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La Ragione.
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1
Ottobre 16, 2009 - 2:12 pm

** you do not have permission to see this link ** Locandina dell'avventura di Merp: Una Ragione.
Lascia tutto alle spalle.
Si allontana dal villaggio dove ha cresciuto suo figlia. Se ne va all’alba quando è ancora buio. Lascia un amico fraterno qui.
Lascia il ricordo di sua moglie, di una vita non vissuta assieme.
Non sa se ha dato molto, non sa se è giusto così, ma non può restare.
Il suo corpo lo spinge ad allontanarsi, forse un vecchio retaggio, forse solo la paura di morire da vecchio dentro una catapecchia. Forse la paura di non voler più vedere negli occhi di sua figlia la luce della donna che amò.
Raccoglie poche cose, alcune sono ricordi conservati per altri che volevano vivere una vita pacifica.
In lui si risveglia la bellezza di dormire sotto un manto di stelle, di riposare sotto un sole estivo, di camminare nella neve in caccia del cervo, di mangiare dagli alberi i frutti maturi.
Alcune monete e poi la spada d’un’amica. Un capello con la piuma, un bracciale, una spada corta, due coperte per la notte.
Dunque una fuga verso nord. In piena estate ed il mondo pare aver bisogno di un’altra anima persa.
Forse a Dol Amroth.

Nel cammino cerca una donna conosciuta tempo fa. Forte, fiera. Nobile come il sole nel cielo, come una stella luminosa nella notte. Chiede a qualche passante, a qualche contadino e gli indicano una baracca. È sulla strada giusta.
Erano qui più di un lustro, quasi due. Quanti anni sono passati eppure qualcosa di familiare compare una robusta quercia, una grossa pietra, la curva di un silenzioso torrente ed un ponte di solida pietra.
Trova il posto, ma un ubriacone lo scaccia in malo modo. Eppure il posto…
Lo osserva alcuni giorni.
E’ mai possibile? Potrebbe essere l’età pare quella i capelli ed il fisico paiono quelli dell’uomo che la amò. Un figlio.
Eppure quello non è il padre, solo un bavoso con la mente annebbiata da troppi bicchieri di vino. Come è accaduto. Dove sono andati?
L’uomo va alla taverna del paese fino a tardi a bere pagando con legna ed ortaggi.
Quel ragazzo vestito di stracci, non merita ciò. L’uomo dorme ubriaco ed il ragazzo lavora nell’orto, taglia l’erba accudisce l’asino, dorme all’aperto. Guarda le stelle. Cammina con il volto basso, guarda a terra, i sandali consumati e riparati alla meno peggio. Taglia l’erba. Va a prendere l’acqua al torrente. Cucina qualcosa per l’uomo, ma l’uomo non torna se non a notte fonda. Barcolla, fetido. E se il ragazzo cerca di aiutarlo, l’uomo lo colpisce con forza.
Il giovane resta da solo fuori dalla porta e si siede sull’angolo dello stipite con la testa fra le ginocchia.
Non è il padre. L’uomo di cui si ricorda era più alto, più forte e la madre era bella con un grande sorriso. Perché è là? Perché quel lurido lo comanda. Non merita questo. Nessuno lo merita. Deve andarsene. Deve fare qualcosa. Rapirlo. Portarlo via. Magari comperarlo. Per qualche moneta.
Gli viene un’idea. Il pedaggio del ponte. Ha sempre quasi funzionato. Non sa se ci riuscirà avrebbe bisogno di un aiuto, ma non se ne andrà da qui a costo di ammazzare il beone

** you do not have permission to see this link ** Cori. Uomo delle colline.

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2
Ottobre 21, 2009 - 12:49 pm

