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Meccanica quantistica e universi paralleli
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Giugno 2, 2006 - 11:09 am

In una delle nostre serate di dissertazione o semi-dissertazione si è affrontato l'argomento della teoria dei quanti.

Nessuno di noi, con la notevole eccezione di Ilia, è sufficientemente ferrato in materia da poter sostenere una discussione sulla meccanica quantistica, ma comunque in ambito "Space Master" / "Traveller" può far piacere capire che non tutto quello che consideriamo fantascienza lo è, e che ci sono cose che, se meglio comprese, possono aprire all'uomo molti nuovi orizzonti.

Quello che segue è un'articolo semplice e scorrevole sui quanti, il gatto di Schroedinger (uno dei paradossi più famosi) e la possibilità di universi paralleli.


E’ da settanta anni circa che i fisici, avendo inventato la meccanica quantistica, hanno potuto esplorare il microcosmo di atomi, elettroni, nuclei e nucleoni. Ora si possono fare predizioni accurate su un mondo così estraneo a quello quotidiano, si è entrati fin dentro al cuore del protone e le conoscenze acquisite hanno permesso innumerevoli applicazioni e sviluppi tecnologici.

Ma di fronte a tutto ciò, la nuova teoria ha posto fin da subito dei problemi di ordine interpretativo e filosofico. Il dibattito sui fondamenti della meccanica quantistica si incentra da una parte sulle caratteristiche controintuitive dei microprocessi, riguardando questioni come la non-località e la non-separabilità, e dall’altra sul problema fondamentale della obiettività del mondo macroscopico quando pensiamo di descriverlo in termini quantistici. Noi ci occuperemo di questo cosiddetto problema della macro-oggettivazione.

Secondo la meccanica quantistica un oggetto microscopico non è descritto direttamente enumerando le sue proprietà, ma gli si associa un ente matematico denominato vettore di stato, che permette di calcolare che valore otterremo (con una determinata probabilità) facendo la misura di una variabile relativa ad esso. Ma se misurando per esempio la posizione di un elettrone lo troviamo in un determinato punto, questo non significa che appena prima esso fosse lì. Questo perché in generale il vettore di stato contiene varie possibilità, che l’elettrone sia qui, là, o in cima a un campanile. Ma queste sono possibilità per così dire virtuali, e solo una di esse si realizza per effetto della misura. E’ come se lo strumento di misura definisse una realtà che prima della misura era indefinita. In effetti la realtà microscopica, così come ce la presenta il formalismo matematico che noi cerchiamo di interpretare usando i nostri concetti usuali e la logica usuale è indefinita, elusiva, non separabile e neppure indipendente dallo strumento di misura con cui la studiamo.

La teoria comporta strane nozioni, come quella che una particella si comporta a volte come un’onda o viceversa. E’ altrettanto strano che non si possa parlare contemporaneamente di un valore preciso della posizione e di un preciso valore della velocità. Il problema più grave comunque è che se estendiamo la teoria a tutti i sistemi trasportiamo queste caratteristiche anche nel mondo degli oggetti con cui abbiamo a che fare normalmente.

Einstein, ad esempio, incontrando un collega gli domandò: “ma tu credi davvero che la luna sia lì perché la guardi?”. Con questo intendeva dire che estendendo la meccanica quantistica al mondo quotidiano dovremmo dire che anche un oggetto macroscopico come una bottiglia o la luna non ha di per sé una posizione ben definita, ma la acquista solo in seguito alla nostra osservazione.

Bohr, uno dei padri fondatori della teoria, propose di attenersi a questa linea: il mondo macroscopico, ivi compresi gli strumenti con cui i fisici fanno le loro misure, lo si continui a descrivere come si è fatto in precedenza, cioè con la meccanica classica, assumendo che esso abbia proprietà definite e indipendenti.

