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Dicembre 26, 2007 - 11:50 pm

New Tokyo.

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Un scintillante mondo di nuove possibilità. Una sorta di terra promessa per cui molti avevano combattuto e perso la vita. Una sorta di miracolo orbitante in mezzo al nulla.

Carrie Lee tirò un’ultima boccata e gettò la sigaretta a una certa distanza con un gesto annoiato. Il mozzicone rotolò poco distante, quasi invisibile nel buio della sera.

Niente più criminalità. Niente più gente che moriva di fame nei bassi fondi e che si arrabattava per tirare avanti. Avrebbe dovuto essere felice di trovarsi lì. Di avere avuto una possibilità come quella che le era stata offerta. Una nuova vita. Un nuovo inizio.

Imprecò passandosi una mano nei capelli. Li aveva tagliati talmente corti che le dita stentavano a trattenerli.

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Aprì le mani scostandole dalla nuca mentre infilava la testa tra le ginocchia e ricacciava con forza inutili lacrime serrando le mascelle fino a farsele dolere.
Si alzò lentamente dal freddo cemento e si avvicinò al bordo del tetto, guardando di sotto. La assalì un oscuro pensiero che di recente si era fatto sempre più ricorrente. Si sentì ondeggiare pericolosamente mentre la vista le si annebbiava, poi una vibrazione proveniente dalla sua giacca la riportò nel mondo reale. Sfilò il cellulare dalla tasca e lo mise rapidamente a tacere. Sospirando, si avviò verso le scale. Era ora.

Era buio in quella zona della stazione. Al limitare dell’area abitata c’era una zona verde più o meno coperta di alberi ed arbusti in cui di giorno la popolazione amava passeggiare e praticare sport. Nel primo mese trascorso a New Tokyo Carry ne aveva provati la maggior parte e ancora adesso continuava a praticarne più d’uno. Aveva bisogno di una valvola di sfogo.
Le piaceva incamminarsi fuori dai sentieri verso l’imbrunire. Camminare nella penombra in mezzo al verde, con le fronde a coprire la volta che li sovrastava perennemente, le permetteva di dimenticare che non si trovava più sulla terra. A quell’ora e in quei luoghi era più difficile notare che sopra le loro teste c’erano spesse pareti a dividerli dallo spazio aperto e non la volta celeste sotto cui era nata. Certo, lì ai bordi dell’anello la gravità diminuiva sensibilmente, ma se ci stava attenta l’illusione poteva quasi funzionare.
Controllò che i dispositivi elettronici che aveva portato con sé fossero attivi e ben funzionanti e poi si sedette ai piedi di un albero. Non dovette attendere a lungo. Udì il rumore di passi sicuri avanzare nel sottobosco e i suoi nervi si tesero leggermente, sull’attenti.
Il profilo di Nakamura si stagliò nella fioca luce che filtrava tra le fronde e lei si rilassò. Vedere il suo volto sereno e sorridente era come respirare una boccata di ossigeno puro. Sentire le sue mani sfiorarle delicatamente il volto quasi altrettanto inebriante.
“Scusami” gli sussurrò stringendosi forte a lui.
“E di che?” rispose dolcemente Robert, scostandola da sé per guardarla in faccia.
“Per averti fatto venire qui” ribatté Carry, la fronte aggrottata per la preoccupazione “Lo so che è pericoloso e che non dovremmo farlo, ma io… non ce la facevo davvero più. Continuare a evitare tutti quanti, vederci solo di quando in quando come fosse per caso, fingere di non conoscersi… ignorarsi totalmente in pubblico o ancor peggio fingere una noncurante indifferenza, salvo poi tenersi in contatto di nascosto… cercare il modo per avvicinarsi gli uni gli altri in modo graduale e non sospetto, escogitando un modo e una scusa nuova per ciascuno mi sta facendo impazzire. Trattenere non solo le parole, ma anche gli sguardi, perché più di ogni altra cosa ci potrebbero tradire… io… io…”
“Sssht” Rob le intimò il silenzio poggiandole un dito sulla bocca. La guardò fissa negli occhi, poi scosse piano la testa e si scostò per baciarle lo zigomo. La guancia. Il lobo. Carry emise un gemito di protesta “Joy…”
Ridacchiando, Rob la rimproverò scherzosamente per aver usato un nome che non gli apparteneva più. Poi la strinse tra le braccia e ruotò alle sue spalle, la prese per mano e la tirò verso il più vicino albero, sedendosi per terra. Lei gli si accovacciò contro, schiena e testa appoggiati ai muscoli del petto, le braccia di lui ad avvolgerla completamente. Poteva sentirlo respirare appena tra i suoi capelli. Sospirò.
“Mi mancano” disse in un sussurro.
“Lo so” disse piano lui, di rimando “Mancano anche a me”.