** you do not have permission to see this link ** La casa della vecchia Laisi.
Reimas aveva camminato tutto il giorno.
Nella casa della vecchia Laisi aveva finalmente mangiato una zuppa di verdure ed il suo stomaco aveva ringraziato il lungo digiuno.
Era incredibile per lui osservare gli slanci del ragazzo e quelli di Cori, solitamente nella sua tribù queste divergenze sarebbero terminate con una zuffa.
** you do not have permission to see this link ** La vecchia signora di nome Laisi.
Laisi aveva raccontato che sua madre era morta quando aveva quattro o cinque anni, proprio in quella casa a causa d’una forte febbre e dopo parve tutto essere più semplice. Tuttavia il ragazzo era ancora confuso.
Essere confusi.
Egli stesso faceva fatica a ricordare i nomi che Cori e Laisi proferivano con facilità.
Allora: Yaress e Luivé erano i genitori del ragazzo, il quale Cori chiamava Yaress.
Gli elfi apparsi dal nulla scomparvero al tramonto e dissero allo sbarbatello che avrebbero raccontato la sua storia iniziandola con il suo nuovo nome… C’era una volta.
Laisi raccontò della madre morente e del padre che disse: “…non piangere Surinen.”.
Il ragazzo, Surinen, infine dunque parve essere ancora più agitato.
Laisi lo calmò accarezzandogli la testa e lo convinse a dormire nella camera.
Nella notte Reimas si svegliò ed osservò il giovane dormiente.
Rannicchiato in una posizione fetale, come a proteggere sé stesso dal mondo che lo circonda. I suoi vestiti logori e bucati, quattro stracci, quattro cenci messi sul corpo di un uomo ormai.
Ripensando a sé ed al proprio passato difficile da errante e dalle difficoltà e dai pestaggi dei più forti, Reimas, quasi comprese quello che stava provando il giovane.
Non doveva essere stato semplice scoprire in un solo giorno di aver vissuto una vita come vittima di chi credeva suo padre; scoprire poi che la propria madre era morta di febbre e che il padre era partito con i cavalieri del cigno bianco abbandonandolo per una dozzina d’anni senza nemmeno un cenno.
Svegliato dal cigolare delle assi legnose del pavimento del focolare, Reimas andò ad osservare. Prese le sue spade ricurve per quel atavico istinto di sopravvivenza che l’aveva portato a 21 anni.
Nella stanza del camino trovò Cori a bere del vino e si unì a lui.
I due parlarono delle loro vite, quasi si conobbero, simili eppure diversi, distanziati da una generazione di anni. Erranti ambedue verso non si sa cosa o dove. Verso una lontana necessità di andare a cercare un passato nel futuro.
Reimas versò un altro bicchiere a Cori.
“ Mi sembra di avere avuto più progetti da giovane di quanti ne abbia adesso.” enunciò Cori alzando il bicchiere.
“ Ora ne hai di nuovi.” ribadì Reimas cercando nel vuoto della sua memoria qualcosa sui genitori che non ha mai avuto e conosciuto. Ripensò al calcio che gli diede uno più grande, allo sgambetto che gli fece un altro, al ginocchio all’inguine, ed al pugno sul naso rotto, alla serie di punte di stivali presi a terra nelle reni. A come poi crebbe divenendo il più forte uomo della tribù del capo Gansukh (Asia d’acciaio).
Una stoffa rossa al fianco afferma chi è e come sia un temibile guerriero forte con due spade e forse quella frase … ora ne hai di nuovi… era, più che rivolta a Cori, era per Sé.
[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Reimas è un errante uomo delle colline.

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3
Ottobre 26, 2009 - 10:21 pm

