Per Cinua di Morija
Altissima eccellenza, da tempo, savrete, le cose ad Ostelor portano verso i preparativi di una guerra. Gondor si offende se i Valdacli chiedono spiegazioni per una flotta diretta a sud per fermare il dominio di Nurmi su Same.
Una scusa per far mostrare i propositi dei Valdacli. Da anni noi con voi siamo stati in ottimi e proficui rapporti. Chiedo solo una parola da voi per la mia città, per la mia famiglia.
Il mondo deve trovare una strada diversa ora sono a Tartaust e mi reco a Tul Harad e qui anche cose si organizzano con poteri antichi. Ho visto Sudroni ed Orchi. Qualcuno trama per avere potere, e tutte queste, non inezie, ci distraggono da nobili motivi di civiltà. Il mondo si affaccia verso nuove aspettative. Resto in attesa di vostre nuove e mia sorella come me ad Ostelor, vorrebbe sentire i vostri propositi.
Con profondo e sincero rispetto
Arakhon Eshe di Ostelor
La donna, spaventata, fissò Arakhon. Il suo signore. Giaceva a terra come privo di vita.
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Alla fine Jampe si allontanò dalla porta, lasciandola aperta e mettendosi in un posto da dove poteva vederlo. Sembrava morto. Le sembrava che il petto di lui fosse immobile. Voleva urlare. Aggrottando le sopracciglia mosse la mano con la quale aveva spalancato la porta, aprendo e chiudendo le dita. Sentiva un forte formicolio nelle gambe, come se avesse i piedi nell’acqua fredda. “Non farai nulla, Ciryaher? Se non fai qualcosa, vado io.”
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“Resta immobile, o non andrai più da nessuna parte” disse il menestrello con calma. “Cosa c’è vicino alla mano destra? Sembra che gli sia sfuggita quando è caduto. Non riesco a distinguerla.”Jampe lo fissò furiosa, quindi guardò nella stanza. “Un serpente. Sembra un serpente di stoffa. Ciryaher, dimmi cosa sta succedendo! Che succede? Dimmelo!”
“Fai silenzio, Jampe” mormorò lui. “Devo pensare. Serpente. Spirito. Puro Spirito … perché questo luogo mi fa pensare allo Spirito? Shuzgam. Eppure, no. L’ho sentito …”
“L’hai sentito, Ciryaher? Cosa? Un incantesimo?”
“Si, un incantesimo. Ma non è stato fatto adesso, bensì quando Zanaenia l’ha toccato. Il tempo è finito. Ho capito tutto” rispose Ciryaher, e l’irritazione cominciava a intaccare la sua solita ironia. “Ora stai zitta, se vuoi che aiuti Arakhon in qualche modo. Chirag! Portami le mie borse!”
Il servitore svanì per le scale. Ciryaher camminava avanti e indietro nel corridoio, a volte fermandosi a guardare attraverso la porta. Jampe non riusciva a vedere alcun segno di vita in Arakhon. Il petto non si muoveva.
Quando Chirag tornò, spaventato e carico delle borse di Ciryaher, il menestrello aggredì l’uomo calvo. “Avevi promesso di non lasciarlo mai solo, mastro Chirag”. La sua voce era dura e precisa come un pugnale per scuoiare. “Avevi detto che non avresti permesso nemmeno alle serve di entrare per le pulizie, a meno che io non fossi presente. Dov’eri, mastro Chirag, quando Arakhon è caduto? Dimmelo!”
Chirag tremava come un budino. “S-solo per … s-solo un’ora, signore. D-desideravo preparargli la c-carne con la s-salsa rossa, come gli piace. Lo giuro, s-signore. Stava meglio. Aveva fame. P-pensavamo che saresti rimasto s-sorpreso.”
“Ed è così, mastro Chirag” mormorò Ciryaher. “Vai via! E se ti azzardi a dire una sola parola di quanto è successo, anche nel sonno, getterò una maledizione su di te e su tutti i tuoi discendenti.”
“S-sì, signore” sussurrò lui. “Lo giuro! Lo giuro!”
