Background e dettagli della vita privata di Li Ann Zhang | Cyberpunk | Forum

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Background e dettagli della vita privata di Li Ann Zhang
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Gennaio 21, 2007 - 9:23 pm

(Circa quattro anni prima...)

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Era ancora notte fonda, anche se l’orologio del suo deck insisteva a dire che il nuovo giorno era già cominciato. Billy si era offerto di riaccompagnarla in prossimità della zona corporativa, ma lei non aveva voluto. Preferiva fare due passi.
Non che fosse propriamente una cosa saggia da fare, ma aveva imparato a muoversi in quei quartieri, oramai. Niente nel suo aspetto avrebbe attirato l’attenzione dei passanti e anche se qualcuno avesse voluto qualcosa da lei era convinta di sapersela cavare da sola... in qualche modo.
La città era affascinante di notte... sembrava diversa, con tutte quelle luci a distogliere l’attenzione dal suo grigiore e dalle sue brutture, come una puttana con ancora tutto il suo belletto addosso e senza la stanchezza e l’aria sfatta di fine turno.
La città, a suo avviso, era fatta per essere assaporata in queste ore, in cui i rumori erano meno assordanti e l’aria sembrava più pulita. Anche la gente per le strade sembrava diversa... non più rassicurante, forse, ma in un certo qual senso accomunata da un elemento comune, da un codice non scritto che permetteva alle persone di riconoscersi come membri di un medesimo equipaggio, sottomessi alle medesime leggi. Leggi dure e spietate, ma note e accettate da tutti.
Era così innamorata di quel nuovo mondo, così diverso da quello in cui era nata, che riusciva persino a vederci della poesia... Aveva finalmente cominciato a farsi accettare dai ragazzi giù all’Old Style e questo la rendeva stranamente felice. Cominciava a sentire di aver finalmente trovato un posto al mondo, una realtà che le si confacesse e la facesse star bene con sé stessa... ed era più di quanto potesse dire dei vent’anni precedenti.
Attraversò l’ennesimo quartiere sulla strada che l’avrebbe portata verso casa, verso la prigione dorata che i suoi genitori avevano tanto accuratamente costruito per lei, quando i suoi pensieri vennero distratti da una pioggia di insulti e di bestemmie coronata da sordi rumori metallici e il tossicchiare stanco di un motore. Dalla voce, decisamente maschile, sembrava si trattasse di un ragazzo o di un uomo piuttosto giovane.
Si voltò in quella direzione e vide nell’oscurità parzialmente rischiarata da un fioco lampione di un vicolo secondario una figura che prendeva a calci una moto vecchia e malandata.
Era estremamente di buon umore quella sera e decise di mandare a farsi friggere la prudenza e di andare a vedere cosa succedeva.
Mani in tasca e cappellino calato sulla fronte a nasconderle parzialmente il viso, si fermò a pochi passi da lui e chiese “Problemi?”
La figura si girò per un attimo, rivelando il volto regolare di un ragazzo tra i venti e i trent’anni, apparentemente senza cyber-impianti, incorniciato da capelli corti e puliti. La degnò di uno sguardo lungo quanto bastava a inquadrarla e a escluderla come potenziale minaccia, poi tornò a guardare il suo mezzo “Questa str... ha deciso di piantarmi in asso proprio adesso e io sono stanco, stufo e voglio tornare a casa”
“Forse posso darti una mano”
“Ti ringrazio, ma non so proprio cosa potresti fare e comunque non ho soldi con me, perciò temo che dovrai andare a offrire i tuoi servigi altrove”
“Non so per chi tu mi abbia preso, ma fingerò di non aver sentito. E adesso fammi passare” aggiunse facendosi avanti e accucciandosi verso il motore.
“Ehi, che fai? Ti ho detto che non ho niente da darti!”
“Quella parte l’ho sentita piuttosto bene, ma magari oggi è il tuo giorno fortunato”
L’altro rimase in silenzio a guardarla mentre lei testava il motore.
“Hai qualche attrezzo con te? Di norma dovrebbero essercene uno o due per le emergenze sotto la sella.... passameli.”
Il tipo armeggiò per qualche istante intorno alla sella e le passò il sacchetto con gli attrezzi.
Li li guardò con aria critica e poi rassegnata e si diede da fare come poteva.
Dopo una mezz’ora in cui smontò, ripulì alla buona e risistemò vari pezzi, finalmente si alzò, si sfregò le mani e annunciò “adesso dovrebbe andare. Provala un attimo”
Il ragazzo accese il motore, che dopo qualche timido tentativo prese finalmente a scoppiettare in modo regolare.
“Wow. Grazie... Temevo davvero che avrei dovuto tornarmene a casa a piedi, questa sera!”
“Aspetta a ringraziarmi. Le ho dato una sistematina meglio che potevo, ma considerati i mezzi limitati, non so per quanto potrà durare. Ti consiglio di portarla a vedere da qualcuno quanto prima se non vuoi che ti abbandoni sul serio”
“Grazie lo stesso, prometto che lo farò! Come posso ripagarti?”
“Credevo non avessi niente da darmi” gli disse sorridendo con fare beffardo e guardandolo in viso per la prima volta. Però... sembrava carino... peccato che le luci fioche non permettessero di vedere di più.
Lui abbassò lo sguardo, sorridendo imbarazzato. “In effetti, sono un po’ a secco, ma se mi dici dove posso rintracciarti, domani sera potrei darti quello che ti spetta”.
“Non mi devi nulla. Ma se vuoi, domani puoi passare all’Old Style Custom Service sulla 1076°, così la sistemiamo come si deve. Naturalmente in quel caso il servizio sarà a pagamento.”
“Grazie ancora, davvero. Non so che dire...”
“Te l’avevo detto che magari era il tuo giorno fortunato”
“Già”. E sorrise ancora “E posso sapere il nome della mia salvatrice?”
Li alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi per qualche istante. “Mi chiamo Li Ann, ma puoi chiamarmi Li”
“Piacere, Joy”

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Gennaio 23, 2007 - 5:42 pm

(A cavallo tra gli episodi 1. "Un lavoro facile facile" e 2.1 "Lutto e vendetta")

Crudelia era morta.
Non ci voleva neanche credere. Era un tipo strano, ma le era sempre piaciuta. Per certi versi era quella che sentiva a lei più affine, l'unica che non la guardava con ribrezzo o con curiosità quando si infilava uno spinotto nel collo e che non si stupiva se quella strana pratica a volte le dava piacere... E ora non c'era più. Ca...!
Si sentiva a disagio. Come sempre, quando le capitava di stare male nella propria pelle, sentiva il bisogno di cambiare, di fare qualcosa... qualsiasi cosa...
Entrò nella doccia e aprì l'acqua calda. Lasciò che l'acqua le scorresse sulla pelle e che i vapori saturassero la cabina, mentre la sua mente andava a ruota libera. Troppi casini. Troppi pensieri.
Quando ebbe finito prese uno degli asciugamani puliti che Frank lasciava sempre per lei e se lo avvolse attorno. Passò una mano sullo specchio e prese a fissare la propria immagine sulla superficie parzialmente appannata.
Dopo un poco prese a raccogliere i lunghi capelli neri, di cui era a lungo andata orgogliosa, come non faceva ormai da tempo, ma curando di sistemare alcune ciocche copra lo spinotto dell'interfaccia. Non le piaceva che si vedesse.
Poi uscì dalla stanza da bagno, mise su un po' di musica e andò a rovistare in mezzo ad abiti da lungo dismessi.
Aveva deciso. quella sera sarebbe uscita. Infilò un abitino nero, corto, e le scarpe coi tacchi.
Si guardò nuovamente allo specchio. Non sembrava quasi lei.

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Spense la radio e scese di sotto. Frank stava ancora lavorando attorno alla stessa macchina.
'Esco. Prendo la moto'
Quando Frank la vide alzò un sopracciglio, tra l'interrogativo e il sorpreso, ma non disse nulla.
'Non ti preoccupare. Te la riporto intera'.
E uscì.
Frank scosse la testa, e si rimise al lavoro.

Niente spinotti, quella sera aveva voglia di una guida più tradizionale. Non aveva nessuna destinazione precisa, solo voglia di andarsene... andarsene chissà dove. Le luci delle insegne e gli alti palazzi le sfrecciavano accanto, perdendosi alle sue spalle assieme ai suoi pensieri, assieme a tutto quello che era successo in quest'ultimo periodo...
Si trovò nel parcheggio dell'Inferno senza neanche rendersene conto. Buffo dove torna l'inconscio, quando è libero di fare di testa sua, si disse spegnendo il motore. ‘Beh, pazienza’.
Scese dal mezzo, si sistemò l'abito e i capelli e si avviò verso l'entrata.

La musica era assordante. I bassi le rimbombavano nei polmoni, nelle vene, provocando una lieve sensazione di stordimento. Si avvicinò al bancone e si guardò intorno. C’erano solo un paio di ragazze in abiti succinti che servivano da bere. ‘’Niente spettacolo, sta sera. Beh, forse è meglio così.’
Alyssia arrivò quasi subito.
"Ehi, ciao Li! E' un sacco che non ti si vede"
"E già..." disse guardando nervosamente a destra e a sinistra
“Dov’eri di bello?”
“In giro...”
"Cosa ti servo? Il solito?"
"Sì, grazie. Doppio e con ghiaccio."

Prese il bicchiere e andò a posizionarsi in un angolo, vicino a una delle casse, lasciando che il vibrare dei bassi e l'alcool facessero il loro effetto, poi scese in pista e si mise a ballare.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato. Né quanti drink.
Le sensazioni erano quasi oniriche, il cervello piacevolmente ovattato. Quando lo vide in mezzo alla folla non era neanche certa che fosse lui.
Era poco distante e stava ballando anche lui. 'Serata libera' registrò automaticamente.
Non sapeva che fare.
Era bello. Era dannatamente bello. Lo era sempre stato.

** you do not have permission to see this link ** Joy R. Tanaka

Senza nemmeno rendersene conto era rimasta lì come una stupida a guardarlo e a lasciare che i suoi occhi ripercorressero all'infinito quei lineamenti tanto noti e tanto amati, mentre ricordi dolceamari affioravano liberamente.
A un certo punto i loro sguardi si incontrarono.
Mer...!
Sembrava sorpreso. Ma non arrabbiato. Chissà... magari gli era passata.
O magari anche il suo tasso alcolico non era dei più bassi.
Era ancora indecisa sul da farsi quando si accorse che lui le stava andando incontro.
"Li..."
"Joy, io..." ma perché diamine doveva farle ancora quell'effetto? "s... scusami, io non... "
Lui le mise un dito sulle labbra "Shht. Balliamo"
E ballorono, ma già sapeva come sarebbe andata a finire.

Mal di testa. E una gran sete.
Le prime sensazioni, quella mattina, furono quelle. Poi subentrarono l’inconfondibile profumo di Joy e la sensazione di lenzuola ben più raffinate di quelle in cui aveva dormito negli ultimi tempi.
Qualche fumoso ricordo l'aiutò a ricostruire gli avvenimenti della sera precedente.
Inferno. Alcool. Pista da ballo. Joy.
Joy...
Si girò lentamente nel letto. Lui stava ancora dormendo.
Dio, guardarlo faceva quasi male.
Anni prima aveva perso la testa per lui. Non le sarebbe stato mai indifferente. Eppure...
Era stato un errore. Doveva andarsene da lì. Prima che fosse troppo tardi. Prima che ricominciassero a litigare.
Lui non avrebbe mai accettato il suo nuovo stile di vita. E lei non era ancora pronta a cambiarlo. Forse non lo sarebbe stata mai.
Se non fosse stata così stanca e se non avessero bevuto entrambi così tanto, la sera prima, non sarebbe mai successo. Probabilmente neanche lui l’avrebbe fatto.
Scese delicatamente dal letto, silenziosamente si rivestì, raccolse le scarpe e si avviò verso la porta.
Si voltò a guardarlo ancora una volta, sospirò e poi uscì.

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Gennaio 23, 2007 - 5:44 pm

Quando rientrò all'Old Style Custom Service, Frank e gli altri erano già al lavoro.

** you do not have permission to see this link ** Jordan Montero Smith

Frank si era infilato sotto una Buick da museo e Pablo gli stava dando una mano. Ivan, nel frattempo stava imprecando attorno a una Harley.
Portò dentro la moto, spense il motore e scese, mentre gli altri si erano fermati a guardarla. Non erano abituati a vederla vestita così. Non erano abituati neppure a vederla come donna.
Pablo fischiò. "Ehi, Li, serata brava, eh? Rimorchiato qualcuno?"
Li non lo degnò di uno sguardo, né di una risposta. Andò dritta al pannello in fondo all'officina per appendervi le chiavi della moto. Tra i loro clienti ce n'erano molti che le utilizzavano ancora.
Frank uscì da sotto il motore della Buick e la guardò.
"Tutto a posto?"
"Assolutamente."
"..."
"Va che è un gioiellino. La forcella mi pare perfettamente dritta, adesso; il motore fa le fusa come un gatto e i freni sono a posto. Dopo il trattamento che le ha fatto Ivan inchioderebbe anche andando a tavoletta. Spero solo che chi la guiderà sappia il fatto suo. Comunque ho provato tutto quel che c'era da provare. Puoi chiamarli e dirgli di venirsela a riprendere.
Novità?"
"E' passato Roosevelt a mollarci la sua carretta"
"Theo?!"
"No, Franklin. Gli serve per stasera. Jordan gli sta già dando un'occhiata. Vedi se gli serve una mano. E' di sotto."
Li sorrise. Il piano di sotto era quello dove si facevano i lavori più interessanti. E poi si stava molto più tranquilli. Il vecchio Frank non si era fatto ingannare.
"Bene. Mi cambio e poi scendo".

La mattina passò tranquillamente. Jordan era uno molto silenzioso, ma davvero in gamba. Lavorare con lui era sempre piacevole: metteva sempre le cose in chiaro, onde evitare di pestarsi i piedi a vicenda e si poteva star certi che il lavoro fatto era perfetto.
Le uniche battute che si erano scambiati avevano riguardato la suddivisione dei lavori: Jordy avrebbe controllato la parte meccanica e lei quella elettronica. La messa a punto dei mezzi prima di una gara era fondamentale.

All'ora di pranzo salì al piano superiore. Pablo e Ivan erano andati a mangiare qualcosa assieme. Frank le allungò un sandwich e si misero a mangiare seduti su un gradino della scala che portava di sopra.
Frank la guardò per un attimo e rimase zitto. Poi riprese a mangiare il suo panino.

Dopo qualche minuto Li ruppe il silenzio
"Ieri sera sono andata all'Inferno"
"..."
"Ho visto Joy"
"..."
"Ci sono andata a letto"
Frank smise di masticare e si voltò a guardarla.
"L'ho sempre detto che sei una masochista."
"..."
"Certo che anche lui non scherza. Almeno uno di voi due avrebbe potuto dimostrare un poco di buon senso, una volta tanto."
"Non ho potuto farne a meno, Frank."
Frank alzò un sopracciglio, ma rimase in silenzio.
"L'amo ancora".
"..."
"Credo che anche lui provi ancora qualcosa per me, ma... per il momento non è semplicemente possibile: lui non è pronto ad accettare la vita che faccio e io non sono pronta a rinunciarci".
"..."
"..."
"Sai già come la penso. Sarebbe ora che vi lasciaste in pace e che proseguiste ciascuno per la propria strada. Tormentarvi così non serve a nessuno. E' finita, Li, e sarebbe ora che lo capiste. Tutti e due" dopo di che si alzò, si passò le mani sui pantaloni, e tornò a lavorare. Senza dire un'altra parola.
Li si alzò a sua volta e tornò di sotto. Forse Frank aveva ragione. Ma era dura. Faceva male.

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Febbraio 20, 2007 - 12:10 am

(In ordine cronologico, sempre all'interno di 2.1 "Lutto e vendetta", la vita Li prosegue nei seguenti racconti, postati sotto altri topic: ** you do not have permission to see this link **)