Mithlen camminò lungo la strada osservando il dromone entrar nel porto.
Quella sera si sarebbe incontrato con gli altri per lo stabilir quando agire.
Clopin avvertirà tutti.
La città era brulicante di attività per la settimana del giorno di mezza estate: Loende.
Carri, cariole, cesta, somari, maiali, polli, uova, stoffe, giocolieri, guardie, mele, arance, fichi secchi, uva sultanina, mercanti, contadini, miele, pelli, stoffe, sete, spezie, carni secche, carni fresche, meretrici, focacce, dolci, profumi.
Mithlen si spostò adagio dalla banchina.
La trascorse confondendosi tra la marmaglia di marinai e facchini, compratori e venditori. Osservò alcune gazze ed alcuni pavoni.
Da li ad alcuni giorni ci sarebbero stati i tornei e le giostre.
Adocchiò ancora il legno che aveva ormeggiato e già alcuni acquisitori si facevano avanti a chieder informazioni sul carico e sui prezzi, ma per ora nulla poteva esser venduto.
Le autorità avrebbero prima scorto e, ricevuta la gabella, avrebbero lasciato che tutto venisse portato ai magazzini.
Non faceva molto caldo.
Il sole s’era montato velocemente nel cielo ed un tenero vento spirava tra i numerosi alberi dei battelli attraccati.
Si toccò la benda per accertar che sì fosse al suo posto.
Serbò memoria della pioggia che cadeva.
Ripensò il fremito del cavallo nervoso e gli uomini incerti accanto a lui.
Richiamò alla mente la spada e la carica.
Poi un piccolo animale simile ad una gatto troppo grande, con orecchie a sventola e coda prensile gli mostrò i denti saziandosi di una banana.
** you do not have permission to see this link **
Un baccano di tamburi si fece udire più forte.
Haldarion, il ministro del principe era dunque arrivato in città.
La massa cercò di ritrarsi per lasciar libero il passaggio divenendo una calca.
Si distaccò nei viottoli della città carichi pur essi d’ogni sorta di ghiottoneria e si decise di passar per le viali meno battute.
Per un istante quando s’intese il fremito del cavallo e la carica con esso… per un attimo gli fu come aver ancora davanti a sé il volto del suo avverso.
Il figliato di Karman.
Teos.

** you do not have permission to see this link ** Mithlen. Figlio di Vorren. A Dol Amroth.

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4
Novembre 1, 2009 - 2:34 pm

Contar vorrei.
Vorrei esprimerti.
Vorrei raccontarti del vento che sale dal mare cristallino del sud.
Vorrei dirti delle irte scogliere del capo delle Belfalas.
Proferiva Jossi alla figliola della pescivendola del mercato quando s’accorse del bel vascello oltre il vetusto molo approssimarsi all’attracco del porto.
Era esso un bel veliero, forse anche migliore del prossimo “suo” e si chiese se esso fosse ancor possibilmente il più veloce.
Considerando la linea del galleggiamento della carena, notò che doveva esser gravato di un grosso carico di bordo e quale avrebbe potuto esser quel bagaglio poiché non pareva una fortezza militare.
Insolito veder cotesto tipo di piroscafo veleggiar così a nord.
Usualmente veleggiavan più a sud, verso il porto di Umbar con tutti i rischi che potendo corrersi.
Comprò il pesce che la giovine gli consigliò e prendendolo le toccò la mano.
Aveva capelli scuri ed occhi scuri, nel chinarsi mostrò un po’ delle sue grazie sul petto ed egli le sorrise trattenendole per le mani.
Lei, avvedendosi dello sguardo, si ritrasse d’un scatto lesto.
Lui le si inchinò e le diede le monete di bronzo dicendole che se il pesce sarebbe stato di suo gusto come credeva sarebbe ripassato a prenderne altro all’indomani.
E si volse verso la sua caracca “Ambra della Laguna” con la sua polena di corallo grigio.
Salì sul pontile e consegnò il pesce per la cena.
Molti soldati e molti marinai armati sul sinuoso dromone scesero sulla banchina a pagar pegno di transito.
Avrebbe potuto chieder di vedere il capitano e domandar per un ingaggio su chi fosse il suo padrone, oppure recandosi alla locanda della “Luna Grigia” a domandar notizie del sinuoso dromone del sud avrebbe scoperto di più forse.
La cassa era poca dopo le ultime paghe date alla ciurma.
** you do not have permission to see this link ** Capitano dell'Ambra della Laguna: Il capitano Jossi.