“Vai!”
Il servitore cadde in ginocchio per la fretta di raggiungere le scale, e si precipitò giù con dei tonfi sordi che suggerivano più di una caduta.
Jampe lo fissava a denti snudati. “Che cosa mi dici di lui?” chiese. “Che cosa gli hanno fatto, Ciryaher? E’ vivo? Non riesco a vederlo!”
“E’ vivo” rispose lentamente Ciryaher. “Non posso, non oso avvicinarmi a sufficienza per aggiungere altro, ma è vivo. Sta … dormendo, in un certo senso. Come un orso durante l’inverno. Il cuore pulsa così lentamente che potresti contare il tempo fra un battito e l’altro. E lo stesso vale per il respiro. Dorme.”
Anche da dietro, Ciryaher poteva sentire gli occhi di Jampe posati su di lui, come punte di lancia.
“Temo che non sia lì, Jampe. Non è più nel suo corpo.”
“Che significa che non è più nel suo corpo? Dei del cielo! Non vorrai dirmi che gli hanno … rubato l’anima? Come gli Uomini Grigi …”Ciryaher scosse il capo e Jampe sospirò di sollievo. Le doleva il petto, come se avesse trattenuto il respiro da quando il menestrello aveva cominciato a parlarle di Arakhon.
“Allora dov’è, Ciryaher?”
“Non lo so”, rispose lui. “Ho un sospetto, ma non ne sono sicuro.”
“Un sospetto, una traccia, qualsiasi cosa! Che io sia folgorata, Ciryaher! Dove?”
“So molto poco, Jampe”. La voce di Ciryaher era una fredda musica insensibile. “Ho ricordato ciò che Arakhon mi ha raccontato del suo sogno, e il poco che sapevo di ciò che collega l’anima alla terra. Il talento del sognare ha a che vedere con lo Spirito, Jampe. Con la Musica. Non l’ho mai studiato, i miei talenti erano orientati in tutt’altra direzione, ma Intillamon … credo che Arakhon sia stato intrappolato in un sogno, forse addirittura in quel mondo dei sogni nel quale ho scoperto come entrare. Intillamon lo chiamava Tel’ Aran’ Rhiod. La sua essenza è racchiusa in quel sogno. Tutta. Io invio solo parte di me stesso, racchiudendo la mia essenza nei Cerchi. Credo che stia portando Zanaenia dal suo padrone. Se Arakhon non ritorna presto, il suo corpo morirà. Forse lui continuerà a vivere nel sogno. Non lo so.”
“Ci sono troppe cose che non sai”, gridò Jampe.
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Guardò nella stanza e le venne da piangere. Arakhon sembrava così piccolo, adesso, steso per terra, così indifeso. ‘Lo giuro, non ti lascerò più solo, per sempre’, pensò. “Perché non fai qualcosa?”
“L’incantesimo è scattato, Jampe, ma catturerà lo stesso chiunque entrerà in quella stanza. Non per sempre, ma ora ... non riuscirò a raggiungerlo prima di essere colpito anch’io. Ho bisogno dell’aiuto di Egaewe, forse non basterà nemmeno quello. E stanotte ho un lavoro da fare.”
“Che tu sia folgorato, menestrello! Che sia folgorato il tuo lavoro! Questo mondo dei sogni, com’è fatto? Posso andarci anch’io?”
“Ti ho detto quello che posso” rispose lui, secco. “E’ giunto il momento che tu vada via. Io devo recarmi da Suri; per lui ho la maniera di fare qualcosa, per Arakhon no. Non posso aspettare.”
“No”. Lo aveva detto in un sussurro, ma quando Ciryaher aprì la bocca, lei quasi urlò.
“No! Non lo lascerò!”
Il menestrello fece un respiro profondo.
“Molto bene, Jampe”. La sua voce era come ghiaccio; calma, immota, fredda. “Resta, se lo desideri.”