** you do not have permission to see this link **

Joy sembrava aver apprezzato particolarmente il suo look. Forse era tutto merito di Betty... o forse gli faceva semplicemente piacere rivederla.
A Li non sembrava vero che le stesse offrendo una seconda possibilità, non dopo gli eventi dell’ultimo anno e sicuramente non dopo come se l’era svignata la mattina del loro ultimo incontro, eppure... qualcosa sembrava essere cambiata in lui ed era decisa a scoprirlo.
Non era stato facile fare in modo che nessuno se ne accorgesse, ma un po’ grazie all’imprevisto causato da Midori e un po’ grazie al fatto che quell’improvviso break nella loro attività lavorativa sembrava aver risvegliato la vita ormonale dell’intero gruppo, era riuscita a non dare troppo nell’occhio e a fermarsi all’Inferno anche dopo che tutti gli altri se n’erano andati.
Aveva intenzione di aspettare che il locale chiudesse per riuscire a parlare un po’ con lui. Se poi la serata fosse sfociata in qualcos’altro, certamente non si sarebbe tirata indietro. Ma questa volta voleva essere certa che non succedesse per errore. Voleva capire.
La discoteca si era finalmente svuotata e Joy non sembrava dispiaciuto che lei lo avesse aspettato. Tutto stava andando esattamente come voleva, ma per qualche stupida ragione ora che se lo trovava davanti non sapeva più che dire. Delle miliardi di cose che avrebbe voluto chiedergli le uscì solo un imbarazzato “I ragazzi giù alle corse mi hanno detto che da un po’ di tempo sei uscito dal giro. È vero?” “Vero”. Silenzio. Panico. E brava Li. Così gli hai fatto sapere che ti sei informata su di lui, lui te le ha tagliate corte e tu non sa più cosa fare. Brillante...
Stava per balbettare qualche altra frase di circostanza quando lui ruppe il silenzio “Ti faccio vedere un posto”.
Per un attimo non seppe semplicemente cosa dire, colta completamente di sorpresa. Annuì, senza quasi rendersene conto e lui in risposta le porse un casco. La moto era la stessa con cui si erano conosciuti anni prima. Li riuscì a riprendersi quel tanto che bastava per cominciare a fare domande, ma lui alzò le sopracciglia e abbozzò uno dei suoi soliti sorrisi e disse “Sorpresa”.
Inutile protestare. Non avrebbe ottenuto nulla di più. Tanto valeva seguirlo. Magari mi porta da lui.. Un pochino sfacciato, se vogliamo, ma chissene...
Salì in groppa al mezzo e lasciò che la portasse dove voleva.
Dopo un paio di isolati le fu chiaro che non la stava portando a casa sua. D’acchito ci rimase un po’ male, ma poi la curiosità ebbe il sopravvento. Arrivarono nella zona est della città, in una bella area non corporativa ma ad alta sorveglianza in cui si trovavano alcune ambasciate storiche, tra cui quella europea.
La moto si fermò di fronte ad un pub. Mi ha portata in un pub?! L’insegna “Shamrock” era spenta. Fantastico disse fa sé e sé. Un pub irlandese... Chiuso, per di più!
Joy si voltò a guardarla, cercando di decifrare l’espressione del suo volto, mentre lei si stava facendo violenza per non far trasparire la cocentissima delusione. Che cosa si aspettava che facesse?
Grazie al cielo Joy mise rapidamente fine alle sue sofferenze girandosi e rovistando nelle tasche, per farne uscire un mazzo di chiavi con cui aprì la porta del pub.
Li era senza parole.
Joy le fece cenno di entrare. Chiuse la porta alle loro spalle e accese le luci.
Era un bel posto. Un po’ polveroso e con dei lavori ancora da fare, ma l’atmosfera era piacevole, accogliente. Li si guardò stupita in giro, poi si voltò a guardarlo e sorridendo chiese con fare inquisitorio “E questo?”
“Allora, ti piace?”
“S...sì. Direi proprio di sì... Specie quando sarà finito.”
“Bene...” concluse sorridendo “perché è mio”.
La mente di Li rovistò freneticamente nei ricordi del passato. Già, forse una volta le aveva accennato che gli sarebbe piaciuto un posto tutto suo, ma non era sembrato un vero e proprio progetto, solo una vaga speculazione...
“Lo... lo hai fatto! Hai comprato un locale tutto tuo!” E lei non ne aveva saputo nulla. Non lo aveva neanche sospettato. All’improvviso la distanza tra loro le sembrò enorme. Insormontabile.
Si sforzò di sorridere “Sono felice per te”.
Joy non sembrava aver colto il velo di tristezza dietro a quel sorriso. Anzi, sorrideva felice ed orgoglioso guardandosi attorno. Le mostrò tutto: l’angolo per le freccette, la saletta del biliardo, il bancone storico di immigrati irlandesi del 1920.... C’era persino un vecchio juke-box. Era chiaro che Joy voleva farne un locale vintage.
Li lo seguiva affascinata, lasciando che le descrivesse tutto nei dettagli, felice che la rendesse partecipe dei suoi progetti, dei suoi sogni. Sembrava così felice... era da molto, molto tempo che non lo vedeva così e se da un lato ne era davvero contenta, dall’altro la cosa la rendeva anche inspiegabilmente triste. Che cosa aveva fatto? Cosa diamine aveva rischiato di perdere per testardaggine? Che cosa aveva già forse irrimediabilmente perduto?
Contrariamente al suo, l’umore di Joy sembrava piuttosto alto “Cosa ti offro?”. Un altro sorriso.
“Qualunque cosa, ma preferibilmente analcolica” Era la seconda volta che gli faceva quella richiesta insolita quella sera, ma lui non sembrava darci peso. Perché non mi chiedi il perché, brutto scemo? Perché?!
Le versò da bere senza fare commenti e per sé spillò una pinta di Caffrey. Le raccontò che una delle ultime scommesse che aveva vinto era stata saldata con il contratto di proprietà di quel posto... era di un tizio pieno di soldi che non sapeva cosa farsene di quel locale e quando gli aveva fatto quella strana proposta, lui l’aveva interpretata come un segnale e aveva colto al volo l'opportunità.
Dopo qualche attimo di silenzio, sorseggiando con molta calma la sua birra, Joy chiese “Allora, come va?”
“Abbastanza bene” buttò giù un sorso. Ma perché diavolo non gli aveva chiesto un whisky? Altro che roba analcolica... un whisky era proprio quello che ci voleva in quel momento “Ho lavorato un po’ in questi ultimi tempi... ma non è propriamente un giro tranquillo” aggiunse ripensando all’incursione di quel pomeriggio nel territorio dei Preachers.
Joy annuì “Simpatici i tuoi amici”.
“Sono colleghi, non amici. Anche se qualcuno di loro potrebbe diventarlo”.
“Spettacolare l'approccio di quel Rato alla Poser” disse sorseggiando lentamente la sua pinta.
“Lo abbiamo conosciuto ieri. Non l’avrei neanche invitato non fosse che pareva volerci uscire una dei nostri. Onestamente non so come possa trovarlo interessante”
“Lei lo ha trattato con molta gentilezza, penso che per qualche motivo gli sia grata...” aggiunse con l’aria saputa dei baristi che vedono un sacco di cose “però senza farsi vedere ha guardato un’altra persona per tutta la sera...”
“In effetti è uscita da sola. Il che dimostra che ha più buon gusto di quanto temessi”.
“Non ho mai visto un essere umano bere in quel modo. Pare che l'alcool non le faccia nessun effetto”.
“Magari ha troppe cose da buttar giù” ribatté Li “Ha appena perso una sorella. L'unica famiglia che le era rimasta”
Joy non disse nulla. Rimase in rispettoso silenzio per un po’, mentre i pensieri di Li fuggivano in dolorosi ricordi di cui lui non era chiaramente partecipe.
“Se ti servisse qualcosa...” aggiunse dopo un po’, per spezzare il ghiaccio che era andato creandosi.
“Grazie, ma spero di non dover coinvolgere nessuna delle persone cui tengo”.
Joy sembrò cogliere il riferimento e sorrise. Ma rimase zitto.
Li non ce la faceva più. Era tutta la sera che voleva dirglielo, anzi, ancora da prima, da quando lui le aveva lasciato gli inviti per il concerto “Senti... mi spiace per come me ne sono andata l’ultima volta... ma...” non riusciva a guardarlo negli occhi. Dirglielo era già abbastanza difficile. Se avesse letto qualcosa, qualunque cosa nel suo sguardo avrebbe potuto non riuscire a concludere il discorso “Avevamo bevuto parecchio quella sera... tutti e due... e avevo paura di scoprire che al mattino ti eri pentito di quello che avevi fatto la sera precedente”
Lui rimase in silenzio, guardandola.
Li trovò finalmente la forza di guardarlo negli occhi “Non volevo scoprire che era un errore dovuto all'alcool. Così ora ho deciso di restare assolutamente sobria...”
Lui continuò a fissarla, sempre appoggiato al bancone e con la birra in mano. Serio in volto, le mostrò la sua pinta. Era la prima della serata. E in servizio non beveva mai.
Sembrava molto tranquillo... nessun gesto sembrava rappresentare una qualche forzatura. Li non aveva ancora deciso se era un bene o se era un male. Cercò di rilassarsi a sua volta. Ma non era facile. Aveva sperato che lui l’abbracciasse, che le dicesse qualcosa, ma Joy se n’era rimasto dov’era, mantenendo le distanze.
Era meglio cambiare argomento. Di figuracce se n’era già fatte abbastanza quella sera “Ho visto Hide molto teso al concerto”
“Parecchio... Da quando Midori lo ha mollato è una corda tesa. Non lo ha assolutamente accettato. Rischia di perdere il controllo”.
“Credo sia meglio che tu gli stia vicino... non so se la situazione andrà migliorando”.
“Ci proverò”
“Midori rischia di non farcela, un’altra volta”.
“Già...è un po' fuori controllo”.
“È molto fuori controllo. E Hide è uno a posto. Mi spiace vederlo così”.
“In gamba il tuo amico dottore...”
“Molto. Stasera è stato proprio grande”
“È anche un bel tipo...” Lo disse seriamente, con un espressione così indecifrabile che Li non sapeva come interpretare quel commento.
“Lo so, ma non sembra accorgersene o darci peso.” In effetti Doc è davvero carino, ma sembra vivere su un altro pianeta. Rinchiuso nel suo camice come dietro una barriera... era la prima volta che lo vedevo in abiti normali... era così impacciato! “Comunque non è il mio tipo”
Li alzò lo sguardo, tra la curiosità e il timore di vedere la sua reazione, ma Joy stava sorridendo. Aveva finito la birra e stava sciacquando il bicchiere.
“Naturalmente è sott’inteso che all’inaugurazione, fra un mese, tu ci sarai” le disse, puntandole il dito sulla spalla.
“Naturalmente. Quando vuoi”.
Le sembrava di impazzire. Aveva temuto che fosse arrabbiato con lei o che non la volesse più rivedere, mentre invece era davvero gentile, caldo quasi... eppure non stava facendo nessuna mossa. “Dove vuoi che ti riporti? All’Old Style? Da qualche altra parte?”
Le veniva quasi da piangere. Tutto qui? Io sto cercando di farti capire in tutti i modi che sono ancora pazza di te e questo è tutto quello che mi sai dire? Ma allora perché mi hai portata qui? Perché?! È solo un’amica quella che vedi? È solo questo? Mi fa piacere che tu mi voglia di nuovo nella tua vita, Joy, ma non so se riuscirò a fare la brava e a restarmene in un angolo.
“Ho lasciato il mio mezzo da Fixit, ma non ho voglia di andarci subito”. Aveva sperato che lui la portasse a casa sua. Era venuta con Betty, quella sera, e aveva lasciato il mezzo dentro al garage di Fixit. Naturalmente non aveva le chiavi. A quell’ora non poteva andare da nessuna parte. Stavano dormendo tutti. Ma sarebbe morta piuttosto che farglielo sapere “Puoi lasciarmi dove vuoi. Magari mi faccio quattro passi”. Patetica... fa freddo ed è quasi l’alba... dove cavolo pensi di andare? E per quanto, poi? Idiota, idiota, idiota. Pensavi di sedurlo, eh? Cretina che non sei altro...
Joy la guardò e le chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo “Se ti va possiamo fare colazione assieme”. Lo aveva detto con una tale naturalezza che Li non riusciva a capire se lo aveva fatto perché aveva colto il suo imbarazzo o se perché l’idea gli era davvero appena balenata per la testa “Conosco un posticino simpatico che è aperto a quest’ora”.
“O... ok” qualunque cosa pur di restare ancora un poco assieme a lui. E di non camminare come un idiota per ore per mezza città... vestita così, poi...
Joy riprese i caschi, chiuse le luci del locale e sbarrò la porta. Mise in moto il mezzo e le fece cenno di salire.
La portò in un piccolo chiosco, di fronte alla baia di San Franscisco, che guardava dritto al Golden Gate. Si sedettero su una panchina, all’aperto. L’aria era decisamente frizzante, ma il panorama toglieva il fiato.
“Ciambelle e caffè?”
“Per me un tè, grazie”
Joy andò al bancone e tornò con due cartocci fumanti e due bicchieri termici colmi di liquido bollente. Gliene porse uno e si sedette accanto a lei, guardando anche lui l’oceano.
Faceva freddo. Li stringeva il bicchiere fra le mani, per scaldarle, e osservava il panorama, anche se era fin troppo conscia del profilo di Joy ai limiti del suo campo visivo e del tepore che emanava la gamba di lui, distrattamente a contatto con la sua.
Avrebbe voluto fermare il tempo. Impedire che arrivasse domani. Illudersi che le cose avrebbero potuto restare così per sempre... illudersi che le cose non fossero mai cambiate.
Avevano gustato così tante albe, assieme, che le venne spontaneo prendergli il braccio e accoccolarsi a lui, come aveva sempre fatto, poggiandogli la testa sulla spalla. Si rese conto di cosa aveva fatto solo quando ormai era troppo tardi. E adesso?
Joy non si era minimamente scomposto, quasi avesse trovato quel gesto altrettanto ovvio e naturale.
“Si sta proprio bene, qui” le disse.
“Già. Vorrei poter restare così per sempre”. Era il massimo che sarebbe riuscita a dire. La cosa più vicina a una dichiarazione che chiunque avrebbe potuto sperare da lei. Ora stava a lui decid...
In quel momento arrivò qualcuno al chiosco. Li si girò a guardare infastidita, l’incantesimo oramai spezzato, e le si raggelò il sangue nelle vene. L’uomo che era appena arrivato indossava una tonaca da sacerdote. Un predicatore! Accidenti! E adesso che faccio!? Non ho armi con me! Oddio... e Joy? No, Dio, Joy no... lascialo fuori...
L’uomo ordinò un caffè. E non la degnò di uno sguardo. È solo un prete, Li, calma... non è niente...
Joy si era girato a guardare, notando il suo nervosismo “Va tutto bene?” Era sinceramente preoccupato. Intanto il sacerdote se n’era andato sul suo scooter elettrico.
“Io... temevo che... ci fossero guai in arrivo”. Lo sguardo che gli porse era disperato. Aveva temuto che quello fosse un predicatore... e che fosse venuto lì per lei. E che li avrebbe ammazzati entrambi. “Ho temuto... che tu... potessi rimanerne invischiato. Io... mi spiace davvero Joy. Scusa. Forse è meglio che me ne vada”
Joy la guardò dritta negli occhi. Serissimo. Poi scosse la testa, sconsolato “Vieni qua” e se la strinse contro, abbracciandola, mentre Li tremava come una foglia. Le baciò i capelli, accarezzandola lentamente, con dolcezza “Scema...”

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Marzo 4, 2007 - 3:56 pm

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

Nelle prime ore del pomeriggio dopo il concerto Li tornò in quella che era stata la casa di Crudelia.
Betty la stava aspettando. Non si conoscevano da molto, ma per qualche motivo sembrava essersi formato una sorta di legame fra le due. Forse a causa della grave perdita o forse per riconoscenza per quello che stavano facendo per vendicare la sorella, Betty sembrava essersi molto affezionata a tutti loro. E incredibilmente la cosa sembrava non dispiacere neanche a Li.
Alla lettura del testamento e quand’erano andati a “riscuotere” le rispettive eredità Betty era risultata molto silenziosa. Non che qualcuno si aspettasse qualcosa di diverso, naturalmente, considerata la situazione...
In quell’insolita fase di presentazioni il sentimento prevalente, dopo il dolore, era stato molto probabilmente la sorpresa. Sorpresa anzitutto di trovarsi lì, sorpresa che l’enigmatica Crudelia fosse giunta a volerli includere nel proprio testamento, e infine sorpresa per gli inaspettati risvolti della sua vita privata. Non tanto quelli relativi al suo secondo lavoro, che tutti più o meno conoscevano e accettavano, ma quelli incredibilmente normali e abilmente nascosti come il fatto di avere ancora una famiglia. Una sorella di cui nessuno sapeva nulla e cui invece sembrava essere stata molto legata.
Chissà, probabilmente neanche Betty aveva mai saputo di loro... Come spesso capita in simili frangenti, entrambe le fazioni avevano preso a studiarsi un po’ a vicenda, per cercare di ricostruire qualche pezzo dell’incredibile puzzle che Crudelia aveva sempre rappresentato, quasi a cercare di trattenerla ancora un po’ ancorata a questa terra... a renderne il rapido passaggio meno vano.

Dopo i primi convenevoli erano scese nella rimessa dove Betty stava lavorando sulla propria moto e avevano cominciato a parlare della sera precedente. Pur essendo arrivate all’Inferno assieme, infatti, se n’erano andate ognuna per conto proprio e senza quasi riuscire a salutarsi.

[...]

“Senti, posso chiederti una cortesia? Potresti dare un’occhiata a questo benedetto motore? Ho qualche difficoltà...”
A dire il vero l’occhio clinico di Li aveva notato l’inesperienza dell’altra già da un pezzo, ma non aveva osato intervenire per tema di urtarne la sensibilità. Accolse la richiesta con grande piacere: le era sempre piaciuto mettere le mani tra tubi, lamiere e pistoni di tutti i mezzi che le erano capitati a tiro “Dai, fammi posto... l’olio motore non ti si addice” ribatté sorridendo “E poi devo ancora ringraziarti per la consulenza di moda!”
Betty intanto si era alzata e, dopo essersi data una ripulita alle mani aveva tirato fuori da bere “Non c’è problema... è stato un piacere...”
Li prese una birra, l’alzò a mo’ di brindisi, ne bevve un sorso e si mise al lavoro.
Betty la osservò per qualche attimo, poi aggiunse “Ti stanno bene molte più cose di quanto credi”.
Li rispose con uno sbuffo “Peccato siano poche quelle in cui sto davvero comoda!”. Mandò giù un sorso e si voltò a guardare l’altra “E poi, onestamente, sarebbe un delitto sporcare certi abiti. Era molto che non indossavo roba così bella...”
Betty la guardò seria negli occhi “Non svenderti, Li. Mai.” e tirò una lunga sorsata di quella che avrebbe potuto sembrare un’acqua tonica (?!?).
“Assolutamente...” rispose Li, tornando a concentrarsi sul lavoro “ma non mi va neanche di mettermi in vendita... non sono una mucca al mercato”.
“Non lo sarai mai.”
“Non lo sarò mai più, questo è sicuro...” la sua espressione si fece più buia “Non è una bella sensazione”.
“Ah, se lo so!..”
Li si voltò stupita a guardarla “Ci hanno provato anche con te?!”
“Sì...”
“È per quello che te ne sei andata? Che ve ne siete andate?”
“Esatto... Ce ne siamo andate praticamente nello stesso periodo. Non è facile essere figli di Adamiti”
Li strattonò con forse un po’ troppa forza un bullone testardamente resistente “Neanche di corporativi... E il dio che servono è ancor più vile”.
“Fedi diverse, ma con modi di professare molto simili...”
“Oddio, forse professare non è esattamente la parola che avevo in mente...”. Dopo un attimo di silenzio scoppiò a ridere “Chissà, magari i nostri andrebbero d’accordo coi Preachers!”
Betty intanto stava seguendo un altro filo di pensieri “Certo, però, che a noi sono capitati gli unici Adamiti con la fissa di dare nomi Disney ai propri figli !”
Questa sì che era una novità. In effetti si erano stupiti tutti quando avevano scoperto che Crudelia non era un semplice nome d’arte, ma per quanto la sua memoria si sforzasse non ricordava nessun personaggio che si chiamasse come Betty.
“Ti svelerò un segreto...” continuò intanto l’altra “Io non mi chiamo Elizabeth”. L’espressione sul suo viso era sempre più imbarazzata “ In realtà io...”
“Betty, se la cosa t’imbarazza, non dirlo. Davvero, non importa”
“Beh... mi chiamo *******”.
Li rimase semplicemente scioccata, ma non permise al suo volto di esprimere più di un’incredula sorpresa. L’altra, intanto, occhi al suolo, continuò “Ti lascio immaginare la mia infanzia a scuola”.
Li fece una smorfia “I bambini sanno essere terribilmente crudeli a volte”.
“Già. Ne ho pestati un bel po’!”.
“Sai, forse, tutto sommato, con tua sorella sono stati meno clementi... Il nome è decisamente più comune, ma il riferimento è terribile”
“Vero”
“Non capisco perché certa gente metta al mondo dei figli”.
“Neanch’io”
“Bisognerebbe sterilizzarli tutti” concluse rabbiosamente la minuta orientale, alzandosi da terra.
Betty le passò uno straccio per pulirsi le mani “Grazie”.
“È stato un piacere” rispose Li riprendendo finalmente a sorridere “Figurati che i motori mi sono sempre piaciuti, ma non mi è mai stato concesso di avvicinarmici!”
“Direi che è stato un clamoroso errore nella valutazione delle tue possibilità”.
“La mia famiglia era piuttosto tradizionalista... e io ero nata del sesso sbagliato per le mie propensioni...” aggiunse finendo la propria bibita “o forse semplicemente avevo gusti che non li soddisfacevano”. Gettò la lattina nel vicino cestino “Mi hanno disconosciuta, alla fine, lo sai? Mio padre mi ha denunciata e mandata in galera come l’ultimo dei pezzenti...”
Li non ne aveva mai parlato con nessuno, eccetto che con Frank, ed era veramente insolito che riuscisse ad aprirsi tanto con qualcuno che conosceva da così poco tempo, ma non aveva mai sentito una persona così affine a lei. L’istinto le diceva che Betty avrebbe capito. E poi anche lei le aveva rivelato aspetti di sé decisamente imbarazzanti... Le sembrava naturale e giusto ricambiare tanta fiducia “Non che io fossi esattamente una figlia modello, intendiamoci, ma comunque!”.
“Beh, direi ce ne passa dal rimprovero alla galera!”
“Mio padre non è mai stato tipo da mezze misure e l’educazione dei figli in Cina è sempre stata molto rigida. Lo so che siamo in America, ma quello è un tratto che si è portato appresso e che non ha mai perso. Così io ho avuto la fortuna e il privilegio di godere di un angolo di Cina in piena S. Francisco”.
“Io invece vivevo praticamene in una colonia dello Utah”.
Li fece una smorfia “Noto nel nostro passato dei parallelismi sempre più forti... L’unica cosa che ti invidio, forse, è che hai avuto una sorella. Per il resto non so chi se la sia cavata peggio” aggiunse sorridendo tristemente.

[...]

Li diede gas al motore per verificare che tutto fosse a posto e comunicò compiaciuta “Ah, queste sono le cose che mi piacciono!”. Indicò prima la moto “Motori che funzionano...” e poi Betty “e persone che sorridono!”.
Il sorriso di Betty si allargò di rimando “Mi darò una rassettata prima di raggiungere gli altri. Sentiti libera di usare il mio bagno se vuoi fare altrettanto”
“Oh, sì, ti prego, anelo a una doccia!”.
Quando risalirono al piano superiore Li notò un sacco a pelo disteso sul pavimento del salotto “E questo?” chiese indicandolo, divertita “Il letto non era comodo?”
“Non sono abituata a dormire a letto. Ringrazia il cielo che non ho montato anche la tenda!”
“Mai provato i divani?” aggiunse con fare fintamente serio “Sono fantastici... ti consiglio quello di Frank. È il mio capo, giù in officina...”
“Mmh... grazie dell’idea!” rispose scherzosamente Betty “Potrebbe essere un buon compromesso...”
“Ti potresti risparmiare un bel po’ di mal di schiena!”
Betty rise e le porse un accappatoio, aprendole la porta del bagno.
La stanza era interamente piastrellata di nero, ed era tenuemente rischiarata da dei neon color blu. Sembrava un ambiente piuttosto confortevole, anche se lo stile estremo di Crudelia lo permeava da cima a fondo. In un angolo della stanza, di fronte ad uno specchio gigantesco, c’era una splendida jacuzzi rotonda, di circa due metri di diametro”.
Erano anni, ormai, che Li usava solo docce soniche e la vista di quella vasca tradizionale fu come un tuffo al cuore “Wow... posso?!”
Betty fece spallucce “Prego. Prenditi tutto il tempo che vuoi”. Sembrava quasi che quei lussi la lasciassero indifferente.
“E’ un vero peccato che non possa metterne una sull’ambulanza di Fixxie. Le vasche piene d’acqua sono l’unica cosa della mia infanzia di cui sento davvero la mancanza”.
“In effetti sono comode. Anch’io mi ci sono abituata in fretta”.
“A casa dei miei ne avevamo una enorme, sempre piena di acqua bollente in caso dovesse arrivare qualche ospite di riguardo... Io mi divertivo a intrufolarmici di nascosto e far imbestialire mia madre, che voleva usassi quella riservata noi”
“Ti ci vedo, sì” disse ridendo e indicando intanto i contenuti di un armadietto in cui Crudelia aveva tenuto vari prodotti di lusso: oli, sali, balsami... evidentemente era stata una persona che curava molto il proprio corpo.
“Se hai bisogno di qualcosa, fai un fischio. Buon relax”
“Vuoi unirti a me?” Troppo tardi si rese conto che chi aveva di fronte non aveva le sue stesse radici culturali e che forse avrebbe potuto trovare sconvolgente quella proposta. Betty, però non sembrò scioccata, anzi accettò la cosa in tutta tranquillità. Probabilmente la vita di strada aveva sviluppato in lei un comportamento fortemente cameratesco.
Li si fece prima una doccia, per togliersi sudore e sporco di dosso, poi, una volta sciacquata, si immerse nella vasca fumante che nel frattempo si era riempita d’acqua. Betty aveva attivato anche un lieve idromassaggio e le due donne si sistemarono una di fronte all’altra, fianco a fianco, per immergersi fino al collo e godersi quel momento di puro relax.
“Ecco...” disse Li, sorridendo a occhi chiusi, col capo reclinato all’indietro sul bordo della vasca “sono di nuovo in debito con te”.
Betty le tirò scherzosamente una spugna “Non parlare di debiti!”
“Scherzi? Tutto questo è semplicemente impagabile... e poi ultimamente ai debiti ho fatto quasi il callo, quindi non ti preoccupare, dormirò lo stesso stanotte” rise “E poi non mi spiace affatto essere in debito con te”
Da sotto l’asciugamano bagnato che le copriva l’intero viso ad eccezione della bocca Betty le rispose “Sei una testona. Sono io a essere in debito con te”.
“Vabbe’, non importa... vuol dire che ci sdebiteremo a vicenda”.
“Non sai com’è difficile trovare una persona con cui parlare” disse Betty e poi aggiunse “e che contemporaneamente ti ripara la moto, oltretutto”.
Li rise “In effetti non ci avevo pensato... il parlare è un extra: di solito lavoro in silenzio... ok, allora sei in debito tu” e con un piede le schizzò il viso con dell’acqua.
Betty rise e rispose a quell’attacco.