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5
Novembre 1, 2009 - 5:34 pm

La prima ora del giorno non era ancor salita nel cielo che quel uomo aveva già compito i suoi esercizi ed ora a passeggiar per la casa, recitava le preghiere ai suoi dei.
Svegliò il domestico privato del giovine ed andò dalle guardie a stabilir i turni delle vigilanze per i due giorni successivi. Al capo guardia, Malik, ordinò di scender al porto e di istituir le sentinelle con i soldati al magazzino.
** you do not have permission to see this link ** Malik. Capo delle guardie.
La nave era approdata.
Alla ora seconda parlò con il padrone annunciandogli che la nave ormai stava pagando il dazio e d’aver avvertito Mastro Selassiè d’istruir suo figlio Abdul.
Il padrone al solito gli disse ben fatto e lo aiutò a vestirsi e fecero colazione insieme e conversarono amabilmente come era soliti fare.
“Mio figlio dorme ancora troppo.”
“Vostro figlio è un uomo che sa di essere uomo.”
“E come sa un uomo quando lo è Salmar?”
“Solo quando l’Altissimo lo decide e quando un padre sa lasciare la sua nobile potestà.”
“Alla sua età io ero nel deserto e facevo la guida delle carovaniere.”
“L’Altissimo aveva altri piani per voi.”
“Diventare amico di un pirata e poi salvagli la vita, amico. Era questo dunque? Il piano divino?”
“L’altissimo è imperscrutabile e questo è stato un eccellente piano.”
Hamen Ibn Jafir Ibn Jabar Ibn Jhabarendel lontano Harad era diventato un grande mercante di mare.
Aveva avuto un tempo una splendida moglie con il nome Jhasin e quando la perse nello stesso mare che gli diede la sua fortuna, qualcosa in lui s’era spento e l’unico ricordo di quel figlio lo aveva mantenuto in vita decidendosi di rimaner in questa città di uomini del nord e di non tornar più a sud.
Abdul era grande ormai ed aveva già giaciuto con due donne e le sue troppe attenzioni forse davvero lo avevano costretto a stare troppo a lungo sotto la sua ombra. Aveva bisogno della sua luce. Salmar aveva ragione. L’Imperscrutabile aveva un suo disegno.

Il mastro matematico pareva esser assorto in una certa sua e personale filosofia. Forse egli stava elaborando dei calcoli difficilissimi, così tali che non poteva esser permessa alcuna distrazione, nemmeno quella del proprio patrono. Vi era pur sempre stato nel suo sguardo una vaga presenza ed una certa vacuità eppure era dotato di quella lungimiranza per l’affare e di quella accorata devozione in quei calcoli che in certo modo a pochi parevan impossibili delle volte crescer con semplici operazioni di presa a prestito che avevan infine dimostrato che Selassiè di Linhir era un dotto in molte arti.
Ora doveva solo darne un po’ ad Abdulazìz.
** you do not have permission to see this link ** Mastro Selassié di Linhir.
Sono quasi ormai dieci anni che egli presta servizio come erudito presso la famiglia Jhabaren e da tre istruisce il giovane Abdulazìz.

Hamen si spostò sul tetto piatto e terrazzato della sua casa a cinque piani e da lassù guardò le centinaia di alberi di maestra che svettavan nel porto.
** you do not have permission to see this link ** Hamen Jhabaren.
Mercante proveniente dal lontano e grande Harad. Vive a Dol Amroth da molti anni.

Andò sul balcone verso il piccolo cortile interno che dava frescura a quel caldo estivo e sentì rider suo figlio con Salmar.

Salmar se ne accorse mentre offriva da bevere dell'acqua al giovine.
Salmar raccontava ad Abdulazìz del deserto e di come fosse stato un predone e di come assaliva le carivaniere depredandole ed uccidendo.
Raccontava al piccolo le favole di demoni in bottiglia e di stregoni potentissimi e di aver soggiogato con la sua astuzia e con la sua forza, ma quelle storie non toccavano più il figlio di Hamen.
Era un uomo ormai.
L'ora di addestramento con la spada era quasi terminata.
Con un cenno del capo, Salmar ossequiò il padrone.
** you do not have permission to see this link ** Salmar Kabir.
Guardia del corpo del giovane Adbulazìz Idn Jhabaren.

