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Perchè Star Trek ha torto
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Marzo 14, 2008 - 12:31 pm

Dal sito lescienze.it

di Folco Claudi

La scelta di partire da Star Trek può essere considerata quasi obbligata per un libro divulgativo che affronta il difficile tema del teletrasporto. Tutti più o meno hanno in mente la scena della fortunata serie di fantascienza in cui il capitano Kirk e compagni si infilano in una specie di cabina-doccia ipertecnologica che scompone il loro corpo e la loro mente per ricostruirli istantaneamente in un luogo remoto. Si tratta a tutti gli effetti di un espediente narrativo che realizza l'aspirazione di rendere i viaggi sempre più veloci: portando questo concetto fino al limite si arriva appunto al trasporto istantaneo. Considerato dal punto di vista scientifico, il teletrasporto cinematografico potrebbe far sorridere, visto che un simile viaggio, già difficilmente concepibile per una particella elementare, lo diventa ancora di più per un corpo esteso, per non parlare di un essere vivente.
Eppure negli ultimi anni il termine inglese teleporting, che indica appunto il teletrasporto, è apparso in molti articoli di fisica quantistica. E alcuni ricercatori, tra i quali Anton Zeilinger a Vienna e Francesco De Martini a Roma, hanno annunciato la riuscita di esperimenti in grado di trasmettere in modo istantaneo tra due punti distanti lo stato quantistico di un atomo, lo spin. Non è certo come teletrasportare materia o energia, tuttavia si tratta di un risultato che ha fatto saltare sulla sedia un buon numero di fisici.
Alla base di tutto c'è il fenomeno dell'entanglement: una correlazione tra i rispettivi stati quantici di due atomi. Se essi si trovano inizialmente vicini e vengono opportunamente preparati, si stabilisce un entanglement che si mantiene anche a distanza. Inizialmente lo spin di entrambi è indefinito, ma se lo si misura per uno dei due atomi anche lo spin dell'altro «precipita» istantaneamente, assumendo un valore definito.
Quali prospettive apre un simile risultato? Del teletrasporto à la Star Trek nessuno parla. Le prospettive sono infatti in tutt'altro contesto, ovvero nell'informatica: la possibilità di commutare un simile sistema fisico tra due stati è come avere alla portata un bit di dimensioni nanoscopiche, che potrebbe aprire la strada a incredibili applicazioni in computer science. Anzi, l'esistenza di stati intermedi tra «0» e «1» porta al concetto di qubit con infinite combinazioni, in grado di determinare, in linea di principio, un aumento esponenziale della potenza di calcolo.
Questo, a volo d'uccello, il passato e il futuro della scienza dell'entanglement, che Darling ripercorre in questo libro con un'efficacia notevole, che deriva da una solida conoscenza degli argomenti trattati e dal dono di una grande chiarezza espositiva. La ricostruzione a posteriori della vicenda, tuttavia, ha un grosso limite, lo stesso che si ritrova per esempio nei manuali universitari: il lettore viene accompagnato lungo il filo logico del dipanarsi delle teorie come se fosse del tutto naturale che tutto sia andato così com'è andato.
Eppure l'esistenza di un legame microscopico a distanza quale è l'entanglement ha generato una serie di discussioni e di scritti difficilmente eguagliata - per quantità e talvolta per asprezza -nella storia della fisica del secolo passato, dal momento che mette in discussione alcuni concetti fondamentali non solo della fisica ma anche del pensiero umano. Albert Einstein, primo fra tutti, non era disposto a concedere che esistessero eventi in grado di influenzarsi a distanze arbitrariamente grandi, ed elaborò al riguardo il famoso «paradosso EPR», poi ripreso da David Bohm e discusso da John Stuart Bell con la disuguaglianza che porta il suo nome.
Posizioni eretiche, idee geniali e intuizioni folgoranti: comprenderle dà un po' la sensazione di essere giunti al cuore della meccanica quantistica. Ma Darling taglia corto: «Bell non faceva mistero di quello che la sua analisi rivelava: le idee di Einstein sulla località e il determinismo erano incompatibili con le previsioni della meccanica quantistica ortodossa». Poche righe, e la sensazione che qualcosa sfugga. Senza accorgersene, ci si trova teletrasportati al capitolo successivo.

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