Finirono di prepararsi e quando uscirono per raggiungere gli altri Betty le mise in mano una copia delle chiavi dell’appartamento “quando avrai bisogno di un posto tranquillo, potrai venire qui. Anche se io fossi in giro da qualche altra parte”.
Li la guardò, estremamente sorpresa di quel gesto “Betty, ma scherzi?”.
“Sssht, non protestare. Mi fa piacere, davvero. Non farti scrupoli assurdi”.
Li era ancora sconcertata, ma capì che rifiutare quel gesto così sincero avrebbe ferito Betty, quindi accettò. Mentalmente si ripromise di portare un mazzo di fiori veri sulla tomba di Crudelia alla prima occasione. L’eredità che la hacker le aveva lasciato andava decisamente al di là di una semplice moto.

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Marzo 5, 2007 - 7:15 pm

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Erano passate solo poche ore dall’incursione nel territorio dei Preachers e ancora meno dall’incontro con Santiago. Quando lei, Edgard e Greta avevano raggiunto gli altri a casa di Doc aveva dovuto farsi violenza per comportarsi come se niente fosse accaduto.
Per fortuna la stanchezza aveva finito con avere la meglio su più di qualcuno e a cena finita non aveva dovuto attendere molto prima di sentirsi autorizzata a salutare gli altri e ad accompagnare a casa Betty.
Il volto dell’altra era pieno di lividi e ferite ma quanto meno era stato ripulito dal sangue e medicato con cura. La situazione sembrava molto meno grave di quanto era parso inizialmente.
“Accidenti Betty, mi hai fatto davvero preoccupare!”
“Me la sono vista brutta… A suo tempo avevo avuto dei dubbi sull’impianto subdermale” aggiunse “ma ora decisamente non ne ho più”.
La memoria di Li non faceva che tornare alla scena in cui aveva visto cadere l’amica sotto i colpi del Vescovo… il sangue le si era gelato nelle vene e il cuore aveva ripreso a battere regolarmente solo quando le avevano comunicato che Betty era ancora viva “Posso solo immaginare il tumulto che avevi dentro e la rabbia che ti ha spinta ad agire in quel modo, ma muoversi così è pericoloso… rischi di esporti troppo e di non ottenere il risultato voluto”.
“Eravamo tutti troppo carichi di adrenalina e siamo entrati là dentro come dei pazzi… Tutto sommato ci è andata bene”.
“Sono sempre stata dell’idea che la fortuna aiuti gli audaci, ma basta essere sfigati una volta sola per restarci secchi ed è meglio non tirare la corda, non trovi?”
“Approvo” rispose Betty con un sorriso amaro.
Quando arrivarono all’appartamento di Crudelia, Betty aprì la porta e la prima cosa che Li notò fu il sacco a pelo steso sul divano. “Hai seguito il mio consiglio, vedo!” disse sorridendo.
“Sì... in effetti non è male… forse fra un mese lo metto sul letto”.
Li rise e intanto scostò le tende e sistemò i vari dispositivi anticimici nella stanza. “Siediti” aggiunse infine facendosi seria “voglio parlarti”.
Betty si sedette, guardandola con espressione incuriosita.
“Mi spiace molto che il Vescovo sia morto, questa sera…” iniziò l’altra. Poi, nel vedere l’espressione stupita dell’amica, aggiunse “…prima che cantasse, intendo”.
Betty annuì, scura in volto.
“Ma non ti preoccupare” aggiunse Li “la speranza non è perduta. Tua sorella sarà vendicata, te lo prometto…”.
Betty sorrise, col viso pesto e dolorante. Non sembrava molto convinta.
“…ma questo potrebbe costarti un grosso sacrificio…”.
Betty si fece estremamente seria “Tu sai chi è il mandante!”
“…dovresti pazientare” continuò imperterrita Li “o rischieremmo di non riuscire a prenderlo”.
“Chi è?” ribatté l’altra, quasi bruscamente.
“Siamo stati contattati da qualcuno che conosce il nome del mandante” continuò Li fingendo di non aver sentito la richiesta dell’altra “ma ci ha anche detto che in questo momento è troppo ben protetto”. Le pesava non rivelare tutta la verità, ma aveva promesso a Edgard che avrebbe cercato di mantenere il segreto “Si aspetta di essere colpito e adesso è pronto” aggiunse, sperando che l’altra non insistesse oltre “Ma se riusciamo a pazientare un po’ potrebbe abbassare la guardia… e ad ogni modo prenderci un po’ di tempo potrebbe permetterci di tendergli una trappola”.
La Poser ascoltava in assoluto silenzio, guardando un punto imprecisato di fronte a sé.
Forse ce l’aveva fatta. Forse sarebbe riuscita a ottenere il tanto sperato compromesso tra la parola che aveva dato a Ramirez e il suo senso di fedeltà all’amica. “Lo so che è dura” continuò “Se potessi, scuoierei l’assassino di tua sorella con le mie mani. Tuttavia, anche se mi costa, convengo che possa essere opportuno aspettare che il piatto si raffreddi. Quella persona non merita di vivere, né tanto meno di farla franca. Merita di essere tradito e ammazzato come un cane ed è quello che intendiamo fare”.
“Intendiamo?” chiese Betty alzando un sopracciglio con fare inquisitorio “Chi altri è al corrente?”
Ancora una volta Li ignorò la domanda, reprimendo il desiderio di dirle tutto quello che sapeva. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di togliere quell’espressione ferita dal volto dell’altra, ma più cercava di rivelare senza compromettersi, più aveva la sensazione di tradirla “Non penserai mica di esser sola in questa battaglia, vero?”
Betty sorrise, arrendendosi “Non pensavo di avere così tanti amici... né un’amica come te...”.
Li si sentiva da schifo. “Inizialmente siamo stati spinti a farlo per Crudelia, non per te” rispose con franchezza, la coscienza ancora lorda per le troppe cose non dette “e probabilmente per alcuni è ancora così”. Poi la guardò dritta negli occhi e aggiunse “Io semplicemente ho più motivazioni di altri”.
Betty si abbandonò sul divano, la testa piegata all’indietro. Aveva ceduto.
Faceva davvero tenerezza e Li si sentiva terribilmente in colpa per non poter dire o fare niente di più. Si sedette accanto a lei e prese silenziosamente ad accarezzarle i capelli.
Betty non disse nulla, ma i muscoli parvero allentarsi. Li la baciò sulla fronte e continuò ad accarezzarla, dolcemente, come se fosse una bambina. A quel gestò Betty sembrò rilassarsi completamente e dopo un po’ di tempo Li avvertì la testa dell’altra piegarsi di lato. La stanchezza e gli eventi della giornata avevano finalmente avuto la meglio.
Non appena il respiro si fece più pesante la spostò con estrema delicatezza in modo da farla distendere e la coprì con una coperta, continuando ad accarezzarla delicatamente, fino a che non fu certa che stava dormendo.
Se ne stette un po’ in silenzio, a guardarla: ogni tanto sembrava avere qualche sogno un po’ agitato, ma per la maggior parte del tempo riposava tranquilla. Recuperò una coperta in camera da letto e si sistemò alla meglio su una poltrona lì vicino.

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Marzo 10, 2007 - 5:03 pm

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Quando riaprì gli occhi Li scoprì di non trovarsi più sulla poltrona. Betty doveva averla spostata sul divano mentre lei dormiva di sasso. Ma allora Betty…? Si guardò rapidamente in giro, poi notò che il sacco a pelo della Poser era disteso per terra accanto a lei e cha dalla cucina provenivano dei rumori di stoviglie accompagnati da un invitante aroma di caffè.
Si alzò, stiracchiandosi e guardando istintivamente l’orologio… il led indicava le 9:28. Era decisamente ora di darsi una mossa. Risistemò il sacco a pelo sul divano e si diresse in cucina.
“Buongiorno” la salutò Betty senza alzare il viso dalla pancetta e dalle uova che stava friggendo.
“Buongiorno” rispose Li con voce ancora un po’ assonnata. Poi, annusando l’aria, aggiunse “Mmmh... interessante...”. In effetti aveva una gran fame.
Tenendo il volto accuratamente rivolto verso il basso Betty le chiese, senza voltarsi “Prometti che non gridi a guardarmi in faccia? Sono un mostro!”
Li scoppiò a ridere “Trovo estremamente difficile che tu possa essere un mostro, Betty. Fa’ vedere”.
“Allora, prometti?” continuò testardamente l’altra.
“Dai, non può essere così tragico, non fare la scema…”
“Beh, io ti ho avvertita…” disse infine Betty, girandosi. La faccia era completamente tumefatta, con gradazioni di nero, viola e blu su tutto il volto, divenuto nottetempo ancor più gonfio della sera precedente. Un occhio era parzialmente chiuso dal gonfiore e su tempia e guancia era possibile distinguere chiaramente tre lacerazioni.
“Accidenti... Fa male?”
“Più al mio amor proprio e al mio senso estetico…” ribatté la Poser cercando di sollevare il dolorante arco sopraccigliare.
Li rise “Beh, sei viva, non ti lamentare…”
Betty annuì lievemente. “Hai fame?”
“Sì… con certi profumini…”
Betty iniziò a preparare tutto il necessario sul tavolino a penisola che c’era nella cucina. Mise in tavola pancetta e uova con del pane tostato e imburrato e assieme al bricco del caffè portò anche succo d’arancia. Poi si sedette tranquillamente su uno sgabello e fece cenno a Li di sedersi di fonte a lei.
Li iniziò a mangiare con gusto “Sei brava a cucinare!”
“Vita da nomade...” minimizzò l’altra “Bisogna saper fare di tutto”.
“Mah… mai visto Billy ai fornelli” disse addentando una fetta di pane pensando all’amico della gang dei Presidenti “Parlo di Franklin Roosevelt, naturalmente” aggiunse poco dopo, nel vedere la fronte di Betty corrugarsi leggermente e a mo’ di punto interrogativo “Ritiene che ci debba pensare il personale della Casa Bianca…” e rise.
“Forse è che a me piace cucinare per le persone che mi stanno a cuore…”
“Dovrò fare un discorsetto a Billy, allora!” ribatté Li ridendo, fingendosi offesa.
Betty doveva essersi appena fatta una doccia: aveva i capelli ancora bagnati e la pelle, sotto la canottiera e i pantaloncini corti, emanava un delicato profumo “Grazie per ieri” le disse sorridendo mentre si spalmava della marmellata sul pane.
Li scosse leggermente la testa, come e a dire che era stato un piacere e che l’altra non aveva nulla di cui ringraziarla “Cos’hai in programma per oggi?” chiese con tono leggero
“Niente” rispose Betty facendosi seria “ma ti volevo dire una cosa”.
Li alzò un sopracciglio, perplessa “Spara”.
“Il nome del mandante…”.
Il cuore di lì si era fermato di colpo al sentire Betty riaffrontare la questione, l’illusione di spensieratezza provata al risveglio sparita via di colpo. Per poco la tazza di caffè non le scivolò di mano mentre alzò lo sguardo a incontrare quello dell’amica.
“…non mi interessa”.
Il cuore di Li riprese a battere. Ma la coscienza sporca si era risvegliata e non aveva aria di volerla lasciare ancora in pace.
“Me lo direte a tempo debito. Per adesso va bene così”.
Non avrebbe potuto sentirsi peggio di così. Ma come poteva ripagare il suo cocciuto silenzio con tanta generosità? “Sicura?”
Betty sorrise “Sicura”.
Avrebbe voluto baciarla dalla gioia. Con quella semplice frase era riuscita a darle un sollievo a dir poco enorme “Come vuoi. comunque sappi una cosa” buttò giù un sorso di caffè “Anzi, due. Anzitutto quella persona è un morto che cammina. Secondariamente puoi rivendicare in qualunque momento il tuo diritto a conoscerne l’identità e, non appena la ragnatela sarà pronta, anche a farci ciò che vuoi” posò la tazza sul tavolo e poi riprese “Non sarà facile trattenere Ed, ma ci proverò. E’ un tipo strano, ma c’è una cosa di lui che forse non sai”.
Betty la guardava con espressione incredibilmente serena “Dimmi”.
“Ha dato fondo a tutti i suoi risparmi personali per trovare il nome del mandante... e anche per pagare i Ratos. Senza chiedere niente a nessuno”.
Betty sorrise, con riconoscenza.
“Mi ha chiesto di non comunicare ancora a nessuno della nostra scoperta. E’ bene che sembri che stiamo ancora brancolando nel buio in modo che il bastardo si rilassi e abbassi le difese…”.
“Già…”
“… ma io non volevo escludere te. Al momento ne siamo informati solo io, Ed e Greta”.
Betty scosse la testa, guardando in qualche punto imprecisato “Va bene così… ha ragione lui. Io potrei avere delle reazioni sconsiderate”.

[...]

“Ora mangia che si raffredda…”
L’aria si fece nuovamente distesa e la coscienza di Li ora era decisamente più leggera, il che le permise di finire il suo piatto con rinnovato appetito.
Anche Betty sembrava mangiare di gusto, imbrattandosi la faccia di marmellata come una bambina.
Ultimata la colazione Li diede una mano a pulire e si assicurò che l’altra non avesse bisogno di lei o che non le spiacesse restare sola, dopo di ché uscì.
Aveva un sacco di questioni da sbrigare.

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Marzo 15, 2007 - 3:38 pm

Il dojo degli Swords era un ex magazzino in cui coesistevano elementi, architettonici e non, che in qualunque altro contesto sarebbe sembrato semplicemente impossibile accostare. In quel luogo, invece, parevano incredibilmente al loro posto: elementi d’arredo in legno e delicate paratie di carta erano a stretto contatto col cemento grezzo delle pareti e ovunque echeggiavano i rumori delle spranghe di metallo che da tempo avevano sostituito le spade di bambù nelle esercitazioni della tradizionale arte del Kendo.
Hideoshi si stava allenando assieme agli altri, con indosso il mascherone a protezione del viso, ma il torso e le braccia scoperti: quelli avevano già sufficienti protezioni… naturali.

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Hide

Li, per quanto tenuta discretamente d’occhio, fu lasciata entrare: era un volto sufficientemente noto ai vari membri della gang perché nessuno di loro si allarmasse. La ragazza si fermò a pochi passi dall’entrata e attese che Hide si voltasse nella sua direzione. Nei pochi minuti che dovette attendere lo vide stendere abilmente ben due avversari, poi finalmente il leader della gang si girò. Lei lo salutò con la mano e gli fece segno che gli voleva parlare.
Hide sollevò le sopracciglia in segno di sorpresa e di riconoscimento: non era comune che Li si facesse vedere nel loro dojo e oltretutto era da un po’ che non si frequentavano. Annuì alla sua richiesta e si avviò nella sua direzione, sorridendo “Che piacere!”.
“Ciao Hide, come va?”
“Abbastanza bene” rispose asciugandosi dal sudore. Il numero di tatuaggi sembrava essere aumentato dall’ultima volta che l’aveva visto e apparentemente anche la massa muscolare “con te?”
“Si tira avanti” rispose con un mezzo sorriso “posso rubarti due minuti?”.
“Senza problema”.
Poiché il giapponese non accennava a spostarsi Li aggiunse “... in privato?”.
Hideoshi la fece accomodare in un angolo, dove alcune panche erano state sistemate attorno ad un frigo, e le fece segno di sedersi “Nessuno ci disturberà”.
Li accettò l’invito con un lieve inchino della testa e si accomodò “Devo chiederti un favore”.
Il sopracciglio sinistro di Hide si alzò leggermente: un’altra richiesta insolita “Dimmi pure”.
“C’è una cosa che vorrei lasciare in tua custodia e che vorrei tu consegnassi a una persona se dovesse succedermi qualcosa” cominciò Li “Sei disposto a farlo?”
Il volto dell’altro non tradì la minima emozione “Certo” rispose semplicemente.
“Grazie” disse Li, molto più sollevata “spero proprio che non serva, ma in caso ti prego di consegnarla a Elizabeth Gardner. E’ un membro dei Poser” tirò fuori un piccolo pacchetto e glielo consegnò assieme a un foglietto con l’indirizzo dell’appartamento di Crudelia “Ti lascio anche il suo indirizzo, ma naturalmente non è detto che lei ci vada spesso…”.
“Troverò comunque il modo di rintracciarla” la rassicurò lo Sword “ma mi auguro di non doverlo fare”.
“Lo spero anch’io”.
“Problemi?”
“Niente che esuli dalla norma” ribatté Li ridendo “Dobbiamo vendicare un tradimento, ma la cosa potrebbe scomodare qualcuno piuttosto potente. Naturalmente non sarà questo dettaglio a fermarci, ma ci tengo che certe informazioni non muoiano con me… sono certa che tu capisci”.
“Un albero, piccolo o grande che sia, lo attacchi alla base se lo vuoi abbattere”.
“Sì, ma dovremo scavalcare un paio di recinti, prima”.
“Se ti servisse una mano, fammelo sapere” disse a quel punto Hideoshi. Poi aggiunse “A titolo personale, naturalmente, non come Swords”.
Era un offerta generosa. Hide era una vera furia in battaglia e in certe occasioni, lo avevano visto anche di recente, un uomo in più poteva fare la differenza “Ti ringrazio di cuore, Hide, ma non oserei mai chiederti tanto…”
“Non si può mai sapere…”
“Proteggere le spalle a Joy è il favore più grosso che tu mi possa fare e tanto mi basta” disse, ripensando al rischio che gli aveva fatto correre con i predicatori “A proposito… probabilmente lo avrai già sentito, ma i Preacher non dovrebbero costituire più un problema…”
“Mi è giunta voce… comunque sia non ti devi preoccupare, Joy ha le spalle molto più robuste di quel che credi” le disse guardandola serio in volto “Non c’è una persona qui che non correrebbe ad un suo gesto… e non certo perchè ha un bel faccino, non credi?”
“Lo so, ma sai com’è… sapere che se la sa cavare è una cosa, sapere che le rogne gliele ho procurate io è un’altra” concluse Li sorridendo.
Hideoshi sorrise a sua volta “Stammi bene”.
“Anche tu. E se mai dovessi avere bisogno di me… sai dove trovarmi”.
Hideoshi la accompagnò alla porta e poi si allontanò flettendo i muscoli della schiena per sciogliersi un po’ prima di riprendere gli allenamenti. A quel movimento il drago che aveva tatutato sulla schiena sembrò quasi animarsi.
Li uscì dal dojo che stava ancora sorridendo. Questa era fatta. Ora non le restava che cercare il Capitano.