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6
Novembre 29, 2009 - 12:31 pm

** you do not have permission to see this link ** Mendicanti
Clopen sopraggiunse dondolante con i suoi compagni nella tana che avevan nella città vecchia. Avvistò che lo stava aspettando un cittadino abbigliato di rosso.
Gli venne da ridere a fior di labbra ed abbandonò la gruccia, sulla quale si sosteneva, iniziando a marciare con un passo sano e regolare lasciando ogni precauzione di manifestarsi menomato.
Quando v'eran dei festeggiamenti, la popolazione offriva molte più monete. Alcuni piccini gli sciamaron attorno lanciando le mani verso di lui, ogni manina aveva un piccolo portamonete. Ad uno ad uno egli li apriva e ne prendeva il contenuto sonante. Ad alcuni scompigliò i capelli lodandoli per il loro lavoro di mendicanti mentre contava le monete che questi gli davano. In compenso lui dava essi una moneta di bronzo.
Ad uno diede un pugno in piena faccia rimproverandolo di non aver raggiunto la quota che gli altri gli avevan dato. Il bambino cadde e si portò le mani sul naso che iniziò a sanguinare copiosamente. Gli si avvicinò ancora mentre gli altri bimbi si allontanavano in silenzio ed impauriti e lo calciò nelle reni, poi lo sollevò e gli disse di andare che il giorno non era ancora finito e che alla sfilata avrebbe avuto modo di rifarsi.
Il bimbo sfrecciò via oltre il vicolo.
Infine Clopen, mentre s’infilava nella tasca il provento, si approssimò al visitatore guercio d’un occhio.
-Clopen!- enunciò quello con un tono severo.
-Non dovreste fare queste sciocchezze.-.
-Intendete forse nobile signore, rapire belle straniere?- rispose Clopen con fare sdolcinato?
-Voi capite.-.
-Certo. Ma il mio lavoro è come il vostro.- insinuò Clopen sedendosi sul bordo del pozzo.
L’uomo con il vestito rosso lo considerò con la sua unica iride.
Anche in quella solenne giornata i fastidi di quella lesione si erano fatti sentire. I messeri clinici enunciavano che c’era la possibilità d’ammorbamento e gli avevan consegnato dell’unguenti da applicare sotto di la benda nera. Era come avere dei granelli di sabbia in un continuo sfregamento. Aveva alla fin fine finito con non muovere più un muscolo e più il collo tanto era sgradevole la dolenza. Perfino il parlare gli procurava una sofferenza e stare la davanti ad esso furfante di bassa risma gli faceva voglia di tagliar la sua testa.
Clopen badate non era uno stupido e mai esso si muoveva da solo che pur sempre era accompagnato da almeno due o tre dei suoi commedianti menomati pronti ad estrar da chissà dove una daga assassina.
-Il mio lavoro dite?- Mithlen, unico occhio, lo interrogò.
-Voi servite il vostro padrone e dunque eseguite per lui ciò che egli vi affida.-
Un ragazzo di forse dieci anni portò un bicchiere e ne trasse dal secchio del pozzo un po’ d’acqua e la porse a Clopen che ne bevve un sorso e porse la tazza medesima all’orbo.
-Vedete… Guercio… Io non discuto con voi perché non sono vostro pari, anche se voi siete Uno dei Nove, voi siete solo un servo, un esecutore ed un infimo lecchino senza alcuna nobiltà d’animo.-.
-Al contrario voi?- disse l’orbo d’un occhio avvicinandosi acquistando l’attenzione di quattro uomini.
-Al contrario io, Clopen, son un uomo d’affari e di riconosciuta autorità, un capo come lo è il vostro, ma se il vostro è di nobili natali tra gli aristocratici e di essi comanda le giornate io… Clopen dei mendicanti sono il signore d’ogni vicolo buio e d’ogni notte brava di quei nobili, che van a bagasce e baldracche, che scialacquano fortune nelle bische che pagan danaro a mia signoria, e se voi avete bisogno d’un buon pestaggio o d’una morte, qui pagan me per un lavoro come il vostro e tuttavia io posso esser sempre il padrone di me stesso e mio re e sovrano.-.
** you do not have permission to see this link ** Clopen
-Il re dei ladri dunque.-.
