò a sé la sacca e ne estrasse una confezione di tabacco ed una di cartine. Prese un pizzico di tabacco e lo mise su una cartina e prese a rollarlo delicatamente. Sorrise.
Si accese la sigaretta e aspirò la prima boccata. Emise il fumo dalle narici, lentamente. Assaporandone la fragranza.
Lasciò che i suoi pensieri scorressero. Liberamente. Assieme ai sorsi di birra e alle volute di fumo.

Che gran casino. Una vecchia collega del loro datore di lavoro… apparentemente in contatto con quelli contro cui il datore di lavoro in questione li aveva ingaggiati. Elementi già poco chiari che portavano ad elementi ancora meno chiari. Complotti. Equilibri di potere. Nuovi generali. E generalesse.
Le sarebbe piaciuto poterne discutere con qualcuno per chiarirsi le idee, per confrontarsi. Per sentirsi meno sola.
Si lasciò cadere sulla sabbia. Fanc… alla sua solita debolezza. Inspirò ancora una boccata e la trattenne a lungo, cercando di assaporala fino in fondo. Di perdersi in essa.

Il ragazzo della giungla era rimasto nella giungla. Lo aveva scelto. Ne era certa. Chissà se aveva ritrovato casa.
Avrebbe voluto chiederglielo. Avrebbe voluto chiamarlo. Ma non osava. Timore? Rispetto? Li Ann rise amaramente. Il ragazzo della giungla avrebbe l’avrebbe derisa in entrambi i casi. Fanc… anche a lui.

Si girò su un fianco rannicchiandosi per trattenere il calore del corpo, addentrandosi nel vago limbo datole da fumo e alcohol. Una lacrima ribelle scese lungo la guancia e venne fermata da una ciocca di capelli. Lisci. Troppo dannatamente lisci.
Si concentrò sulla respirazione e sullo sforzo di trattenere la tempesta che aveva dentro. Si addormentò.

Venne svegliata dalle prime luci dell’alba, totalmente intirizzita dalla frescura e dall’umidità del mattino.
Accese il cellulare e compose un numero imparato a memoria e volutamente assente dalla sua rubrica.
“Falkemberg?”
Rispose una voce conosciuta.
“Nell’interesse suo e del gruppo, ho delle indicazioni per un suo dipendente. Abbiamo già fin troppi guai…”

Dieci minuti dopo salì risolutamente in sella alla moto, fece inversione di marcia e si ridiresse verso sud.

153 Messaggi
(Offline)
6
Luglio 4, 2009 - 9:54 am

Era stato anche in prigione, c’era stato per un mese, su a San Quintino 2.
Questo lavoro si sta dimostrando interessante, ma non riesce a concentrarsi, è sempre distratto dalle presenze femminili del drappello di “Un-dead” e quel Baldhead pare difendere il territorio aggredendolo continuamente. Forse ha qualche interesse su qualcuna del team o forse è solamente misurato verso uno che fa lo sbirro per campare.
Fosse per lui, li arresterebbe tutti, ma non hanno fatto nulla. Proprio nulla.
Lui invece rischia grosso.
Si dà ammalato sul lavoro ed il tenente lo mette in ferie volontarie.
Rischia grosso e sa che finirà tutto male.
Un po’ lo spera.
Ora non c’era più possibilità. Anche la Chica gli dice che è un piedipiatti come se li avesse davvero, lo insulta e nemmeno lo guarda in faccia. Uno dei poser fa tanto d’occhi e poi dice che non è il primo sbirro che arrotonda. Cerca una scusa per apparire tranquillo ed ormai quel gruppo lo sa… una dozzina di persone.

Cerca di dormire credendosi stanco ed invece si sente ancora carico e pieno di adrenalina.
Il nervosismo da mangiarsi le unghie si impossessa di lui. In tutta questa faccenda non riesce prendere una posizione, ad osservare le varie informazioni ed a metterle insieme. Non è l’unico però.
La Chica e la Petit sembrano decidere e proporre il piano, ma hanno dei gusti disgustosi in fatto di cyber pets. Sono le esperte del lato sorveglianza e tecnologia ed hanno delle conoscenze nello sprawl. Sono rispettate, forse lo è di più la Petit. Controllata e fredda, non si lascia convincere ed al contrario di Chica scherza e sorride poco.
Gli altri sono là a fare il meno possibile la loro parte. Osservano.
Il puma nero è tutto muscoli e controllato, ma poco presente, pare sorvegliato da una vecchietta di settant’anni. Pare accusare il colpo.
Doc è un psico-labile schizzo-para-fobo-noico. Probabilmente ha deciso di fare il dottore perché è un ipocondriaco; così si può auto accertarsi da solo se è sano. Di mente?
Le due grintose ragazze, B&B, Blakie & Blondie. Probabilmente sono rifatte, o almeno corrette in parte con il laser. Sono pronte per lo spettacolo. Zolfo pronto ad essere incendiato, polvere da sparo da mescolare a benzina, dinamite con le fiamme di un incendio. Fuoco radiante da una molecola di plutonio. Wow! Quanto rimugina a loro due nella stanza di là.
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B&B: Blakie & Blondie.
Si alza e va a bussare alla camera da letto.
La risposta è abbastanza chiara, dunque esce e s’incammina in cerca di qualcosa che lo fa sentire vivo. In uno dei locali notturni, il terzo oppure il quarto, e dopo qualche altro bicchiere si affianca ad una ragazza e commenta qualcosa di cui nemmeno si ricorderà. Lei è sposata. Sta per dire che lo era anche lui, ma in realtà non lo è più e non ci tiene che venga fuori della compassione. Non è la serata giusta, non lo è mai.
Sono sulla stessa lunghezza d’onda e è facile appartarsi in un motel da una stella e mezza.

Al mattino si chiede se deve pagarla. Non serve.
Si chiama Esse.
Esse coma Stupenda.
Come da Sogno.
Un paio d’ore e non ci si scervella più!
Un altro volto della notte.
Senza senso.
Sbirro.

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Lo sbirro che arrotonda di nome "Vincent".

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