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Marzo 25, 2007 - 6:53 pm

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Li: “Pronto? Ed?”
Ed: “Sì?”
Li: “Ciao. Sono Li”
Ed: “Ciao. Come stai?”
Li: “Bene… senti… volevo dirti una cosa… Ho parlato con Betty ieri sera… l’ho riaccompagnata a casa”.
Ed: “E come si sente, a parte il proiettile in faccia?”
Li: “Si sente un mostro a causa dei lividi, ma sta bene. Le ho detto che sappiamo chi ha fatto fuori Crudelia”
Ed: “E ti ha torturato per farti dire chi è?”
Li: “No. Non me lo ha nemmeno chiesto”.
Ed: “Allora non gliel’hai detto”.
Li: “Sa che lo sappiamo in tre. Le ho promesso che avrei fatto in modo che, anche se dovessimo lasciarci la pelle, il segreto non sarebbe morto con noi. Ho provveduto in tal senso”.
Ed: “…”
Li: “Ha accettato il fatto che dovremo aspettare per avere la testa di quel bastardo e non ha chiesto altro”.
Ed: “…”
Li: “si fida di noi”
Ed: “Happy Birthday, Mr. President…”
Li: “Già... Le ho detto che avrei fatto il possibile per riservare a lei il diritto di farlo fuori, quando sarà il momento”.
Ed: “Ti rendi conto di cosa stiamo facendo?”
Li: “Ci mettiamo nella m... Come sempre, Ed”
Ed: “Stiamo entrando in un livello di m... molto alto… ”
Li: “Già… e salirà ancora, ma non me ne frega un accidente. Quello str… deve morire”.
Ed: “Greta che vuole chiedere informazioni a suo marito”.
Li: “Fa bene. Forse sarebbe stato più responsabile cercare certe informazioni prima di accettare la sua proposta, ma pazienza…”
Ed: “Questo farà entrare in scena l’interesse dei servizi segreti”.
Li: “Greta non mi pare una sprovveduta. Spero sappia quello che fa”
Ed: “Il tizio dell’altra sera è un potente privato. Se facciamo come dice, avremo fatto un lavoro per lui e basta. Dunque nessun problema”.
Li: “Anche quando abbiamo fatto quel lavoro per Gallego era un lavoro e basta, ma l’Arasaka ha avuto da ridire lo stesso. La mano di Fixit se lo ricorda bene”.
Ed: “Ottima osservazione… Pestare i piedi a qualcuno sarà inevitabile allora.”
Li: “Già. Spero solo che prima di farci fuori ci lascino parlare”.
Ed: “Le parole sono vento”.
Li: “Un bastardo traditore non fa comodo a nessuno”.
Ed: “A qualcuno pare di sì”
Li: “Spero di riuscire a convincerli che in realtà gli avremo fatto un favore”
Ed: “Quella corporazione è da più di cinquant’anni sulla cresta dell’onda. Forse ora cambieranno un po’ di cose”.
Li: “La questione è personale e non riguarda la corporazione… staremo a vedere. Le lotte per il potere non mi interessano – non mi sono mai piaciute – bado solo a non restarne schiacciata”.
Ed: “Ma tu hai potere!”
Li: “Potere?”
Ed: “Certo”
Li: “Che potere? Io non ho nessun potere, Ed”
Ed: “Hai il potere di decidere. Una parola e qualcosa si muove. O qualcuno”.
Li: “Quello semmai è un peso. Essere responsabili di se stessi è un conto, ma avere sulla coscienza qualcun altro…”
Ed: “Il peso del potere è un altro. A ciò che fai seguono domande, idee, priorità… Sopravvivere a favore di certi ed a discapito di altri… nessun rimorso. Solo vivere”.
Li: “Questo può andar bene quando sei solo, ma a questo mondo non siamo soli, Ed, e non siamo mai liberi di decidere solo per noi stessi. Ci sarà sempre qualcun altro che pagherà i nostri conti, anche quando non lo vorremmo. Non ci possiamo fare niente”.
Ed: “Devo andare. Non mi aspetta nessuno, ma dirai che devi andare anche tu, solo perchè non possiamo dire di no a tutto”.
“…”
“Ciao Ed”
“Ciao”

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Marzo 25, 2007 - 6:55 pm

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Li: “Senti Ed, dobbiamo decidere cosa fare con gli altri circa l’ingaggio… Jagger ci si sta facendo parecchie seghe mentali (e onestamente mi spiace vederlo preoccuparsi per nulla) e Doc non vede l’ora di raccontare tutto al suo amichetto giù all’Orbital rischiando di metterci tutti nei casini…”
Ed: “Il tipo ha parlato chiaro come il sole. Non credo che gradirebbe che ne parlassimo al gruppo intero, tuttavia, ed è questo che forse è il caso di stabilire, abbiamo fatto questo casino per Crudelia, giusto?”
Li: “Giusto”
Ed: “Lei era del gruppo, o almeno per me lo era, e il gruppo è tutto. Se vogliamo che il gruppo funzioni, dobbiamo parlare”.
Li: “Questo è sacrosanto”
Ed: “Jagger mi sembra in gamba…”
Li: “Ci ha salvato il c… con i Preachers, sia a me che a te”.
Ed: “Consuelo non so, ma mi pare che tu ti fidi”.
Li: “È stramba, ma non è nociva”.
Ed: “Parliamo di Doc allora… hai dei dubbi su di lui?
Li: “No, ma vuole continuare la caccia al mandante di Crudy ed è stupidamente convinto che all’Orbital gli diranno qualcosa. Ha un amico nella corporazione, ma per avere informazioni, prima deve darne. Sono certa che in questo modo non otterrà nulla di utile e non vi ma che parli di noi in giro. Ha già detto troppo”.
Ed: “Detto a chi?”
Li: “A un dirigente della corporazione amico suo che indaga sull’assassino di quel tipo che era cliente di Crudelia e che è stato fatto fuori quando Doc e Cons erano andati a parlarci. Doc gli ha chiesto delle informazioni e il tipo ha risposto «ok, ma devi dirmi tutto»…”
Ed: “E Doc che cosa gli ha detto? Che partecipa ad un gruppo di pazzi o peggio?”
Li: “Al momento gli ha detto solo che stavano indagando sulla morte di un’amica, ma non mi va che gli dica di più”.
Ed: “…”
Li: “…”
Ed: “Hai qualche idea?”
Li: “Dobbiamo decidere due cose: se dire al gruppo dell’incontro di ieri… e se dire loro del mandante”.
Ed: “Se diciamo dell’uno dobbiamo dire dell’altro…”
Li: “Le due cose non vanno di pari passo, possiamo dire che abbiamo chi ci darà il mandante del Vescovo, ma senza dire che sappiamo già chi è… Non so se sia saggio, però!”.
Ed: “Supponi che apriamo bocca su di lui, come spieghiamo il motivo del suo contatto?”
Li: “Se da un lato potrebbe essere saggio tenere celata un’informazione simile, onde evitare che a qualcuno scappi o che reagisca in maniera sconsiderata, è anche vero che se non sanno che razza di persona sia quell’uomo, potrebbero lasciarsi sfuggire qualcosa nel posto sbagliato e lui saprà che deve stare all’erta. Basterebbe dire che ci ha ingaggiati per fare un lavoro per lui e che in compenso ci darà la testa del mandante”.
Ed: “In effetti non sarebbe contento se venisse a sapere che lavoriamo per questa informazione e potrebbe agire di conseguenza…”
Li: “Deve convincersi che abbiamo abbandonato l’idea, che abbiamo ceduto dopo aver tentato varie piste che portavano a nulla… e rilassarsi… ma sarà difficile che gli altri del gruppo bevano la storia che io, te o Betty abbiamo rinunciato a questa ricerca se sono convinti di poter battere ancora qualche strada. E poi hai detto una cosa vera: tenere nascoste certe informazioni al gruppo, dimostrare di non avere fiducia, può rompere la coesione del gruppo…”.
Ed: “…”
Li: “…”
Ed: “…”
Li: “E’ più facile lavorare da soli, eh, Ed? Avere altre persone attorno complica un sacco le cose, ma il gruppo è più forte del singolo, rassegnati”.
Ed: “Non voglio tornare ad essere solo”.
Li: “Bene. Non ho intenzione di lasciarti solo. E neanche gli altri, credo ma bisogna iniziare a pensare come gruppo e non come singoli. E’ il prezzo da pagare. Chiameremo gli altri, prenderemo tutte le misure necessarie ad evitare che ci siano delle spie e glielo diremo, ok? Se sarà possibile non fare nomi ci proverò, come ho fatto con Betty…”
Ed: “Ho fatto questa scelta, ho deciso di cercare il responsabile del’assassinio di Crudelia anche per garantire ad ogni altro nel team una sicurezza. Nessuno verrà lasciato indietro. La squadra deve lavorare con la sicurezza che nessuno venga accoltellato alle spalle” .
Li: “Bene… Vedo che siamo d’accordo”.
Ed: “…”
Li: “…”
Ed: “Li?”
Li: “Sì?”
Ed: “Niente. Sta attenta d’accordo?”
Li: “Ci proverò. Ho lasciato in custodia ad un amico un file da consegnare a Betty se dovessi morire”
Ed: “…”
Li: “Se dovessimo morire voglio che lei sappia il nome di quel figlio di puttana…”
Ed: “…”
Li: “Speriamo non serva”.
Ed: “Certo Li, non servirà, andrà tutto bene. I conti torneranno e tu ti farai ancora qualche corsa e qualche giro da Fixie. vedrai.”
Li: “Ok. Ci conto”
Li: “Ci vediamo”
Ed: “Buona serata, Li! Ciao!”
Li: “Ciao. Saluta la tua padrona di casa”.

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Marzo 25, 2007 - 7:20 pm

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Il sole era tramontato da un paio d’ore al massimo. Aveva salutato gli altri a casa di Greta e se n’era andata. Erano giorni che voleva affrontare la questione, ma quel giorno Joy aveva serata libera. Doveva cogliere l’occasione al volo.
Dopo una veloce rinfrescata montò a cavalcioni della moto e si diresse alla volta dello Shamrock, ma prima ancora di fermarsi si rese conto che tutte le luci erano spente e che in locale non c’era nessuno. Alzò nuovamente i giri del motore e sgommò via. Pochi minuti dopo era davanti alla porta dell’appartamento di Joy, col dito sul campanello.
Le aprì la porta con un sorriso “Ciao Li!”. Indossava un paio di jeans scuri, leggermente consunti, e una vecchia t-shirt bianca.
“Ciao… disturbo?”
“Mai” disse scuotendo la testa e restando a fissarla davanti alla porta.
“Mi fai entrare?”
“Oh, sì, certo, scusami…” disse Joy con un filo di imbarazzo scostandosi e facendole cenno di entrare.
Il microonde stava ronzando e l’aria era permeata da un lieve odore di cibo… il che ricordò improvvisamente a Li che aveva saltato il pranzo…
“Hai mangiato?”
Lo stomaco di Li decise di rispondere per conto suo. Joy rise divertito, mentre Li rispose imbarazzata “Lascia stare, non voglio approfittare… magari torno più tardi…” Che figuraccia…
“Figurati… sai che preparo sempre porzioni abbondanti… fermati pure”.
Sul tavolino accanto al divano era già appoggiata una bottiglia di birra aperta. Joy ne prese un’altra dal frigo e gliela porse. Armeggiò per un minuto con piatti e posate e tornò con dei cannelloni fumanti.
Si sedettero per terra, lui dando le spalle al vicino divano e lei sedendoglisi di fronte.
“Allora… come va?” le chiese infilandosi un pezzo di cannellone in bocca.
“Bene…”
Lui alzò con fare dubbioso un sopracciglio, a intendere che non aveva scordato la tensione dell‘ultima volta che si erano visti, giù al chiosco.
“Beh, decisamente meglio…” concesse sorridendo Li. Non aveva voglia di parlargli di tutto quello che era successo in quei giorni. Aveva ancora un paio di questioni da chiarire prima di lasciarsi andare. “Tu, tutto a posto?”
“Sì… sono solo un po’ stanco… Praticamente sto facendo i doppi turni tra lo Shamrock e l’Inferno”.
“Non ti strapazzare troppo…” gli disse, mandando giù un altro boccone “Se ti serve una mano, posso cercare di aiutarti”. Bevve un sorso e poggiò la bottiglia “Forse dopo stasera potrei avere un po’ più di tempo…”
“Per stasera basta… e poi ho praticamente finito…” infine, sorridendo, aggiunse “Comunque non ti preoccupare, un po’ di tempo per te lo posso sempre trovare…”.
“Davvero?” chiese, posando la forchetta e facendosi improvvisamente seria “Joy, posso chiederti una cosa?”
“Vai pure” disse tranquillamente, attaccando con gusto un cannellone.
“Perché?”
Per un attimo rimase interdetto, poi appoggiò lentamente la posata sul tavolo e con un’espressione più seria la guardò negli occhi. Lui aveva avuto in mente tutt’altro tipo di serata, ma sapeva che Li non avrebbe mollato il colpo. Era sempre stata una gran testarda.
[...]

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Marzo 25, 2007 - 11:50 pm

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Era passata circa una settimana dall’ultima volta che lo aveva visto, in occasione della riunione a casa di Greta, quando Jag le aveva mandato un messaggio chiedendole di incontrarlo. La richiesta era piuttosto insolita, in quanto il ricettatore era sempre stato particolarmente schivo e riservato, ma se voleva vederla un buon motivo c’era di sicuro.
Gli aveva proposto di incontrarlo al New World, il bar che i Presidenti avevano da tempo eletto a loro ritrovo abituale, perché lì era certa che nessuno li avrebbe disturbati.
Quando arrivò, Jag era già seduto ad un tavolo e la stava aspettando. Salutò alcuni dei ragazzi che si trovavano nel locale in quel momento e poi andò a sedersi di fronte a lui con una pinta di birra in mano “Ciao Jag” lo salutò sorridendo
“Ciao Li” Nessun sorriso… ma Jag non era uno che sorridesse molto, perciò Li non si scompose.
“Volevi vedermi?”
“Sì…” l’espressione dell’uomo più che seria sembrava tormentata, e questo sì che era insolito.
Lì cominciò a preoccuparsi “E’ successo qualcosa a qualcuno? Ci sono problemi?”
Jag non mutò minimamente espressione “Devo consegnarti qualcosa”
“Oh!” disse Li, sorpresa “cosa?”
“Ho fatto qualche ricerca su Joy”.
Per Li fu come ricevere una doccia fredda. Joy? Joy?! Appoggiò il boccale sul tavolo, lentamente. Doveva aver capito male. Anzi, ne era praticamente certa “Come sarebbe a dire, scusa?”
L’espressione del suo interlocutore lasciò trapelare un leggero imbarazzo “E’ una cosa di cui adesso mi vergogno…”
Forse allora aveva capito bene. L’uomo che aveva di fronte aveva fatto delle ricerche su Joy. Orrore e sorpresa si mescolavano nella sua mente e nel suo stomaco, ma cercò di restare a guardarlo senza tradire emozioni. Che diamine…?!
“Pensavo di trovare qualcosa di sporco su di lui…” lui stava parlando, ma lei aveva difficoltà a starlo ad ascoltare. La sua mente stava cercando all’impazzata di ricordare quando mai avesse lasciato trapelare qualcosa su Joy “…per esempio sul fatto che non si è mai fatto vedere durante la tua prigionia…”
Non era possibile… in cinque minuti si era vista la propria vita privata violata e denudata su un volgare tavolo da bar… La sua vita sentimentale, i suoi precedenti penali… tutto quello che aveva cercato di tenere per sé, Jag lo stava sciorinando come se fosse l’ultima puntata di un qualche holomovie da strapazzo… Si sorprese a biascicare parole senza senso “Noi… non eravamo più assieme... non credevo neppure tu o qualcun altro sapeste…”.
Jag continuò, impietosamente “Non è mai venuto perche non poteva, non perché non volesse… Un po’ di tempo fa è stato coinvolto in una lotta fra gang… ha salvato il c... a suo cugino ed è rimasto ferito molto gravemente, apparentemente proprio nel periodo in cui eri in galera…”
Li rimase nel silenzio più assoluto, lo sguardo sempre più attonito, la gola completamente arsa.
“Era tra la vita e la morte… in seguito è stato curato in modo non proprio correttissimo… Pare che si porti addosso del cyberware assolutamente illegale perché quello era l’unico modo per salvargli la vita”.
In qualche modo Li riuscì a superare lo shock e l’orrore che stava provando “E tu come diamine fai a sapere una cosa del genere?!”
“Te l’ho detto, ho fatto delle ricerche”.
Se la questione non fosse stata così maledettamente seria Li si sarebbe voluta cercare in giro per assicurarsi di non essere vittima di qualche scherzo di pessimo gusto. Quell’uomo le stava rivelando di aver praticamente violentato la sua vita privata, raccontando dettagli che avrebbero potuto far fare a Joy una fine a dir poco orribile… e aveva il coraggio di restare così tranquillo?! “Perché?!” non riusciva ancora a crederci “Perché mai ti saresti messo a fare ricerche su di lui?! ...o su di me?”
“No su di te mai!” rispose immediatamente Jag, con foga.
Rabbia, orrore e disperazione “E allora come fai a sapere di Joy?”
“Vuoi che te lo dica? D’accordo, ero geloso di lui”.
Li era troppo scioccata per poter cogliere quell’aggettivo. La sola cosa che il suo cervello avesse accettato di registrare era che quella era una risposta senza senso “Eh?! Ma se non lo hai mai neanche conosciuto! …se non te l’ho mai presentato!”
“Non m’importa niente di lui… mi importa di te”.
Alla seconda, palese imbeccata il cervello di Li non poté più ignorare l’evidenza, ma questo non sembrò essere particolarmente d’aiuto. Anzi, semmai aggiunse al cocktail di emozioni una crescente perplessità per una situazione che non riusciva più a capire “Di me!? Ma che diavolo stai dicendo, Jag?” Lei? La causa di tutto questo era… lei?!
“Non volevo che lui facesse qualcosa che potesse ferirti…”
Che lui… Ma che diamine stava dicendo?! Quel pazzo incosciente era andato a scovare chissà dove notizie così dannatamente pericolose su Joy solo per… lei? Se in quel momento qualcuno stava mettendo in pericolo qualcun altro quello sicuramente non era Joy…
Jag intanto stava continuando a vuotare il sacco “Nasconderti questi fatti sarebbe stata una vigliaccata che non meriti…”
La calma con cui Jag stava affrontando certi temi la stava facendo andare letteralmente fuori di testa “Quali fatti, quello che ritieni di aver scoperto su di lui o il fatto che hai condotto ricerche sul mio passato e su quello di qualcuno che nemmeno conosci?”
“Ho indagato solo su di lui!” Jag sembrava davvero ferito, ma Li sembrò non accorgersene.
“Non direi!” La rabbia crescente le fece ritrovare una freddezza che non provava “Anche solo per sapere della sua esistenza o del mio rapporto con lui devi avere indagato su di me, Jag!”
“No!” l’orrore al sentire quelle accuse era sempre più palese, ma Li continuò, implacabile “…cosa che forse è comprensibile, visto che la vita dell’uno è spesso nelle mani dell’altra e viceversa” disse, pensando all’incursione del territorio dei predicatori e anche in quello del Vescovo “ma questo va un po’ oltre... non ti pare?”
Jag sembrava essere stato schiaffeggiato in piena faccia “Non mi credi?”
“Non è che non ti credo, semplicemente non capisco” la temperatura della sua voce era da inverno in Alaska.
“Io ti amo, Li”
Le barriere che aveva eretto intorno a sé per reggere alle notizie che l’altro le aveva tanto candidamente rivelato la resero totalmente insensibile anche a un’affermazione come quella “Jag smettila! Non dire una parola di più”. Risposte… voleva delle risposte… Joy era in pericolo e quel pazzo non voleva rendersene conto…
“Sono estremamente serio”.
“Anch’io”. Voglio sapere chi diamine ti ha detto quelle cose su Joy. Chi?!
“Perché? Credi che non possa provare qualcosa?”
Non aveva mai visto Jag in quelle condizioni. Era letteralmente a terra. Faceva quasi pena… In qualche modo le emozioni che lesse nello sguardo di lui riuscirono a penetrare le sue barriere “Io non... non so che dire...” Innamorato? Ma che stava dicendo? Ma se non aveva mai… Mio Dio, quando era successo? Quando?! “Credo tu conosca troppo poco di me, Jag, ma non sto deridendo i tuoi sentimenti. E’ solo che… mi hai preso in contropiede”
“Lo so: Joy…” la voce dell’uomo tradiva appieno la sua sconfitta interiore “Ma come ti ho detto, niente falsità tra noi…”
Quando diamine era successo? Come aveva fatto a non accorgersene? Possibile che senza saperlo lo avesse incoraggiato a fare una pazzia come quella? “Io… mi spiace se in qualche modo ti ho ferito o se ti ho lasciato credere qualcosa di diverso, davvero…” Per quanto la sua mente si sforzasse, non riusciva a ricordare nulla che potesse esserle d’aiuto.
“Dimmi” le chiese a quel punto “se Joy non fosse mai tornato nella tua vita, avrei mai avuto una chance?”
Li era esterrefatta “E’ una domanda senza senso, Jag. Joy c’è e c’è sempre stato!” Anche quando non c’era, accidenti a lui… Mi è rimasto dentro e basta “Io ti stimo davvero molto, come professionista, e ultimamente anche come persona, ma…”
Se prima Jag sembrava essere stato preso a schiaffi, adesso dovevano essere passati ad armi più pesanti “Sono solo un amico, quindi?”
Li non sapeva come reagire di fronte a quell’espressione. Da vittima si stava quasi sentendo carnefice “Non precipitare le cose, mi spaventi!”
“Hai ragione, non è da me comportarmi così. Resta il fatto che i miei sentimenti sono questi” .
“Io... io ne prendo atto, Jag. Cercherò di rispettarli nel modo più assoluto…” Cosa diamine poteva dire? Cosa diamine poteva fare?! Non poteva certo rinnegare i suoi sentimenti per Joy, non adesso che lo aveva finalmente ritrovato! “Se c’è nulla ch’io possa fare per evitarti di soffrire, dimmelo. Se vuoi che sparisca, sparirò, ma non chiedermi di mentirti”.
“Posso sperare?”
Li non sapeva più cosa fare. Vedere un uomo in quelle condizioni era terribile e sapere che lei ne era la responsabile non migliorava certo la situazione, ma la realtà era quella che era “Sono una persona sincera, Jag. Se sono tornata da Joy un motivo c’è. Non lo prenderei mai in giro. Non prenderei mai in giro nessuno”.
Gli lesse la sconfitta sul volto “E’ per questo che ti ho detto quello che ho saputo di lui. Nascondertelo non sarebbe stato giusto”.
Giusto? Giusto?! E che cosa era giusto? Che lui si fosse messo a frugare nella vita di Joy, rischiando di metterlo in pericolo?! La paura fomentò nuova rabbia e la rabbia nuovo gelo “E non ti sei chiesto se per caso io avrei preferito saperlo da lui?”
“Gli avresti creduto?”
Gli occhi di Li fiammeggiavano di rabbia “Non hai risposto alla mia domanda”.
“Come ti ho già detto mi vergogno di quello che ho fatto. E poi se avesse voluto dirtelo…”
Basta! Non voleva sentire una parola di più! Ma come osava? Come osava insinuare che Joy…? Che cosa diamine ne sapeva Jag di lei e di Joy? Nulla. Nulla!
Lo fissò con sguardo duro, di sfida, i muscoli e il respiro tesi a trattenere la rabbia e Jag non ebbe il coraggio di finire la frase che aveva iniziato.
Era sempre più arrabbiata. “Appunto” concluse, mettendo a colpo il segno. Poi, implacabile, continuò “Voglio sapere chi ha messo in giro quelle voci su di lui. Possono metterlo in pericolo e io non posso accettarlo”. Era la sola cosa che le interessasse.
“E tutto al sicuro nella mia testa”
Maledetto testardo! “Non sei tu il problema, Jag. Voglio sapere chi te l’ha detto”. Doveva scoprirlo, doveva scoprirlo ad ogni costo. Doveva proteggere Joy…
“Le mie solite… fonti”
Li dovette farsi violenza per non prenderlo per il colletto a scuoterlo a forza. Accidenti a lui, ma perché non capiva? “Beh, le tue solite fonti possono mettere a rischio la vita di Joy. Voglio i nomi”.
“Quello che ti ho consegnato è l’unico rapporto esistente, fanne ciò che vuoi”.
Era della vita di Joy che stavano parlando, accidenti a lui. Non era certo il momento di giocare a fare i professionisti. Voleva quei maledetti nomi! “Questo è quanto?” chiese, cercando di trasmettere il gelo quasi fosse una minaccia.
“Vuoi un nome?” si arrese Jag “Eccotelo. Fergus McCallan”.
Sembrava troppo facile… ma l’uomo era a pezzi e lei non aveva avuto pietà “E questo McCallan ti ha detto anche come l’avrebbe saputo?”
“Non lo so… prova a chiederglielo”.
Sembrava aver riacquistato un certo controllo. Insistere sarebbe stato inutile e Li non calcò ulteriormente la mano.
“Lo farò” disse con fredda determinazione. Poi, con tono un po’ più morbido, quasi a scusarsi per la durezza che aveva dovuto usare, aggiunse “Senti Jag, mi dispiace da morire per tutta questa situazione”.
Era vero. Era dannatamente vero. Ma non per i motivi che avrebbe potuto pensare lui. Non solo per quelli, quanto meno… Se Jag aveva messo il naso in questioni che non lo riguardavano e se Joy ora si trovava in pericolo la colpa era sua. Soltanto sua! Maledizione! Avrebbe dovuto lasciarlo in pace, non sarebbe mai dovuta tornare da lui… “Se potessi fare qualcosa per rimediare, lo farei, ma temo sia impossibile. Comunque non puoi aspettarti che io sia felice che qualcuno indaghi nella mia vita privata, né che girino certe voci su Joy” .
Jag sospirò e ripeté per quella che gli sembrò l’ennesima volta “Nessuno ha indagato su di te, Li”.
Li non si diede per vinta “Ah no? E allora spiegami una cosa! Come ti è saltato in testa di fare ricerche su qualcuno di cui dovresti ignorare totalmente l’esistenza? Come ti è passato per la testa di proteggermi da qualcuno che neanche dovresti sapere che ho ripreso a frequentare?”
Ancora un po’ e non lo sapevano neanche lei e Joy! Aveva avuto parecchi dubbi sul ricucire quel rapporto interrotto quasi un anno e mezzo prima e si considerava ancora in periodo di prova. Tutto questo le sembrava semplicemente allucinante…
“Ho visto quella sera in discoteca come lo guardavi… Io non avevo occhi che per te …e tu ne avevi solo per lui!”
Li rimase di sasso. In discoteca? Si era tradita così stupidamente?! Eppure aveva cercato di mostrare indifferenza… Accidenti! Che idiota era stata! Uno sguardo… si era tradita con uno sguardo… Aveva messo in pericolo la vita di Joy con uno stupido sguardo!
“Vuoi sederti?” le chiese Jag, preoccupato per il suo improvviso pallore.
Li scosse lentamente la testa, faticando a fare qualunque movimento. Uno sguardo… Ho rischiato di condannarlo a morte per uno stramaledetto sguardo! Ma che razza di persona sono? Come posso accettare una cosa del genere? “N… no… ma forse mi hai fatto capire una cosa”. Doveva lasciarlo. Doveva sparire per sempre dalla sua vita. Non c’era altro modo. Doveva proteggerlo ad ogni costo, anche e soprattutto da se stessa…
Jag era chiaramente sconvolto da quel cambio di rotta “Cosa? Che sono un verme?”
“No. Non posso dire che sono felice di quello che hai fatto, anzi, ma non posso fartene una colpa. Adesso ti prego di scusarmi, ma devo andare”. Doveva farlo, anche se sarebbe significato morire dentro. Doveva…
Jag lesse la morte e la determinazione nello sguardo di Li, ma non ne capì le ragioni. Né le intenzioni.
“Era apparso troppo tempestivamente dopo la morte di Crudy…” cominciò a scusarsi “Mi è sembrato sospetto…”.
Li si sentiva morire “Smettila!” intimò con rabbia “E adesso ti prego, lasciami andare…”
Jag abbassò arrendevolmente la mano che aveva teso per aiutarla. Li si alzò, fece un cenno al barista che conosceva da anni e si avviò verso l’uscita.
“Lascia” disse Jag al vedere quel gesto “Faccio io…”
Il tono di Li era a dir poco funereo “Troppo tardi” rispose con un sorriso amaro sulle labbra. Poi uscì.