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Da Ostelor, Norui, anno 75
Mio caro signore,
per desiderio di vostra sorella Ar-Venie, mia coraggiosa e degna protettrice, vi scrivo in fretta queste righe per informarvi del nostro scontro con l’armata di Gondor e di Valandor Hamina che ha avuto luogo la settimana scorsa alle porte di Alsarias. Il riconoscimento che ci è stato dato e la salvezza della nostra città di Ostelor lo si deve interamente al coraggio e alla lealtà di vostra sorella e dei suoi capitani, fra i quali Indur pari degli Eshe, si è particolarmente distinto.
Ar-Venie è stata ferita in maniera molto grave nella battaglia contro la cavalleria di Valandor, in modo tale che ella è morta sul campo, e al suo fianco è morta Endariel di Nindamos. Riposano, ora, nelle Tombe dei Condottieri, sotto alla fortezza. Purtroppo, ho avuto la sfortuna di esser stato ferito poco tempo dopo l’inizio dello scontro, e il mio braccio è rotto in modo tale che temo dovrà essere amputato. Il capitano Indur e l’arconte Artagora, ahimé, non sono tornati.
Il capitano Akhibrazan è caduto. I capitani Yamo e Telumethar sono prigionieri e non abbiamo avuto richiesta di riscatto. Alsarias si è arresa, e ora i nostri nemici sono alle porte; una manovra del capitano Tanadas per liberare Ostelor e Rò-Mollò dalla morsa del nemico non è riuscita. Attendiamo ora il soccorso dell’armata di Adarrathil dalle isole meridionali, o un contrattacco dai passi, saldamente in mano ad Arpel, ma non siamo certi che ciò accadrà. La nostra flotta è superiore e può continuare a portar rifornimento alla città, e quindi riesco a spedire questa lettera con la Daracil, che torna a voi, per desiderio del Consiglio, con gli archivi della città e con alcune nobildonne alle quali vi è chiesto di dare asilo. Nonostante la mia grave ferita, non mi è permesso di partire, e affido questa lettera e altre due lettere di vostra sorella Ar-Venie a dama Zenabeth.
Sarete sollevato nell’apprendere che Ar-Venie ha lasciato disposizioni molto precise a seguito delle quali il vostro amministratore Min Curloer ha rinunciato al suo incarico ed è partito verso sud, e che la vostra casa, e i vostri magazzini e le merci in essi contenute sono, per ora, salvi e ben protetti. Una delle lettere di vostra sorella vi nomina erede della famiglia Eshe, della quale sono onorato di essere al servizio; l’altra è riservata a voi solo. Essendo io in procinto di recarmi al Consiglio per perorare la vostra causa, sarà mia premura amministrare i vostri beni nel migliore dei modi, se vorrete confermarmi questo incarico, affidatomi da Ar-Venie.
I miei sentiti omaggi e rimango, mio caro signore,
molto sinceramente vostro
Sha Bla
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Tuija aprì gli occhi e si ritrovò a fissare dei raggi di sole che attraversavano una tela bianca, tesa da corde leggere, intessute e annodate da mani esperte. Il vento che l’agitava portava con sé un accenno dell’autunno e della notte, malgrado il periodo dell’anno e il caldo. Lei stava sdraiata sulla schiena, e poteva sentire una leggera coperta distesa su di se. Le sembrava di essere senza giubba e senza camicia, solo con una leggera veste addosso, e i fianchi e il petto le dolevano. Girò la testa, e vide Ciryaher seduto accanto a lei, su uno sgabello; oltre una bassa murata, riusciva a scorgere il mare, e la nave ondeggiava leggermente. Quasi non lo riconobbe, con indosso una giacca da marinaio e i capelli raccolti in un codino. Lui le sorrise incerto.
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“Ciryaher, sei tu. Da dove spunti fuori? Dove siamo?”
La memoria le tornò a sprazzi, in piccoli frammenti. Ricordava le cose vecchie, ma gli eventi degli ultimi giorni sembravano i pezzi di uno specchio rotto, le vorticavano in mente mostrandole barlumi di immagini che sparivano prima che le potesse vedere con chiarezza.