-Esattamente, mio… Nobile amico… e sono questo anche perché tutti san bene cosa accade a chi interferiscono con i miei propositi.-.
-E quindi siete…-.
L’orbo non poté affatto terminare perché Clopen saltò giù dal pozzo gettando la tazza di legno a terra e parandosi ad un metro da Mithlen.
-Quindi voi Mithlen, avrete la cortesia di non interferire più nei miei loschi ed onorabili affari che oggi mi avrebbero pur fruttato almeno un cinquantina di monete e forse se vergini eran anche 100 a testa.-.
Gli uomini attorno a Clopen scattaron come Mithlen aveva previsto con pugnali e manganelli in mano.
Mithlen avrebbe voluto piantargli la lama nel cuore. Una veloce estrazione e lo avrebbe sicuramente ferito a morte ed un secondo colpo con l’altra lama gemella lo avrebbe finito, ma poi loro lo avrebbero preso. Delle finestre s’eran aperte ed altri malandrini eran apparsi sulle verande decrepite.
-Perdonate.- disse Mithlen abbassando un centimetro la testa.
-Vi chiedo scusa e sono giunto qui anche per rimediare oltre che per darvi nuove.-
Clopen parve sorridere.
-Ho solo pensato che il rapimento avrebbe potuto metter in allarme le guardie del principe ed aumentare le sorveglianza sulla vostra coorte di lestofanti e quindi metter in pericolo il nostro piano di rapina. Qualcuno conosce quelle due donzelle sprovvedute e si sarebbe sicuramente rivolto al capitano della guardia per trovarle.-.
Clopen si mosse di lato pensieroso e dicendo:
-Avete ragione amico mio… Delle volte è così difficile prender delle decisioni… Vi ringrazio della vostra lungimiranza, ma dovete condividere con me che la bellezza d’una di esse era senza uguali.-.
Poi tornò a guardare Mithlen.
-Avete notato la sua pelle bianca come una seta d’Umbar e la carnagione luminosa come un debole raggio di luna nella notte.-.
Clopen si avvicinò a Mithlen a dieci centimetri dal viso gli disse:
-Voi con il vostro unico occhio l’avete vista, voi, l’avete seguita vero? Ne siete rimasto abbagliato e l’avete bramata vero? Per voi? Ma poi vi sarete sentito deforme e non avete avuto il coraggio di avvicinarla e corteggiarla, perché voi siete così: nobile davvero.-.
Clopen si spostò ancora verso il pozzo e continuò a guardare sorridendo Mithlen.
-Voi quando l’avete poi pensata in pericolo nelle mie mani avete sentito dentro una lama lacerarvi il cuore…-.
Mithlen estrasse una missiva e la porse a Clopen che l’afferrò.
Mithlen estrasse ancora una borsa di danari sonanti e asserì:
-Per i vostri servigi sarete pagato in parti uguali come si confà tra i nove.-.
Lasciò cadere la borsa a terra e n’estrasse un’altra che scagliò vicino alla prima.
-Oltre a me altri sette vi osservano.- Un terzo borsello cadde a terra.
-Essi sono in procinto di prepararsi e dopo tutto questo tempo non sarebbe ora il momento di metter in allarme il principe e le sue armate. Quindi i sette ed io, otto, vi chiediamo di stare in calma solitudine e tranquillità fino a quando il segnale non verrà dato come convenuto.-.
Altri due borselli caddero a terra.
-Ma tuttavia noi sappiam bene che gli affari sono importanti e non posson esser meno nemmeno in giorni di festa e noi vi diamo dunque un risarcimento d’ottocento monete d’oro per questi giorni di grazia fino al giorno di Mezza Estate sena alcun impegno di restituzione o di doverosi obblighi nei nostri confronti, ma com’è d’uopo nella confraternita, un segno della nostra leale amicizia nel nome del guadagno e del potere v’invita ad esser scaltro come sempre… del resto… siete stato tenendo in considerazione sopra ogni altra cosa la confraternita. Così a deciso a Maggioranza la Confraternita dei Nove e così è stabilito. Sappiate che se rifiutaste, incorrete all’inevitabile.-.
L’ottavo sonante borsello cadde accanto agli altri.
Mithlen si allontanò voltandosi.
-Ci vedremo presto Clopen.-.
Voltandosi con l’unico occhio aggiunse.
-Vi tengo d’occhio.-
** you do not have permission to see this link ** Mithlen

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