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Marzo 26, 2007 - 8:04 pm

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Emozioni forti e contrastanti ribollivano dentro di lei come mare in tempesta, tutte cercando di avere il sopravvento… Joy… Joy… Joy… Non riusciva a pensare ad altro. Joy era in pericolo ed era tutta colpa sua… Ora non restava che uscire dalla sua vita sperando di portarsi dietro tutti i casini che aveva inconsapevolmente scatenato… Ma prima di rassegnarsi a fare quello che oramai da tempo sapeva essere una scelta inevitabile quanto dolorosa doveva proteggerlo… per l’ultima volta.
C’era una sola persona che potesse aiutarla a farlo ed era anche la stessa che avrebbe dovuto guardargli le spalle in sua assenza, ma che evidentemente non era riuscita a farlo.
Si diresse da lui in uno stato di semi incoscienza, nelle orecchie il roboare del sangue che le pulsava nelle vene. In fin dei conti, si diceva, se erano giunti a questa situazione era anche colpa sua. Avrebbe dovuto accertarsi che Joy fosse al sicuro e invece aveva permesso a certe voci di circolare… e ora Joy era in pericolo.
Scese dall’ambulanza prima ancora che il motore fosse ben spento e di diresse verso l’edificio dove sapeva che l’avrebbe trovato. Entrò con sguardo torvo e passo deciso, cercandolo rapidamente con lo sguardo.
Hideoshi era seduto su di uno sgabello, in canottiera, pantaloni lunghi e anfibi alti da motociclista. Le stava mostrando il fianco mentre con una pietra affilava una spada con misurata lentezza, emettendo scintille a intervalli irregolari.
Li si diresse verso il leader degli Swords senza rallentare il passo mentre i suoi uomini la facevano passare con vaga curiosità.
“Ciao Li” le disse Hide senza alzare lo sguardo e continuando ad affilare la spada con ritmica precisione. Li gli si piantò sotto il naso, furente, il rombo nelle orecchie in rapido aumento.
Hide staccò gli occhi dalla spada e alzò il viso verso di lei.
Sbam!
Li gli diede uno schiaffo in pieno volto, riversando su di lui tutta la rabbia e la disperazione che aveva in corpo “Credevo che a Joy ci tenessi!!!”
Nel dojo piombò un silenzio pesantissimo.
Hideoshi abbassò nuovamente lo sguardo sull’arma che aveva in mano e riprese ad affilarla con grande calma “Sì, Li” disse con il suo consueto tono neutro “Anch’io sto bene, grazie”. Poi si alzò lentamente, con la spada ancora in mano.
Li rimase immobile di fronte a quella figura torreggiante e quel volto senza espressione, la rabbia non ancora sbollita “Sono appena venuta a sapere da qualcuno che non è Joy, e che non è uno Sword, che Joy è pieno di roba illegale in corpo…” sputò giù pesante come un’accusa, senza badare a tenere basso il livello della propria voce “Mi spieghi com’è possibile che girino liberamente certe voci?!” poi, siccome lui restava indifferente a guardarla, aggiunse “Hai idea di quanto sia rischioso per lui?!”
Hide non mutò espressione, solo i suoi occhi sembravano animati da una luce diversa “Vuoi una coca?”
“No, voglio una spiegazione!” La disperazione stava prendendo il sopravvento sulla sua rabbia e Li stava ricominciando lentamente a recuperare il controllo delle proprie facoltà. Era morta. Non c’erano altre parole per dirlo. Era entrata nel cuore del territorio degli Sword e aveva preso a schiaffi il loro leader. Non sarebbe uscita di là viva, questo era certo, ma doveva dirglielo. Almeno avrebbero fatto qualcosa “Mi è sembrato di morire…” disse con voce quasi spezzata dal dolore e dalla disperazione “Pensavo che la sua privacy fosse protetta un po’ meglio”.
Hideoshi sì allontanò da lei a passi lenti e tranquilli. Aprì la porta del frigo e ne estrasse una bibita per sé. Aprì la bottiglia e ne tracannò un sorso. Poi si voltò e con tono monocorde le disse “Senti, Li… la strada è così… noi abbiamo fatto le cose per bene”.
Non poteva crederci. Tutto si sarebbe aspettata, anche di trovarsi una serie di lame al collo, ma certamente non questo… certamente non indifferenza… non quando si trattava di Joy…
Aveva perso. Aveva scommesso tutto e aveva perso. Se non avesse ottenuto aiuto in quel posto non lo avrebbe ottenuto da nessun’altra parte. Era finita. Si era letteralmente giocata la testa per… nulla. “Non abbastanza, evidentemente...” ebbe ancora il coraggio di ribattere.
Hide la guardò con il suo consueto sguardo inespressivo e disse “Io ci tengo a Joy… Se c’e un infame in giro lo decapiterò personalmente”.
A quelle parole Li si sentì così sollevata che avrebbe voluto gettarglisi ai piedi e ringraziarlo. Invece si rese conto di quello che aveva appena fatto. Aveva insultato e preso a schiaffi l’uomo che più di chiunque altro aveva a cuore gli interessi di Joy e probabilmente anche quello che più di chiunque altro aveva colto la gravità della situazione. Solo che a differenza di lei lui non lo avrebbe mai mostrato. Lui non sarebbe mai andato in escandescenze.
“Scusami” gli disse con voce quasi tremante “Sono andata fuori di testa… Quando ho sentito quelle parole io… non ci ho visto più… In realtà sono venuta qui per chiederti aiuto …ancora una volta. Non che il mio saluto sia stato il migliore degli incentivi, in effetti, ma… voglio trovare quell’infame e da sola non posso riuscirci…” Era disperata “In realtà non sono in grado di fare un accidente di nulla e questo mi fa stare male. Sono arrabbiata, Hide” gli disse infine, osando finalmente alzare il proprio sguardo verso quello gelido di lui “con me, non con te… forse sarei io quella da prendere a schiaffi o peggio...”
Gli occhi di Hide sembrarono lampeggiare, per un attimo “Sicura che non vuoi bere qualcosa?”
Li si sedette, gambe divaricate e testa fra le mani “Forse ne avrei bisogno”.
Hide tornò verso il frigorifero e ne estrasse una bottiglietta di coca. Gliela porse. Era gelata.
Li alzò la testa e prese in mano la bibita “Grazie…”
“Chi ti ha passato questa info?” le chiese, sempre estremamente calmo.
Li rimase a guardare il pavimento “Uno dei miei” rispose “Quello stupido si è informato su Joy perché pensava che potesse farmi del male, mentre invece è il contrario…”
“Come si chiama?”
A quel punto Li cominciò a intuire dove l’altro stava andando a parare. Alzò lo sguardo e gli disse “A lui ci penso io, Hide. Mi ha salvato la vita”.
Hide continuò, con tono imperturbabile “No, Li, ci devo pensare io… Non si tratta solo di Joy. Se girano informazioni del genere riguardano tutti noi… e devo pensarci io”.
Li cominciò a pentirsi di aver portato la questione alla sua attenzione “Lui le informazioni le ha raccolte, Hide, non le ha diffuse. E’ di chi le ha messe in giro che ci dobbiamo preoccupare”.
Hide era irremovibile come una montagna “Lui ha mosso le acque… lui ne deve rendere conto. Come si chiama?”
Li cominciava ad avere paura. Le cose si stavano mettendo decisamente male “Scusa, nel quartiere c’è chi ha messo in giro certe voci e tu ti preoccupi del mio amico?!”
“Il tuo amico mi deve dire chi gli ha raccontato queste cose” disse tranquillamente Hide, quasi stesse spiegando semplici concetti di logica ad un bambino.
Li trovò finalmente la scappatoia che aveva cercato “Gliel’ho chiesto già”.
“E allora?” chiese Hide, dimostrando per la prima volta un’ombra di interesse.
“Non voleva dirmelo, ma alla fine ha fatto un nome… La cosa non mi quadra molto, ma tant’è...”
Hideoshi continuava a guardarla, con pazienza e determinazione, invitandola a fornirgli l’informazione che gli aveva promesso.
“Ha fatto il nome di un certo Fergus McCallan”
“Bene” disse Hideoshi. Suonò come una sentenza di morte.
“Ma lui lascialo fuori, Hide” chiese Li, tesa per quel tono che non prometteva nulla di buono. Jag era stato un idiota, ma non era una cattiva persona.
“Il tuo amico ne starà fuori” concesse Hide.
“Bene” Li riprese a respirare.
“…ma Fergus Mc Callan è un uomo morto” sentenziò l’altro, concludendo la questione.
“Bene”. Non invidiava affatto quell’uomo, ma almeno era riuscita a salvare Jag.
“Non prima di averci detto come è venuto a sapere di queste cose, naturalmente…” continuò implacabile Hide “Per cui morirà lentamente”.
A Li sembrò di percepire quasi un lieve piacere nel tono di Hide mentre la mente di lui stava sicuramente escogitando una serie di metodi particolarmente dolorosi per far pagare a quell’individuo la giusta pena per aver messo in pericolo la vita di suo cugino.
“Mi sembra ovvio” concordò. Se l’era voluta, in fin dei conti. Aveva toccato l’uomo sbagliato… aveva toccato Joy
“C’è altro?” chiese ancora Hideoshi, senza cambiare espressione.
A quella domanda Li sembrò rendersi conto della gravità della situazione. Provò a pensare a come avrebbe reagito Joy se fosse stato messo al corrente di quello che stava succedendo “Non è giusto, Hide…”
“Che cosa non sarebbe giusto, Li?”
“Joy ha scelto una vita diversa da tutto questo… Non è giusto che le persone che lo amano gli facciano tutto questo, non ha senso…”
Hide si sporse in avanti, poggiando il mento sul manico della spada “Guarda” le disse con espressione calma “Nel caso tu non te ne sia accorta, siamo nello sprawl: nessuno sa quello che gli può capitare. Comunque sia Joy accetta le cose molto più serenamente di quanto non credi” concluse “Forse è questa la sua forza…”
Li non aveva più forze per ribattere. Né nel fisico, né nella mente “Vorrei riuscirci io…”
“Tu vuoi controllare troppe cose…”
“…e invece non ne controllo nessuna” mormorò Li. Poi, sollevandosi a guardarlo un’altra volta lo chiamò “Hide…?”
Hide intanto si era sollevato e le rispose facendo alcuni movimenti con la spada “ Dimmi...” le disse facendo roteare la sua katana con lenta eleganza.
“Quando lo troverete potrò venire anch’io?”
A quelle parole Hide si era bloccato di colpo.
“Non riguarda solo gli Swords, in fondo...” si scusò preventivamente la giovane cinese.
Hide si voltò a guardarla, con occhi fiammeggianti, e la guardò dritta negli occhi, intensamente.
Li sostenne lo sguardo, non curante di quello che le sarebbe potuto capitare. Hide sembrava davvero arrabbiato, ma il gioco valeva la candela. Doveva rischiare.
Hide strinse le nocche sul manico della spada con tanta forza da farle diventare livide. A Li sembrò di udire chiaramente un sinistro cigolio metallico “Tu vieni qui e mi prendi a schiaffi” sibilò Hide “la qual cosa sarebbe costata la testa a molti… credi forse che io non ti abbia tagliata in due solo perché stai con Joy?”
“No” disse guardandolo negli occhi con fare tranquillo e forse un po’ spavaldo. Aveva sinceramente creduto di non riuscire a sopravvivere a quella sua assurda bravata.
Gli occhi di Hideoshi parvero assurdamente chetarsi “Se hai questo coraggio, allora hai anche quello che serve per difendere la tua vita. La tua vita, Li. Quindi non insultarmi con i tuoi piagnistei… Qui nello sprawl la vita non regala niente a nessuno. Uno si prende la vita che vuole e accetta tutto il resto che gli può capitare”.
Al percepire il disprezzo implicito di Hideoshi Li reagì con rabbia “Lezione interessante, Hide, ma non è la riposta che ti ho chiesto. Hai intenzione di chiamarmi… o devo pedinarti per assicurarmi di esserci?” gli sputò guardandolo in faccia con rinnovato senso di sfida “Chi è McCallan lo posso trovare anche da sola, ma gli unici a sapere chi può aver messo in giro certe voci su Joy site voi. E’ per questo che sono venuta qui”.
Hide sembrò incredibilmente calmarsi a quella reazione furiosa “C’è già chi lo sta cercando… se vuoi aspettare qui, in un’oretta saprò chi è, dove trovarlo e che faccia ha… A quel punto andremo a prenderlo insieme”.
“Bene” disse Li con tono secco “ho tempo”.
“Ottimo” concluse il leader degli Sword “vuoi un’altra coca?”
“Ti ringrazio dell’offerta. A dire il vero non mi spiacerebbe fare un po’ d’esercizio, in questo momento, ma temo di non essere alla vostra altezza”
“Ti allenerai con me” rispose tranquillamente Hide, finendo la sua bibita e gettandola nel cestino.
Hideoshi si dimostrò un avversario clemente. Si abbassò al suo livello, ma senza essere particolarmente gentile. “Se migliorata dall’ultima volta che ti ho visto all’opera. Hai preso lezioni?”
“Sì, mi sta allenando un’amica” rispose Li un attimo prima di finire al tappeto.
Continuarono ad allenarsi per un oretta prima che al dojo facesse rientro uno degli Sword. Hide le fece cenno di aspettare e le lanciò un asciugamano pulito per detergersi il sudore. Li ringraziò in silenzio, con un lieve inchino, cui Hide rispose, prendendo un altro asciugamano per sé. Li accettò di buon grado quella pausa per riprendere fiato e lo seguì con lo sguardo.
I due parlottarono per un paio di minuti, durante i quali Hide rimase impassibile come al solito.
Mio Dio pensò Li a volte sembra quasi un androide…
Dopo di che Hide tornò a passi tranquilli nella sua direzione. Li alzò il mento corrugando la fronte, invitandolo a parlare.
“Siediti” le disse.
Li obbedì e Hide si sedette accanto a lei, sulla sua stessa panca.
La ragazza girò la propria testa per guardarlo, ma lui tenne lo sguardo fisso innanzi a sé “Fergus McCallan è uno che si fa trovare spesso al Bar Topaz” disse “Ma penso che la cosa non sia così semplice…”
Li corrugò la fronte, senza capire.
“Fergus McCallan in realtà lo conosci bene… è il tuo amico ricettatore”.
Fu la seconda doccia fredda della giornata. “Jag?!” Brutto idiota... “Mi sembrava troppo bello che avesse rivelato una sua fonte…”
“I casi sono due” disse finalmente Hide girandosi nella sua direzione “o è un romantico e tu non lo sapevi…”
Li lo guardò con orrore e incomprensione, al che l’altro si sentì in dovere di aggiungere “e dico romantico perché ti rimanda a sé… Oppure, come dici tu” continuò imperterrito “non vuole rivelare le sue fonti”.
“Stupido” disse Li figurandosi la testa di Jag tranciata di netto da un colpo di Hideoshi “E’ uno stupido: ecco che cos’è!”
“E' uno del tuo gruppo” continuò serenamente lo Sword “Come mi devo comportare?”
A Li non sembrava vero che le concedesse quello spiraglio “Mi ha salvato la vita, non posso ammazzarlo…” Poi, rendendosi conto che non sarebbe bastato, aggiunse suo malgrado “Ha indagato su Joy perché… è convinto di essere innamorato di me”.
Hide non stava battendo ciglio. Forse poteva spuntarla. “Idiota! Devo farlo parlare…” disse “Ma questo spetta a me”.
“A me non ha salvato la vita” propose candidamente il giapponese.
“Lo so, ma devi lasciarmi tentare”.
Hide sembrò valutare la questione per un attimo. Poi concesse “Ti faccio il favore di gestire la cosa a modo tuo… ma se qualunque altra voce circolasse… in qualunque modo… la testa di Jagger volerebbe via subito. Sappilo”.
Era più di quanto avesse osato sperare. “Tranquillo. Sarei la prima a fargliela volare”.
“E soprattutto…” concluse Hide “Fa in modo che lo sappia lui”.
“Glielo farò sapere. Ha passato il limite… e toccato tasti che non aveva il diritto di toccare” lo tranquillizzò Li. “Su Joy non transigo e lo sai benissimo. Non sei l’unico a pensarla in un certo modo. Tu intanto considera chi può avergli fornito quell’informazione… e vediamo di lavorare su più fronti. Spero che l’elenco di persone interessate a far circolare certi dettagli della vita di tuo cugino non sia posi così lungo”.
“Va bene” accordò serio Hideoshi.
“Vado da lui”.
Hide si limitò ad annuire.
“Grazie per l’allenamento”
“Quando vuoi…”
Li si stava incamminando verso l’uscita quando Hide la richiamà indietro “Li…”
“Dimmi” disse, voltandosi.
“Ci sono poche persone al mondo che mi abbiano preso a schiaffi una volta” affermò avvicinandosi a lei “…che me ne abbiano dati due non ce ne sono, vivi. Stammi bene”.
Li lo guardò dritto negli occhi “Sono stata impulsiva ed avventata, ma non sono stupida. Stammi bene anche tu”.
Hide le diede una leggerissima pacca sulla spalla e per un attimo sembrò quasi sorridesse.