“Nel golfo” rispose lui. “Ci troviamo a cinque giorni di viaggio a est di Tul Harar, ormai, e tu sei rimasta addormentata tutto il tempo.”
“Tul Harar.” Altri ricordi. Suri nella cantina, addormentato. Ciryaher aveva fatto un incantesimo. “Suri! Lui è … L’hai liberato?” Tuija trattenne il respiro.
“E’ libero. Per un poco di tempo. L’hai liberato tu stessa.”
“Io? Non capisco”. Lui è libero, pensò. “Dov’è?”
“Sulla Daracil. Siamo andati via.”
Si voltò; guardò il mare. “E’ successo. E dopo siamo andati via tutti. Muhad e Khalid con noi, con Arakhon. Jampe con Farah nella Città Alta. Tealc e altri a sud, con Badih e la Baglah. In realtà Farah non ti voleva lasciare. Badih è sulla via per Arpel, di ritorno a Ostelor per quello che va fatto riguardo alla casa degli Eshe, qualsiasi cosa sia. Hanno portato uomini di Mobarek con loro.”
“Andati via” mormorò lei. “Non hanno nemmeno aspettato che mi svegliassi”. La distanza nello sguardo di Ciryaher aumentò, e l’uomo si appoggiò alla murata, forse inseguendo un pensiero.
Tuija si sedette, guardandosi in grembo. Alzò le mani per passarsele sul viso, e si fermò, fissandosi sconvolta le dita. Adesso erano magre, adunche, ogni linea spigolosa e ben definita; la pelle sembrava grigia. Si ricordò. “No!”
“E’ successo” ripeté Ciryaher. “Dire ‘no’ non cambierà la situazione.”
Tuija scosse il capo. Qualcosa le diceva che il dolore al petto e ai fianchi era importante. Non riusciva a ricordare di essere stata ferita, ma era importante. Iniziò a sollevare la coperta per guardare, ma lui le spinse via le mani con un buffetto.
“Non puoi farci nulla. Ancora non sei del tutto guarita. Egaewe ha provato, ma ha detto che non stava funzionando come avrebbe dovuto”. Ciryaher esitò, torcendosi le mani, come era solito fare quando non sapeva cosa dire. “Sostiene che devo averti fatto qualcosa, altrimenti non saresti in queste condizioni. Dice che sei viva per opera degli dei e che non saresti sopravvissuta senza il suo intervento, e naturalmente che è colpa mia. Ma le ho detto che dopo aver trovato Arakhon ero troppo spaventato anche solo per accendere una candela, e che le due cose devono essere successe nello stesso momento. Ha capito che c’è stato qualcosa di … sbagliato, ma non sa che cosa. Dovrai aspettare di guarire naturalmente”. Sembrava turbato. "Nessuno sa."
“Arakhon è qui?”
“Arakhon? Si. In un certo senso. Gran sapiente che sono. Ho cercato di salvare Suri, ma tu ci sei riuscita prima di me e senza di te e quello che gli hai dato non sarebbe stato possibile. Arakhon è caduto in un sonno che lo consuma, ogni giorno che passa, e non riesco a svegliarlo”. Colpì il legno violentemente, con il pugno. La rabbia di Ciryaher la prese alla sprovvista.
“Che cos’ha? Una malattia, un veleno?”
Ciryaher scosse il capo. “Non lo so. Vorrei saperlo. Ma è un bene, alla fine, che Egaewe sia venuta con noi, visto che non so cosa sia.”
“Un male che viene da Ba? Come quello di Suri?”
“Più di così. Meglio e peggio allo stesso tempo. Zanaenia era già una creatura delle Tenebre, fin nel profondo dell’anima, e a Suri ha portato via la vita, ma credo che per sua stessa scelta sia stata toccata dall’essenza di Alatar. Forse Alatar è stato spregevole nel combattere l’Ombra, tanto quanto l’Ombra stessa. Zanaenia ha avuto terrore della morte quando Arakhon e Khalid l’hanno sconfitta, ha provato a consumare l’anima di Arakhon, per avere di nuovo un corpo umano, ma ha trovato un’anima forte, che all’Ombra aveva già resistito in precedenza, e il risultato … il risultato non è né la vita né la morte ma qualcosa di gran lunga più malvagio, un miscuglio dei due. Zanaenia, continuiamo a chiamarla così, ora è più pericolosa di quanto si possa credere. Arakhon poteva non sopravvivere a un tale tocco, ma è stato forte nello spirito e adesso … rischia di finir peggio che morto.”