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Maggio 6, 2008 - 12:10 am

Poche ore erano passate da quando aveva siglato quel contratto apponendo i propri hanzi accanto alla firma di Consuelo.
Aveva lasciato gli altri ancora attorno al tavolo, chip e penne in mano, e si era ritirata nella propria stanza. La testa bassa, in silenzio.
Una volta entrata in quello spoglio stanzino bianco si era distesa sulla branda e aveva chiuso gli occhi, inspirando lentamente. Sul volto disteso aleggiavano i resti della determinazione che l’aveva sorretta fino a quel momento.
Ordinò al computer di spegnere le luci e si concesse di inspirare ed espirare una lunga boccata d’aria mentre le labbra si increspavano in un accenno di sorriso.
Sollevò un ginocchio appoggiandolo alla parete, mentre si portava l’avambraccio alla fronte. Era decisamente pazza, pensò. Il sorriso si allargò di qualche millimetro.

Non c’era alcun dubbio che si fossero cacciati in un gran bel casino, tuttavia era anche vero che le cose sarebbero potute andar ben peggio. Quando si era vista piombare nella stanza d’albergo un’intera squadra d’assalto Arasaka aveva temuto decisamente il peggio. Trovarsi al risveglio ancora libera di camminare sulle proprie gambe aveva decisamente contribuito a tener viva la speranza.
Quando alla fine la porta della sua stanza si era aperta si sarebbe aspettata di trovarsi di fronte chiunque fuorché la faccia di Mr. Smith. Eppure, assurdamente, la cosa l’aveva quasi sollevata.
Li Ann, l’aveva chiamata, senza esitazioni. Sapeva chi era. Lo sapeva molto bene e lei non aveva neanche provato a nasconderlo.
La prima volta che si erano incontrati era stato mesi prima nell’ufficio di suo padre. L’occasione non era stata particolarmente allegra o rilassata, ma di certo quell’uomo non le era stato ostile. Non che questo significasse qualcosa, ovviamente: in un mondo come quello le cose potevano cambiare molto rapidamente, ma Li conosceva le corporazioni e il loro modo di fare. Se lei era ancora in vita e quell’uomo era nella sua stanza era perché volevano qualcosa… e se volevano qualcosa, c’era ancora un margine di trattativa. Minimo, naturalmente, le corporazioni non erano certo note per i propri atti di beneficienza, ma un minimo era pur sempre qualcosa.
Incredibilmente, il fatto che la propria copertura extraorbitale fosse andata in frantumi senza che lei potesse fare alcunché per proteggerla era qualcosa che la rendeva estremamente serena. Felice, quasi.
Quei tre mesi su New Tokyo erano stati una vera tortura, da quasi qualunque punto di vista li volesse guardare.
Quell’avventura era cominciata male fin dal principio. Il colonnello li aveva accolti con una selva di pessime notizie. Un bollettino di guerra freddo e asciutto, una lunga lista di nomi che ancora le facevano stringere la gola. Il Colonnello li aveva scanditi a chiare lettere, proseguendo ineluttabile.
…Theodore ‘Bill’ Rossevelt: deceduto
Il cuore le si era strizzato in petto mentre guardava il pavimento con occhi spalancati e inespressivi. Billy!
…Elizabeth ‘Macho’ Gardner: deceduta
Lo sguardo ancora fisso, aveva sentito un peso gravarle sullo sterno… Betty, così dura e a suo modo così tenera… Si era aperta strada nel suo guscio con noncurante grazie ed eleganza, scivolando delicatamente come una delle sue incredibili camicie di seta.
Col fiato sospeso aveva atteso di udire altri nomi. Ce n’erano stati. Parecchi anche, ma non così dolorosi. E alcuni, grazie al cielo, non erano stati pronunciati.
Il vecchio Frankie sembrava avercela fatta e avrebbe baciato il colonnello per quelle buona notizia. Frank… Dio, quanto le era mancato in quegli interminabili mesi! Impossibile non pensare a lui ogni volta che prendeva in mano un attrezzo, che calibrava un motore. La padrona dell’officina era un tipo in gamba, ma non poteva certo reggere il confronto. Nessuno avrebbe potuto.