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Marzo 26, 2007 - 11:58 pm

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“L’utente da lei desiderato è al momento irraggiungibile…” dopo il cinquantesimo tentativo di parlare con lei, Jag chiuse il cellulare.
Ma come gli era venuto in testa di agire così, come aveva potuto essere così ingenuo da sperare che Li accettasse i suoi sentimenti? E per di più aveva rivelato il nome della sua fonte primaria… Cercava di pensare a come ovviare a quella situazione, ma ogni volta il volto di lei vanificava ogni suo sforzo. Perdonami, Li…

Non appena uscì dal dojo degli Swords, Li trovò una lunga serie di chiamate non risposte. Jag. Perfetto… doveva fargli proprio un bel discorsetto…
“Troviamoci tra trenta minuti al New World” gli scrisse e si diresse sul posto con la sua ambulanza.

Arrivata a destinazione aspettò per un po’, ma non accadde nulla.
Strano, Jag di norma era puntuale… provò a chiamarlo. Niente da fare.
Andò a cercarlo al Topaz e in tutti i posti dove sapeva di poterlo trovare… niente. Sembrava sparito nel nulla.
Chiamò Fixit, ma Jag non era neanche lì. Chiese al loro comune datore di lavoro se avesse qualche idea su dove cercarlo, ma pareva che anche lui non lo sentisse da un po’. Le suggerì di provare al magazzino che stava rimettendo a posto, fornendole l’indirizzo, al che Li lo ringraziò, trasudando un’indifferenza che non provava. Hide non può avermi mentito… non è possibile…
Tentò anche all’indirizzo indicatole da Fixxie, ma di Jag nemmeno l’ombra. Gli operai non lo avevano visto tutto il giorno.
Li iniziava seriamente a preoccuparsi… che razza di fine aveva fatto?!
Iniziò a riflettere… I neuroni si agitavano febbrilmente… Jag aveva cercato di chiamarla quando non era raggiungibile… impossibile che non ne fosse rimasta traccia… Maledizione! Cercò di studiare un modo per rintracciare la posizione del telefonino o quella da cui erano partite quelle chiamate… Per quanto complessa, era una pista che doveva assolutamente provare a battere…
Nel frattempo riprovò a chiamarlo, a intervalli regolari. Il telefono continuava a essere spento.
Dopo un’ora riuscì finalmente a verificare la locazione da cui erano partite tutte quelle telefonate. Era una zona vicina al Topaz.
Mer…! Forse qualche Sword troppo zelate ci era arrivato prima di lei. Spedì Giz in avanscoperta.
Arrivare al locale fu piuttosto semplice, ma di Jag neanche l’ombra.
Riuscì a intrufolare il drone all’interno del bar, lo posizionò in un angolo abbastanza tranquillo ma con un’ampia panoramica e lo lasciò in standby, a registrare tutto quello che succedeva.
Fatto questo parcheggiò l’ambulanza, entrò personalmente nel locale e chiese di Jag al barista “Se lo vede, gli riferisca che lo cerco, per favore”.
L’arm-deck era abilmente nascosto sotto la manica del maglione, ma con la coda dell’occhio Li era pronta a captare eventuali movimenti sospetti.
“Non conosco nessun Jagger” rispose il barista.
Li rimase interdetta. Ma come?! Eppure Hide aveva detto… Glielo descrisse accuratamente, ma il barista insistette testardamente con la sua versione “Glielo ripeto, mai visto...”
Li ebbe un’illuminazione. Allungò una banconota. “So che lo conosce. E’ cliente abituale di questo locale. Gli dica che lo cerco. E’importante”.
“Mai visto, le dico…” continuò cocciutamente l’altro “Sarà cliente abituale da qualche altra parte…”
Li si sentì gelare il sangue nelle vene “Ne è assolutamente certo? E’ importante”.
Il povero barista annuì e per quanto ne capiva Li, le stava dicendo la verità.
Accidenti. Accidenti, accidenti, accidenti!!! Non poteva essere vero. Non potevano averla gabbata così facilmente. Non potevano averlo trascinato tranquillamente nel dojo mentre lei stava stupidamente cercandolo per mezza città… Non era possibile…
Nel dubbio, sconvolta nel profondo, Li saltò di corsa a bordo della sua ambulanza e si precipitò nuovamente alla volta del dojo, anche se era certa che lì non lo avrebbe mai trovato. Se anche mi hanno tirato un gioco così mancino, non saranno così stupidi da farsi scoprire…

Le folli elucubrazioni mentali di Li vennero bloccate dall’arrivo improvviso di un messaggio. Era di Jag. Li inchiodò quasi di netto quando vide chi ne era l’autore.
“Non posso adesso ho un impegno” diceva semplicemente. Li fece partire immediatamente la telefonata e intanto si mise ad armeggiare per cercare di rintracciare la posizione del ricettatore.
“Dimmi dove sei” gli disse senza preamboli “ti raggiungo!”
“In un posto chiamato Discrezione” rispose laconico l’altro.
“Non fare l’idiota, Jag, è importante. Dammi un accidente di indirizzo!”
“Veramente, non posso” ribattè Jag, leggermente sulle difensive.
Li non volle sentire ragioni. Se non riusciva a parlarci a breve ci sarebbero state spade sguainate alla ricerca della sua testa “Vedi di potere, se ci tieni alla pelle, e non fare l’idiota.” Poi, con tono più conciliante aggiunse “Per favore”.
Nel frattempo era finalmente riuscita a scoprire da dove partiva la telefonata. Jag sembrava trovarsi… all’interno del Topaz Bar!
Accidenti a lei che si era allontanata a tutta birra da quel luogo proprio prima che Jag si decidesse a chiamarla!
Attivò Giz e rimise in moto il mezzo, pestando sull’acceleratore.
“Esco adesso” le stava dicendo Jag, mentre lei si infilava nervosamente lo spinotto e cercava di districarsi tra la guida del suo mezzo e quello che le mostrava il drone.
“Dove???” lo incitò furiosamente Li mentre con gli occhi di Giz cercava disperatamente di distinguerlo tra gli avventori del bar.
“Ci troviamo alla Sala di Smeraldo”
“Dove si trova?” chiese, mentre continuava a guidare come una pazza tenendo il collegamento con Gizmo in secondo piano.
Finalmente Giz sembrava aver individuato uno strano tipo che parlava al cellulare. Dall’aspetto non sembrava affatto Jagger, anzi, era completamente diverso, ma la corporatura era decisamente simile… Li impartì un paio di comandi per mirare il micorfono con maggiore precisione e alzando il volume di ricezione. Non c’erano dubbi: la voce era quella.
“E’ al confine tra la zona dei Poser e quella dei Presidenti” le stava intanto spiegando la voce.
“Ok. Quando?”
“Quando puoi” rispose il tizio al telefono con la voce di Jag.
“Adesso!” urlò quasi Li, sotto l’effetto dell’adrenalina.
Non era molto distante… ancora qualche minuto e lo avrebbe raggiunto.
Ca…! Aveva cantato vittoria troppo presto. Jag era appena uscito dal locale.
Grazie al cielo stava già guidando via interfaccia. Prese il comando di Giz e lo lanciò all’inseguimento di Jag. L’ambulanza stava puntando dritta verso il drone.
“Quanto ti ci vuole per arrivare fin là?” gli chiese, per guadagnare tempo.
“Mezz’ora” rispose lui.
“Ok” concesse Li, certa che a qual punto non le sarebbe potuto sfuggire.
Jag montò su un taxi e Giz gli rimase alle calcagna, nascondendosi sulla carrozzeria. Dopo un girò piuttosto lungo e tortuoso che le fece perdere un sacco di tempo Jag giunse esattamente dove le aveva detto, in una zona situata approssimativamente al confine tra i Poser e i Presidenti. Si fermò ed entrò in un locale la cui insegna recava chiaramente “Sala di Smeraldo”.
Li si accertò che il piccolo Giz riusce ad entrare nel locale assieme a Jag e si precipitò sul posto, maledicendosi.
Jag si sedette comodamente a un tavolo e Li piazzò Gizmo in un angolo tranquillo, in modo da tenerlo d’occhio.
Qualche minuto dopo arrivò finalmente in zona. Posteggiò il mezzo ed entrò nel locale puntando dritta verso l’uomo che Gizmo aveva seguito.
Non sembrava affatto Jag. Anzi, era totalmente irriconoscibile. Capelli, lineamenti, colorito, occhi… tutto era diverso, eppure lei non aveva dubbi.

Quando udì il rumore della porta che sbatteva, Jag si alzò e si diresse verso Li, evitando così di cogliere la traiettoria priva di esitazioni dell’altra.
“Jag?!” chiese perplessa la minuta orientale.
“No” rispose l’uomo “Jagger non è potuto venire. Ha mandato me al suo posto”.
La voce che le stava parlando ora era diversa… eppure la persona era la stessa che Gizmo aveva seguito… la stessa che prima stava parlando al telefono con lei. E al telefono, ne era certa, c’era stato Jag.
“Non fare l’idiota” lo apostrofò duramente.
“No, sono serio” rispose risolutamente quella voce estranea.
Li fulminò l’uomo con lo sguardo, poi aprì il palmo della mano e richiamò Giz dal suo nascondiglio.
“Io e te dobbiamo parlare” sbraitò rabbiosamente mentre metteva in salvo il suo drone. Poi, vedendo che Jag restava immobile aggiunse torva “…in privato!”
Jag rinunciò alla commedia e riprese a parlare con la propria voce “Volevi un nome e una faccia… eccoteli”.
“Idiota!” sbottò Li, sfogando con rabbia tutta la preoccupazione che aveva accumulato mentre gli aveva dato la caccia per mezza San Francisco “Hai una stanza qui o è il caso di andare nella mia ambulanza?”
“Ho una stanza di sopra”.
“Bene, allora saliamo” ritorse lei, ancora arrabbiata.
Jag fece strada, salendo le scale e poi lungo un corridoio, infine aprì una porta e le fece cenno di entrare.
Dopo di te” gli disse Li, furente.
“Come preferisci”, concesse, entrando nella stanza “Siediti dove vuoi”.
Li si chiuse la porta alle spalle, ma la tenne rigorosamente tra sé e il ricettatore “Perché mi hai mentito?” e subito dopo, guardandolo in faccia “E perché questa sceneggiata?!”
Jag non sapeva decisamente che pesci pigliare. Evidentemente non si aspettava di venire smascherato in quel modo “Non ti ho mentito…” rispose, glissando sulla seconda domanda “Questo sono io fuori dal gruppo. Sai, come delle scatole cinesi…”
Li non capiva, ma era ancora molto arrabbiata “Non giocare con me, Jag!” lo minacciò.
“La gente conosce Jagger ma non conosce... Fergus” disse con tono calmo l’altro, indicando il suo volto estraneo.
“Sei un idiota, Jag... Fergus... o come diavolo ti chiami! Avrei potuto ammazzarti, senza sapere che eri tu!” E gli Swords avrebbero potuto farti anche di peggio… “E comunque prendermi per i fondelli non è stata un’idea intelligente…” era furibonda. “Chiedi a Fergus McCallan, mi hai detto” gli urlò in faccia, scimmiottando la scena della sera prima.
Jag non reagì “Sei ancora in tempo” le disse, allungandole la pistola.
Li ignorò volutamente quel gesto e continuò ad apostrofarlo “Bene, Fergus, ora te lo chiedo: dimmi chi cavolo è stato a dirti certe cose su Joy!!!”
“Il Dr. Faust”.
Li lo bruciò con lo sguardo, per accertarsi che non le stesse nascondendo parte della verità un’altra volta. “E’ la sola fonte di quella voce?” chiese. Era mortalmente seria “Davvero, Jag, è importante”.
“Perché? Devi ucciderlo?” le chiese lui, cogliendo la serietà del suo tono.
“Perché voglio sapere chi mette in giro certe voci su Joy. Voci che potrebbero metterlo in pericolo”.
“Tu senti, ma non ascolti” le disse lui rassegnato.
“Allora, ripeti” lo invitò lei.
“Nessuno ha messo quelle informazioni in giro, sono stato io che le ho raccolte, a suon di soldi e di favori”.
Li era irremovibile “D’accordo, ma qualcuno te le ha date! Voglio sapere chi ti ha detto che Joy ha certa m... in corpo!”
“Sono solo bocche senza volto…”
Li cercò di trasmettere con la voce tutta la gravità della situazione. Quello stupido stava rischiando la pelle… sua, oltre che di Joy, e neanche se ne rendeva conto “Le bocche sono pericolose. Allora, Jag. E’ stato solo il dottor Faust o c’è qualcun altro?”
Sembrava pronta a tutto… a qualunque cosa pur di ottenere quell’informazione. E la voleva solo per Joy. Solo per quell’altro… Jag cedette, sconfitto “Sì, solo il Dr. Faust”
“Me lo giuri?” continuò Li, dura “Su tutto ciò che hai di più caro?”
“Su ciò che ho di più caro” le disse, guardandola tristemente in faccia e alzando la mano per sfiorarle una guancia.
Li si scostò bruscamente “Non mi toccare!” sibilò con rabbia “Ti ho salvato la vita, oggi, Jag... Adesso siamo pari”. Morte per morte, si corresse mentalmente Tu hai ucciso me e io ho ucciso te… Tu mi hai tolto Joy e io ti ho tolto ogni speranza.
“No, Li, tu mi hai ucciso” le disse, mentre il dolore gli si leggeva chiaro in faccia “Mi hai reso morto”.
“Io non ho fatto assolutamente nulla, Jag… hai fatto tutto da solo...”
“Appunto” concesse lui, sconfitto.
“Hai rovistato nella mia vita privata… qualcosa che normalmente non perdonerei a nessuno, ma forse in questo caso posso fare un eccezione”.
Jag alzò lo sguardo, un filo di speranza ancora in fondo agli occhi.
“Preferisco che ad aver sentito certe stupide voci sia stato tu piuttosto che un perfetto estraneo. E preferisco di gran lunga averlo scoperto subito, piuttosto che ignorarlo” cominciò con tono neutro. “Naturalmente” aggiunse poi per avvertirlo dei rischi in cui sarebbe inevitabilmente incappato “non permetterò a nessuno di ripetere simili idiozie… Neanche a te. Ma non c’è bisogno di dirlo, vero?” Era una chiara minaccia. Indorata quanto si vuole, ma pur sempre una minaccia.
“Era per proteggerti…” si scusò ancora una volta Jag “Non lo riesci a capire?”
Li lasciò trapelare tutto il dolore che aveva provato quando lei aveva scoperto che qualcuno aveva indagato sulla vita di Joy “Scoprire in quel modo chi amo non è proteggermi, Jag. E’ squartarmi”.
Jag cercò di sondare la situazione, di recuperare un po’ del terreno perduto “Metti che quelle notizie mi siano giunte indagando su Santiago… cosa avrei dovuto fare, allora? Eh? Dimmelo!”
Lo sguardo in tralice che gli rivolse la diceva lunga su quanto veritiera riteneva una simile ipotesi. Poi tornò a farsi seria e gli chiese ancora una volta “Ho la tua parola che non ripeterai a nessuno quanto mi hai detto?”
“Credevo di avertelo già detto”
Li era di ghiaccio “Ti ho chiesto: ho la tua parola?”
“Su ciò che ho di più caro” ripeté lui piano, guardandola negli occhi.
Bene. Gli lesse nello sguardo la sincerità di quella informazione. Era stato da bastardi affondare in quel modo, ma non aveva avuto scelta. Hide non era uno che andava molto per il sottile.
“La parola di un uomo per me è una sola” gli disse “Perciò non è che se cambierai opinione si di me cambierai anche la parola data”. La sua era un affermazione non una domanda.
“Mai” confermo Jag, serio.
“Ho perso la faccia e rischiato la testa per te, oggi… Non me ne far pentire”.
“Perché dici questo?”
“Perché se non avessi chiesto un grosso favore a qualcuno saresti morto, oggi. Molto lentamente”
“Per come mi sento adesso non vedo la differenza” ribatté amareggiato l’altro.
Li non riusciva a provare pietà, neanche per se stessa, ma non se la sentiva di infierire. In fin dei conti non era colpa di nessuno se ci si innamorava sempre della persona sbagliata…
“Quanto a questo non posso farci nulla, Jag, mi dispiace. Posso proteggerti dagli altri, ma non da te stesso”
“E’ vero. Non puoi proteggermi dal mio cuore”.
“Nessuno può farlo” disse a lui tanto quanto a se stessa “E adesso torna a casa. Dimentichiamo quest’incidente e cerchiamo di tirare avanti. Ognuno come può”.
“Casa… incidente… avanti…” Jag piazzò lì quelle parole senza senso con lo sguardo perso nel vuoto. Poi alzò lo sguardo verso di lei e le disse “Mi sto rammollendo, Li”.
A quelle parole Li provò un leggero fastidio “Balle. Sei semplicemente umano. Accettalo e tira avanti”.
“Posso essere pericoloso per voi” disse Jag con tono lamentevole. E Li reagì con la stessa rabbia che aveva fatto fiammeggiare gli occhi impassibili di Hide quel pomeriggio, la stessa che gli aveva fatto sbiancare le nocche sull’impugnatura della sua katana… e in quel momento capì.
Quelli che lei credeva massimi sacrifici immolati sull’altare dell’amore altro non erano che stupidi piagnistei, altro non erano che un estremo gesto di codardia. Codardia, già, perché ci voleva fegato ad affrontare una vita in cui dai tuoi gesti dipendevano anche quelli che ti circondavano, ci voleva fegato a prendere in mano la propria vita e godersela fino in fondo… pur sapendo quale conto ti si sarebbe potuto presentare alla fine.
“Già” gli disse, con tono secco, ma improvvisamente meno duro. Aveva appena trovato un nuovo motivo per essergli grata “Pericoloso per noi come io posso esserlo per Joy. E se posso accettare io un simile peso, puoi farlo anche tu. Affronta la cosa e non scappare come stavo per fare io. Sono stata chiara? Ci aspettano tempi duri e c’è bisogno di te”.
“Ma da me dipendono almeno una dozzina di persone” provò a patteggiare lui, ancora sulle difensive.
“Rassegnati. E’ il destino”.
“Non ho le spalle così grandi” buttò lì.
A Li sembrava di sentire se stessa che parlava con Hideoshi “Balle. La forza da qualche parte si trova sempre”. Lo stava dicendo anche a se stessa…
“In qualcuno che si ama, ad esempio…”
“Ad esempio” concordò Li.
Jag cercò di abbozzare un sorriso forzato
“Vieni, ti porto a casa” gli propose Li con dolcezza.
“Grazie”.