“Se dovesse cedere, se non ci fosse più speranza di sottrarlo all’Ombra e di condurlo all’ultimo abbraccio della terra, allora tu dovrai …”
“Arakhon non è così facile da abbattere. Già il fatto che i moriani siano venuti da est appena hanno saputo è una dimostrazione. Il disegno si intesse attorno a noi ancor più saldamente” le disse Ciryaher. “Ora abbiamo bisogno di essere uniti e forti più che mai. Noi siamo quello che siamo, e stiamo già agitando il mondo.”
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Continuava a muoversi fra i marinai per evitare di parlare con Suri. Il modo in cui il giovane sameano aveva preso in mano le cose, senza fermarsi nemmeno per un momento a riflettere su ciò che era appena accaduto e ai rischi che correva, che tutti correvano, l’aveva lasciato interdetto. E se il comportamento di Suri l’aveva lasciato interdetto, la reazione di Khalid era stata tale da farlo rimanere senza parole. Khalid era l’eroe, Khalid era la guida, ora che Arakhon aveva bisogno di loro; Khalid avrebbe dovuto essere sulla ‘Daracil’, ora, a guidare le navi del Drago verso Morija.
Khalid non aveva detto niente, si era fatto da parte, e aveva lasciato il comando a Suri.
Suri, ignorante, arrogante ... no, non era giusto pensare questo di lui. Il ragazzo non meritava disprezzo. Ma non avrebbe dovuto prendere il posto di Khalid. 'E' questo il motivo', si chiese, 'Oppure è per Tuija?'
C’era molta confusione sulla ‘Daracil’. Era piena di marinai, rematori, soldati – dritti in piedi, curvi sui remi, o ritorti, appesi in strani equilibri sull’albero o fuori dalla murata – e tre tamburi di grandi dimensioni davano il ritmo. Ciryaher diede ai suonatori di tamburo una seconda occhiata, soprattutto a quello che traeva il suono più profondo, ma gli strumenti erano tutti molto semplici, privi di vero valore. C’era anche uno degli ufficiali di Muhad, con gli stivali intarsiati d’argento alla tarenese e una giubba gialla, che passeggiava guardando in modo sprezzante i rematori, e non si tratteneva vicino a loro o accanto a Suri, ma Ciryaher vedeva poca differenza fra i loro ruoli, tranne che per l’abbigliamento.
All’improvviso si ritrovò Egavé accanto. Tentò di sfuggire al suo sguardo e di allontanarsi, ma la donna gli camminò dietro fino a quando non si trovò bloccato fra un grande rotolo di corda e una serie di casse, e fu costretto a voltarsi e a farle un cenno di assenso.
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“Sembri irrequieto” disse lei, sorseggiando una limonata.
“Mi piace camminare”. Ciryaher si chiese come poteva attuare il suo proposito di andarsene senza parlarle; non immaginava che fosse sulla nave. Ricordandosi dei lunghi pomeriggi alla scuola di Ostelor, assunse una postura diritta, e si mosse verso di lei come un gatto che attraversa un cortile. Non conosceva un modo di camminare più arrogante di quello. Egavé serrò le labbra, e Ciryaher pensò che forse la donna lo credeva troppo arrogante, ma non gl’importava. Per allentare un po’ la tensione, disse in tono gentile: “Non sapevo che fossi anche tu sulla ‘Daracil’. E’ una bella nave. Questi dell’ Harad sono buoni marinai; Muhad ha molti amici.”