A volte, a fine giornata, usciva da quel posto con un tale carico di tristezza che sarebbe potuta salire in sella alla sua moto e guidare per ore, senza neanche sapere dove, salvo poi risvegliarsi dal torpore in mezzo a luoghi sconosciuti e gustarsi divertita il tragitto di ritorno. Ma a New Tokyo non c’era nessuna moto ad aspettarla. Nessuna strada. E i pochi giri di collaudo in pista che faceva di quando in quando non avevano alcuna speranza di fornirle ciò di cui aveva bisogno. Anzi, talvolta la lasciavano frustrata e insoddisfatta, come un amante frettoloso e poco attento.
Così aveva imparato a correre. A piedi. Correva per chilometri, fino a quando le gambe non cedevano e i polmoni non sembravano andarle a fuoco. Un paio di volte aveva avuto al fianco la silenziosissima Wendy, ma la maggior parte delle volte era da sola. Le era capitato di incontrare Edgar, un paio di volte. Lui l’aveva ignorata, naturalmente, e lei non aveva fatto cenno di conoscerlo, salvo poi lasciargli qualche fior di loto nelle aiuole ancora da ultimare. Un piccolo saluto in codice che solo lui avrebbe colto. Forse.
Si era iscritta anche a una palestra di Aikido. Spesso vi aveva trovato Wendy e poiché era più difficile che la cosa destasse sospetti anche in eventuali spie esterne, l’aveva avvicinata un po’ e aveva cominciato a parlarci. Un paio di volte era comparsa anche Greta, ma con lei aveva preferito non rischiare e quindi si erano limitate a pochi scambi di battute superficiali tra una sauna e l’altra. Faceva male. Faceva male fingere diffidenza verso le uniche persone cui teneva in quel posto sperduto nell’universo.
Persino con Joy doveva fingersi una sconosciuta. Quel pazzo forsennato l’aveva seguita in capo al mondo, lasciandosi alle spalle amici e familiari e ora non poteva neanche starci assieme, a parte qualche stupida battuta barman-cliente le sere in cui andava a trovarlo.
Era frustrante. Non poteva starci assieme, perché qualunque atteggiamento troppo aperto o sospetto avrebbe potuto far scattare qualche lontano campanellino d’allarme, ma non era neppure libera di andarsene con qualcun altro. Lui aveva mollato tutto per lei e lei ora si sentiva stranamente in debito nei suoi confronti. Nessuno gli aveva chiesto un accidenti di niente, ripeteva fra sé e sé, quindi non poteva certo vantare diritti su nessuno, né Joy era tipo da farlo, cionondimeno Li avvertiva la cosa come un peso. Come un limite alla propria libertà di decisione. Uno dei tanti, da quando era in orbita.
L’assenza di valvole di sfogo aveva sortito un effetto devastante sull’umore della rigger: il sorriso sembrava essersi perso da qualche parte lungo le vie di San Francisco e i suoi sogni e i suoi desideri erano divenuti sempre più cupi.
Aveva preso a giocare con il suo vecchio pugnale, il primo regalo di Billy Roosevelt, tracciando solchi sempre più profondi all’interno dei suoi polsi, che di giorno teneva coperti con polsiere di stoffa. La sera, infine, dopo allenamento, spesso se ne stava a bere o a fumare sul tetto guardando la volta deprimente dell’anello oppure passeggiando sul parapetto e chiedendosi che effetto avrebbe fatto buttarsi di sotto.
Un paio di volte non aveva resistito e aveva chiamato Joy per incontrarlo di nascosto nel parco che sorgeva al bordo esterno, vicino alle piste per il deltaplano. Eppure non bastava. Non bastava mai. Come per le corse di collaudo in pista… aveva la sensazione che a un’illusione lunga pochi istanti seguisse un’inevitabile insoddisfazione che perdurava per ore.

Quando il Colonnello li aveva chiamati per la loro prima missione le era sembrato di rinascere.

Joy non aveva preso parte alla cosa. Era rimasto su New Tokyo, felice come sempre di quel poco che aveva, mentre lei si era data ai preparativi con una gioia e un entusiasmo che non provava da un pezzo. Aveva dimenticato tutto il resto e si era immersa in assurde pianificazioni assieme a Consuelo.
Certo sapeva che prima o poi sarebbe dovuta tornare a quella vita vuota ed insignificante, ma non era quello il momento di pensarci, si era detta…
E ora il problema era stato risolto alla radice. ¡Adios, Carry Lee!

Si voltò sul fianco e si concesse un sorriso soddisfatto. Forse Smith e la Arasaka non le avevano fatto un gran torto.

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