Durante il tragitto Jag rimase seduto sul sedile a fissare la strada. Anche Li era silenziosa e probabilmente il genere di pensieri che stavano affollando le loro menti non erano poi così diversi.
“Dove vuoi che ti porti?” gli chiese.
“Manhattan Project” mormorò. Poi si voltò a guardarla e con tono un po’ meno fievole le chiese “Ci sarai dopodomani, per l’inaugurazione?”
“Mi stai invitando?” chiese Li con tono piuttosto neutro.
“Sì” sussurrò lui di rimando, temendo un brusco rifiuto.
Li sospirò “Allora ci sarò, naturalmente” il tono non si poteva dire leggero, ma cercò di abbozzare un sorriso. Il gruppo era sempre il gruppo. E loro ne facevano parte.
“Ovviamente non saremo solo noi… ci saranno tutti.” Si affrettò ad aggiungere Jag “Puoi estendere l’invito anche a Joy… e a Hide”.
Allora non gli era sfuggito che gli Swords erano alle sue calcagna… e aveva anche fatto i dovuti collegamenti… Bene. “Lascia stare Hide, per favore”.
“Le questioni lasciate in sospeso si ingrandiscono con il passare del tempo” cercò di giustificarsi Jag.
“Non c’è niente da ingrandire né da sistemare. E’ tutto a posto, ok? A rimestare la cosa faresti solo peggio” Se qualunque altra voce circolasse… in qualunque modo… aveva detto Hide la testa di Jagger volerebbe via subito. E Hide era uno dannatamente di parola “A meno che ti dicano qualcosa loro, non dire nulla”.
“Dimenticare tutto… Sarebbe bello avere un interruttore sui sentimenti”
Stava ricominciando a piagnucolare. “Jag?”
“Sì?”
“Smettila. O ti prendo a calci”.
A quel commento, incredibilmente, Jag sorrise “Stai tornando la Li di sempre” commentò.
“Io sono sempre stata me stessa. Tu piuttosto... dove hai scavato quella faccia?”
“Non lo sapevi? Sono praticamente un truccatore professionista, io!”
Li rise di gusto “Oddio… questa mi mancava…”
“Mi prendi in giro” la accusò lui.
“No, davvero, non me l’aspettavo proprio…” si scusò “Me l’avresti fatta, sai? Ma per fortuna hai omesso un dettaglio… molto piccolo”.
“Quale?”
A Li pareva incredibile che Jag non avesse ancora realizzato cos’era successo. Era proprio vero che l’amore rinc….iva. “Quando mi hai telefonato… ti stavo osservando… e la voce… era la tua!”
Jag finalmente mise a fuoco la scena “Giz!” disse sbarrando gli occhi per la sorpresa.
“Già” ridacchiò Li “Lo avevo lasciato lì casomai tu fossi tornato e il barista mi avesse detto una balla”.
“Siamo arrivati” la interruppe Jagger.
Li accostò e fermò il motore.
“Ti fermi a bere qualcosa?” le chiese “Giuro che sarò l’esempio della cavalleria”
Li lo guardò per qualche attimo, senza dire nulla. Quell’uomo in due giorni le aveva tolto il mondo e glielo aveva restituito… E naturalmente non si era reso conto né dell’una, né dell’altra cosa. Sospirò leggermente e annuì “Ok, ma non mi fermerò molto”.
“Tutto il tempo che vuoi… Vuoi dare un occhiata al posto?”
“Perché no…” concesse Li scendendo dal posto di guida.
“Da dove vuoi cominciare? Dal poligono o dall’officina?”
“Officina” rispose Li prontamente.
“Da questa parte…” la invitò lui, alzando una serranda e facendole strada.
L’officina era talmente grande che ci sarebbe entrato anche il mezzo corazzato che avevano usato per l’incursione nel covo del Vescovo.
L’attrezzatura che aveva scovato era decisamente interessante. C’erano un paio di strumenti che avrebbero fatto gola allo stesso Frank. Era decisamente un bel posto e Li era una che sapeva dare soddisfazione.
“C’è una cosa ancora in sospeso” le disse a un certo punto Jag, accendendo una sigaretta e appoggiandosi al muro “Prima che succedesse questo casino avevo pensato di invitare te e Ed ad abitare qui…”
Li fu colta di sorpresa “Ma... Jag, io... Io ho già una casa!” gli disse cercando di non essere scortese “Vivo lì per scelta...”
“Dormire in un ambulanza non è il massimo” commentò Jag emettendo una nuvola di fumo “E se proprio vuoi c’è abbastanza posto in garage”.
“Grazie” concesse Li. Lo aveva già ferito abbastanza per quel giorno “Ne terrò conto… ma non te la prendere se non verrò spesso: non lo faccio neanche da Frank”. E questa comunque era la sacrosanta verità. Aveva più posti lei dove dormire di tutti loro messi insieme, alla fin fine, ma a lei non andava di stabilirsi stabilmente in nessuno di essi.
“Peccato…” disse Jag “Avevo fatto già intestare una stanza a tuo nome. Mancava solo la tua firma”.
“Come accettato, davvero”.
“Capisco” disse Jag schiacciando il mozzicone di sigaretta sotto la suola della scarpa e staccandosi dal muro.
Li dubitava seriamente che avesse capito, quindi aggiunse “Lascia il mio nominativo all’entrata, se vuoi, ok? Dì che potrei essere una possibile ospite occasionale… ma non impegnare una stanza solo per me, ti prego, sarebbe uno spreco”.
Jag sorrise, grato della concessione “Sarai sempre la benvenuta”.
“Lo so” disse lei con un sorriso “grazie. Adesso però devo proprio andare. Ci si vede, ok?”
“Sì, scusa, ti ho trattenuta anche troppo. Ciao”
“Ciao...”

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Giugno 4, 2007 - 10:39 pm

I genitori di Li erano sempre stati estremamente rigidi per quanto concerneva l’educazione della figlia. Da una ragazza cinese di buona famiglia come lei ci si aspettava che desse sempre semplicemente il massimo e che rispondesse appieno alle aspettative dei propri genitori e della società cui apparteneva. Il che, nel suo caso, significava cercare quantomeno di eguagliare gli enormi successi della madre, in modo da tenere alto il nome della famiglia.

** you do not have permission to see this link ** Li Ann Zhang adolescente

Lihua Huang era una donna bellissima e di straordinaria intelligenza che univa in maniera squisita i suoi delicati incarichi corporativi con la devozione e la modestia di una moglie perfetta. Proprio come voleva la tradizione. Ingegnere dei materiali di altissimo livello, ospite e padrona di casa a dir poco impareggiabile, aveva deposto la propria cultura e le proprie qualità innate di intrattenitrice al servizio del marito, appoggiandone e sostenendone la carriera dentro e fuori e dall’ufficio.
Il carattere ribelle di Li, tuttavia, non le avrebbe mai permesso di accettare un simile ruolo per se stessa e col passare degli anni il conflitto sarebbe stato pressoché inevitabile. A salvarla da gesti estremi che avrebbero scatenato una dura repressione era stata Maymay.

** you do not have permission to see this link ** Maymay Yi

Di sei anni più grande, la figlia della sorella di Lihua aveva da subito riconosciuto nella cugina una sua simile e prendendola sotto la propria ala protettrice le aveva insegnato alcuni semplici trucchetti per scavarsi i propri spazi e dare libero sfogo ai propri desideri sotto un’aura di totale sottomissione. Le aveva insegnato che eccellere nello studio e sottostare agli ordini della propria famiglia era il modo più semplice per conquistarsi la libertà. E che conquistarsi la complicità e il silenzio della servitù era quello successivo. E per certi versi Li divenne un’ottima allieva.
Ammaliare l’autista di suo padre era stato quasi un gioco da ragazzi. Nelle lunghe ore in cui talvolta rimanevano ad attendere l’arrivo dei suoi genitori non era stato difficile avvicinarlo e conquistarsi la sua simpatia. D’altro canto Li era sinceramente deliziata che qualcuno finalmente l’ascoltasse e soddisfacesse la sua curiosità, e per amore di conversazione aveva indirizzato le sue domande sull’argomento che le sembrava più semplice da affrontare con quell’uomo: pregi e caratteristiche delle macchine che suo padre cambiava in continuazione. Oltretutto, aveva scoperto, discutere di quell’argomento non era affatto noioso. Anzi.

** you do not have permission to see this link ** Mr. Chen

Una volta assicuratasi la complicità del signor Chen non aveva richiesto un eccessivo sforzo convincerlo ad insegnarle a guidare e a provare di nascosto alcune delle macchine di suo padre. E se da un lato Li era stata disposta a coprirlo in un paio di occasioni in cui, per ragioni familiari, l’uomo aveva dovuto assentarsi durante l’orario di lavoro, dall’altro non si era fatta eccessivi scrupoli a chiedere in cambio il suo silenzio quando aveva dovuto coprire qualche sua… scappatella.
Maymay l’aveva introdotta in una sottile rete di conoscenze di ragazzi e ragazze di buona famiglia che si usavano gli uni gli altri come copertura per uscite extra e per soddisfare alcuni piccoli… vizi e a Li era sufficiente riferire ai propri genitori che si sarebbe incontrata con la cugina per ottenere il permesso di uscire o di restare fuori casa anche dopo l’orario scolastico. Un simile lusso, in una famiglia come la sua, non aveva praticamente prezzo e la sua gratitudine nei confronti della cugina era enorme.

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Giugno 6, 2007 - 9:03 pm

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Li aveva all’incirca diciott’anni quando avevano preso a frequentare delle feste in cui girava gente proveniente da altre zone della città. Naturalmente loro dei quartieri alti tendevano a starsene per conto loro, ma quando il tasso di alcol o di altre sostanze stupefacenti saliva le distinzioni di classe si facevano decisamente meno nette. E poi c’era anche da dire che a più di qualcuno stuzzicava non poco l’idea flirtare con gente che mai e poi mai avrebbe potuto ottenere l’approvazione della propria famiglia di origine. Il più delle volte, tuttavia, questo affievolirsi delle distinzioni sociali altro non era che era un laido e reciproco sfruttamento, in cui tutte le parti ben sapevano che al risveglio l’ordine prestabilito sarebbe stato naturalmente ripristinato.
In questo Maymay non faceva eccezione, ma Li non l’avrebbe mai ammesso. Neppure a se stessa. A Li stava decisamente stretta l’ipocrisia delle persone che la circondavano, ma si rifiutava di credere che Maymay ne facesse parte. A forza di chiudere gli occhi di fronte all’evidenza, Li aveva finito col diventare cieca a parecchie cose. Non da ultimo l’abuso che troppo spesso Maymay faceva di certe sostanze.
Una notte, durante una festa al di fuori della zona corporativa, sua cugina doveva aver esagerato con le dosi o forse aveva preso qualcosa di diverso dal solito, perché prese a star talmente male da non riuscire a stare in piedi, e finì col cadere per terra, priva di conoscenza. Li si era parecchio spaventata, ma non appena aveva cominciato a guardarsi attorno in cerca di aiuto si era resa conto che i loro presupposti amici se l’erano data rapidamente a gambe.
Pur tremando all’idea delle conseguenze che ci sarebbero state per entrambe non appena i loro genitori sarebbero venuti a conoscenza dell’accaduto, Li si ci accinse a chiamare un’ambulanza, affidandosi all’assicurazione sanitaria cui si appoggiavano le loro famiglie.
Non aveva fatto neppure in tempo a identificarsi con l’operatore dall’altro capo del telefono, che un ragazzo dal volto insolito eppure stranamente familiare le prese il cellulare di mano e chiuse bruscamente la comunicazione “Si può sapere cosa diamine stavi facendo? Ti è dato di volta il cervello?”
Li era talmente esterrefatta che non sapeva cosa rispondere “Io… veramente… stavo chiamando aiuto. Mia cugina sta male, non vedi?!”
Il respiro di Maymay era sempre più fioco ed irregolare.
“Con quella telefonata avresti ottenuto risultati ben diversi da quelli che credi. Hai dei soldi con te?”
“Sì, certo, ma che…?”
“Quanto?”
“Circa 300 E$”
“Basteranno. Seguimi” le disse facendo cenno a un tipo piuttosto robusto di sollevare l’altra ragazza e precedendo entrambi fuori dalla sala che si andava rapidamente svuotando.
All’esterno li attendeva una macchina dall’aria malandata e col motore acceso. L’armadio a quattro stagioni che aveva in braccio sua cugina salì sul sedile posteriore e l’altro ragazzo le fece segno di darsi una mossa a seguirlo, poi salì accanto al guidatore. “Quel cretino di Tony ha lasciato che la ragazza si facesse un bel cocktail” disse guardandosi nervosamente in giro, mentre l’altro sgommava via “ma la ragazzina ha della grana: portiamole entrambe dal doc prima che qui scoppi il finimondo… non vorrei che qualcuno di quei cagasotto avesse fatto una soffiata”.
Il guidatore fece un breve cenno d’assenso e proseguì in silenzio a velocità abbastanza sostenuta.

** you do not have permission to see this link ** Tony "Reagan" Scarpa

La macchina si fermò in un quartiere piuttosto laido, dove il ragazzo scese, facendo cenno a lei e al compagno di seguirlo. Il pilota rimase in macchina.
Entrarono in un edificio dall’aria anonima, dove vennero accolti da un tipo sulla quarantina che li stava chiaramente aspettando. L’uomo fece cenno al ragazzo che teneva in braccio Maymay di seguirlo lungo uno stretto corridoio, poi lo invitò a seguirlo in una stanza.
Prima che Li potesse entrare, questi si chiuse la porta alle spalle. Al primo accenno di protesta il ragazzo che era rimasto dietro a lei la zittì “Noi aspettiamo fuori”. Tirò fuori dalla giacca un pacchetto di sigarette e ne estrasse una. “Sta tranquilla” le disse mentre l’accendeva “non l’ho certo portata qui a morire”. Aspirò una boccata e poi lasciò che il fumo gli uscisse lentamente dalle narici.
Li aveva decisamente la sensazione di aver già visto quel volto, ma era troppo tesa per riuscire a focalizzare dove. Notando che lo stava osservando, il ragazzo fraintese le sue intenzioni e le porse il pacchetto, al che Li scosse lievemente la testa in segno di diniego. Lui fece spallucce, rimise il pacchetto nella tasca da cui l’aveva tirato fuori e continuò a fumare in silenzio.
Il ragazzo era alla sua seconda sigaretta quando Li sentì la cugina tossire violentemente e poi vomitare nella stanza accanto. A metà tra il sollievo e l’apprensione, Li si precipitò ad aprire la porta. L’interno era squallido quanto l’esterno, ma apparentemente più pulito. Maymay, pallida come un cencio e seduta di lato su una sorta di lettino stringeva convulsamente tra le mani un secchio in cui stava riversando il contenuto del proprio stomaco.
“Maymay!” gridò di sollievo Li, correndole incontro “Che ti è successo?! Quando ti ho vista perdere i sensi ho preso una paura…!”
“La tua amica qui dovrebbe stare un po’ più attenta a quello che butta giù” rispose per lei l’uomo che l’aveva portata dentro a quella stanza “certe combinazioni possono essere decisamente pericolose”.
Maymay poggiò il secchio di lato e cercò di scendere dal lettino. Abbozzò un sorriso in direzione della cugina per rassicurarla e poi mosse flebilmente alcuni passi. Li le corse incontro e si passò il braccio dell’altra attorno alle spalle, per sorreggerla “Vieni, adesso andiamo a casa”.
L’altra scosse inorridita la testa “No, Li, non posso rientrare così!”
“Sta tranquilla. Chiederò al signor Chen se possiamo fermarci da lui un attimo per darti una rinfrescatina. Lui ci aiuterà”.
Maymay annuì senza troppa convinzione e si lasciò condurre fuori dalla stanza.
Prima che avessero raggiunto la porta Li sentì che qualcuno le prendeva la spalla. Era il dottore.
“Ehi, ragazzina, non crederai mica che io lavori gratis, vero?”
Li arrossì di colpo “N… no, no, certo. Mi scusi” biascicò mettendo mano al portafoglio “Grazie mille per l’aiuto, davvero. Non so cosa sarebbe potuto succedere, altrimenti”.
“La tua amica avrebbe potuto finire in coma o lasciarci le penne, ecco cosa sarebbe potuto succedere. Perciò, se non vuoi che ricapiti, vedi di tenerla lontana da cose che chiaramente non sa gestire”.
Li annuì mortificata, chinando il capo in segno di ringraziamento, poi uscì assieme alla cugina.
Il tipo alto e grosso e l’altro ragazzo le stavano aspettando.
“Vi riaccompagniamo fino a una zona dove potrete prendere un taxi dopodiché le nostre strade si separeranno”.
Li fece ancora un inchino in segno di ringraziamento e seguì i due fino alla macchina, sempre continuando a sostenere la cugina.

Dopo una breve sosta per permettere a Maymay di ricomporsi un poco, il signor Chen le aveva accompagnate a casa entrambe, ma nell’ultimo tratto di strada, in cui lui e Li erano rimasti soli, l’aveva aspramente rimproverata. Disapprovava totalmente il loro comportamento ed era corso loro in aiuto solo per l’affetto che provava per Li. Avevano davvero esagerato quella sera e Li si rese conto che il signor Chen aveva rischiato parecchio per coprirle entrambe. Se ci fosse stata una fuga di notizie avrebbe sicuramente perso il posto di lavoro e lei non lo avrebbe rivisto mai più. E quella era un’idea che non poteva sopportare.
Tuttavia non poteva promettergli che non sarebbe più tornata in quella zona della città, perché in cuor suo Li si era riproposta di fare esattamente il contrario. Nessuno si era degnato di aiutarle quella sera, tranne quel perfetto sconosciuto. Oltretutto aveva finalmente ricordato dove aveva già visto il volto di quel ragazzo.

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Uno con la faccia del Presidente Roosevelt non doveva essere poi così difficile da trovare, pensò.

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Giugno 12, 2007 - 6:17 am

Erano passate alcune settimane, oramai, e Li stava ancora cercando un’occasione propizia per sgattaiolare via da casa e tornare nei quartieri periferici.
Non avevano dovuto affrontare particolari punizioni o scenate… non avevano dovuto affrontare assolutamente nulla. Il signor Chen le aveva aiutate a far recuperare a Maymay un aspetto più decente ed erano riuscite a far bere ai genitori di lei che il suo aspetto non proprio fresco era dovuto a un qualche malessere… forse un’indigestione. Maymay era stata abile a trovare una scusa e Li non aveva dovuto far altro che tenerle il gioco. Le era bastato restarsene zitta.
Eppure, sebbene se la fossero cavata a così buon mercato e Maymay avesse ripreso rapidamente a essere la stessa di sempre, per Li le cose erano cambiate. Era come se la campana di vetro in cui aveva vissuto fino ad allora si fosse improvvisamente incrinata. Checché ne pensasse il mondo che la circondava quella sera erano successe una serie di cose molto gravi, che non le riusciva di dimenticare o di minimizzare come dettagli senza importanza.
Anzitutto si era davvero spaventata per Maymay. Al principio, quando sua cugina aveva iniziato a sentirsi male, la sua preoccupazione principale era che avrebbero rischiato di essere scoperte. Dopo, però, quello divenne un dettaglio secondario, perché non appena quel ragazzo dalla faccia pulita i cui lineamenti tanto assomigliavano a uno dei loro ex-Presidenti le aveva garantito che con l’aiuto di quel medico Maymay ce l’avrebbe fatta, lei aveva per la prima volta realizzato quale rischio avevano corso.
Si sentiva ancora in colpa per non aver colto da subito la gravità della situazione. D’altro canto Maymay stessa continuava a non percepirlo. O forse semplicemente non voleva rendersene conto, perché quando Li cercava di intavolare il discorso o di metterla in guardia da ripetere sciocchezze simili in futuro, la cugina tagliava corto, etichettando le sue preoccupazioni come inutili inquietudini di una bambina. Una volta aveva provato anche ad insistere, ma il solo risultato era che Maymay si era arrabbiata.
Sua cugina non capiva… non vedeva… non voleva vedere. E invece Li da quella sera non era stata più capace di nascondersi alcune verità. Aveva perso il conto delle sere o dei pomeriggi liberi che aveva trascorso da sola nella sua stanza o in qualche luogo isolato a riflettere su tutta quella situazione…
Oltretutto per lei dimenticare del tutto quell’episodio era stato due volte impossibile, perché nello sguardo e nel comportamento del signor Chen percepiva tutta la sua disapprovazione per quanto avevano fatto nonché un muto rimprovero per averlo coinvolto in quella situazione.
Non appena ne ebbe l’occasione cercò di scusarsi con lui e di fargli capire che era sinceramente dispiaciuta per tutto quello che era successo. Non avrebbe mai più fatto nulla del genere e non lo avrebbe mai più costretto a mettere a repentaglio la sua posizione a causa della sua stupidità di ragazzina. Era decisa a non coinvolgerlo più in certe sue scelte e nelle inevitabili conseguenze che queste comportavano anche se non si rendeva conto che questo era virtualmente impossibile perché il signor Chen aveva modo di vedere e osservare molte più cose dei suoi genitori e a causa dell’affetto che provava per quella piccola ribelle, aveva preso a vigilare su di lei.