Quanto a elettroni e nuclei li si descriva con la nuova teoria, senza preoccuparsi di capirli con i concetti usuali. Ci si attenga solo al fatto empirico della misura di cui possiamo parlare con il linguaggio usuale. La teoria prevede benissimo i risultati degli esperimenti e possiamo dire che funziona. Però il “precetto di Bohr” vieta di considerare la nuova teoria come fondamentale e introduce una dicotomia fra mondo microscopico e mondo quotidiano, violando la descrizione unitaria dei fenomeni tanto apprezzata dai fisici. Fra l’altro la distinzione fra oggetti micro e macroscopici oltre a violare la descrizione unitaria dei fenomeni appare vaga. Inoltre gli oggetti del mondo quotidiano come automobili o palle da tennis sono pur costituiti di componenti microscopici, e il precetto di Bohr non può vietare di applicare la meccanica quantistica a questi ultimi.

Naturalmente nell’estendere i principi quantici agli oggetti che comunemente ci circondano ci si aspetta di poter riprodurre la loro familiare descrizione in termini classici, vale a dire a esempio che essi sono in una posizione ben definita e non in una sovrapposizione di stati macroscopicamente distinti.

A questa aspettativa purtroppo si oppone il principio di sovrapposizione, che costituisce il cuore della teoria quantistica. Oltre alla “luna di Einstein” un esempio, diventato emblematico, che indica quali conseguenze comporta l’estensione della teoria è quello del “gatto di Schroedinger”.

A una riunione in Inghilterra Schroedinger osservò che a ogni oggetto macroscopico e anche a un gatto si dovrebbe attribuire un vettore di stato. Anzi espose un suo marchingegno da cui un gatto sarebbe uscito con un vettore di stato composto dalla combinazione lineare di uno stato di gatto vivo e da uno stato di gatto morto. Si intende che le proprietà del “sistema gatto” sono indefinite, l’essere l’animale vivo o morto diventa un fatto reale e definito quando si osserva il gatto, aprendo la scatola dove Schroedinger lo considerava rinchiuso. Ma se è la osservazione a definirne lo stato allora siamo noi in qualche modo a rendere vivo o morto la vittima dell’esperimento.

Questo paradosso esemplifica il problema della macro-oggettivazione. Esso è rimasto irrisolto per molto tempo, ma da poco si è prospettata la possibilità di una soluzione.

Una proposta soddisfacente e' stata avanzata da Ghirardi, Rimini e Weber i quali introducono una lieve aggiunta alla teoria attuale. Un’altra via interessante consiste nel riferirsi al fenomeno della “decoerenza” che si manifesta usando la teoria così come è, ma tenendo in conto gli effetti dell’ambiente circostante al sistema che non è mai perfettamente isolato dal resto del mondo. Grazie alla decoerenza se ci interessiamo solo al gatto e non al resto, si ottiene formalmente che lo stato del gatto è di essere senz’altro o vivo o morto e non una sovrapposizione delle due cose. Il che significa che non dobbiamo ricorrere all’osservazione per definire il suo stato di vitalità, ma semplicemente prenderne atto. Questa strada, che riconcilia, senza modificarla, la meccanica quantistica con la descrizione usuale che abbiamo del mondo, porta a una possibilità vagamente fantascientifica. Si può pensare che la teoria sia per così dire sovrabbondante, prevedendo una infinità di universi “paralleli”, ma incomunicabili tra loro. Potremmo pensare che si tratta di universi possibili di cui uno, quello in cui ci troviamo, si è realizzato. Ma non possiamo escludere, se ci consola pensare che magari in un altro universo siamo in uno stato più felice, che tutti gli universi possibili siano realizzati. Restando però incrollabile l’impossibilità di un passsaggio dall’uno all’altro nonché quella di poter in qualche modo avere prove che gli altri universi esistono

Il gatto di Schroedinger ovvero dov'è la luna quando la guardo?
Prof. Bruno Carazza
Professore Associato di Fondamenti della Fisica - Università di Parma

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