Parlando con Maymay in tono del tutto casuale aveva scoperto che anche il ragazzo con cui sua cugina era stata quella sera aveva il volto di un ex-Presidente degli Stati Uniti, quel Tony, infatti, era una fotocopia di Ronald Reagan. E non si trattava neppure di una combinazione: a quanto pareva, né lui né l’altro ragazzo erano nati con quei tratti… quando Li le chiese perché mai i due avessero fatto una cosa del genere, Maymay Le rispose che da quanto aveva capito era una strana moda. Tutto il loro gruppo di amici lo avevano fatto o erano in procinto di farlo. Poi cambiò argomento, come se non avesse altro da aggiungere e tutto sommato l’argomento l’annoiasse un po’.
Già. Anche da questo punto di vista le cose erano iniziate a cambiare da quella fatidica sera. La distanza tra lei e la cugina era andata lentamente aumentando, come se d’improvviso avessero cominciato a non capirsi più, a parlare due lingue diverse. E la causa di questo cambiamento, Li ne era cosciente, era dentro di lei.

Un pomeriggio tardo in cui una lezione era stata sospesa, invece di avvertire il signor Chen e farsi venire a prendere, Li aveva deciso di tornare in periferia alla ricerca di quello strano gruppo di fanatici di storia americana. Indicò al taxi l’indirizzo in cui si era tenuta la festa e da lì cominciò la sua ricerca.
Li non era mai stata una maniaca dei gioielli o dell’abbigliamento, cionondimeno si vedeva chiaramente che non era una della zona e la sua presenza attirò inevitabilmente parecchi sguardi.
Sebbene in cuor suo stesse pian piano realizzando che forse la sua non era stata una decisione saggia, si fece coraggio e proseguì. Cercando di assumere l’aria sicura di chi sa quel che sta facendo e ha una destinazione ben precisa, girò per alcune vie del quartiere analizzando con la coda dell’occhio i vari passanti e poi, un po’ per togliersi dalla strada e un po’ per mancanza di idee migliori, entrò in un locale abbastanza popolato e si diresse verso il banco. Scelse una posizione laterale, dove non c’era molta gente e ordinò da bere.
Si sentiva incredibilmente stupida. La sua era un’idea folle, non aveva idea da dove cominciare e con tutta probabilità si stava semplicemente cacciando in grossi guai. Guardò l’orologio. Le restava al massimo un’ora di tempo prima che il signor Chen andasse a cercarla a scuola.
Sorseggiava la sua sint-birra immersa nei suoi pensieri quando un tipo sulla trentina le si sedette a fianco “Che c’è, ragazzina, ti sei persa?”.
Li sollevò lentamente lo sguardo, girando la testa e cercando di non tradire la tensione che provava disse con tono casuale, ma distaccato “Mh? No. Grazie dell’interessamento” poi tornò a occuparsi della sua birra.
Alcuni degli astanti sghignazzarono.
“Stai aspettando qualcuno o posso farti compagnia?” continuò l’uomo.
Li bevve un sorso, lentamente, mentre il suo cervello cercava disperatamente qualcosa da dire, poi si girò di nuovo con la stessa lentezza di prima “Sinceramente? Né l’uno ne l’altro. Non sei il mio tipo”.
Altre risatine.
“Ah no? E come sarebbe il tuo tipo?”
Più che un’ispirazione, la risposta di Li fu dettata dall’impulso. Anche se si sforzava di non darlo a vedere era molto tesa “Mi piacciono gli intellettuali. Di quelli che amano la storia. A stelle e strisce. Mi piacciono quelli con la passione per la chirurgia plastica... e tu chiaramente non fai parte della categoria, perciò lascia stare”.
Per un attimo nello sguardo dell’uomo passò qualcosa che Li non riuscì a decifrare “Uhm. Non sapevo fossi una delle donne dei Presidenti. Vanno a pescare nei quartieri alti, adesso!”
Li rimase in silenzio, lo sguardo volutamente indifferente e fisso in avanti, il cervello in subbuglio. Forse li aveva trovati!

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Agosto 14, 2007 - 11:30 am

L'impiegato entrò nell'ufficio di Mr. Zhang.
Per un'attimo i suoi occhi faticarono ad abituarsi alla penombra, poi, dopo un breve svolta si diresse verso la scrivania del suo diretto superiore.
Aveva sempre trovato fastidioso che entrando nell'ufficio doesse ogni volta girarsi su sè stesso per cercare la scivania del direttore e poterla raggiungere; probabilmente Mr Zhang lo aveva fatto apposta.
Si fermò rispettosamente a circa due merti dalla scrvania e scattò in un breve inchino, rimanendo reclinato per almeno un paio di secondi.
Poi rimise dritto e attese.
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Mr Zhang lo lasciò davanti a sè per almeno un minuto senza degnarlo della minima attenzione. Leggeva da un grande olo-display un rapporto e ogni tanto emetteva volute di fumo gradevole.
Spense la costosa sigaretta europea e guardò intensamente l'impiegato.
Improvvisamente proruppe in una frse in cinese che fece traballare il suo sottoposto come se lo avesse schiaffeggiato. Questi chinò la testa, tremante dalla tensione mentre Mr Zhang contiuava a parlare.
Poteva comunque vedere l'espressione durissima del suo capo riflessa sulla lucida scrivania scura.
Gli rimproverò l'insuccesso europeo e lo esauterò da questo compito. Avrebbe preso il controllo diretto della cosa, aggiunse.
L'impiegato inarcò leggermente un soprcciglio pensando di non essere visto. ma non fu così.
La voce di Mr zhang lo raggiunse dandogli un brivido.
" Se ha un commento da fare signor Liu lo dica pure"
" No, signore non ho niente da dire"
" Meglio così, la sua posizione è già molto difficile. buongiorno."
Liu uscì a passo svelto dopo un breve ma profondo inchino.
Era pallido, sentiva di averi rischiato molto.
Intanto all'interno del suo ufficio, Mr Zhang si accese un'altra sigaretta e riprese a eanminare le schermate del rapporto, fissandosi ad osservare una foto in paticolare fra tutte.
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Settembre 1, 2007 - 7:49 pm

Quando si era recata alla SunTech, quella mattina, una segretaria le aveva riferito che il signor Zhang non era in ufficio. Li Ann aveva lasciato il suo nome e un numero di telefono, pregandola di riferire che era importante e che doveva parlargli di Ginevra.
Nonostante avesse sperato che quel riferimento avrebbe immediatamente attirato l’attenzione di suo padre, lui non l’aveva chiamata. Per tutto il giorno.
Alle 18:00 Li aveva deciso di aver atteso a sufficienza e aveva raggiunto i dintorni dell’abitazione indicatale da Xiaoming.
In seguito alla promozione di suo padre, infatti, i Zhang si erano trasferiti in una villetta corporativa leggermente fuori città. Si trattava di una zona relativamente isolata con poche casette sparse, a mezzo chilometro l’una dall’altra. Lì parcheggiò il proprio mezzo sul ciglio della strada, a poca distanza dalla casa dei genitori, in modo da non disturbare il transito di eventuali veicoli e in modo da non dare troppo nell’occhio, ma non si poteva certo dire che avesse fatto qualcosa per nascondersi.
Si sistemò comodamente al posto di guida ed attese, guardandosi intorno di quando in quando. I lunghi capelli neri le cadevano sciolti ai lati del viso, coprendole parzialmente la visuale laterale. Li scostò indietro con la mano, sistemandoseli goffamente dietro alle orecchie. Non ci era più abituata.

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Contrariamente a quanto faceva di solito, quella mattina aveva controllato attentamente il proprio aspetto mentre si preparava ad uscire. Erano mesi che non vedeva suo padre e non voleva che lui la vedesse sciatta e trascurata.

Dopo circa un’oretta in cui nulla sembrava essersi mosso, né all’interno né all’esterno della casa, Li Ann vide avvicinarsi dalla direzione opposta una limousine con i contrassegni della SunTech. L’automobile si fermò di fronte al cancello della casa.
Rizzatasi a sedere, osservò attentamente la scena.
Dal lato del guidatore scese un uomo in livrea che non aveva mai visto prima. Evidentemente doveva essere un autista della corporazione, che per l’occasione aveva sostituito il vecchio Chen. Lo vide guardarsi intorno, per poi notarla e avviarsi a piedi nella sua direzione.
Li scese dal mezzo, curando di non fare movimenti avventati o nulla che potesse destare reazioni sconsiderate e gli andò incontro. L’autista non aveva un aspetto minaccioso, ma era meglio non rischiare.
Quando le fu quasi di fronte l’uomo si fermò e le fece un breve inchino, secco, in segno di saluto.
Li rispose educatamente al gesto, inchinandosi a sua volta. Non si sentiva superiore a lui.
“La signorina Li Ann?” chiese l’uomo, rivolgendosi in mandarino.
Li fu piuttosto sorpresa di sentirsi chiamare per nome, ma cercò di non darlo a vedere “Sì” rispose nello stesso idioma.
A quella conferma l’uomo ripeté l’inchino, mostrando una deferenza lievemente più marcata.
Li rimase ancora più sorpresa, ma si costrinse a rimanere immobile, in attesa.
“Sono stato mandato a prenderla dal signor Zhang. Lei è attesa negli uffici della sede della SunTech”.
Per poco non si fece sfuggire qualche commento. Invece di usare il numero che gli aveva lasciato, suo padre aveva preferito farla aspettare tutto il giorno per poi farla andare a prendere da qualcuno… proprio dove si trovava. O la conosceva davvero bene, o le telecamere di sorveglianza avevano un’ottima risoluzione dell’immagine. Molto probabilmente, tutte e due.
“La seguo col mio mezzo o preferisce che venga con lei?” chiese all’autista.
“Sarebbe meglio lei venisse con me”.
“Posso lasciarlo qui o preferisce che lo parcheggi altrove?”
“Può lasciarlo tranquillamente qui”.
Li fece un cenno d’assenso, si allontanò per chiudere a chiave il mezzo e accendere i dispositivi di sicurezza e poi tornò da lui. “La seguo”.
L’uomo la fece salire dietro, aprendole la portiera con molta gentilezza. Li accettò quel gesto in silenzio, con rinnovato stupore. Quell’uomo si stava comportando come se lei… Basta! , sì disse. Quell’uomo si stava comportando come un inserviente ben educato. Nulla di più.
Il movimento che l’uomo fece richiudendo la sua portiera le permise di intravedere una fondina ascellare che ospitava una pistola di grosso calibro.
Li sorrise tra sé e sé. Mai fidarsi delle apparenze. D’altro canto anche lei non era certo disarmata. E l’uomo l’aveva messo sicuramente in preventivo…. Erano nel XXI secolo… nessuno si fidava più di nessuno.
La limousine si avviò in silenzio. Li tentò di mandare un messaggio a Joy per avvertirlo di come le cose si stavano evolvendo, ma il cellulare indicava rete non disponibile. Probabilmente la macchina era schermata. Li reinfilò il telefono nella borsa con un sospiro. Speriamo bene…
I palazzi che si profilavano lungo la strada parvero rassicurarla. Stavano effettivamente recandosi alla SunTech di San Fransisco.
Arrivati a destinazione la limousine s’infilò nel parcheggio sotterraneo, dove finalmente il motore si arrestò. L’uomo alla guida scese e fece il giro del veicolo, per aprile la portiera. Poi le fece cenno di seguirlo e la precedette verso un ascensore.
Li lo seguì in silenzio, guardandosi bene intorno. Il cellulare indicava ancora assenza di copertura. Dannazione!
Una volta entrati nella cabina dell’ascensore, l’uomo poggiò la mano destra su di un display, illuminandolo. Posò il dito sull’ultimo tasto in alto a destra e l’ascensore prese a salire. I numeri sul led a destra della porta presero a scorrere velocemente, per fermarsi infine su “80”.
Quando le porte si aprirono Li Ann si ritrovò direttamente nella segreteria di un ufficio dirigenziale. L’autista l’accompagnò fino alla porta dell’ufficio, ma Li non vide nessun nome, scritto da qualche parte, che potesse darle conferma circa la sua destinazione. L’uomo le aprì la porta e le fece cenno di entrare, al che Li avanzò, lentamente, ma con passo sicuro.
La stanza era arredata con uno stile molto scarno ed essenziale. Luci morbide illuminavano un grande acquario dove con movimenti eleganti nuotava un magnifico pesce combattente.
Lo sguardo di Li proseguì, verso una grande scrivania di legno scuro, dietro a cui stava, inappuntabile come sempre, suo padre.

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Sotto lo sguardo severo del genitore, Li si piegò in segno di rispetto. Il cuore le batteva all’impazzata. Chissà cosa stava passando, ora, per la mente di suo padre…
Nessuno dei due disse una parola.
Quando fu certa che l’altro uomo non sarebbe tornato, Li si chinò in segno di scusa, lo sguardo basso “Signor Zhang, mi dispiace...”.
Lo sguardo severo del padre si posò sulla ragazza e vi rimase per almeno un minuto. Nella stanza regnava il silenzio.
“Mi cercava…” le disse ad un tratto “Ora mi ha trovato. Doveva dirmi qualcosa?”
“Mi dispiace per quant’è accaduto a Ginevra. Ho scoperto solo al mio rientro a San Francisco che erano coinvolti anche gli interessi del sig. Zhang”. Le faceva male chiamarlo così, ma si costrinse a mantenere un rigido formalismo “Se in qualche modo le ho arrecato danno, la prego di perdonarmi. Non lo sapevo... o avrei agito diversamente”.
La voce del signor Zhang rimase neutra, fredda “E come avrebbe agito?”
A quella domanda Li alzò lo sguardo, ad incrociare quello del padre “L’avrei protetta” disse risolutamente.
Il signor Zhang fece un piccolissimo cenno di assenso.
“Posso chiederle una cosa, signor Zhang?”
L’uomo annuì, serio in volto.
“Lei era al corrente della missione di Ginevra e della composizione del nostro gruppo?”
“Solo a cose avviate”
“Capisco…” inspirò e si costrinse a continuare “Quanto avviate?”
“Abbastanza”
Li decise di rischiare. Badando a far trasparire chiaramente che le sue erano semplici domande e bandendo dalla sua voce ogni possibile tono di accusa gli chiese “Troppo avviate per cercare di contattarmi? Oppure non riteneva che questo avrebbe potuto cambiare qualcosa?”
“Ci sono ingranaggi che una volta avviati devono proseguire il loro movimento” rispose con voce pacata, ma dando ad intendere che considerava concluso l’argomento.
“Capisco” disse Li quasi sottovoce. Poi tornò a guardarlo e con tono quasi preoccupato aggiunse “La questione le ha causato grande danno?”
“Solo un cambiamento di programma”.
Li si sentì decisamente sollevata “Ne sono lieta”. Dopo qualche attimo di silenzio decise di farsi forza e proseguì “So che lei è un uomo d’onore” sperava davvero che suo padre riuscisse a capire quello che provava per lui. Non glielo aveva mai detto, ma sapere che ci sarebbe sempre stata l’occasione per farlo lo aveva reso meno importante, prima, mentre ora quel silenzio rappresentava un insopportabile peso “e come tale la rispetto profondamente. Mi auguro quindi che non approfitterà di quanto mi appresto a dirle”.
Suo padre continuava a guardarla, serio e impassibile come sempre. Inspirò e continuò “Indipendentemente da quello che potrà accadere in futuro, voglio che lei sappia che io faro sempre tutto quanto in mio potere per difendere Lei e la signora Zhang. Come se foste… membri della mia famiglia”.
Non un muscolo si scompose sul volto che aveva di fronte
“Tanto per essere chiari ed evitare fraintendimenti” continuò la ragazza, lo sguardo sempre fisso negli occhi dell’altro “sottolineo che questo mio sentimento è diretto alle vostre persone, non alla SunTech”.
Le parve quasi di cogliere un balenio, nei scuri occhi del signor Zhang, ma lui ribatté solo “Comprendo”.
“Le posso lasciare modo di raggiungermi in ogni momento, per permetterle di comunicarmi come proteggere i vostri interessi, in caso di necessità” disse allungando un biglietto sul tavolo, dove rimase “ma è chiaro che questo dato non dovrebbe essere divulgato o usato per scopi lavorativi: per gli ingaggi ufficiali esistono altri canali”.
Bene. Lo aveva fatto. Era riuscita a dirglielo.
“Bene” disse finalmente il signor Zhang “lasci che le dica una cosa. Incombono su tutti noi tempi duri. Dalla mia posizione ho una immagine della situazione, parziale ma privilegiata rispetto ad altri. Siamo alle soglie di una guerra civile, e per chi ha scelto la vostra professione, in simili frangenti, diventa impossibile non schierarsi” il tono era neutro, ma non duro “Sarete costretti a schierarvi. Succederà e voi neanche ve accorgerete, magari solo per le chiacchiere di qualcuno…”.
Rimase in silenzio per qualche secondo, mantenendo fisso lo sguardo sul suo viso “Sia prudente”.
Forse era solo una sua illusione, uno sciocco bisogno del suo inconscio di cogliere in quella frase qualcosa di cui lei sentiva un disperato bisogno, ma in quel momento Li dovette davvero frenarsi per non soccombere all’impulso di abbracciarlo. Fu facile. Anni di allenamento le vennero in aiuto. Suo padre non era mai stato tipo da effusioni affettive. Mai. Neanche quando le cose andavano ancora a gonfie vele.
Li deglutì le lacrime di gioia e di dolore che le stavano per salire agli occhi “Se anche dovessimo trovarci in schieramenti opposti…” disse, verbalizzando quello che orami stava diventando un suo timore “Quello che le ho detto prima resta valido. Può esser poco, ma a volte può fare la differenza”.
“Lo terrò presente” disse in tono neutro suo padre.
“Ancora una cosa…” disse Li, che sentiva salirle in gola tutto quello che aveva covato in quegli ultimi giorni di tormento.
“Prego” disse suo padre tranquillamente, senza dare segni di fastidio o di impazienza.
“Per il lavoro di Ginevra... La SunTech si è appoggiata a un certo signor Yaa, vero?”
“Sì”.
“Si guardi le spalle da quell’uomo” gli disse, con un po’ più sentimento di quanto avrebbe voluto. Poi si ricompose “E’ un doppiogiochista. Aveva contatti con entrambe le fazioni”.
“Lo so” rispose suo padre con il tono di chi stabilisce un dato di fatto “Mi serve proprio per questo”.
Li era indecisa se provare orrore o sollievo “Quell’uomo non è degno di pulirle le scarpe” rispose con altrettanta sicurezza “Volevo solo che lo sapesse”.
Il signor Zhang annuì, senza lasciar trapelare la minima emozione.
Li avrebbe voluto restare in quella stanza all’infinito, ma le argomentazioni che poteva affrontare erano esaurite e lei sapeva per esperienza che la pazienza di suo padre aveva un limite “Io… la saluto” si costrinse a dire, prima che la congedasse lui “La prego di portare il mio aff… i miei saluti anche alla signora Zhang”. A quel punto abbassò lo sguardo, rifugiandosi nell’inchino formale di commiato per stringere le mascelle nello sforzo di non piangere. Doveva essere forte. Tutta d’un pezzo. Doveva mostrarsi degna di lui “E’ stato un piacere rivederla, anche se le circostanze non erano ideali”
“La ringrazio” disse suo padre, premendo un tasto sulla scrivania.
L’autista entrò nella stanza un attimo dopo.
Uscì dalla stanza e seguì l'autista in assoluto silenzio. Lui la accompagnò sino alla macchina e la fece salire a bordo.
Li lo ringraziò con un cenno del capo e salì in macchina senza parlare. Stava malissimo. Si augurava soltanto che suo padre non avesse colto la sua debolezza.
Si trattenne dal mostrare la sia pur minima emozione per tutto il tragitto, anche nei dieci minuti di strada in cui rimase isolata dietro il separatore. Non poteva rischiare che qualche telecamera nascosta la tradisse.
Una volta giunta a destinazione lasciò che l’uomo le aprisse la portiera e lo ringraziò. Si avviò verso il suo mezzo mentre sentiva l’altro veicolo allontanarsi e si soffermò per qualche istante a osservare la casa poco distante. Si erano accese alcune luci.
Li strinse la portiera semiaperta, la mente ed il cuore in totale subbuglio, e s’infilò nel veicolo.

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