“Molti amici”, concordò Egavé. “Potrai dire al capitano di Ostelor chi sono, quando tornerai, e chi. Alcuni dei nomi potrebbero sorprenderlo.”
“Non ho mai parlato al Consiglio, dama Sadnaril, e non mi aspetto di tornare.”
“Ma certo. Ti sei trovato per caso accanto ad Arakhon Eshe in quell’escremento di mosca di villaggio, a Vaisala. Non ti stavi per niente nascondendo, e non eri più in contatto con i Teocrati. La sommossa contro Unnath Edril. Una grande impresa, quella.”
“Si”. Ciryaher stava di nuovo pensando alla scuola, desiderando che gli avessero dato più consigli su come parlare con qualcuno che partiva dal presupposto che lui stesse mentendo. Senza riflettere, aggiunse: “E’ pericoloso immischiarsi con i resti delle epoche leggendarie, per chi non sa bene cosa sta facendo.”
Egavé guardò nel proprio bicchiere, meditando, come se Ciryaher avesse appena detto qualcosa di profondo. “Stai dicendo che non appoggiavi il tuo maestro in quell’impresa?” chiese alla fine.
“Te lo ripeto, non ho mai appoggiato Edril. Ero giovane, non contavo niente per loro.”
“Certo, naturale” rispose Egavé. “Non sapevo che gli uomini di Edril giocassero così bene. Non ne vediamo molti, qui a Tul Harar.”
Ciryaher fece un respiro profondo per trattenersi dal rispondere in tono rabbioso che lui non faceva parte di nessun gioco.
“Siamo chi abbiamo detto di essere”, rispose. Tranne io, aggiunse tra sé. “Nel porto ci sono molte navi che provengono da Ostelor.”
“Mercanti e commercianti. Chi nota gente del genere? Sarebbe come accorgersi degli scarafaggi sulle foglie”.
Nella voce di Egavé c’era lo stesso disprezzo per scarafaggi e mercanti, ma ancora una volta si accigliò come se Ciryaher avesse voluto fare una qualche allusione. E lui decise per una carta nuova.
“Non molte donne viaggiano libere per la Città Alta di Tul Harar. Nessuna di loro sta fuori dalla propria famiglia, o cammina senza il marito. Tu sembri troppo giovane per essere vedova, eppure sei senza un custode. Immagino che il tuo custode sia Zayed in persona?”
“Non ho nessun custode”, rispose Egavé, e fece una smorfia.
“Giovane. Giovane per essere considerata una sapiente, da quei vecchi barboni.”
“Ho meno di un anno” rispose Egavé in modo automatico, e subito si pentì di averlo fatto. Suonava stupido, alle sue orecchie, ma le avevano insegnato a comportarsi così di fronte a un nobile dell’Ovest; e quella era la risposta che avrebbe dato ad Arakhon. I figli di Numénor consideravano il giorno in cui avevano compiuto trentasei anni come il loro primo compleanno.
“Questi occhi, questi capelli. Ho sentito dire che alcuni portano quasi i colori dei primi venuti per capelli e occhi. Così abbiamo una donna libera a Tul Harar che discende dai coloni di Anarion, addestrata come per la vita a corte. O dovrei dire addestrata come coloro che conservano il ricordo di Nindamos?”
Gli occhi di Egavé si strinsero, studiando Ciryaher. “Io non vivo nel ricordo di Nindamos, Ciryaher, e non appartengo alla stirpe reale.”
“Come dici tu. Mi hai dato molto da pensare. Credo che troveremo degli argomenti in comune la prossima volta che parleremo”. Ciryaher annuì, poi si girò a parlare con un marinaio dai capelli grigi, e andò avanti, fuggendo da altre conversazioni.
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Guardò il proprio abito, seta nera ricamata di perle, tutto impolverato e stracciato. Alzò la testa, e si accorse delle rovine di un grande palazzo intorno a sé. Il palazzo reale di Rugia, a Ra-Morij. Questo lo sapeva, e le venne da gridare.
La via della salvezza si presenterà una sola volta. Sii risoluta.
Il mondo non era come lei avrebbe voluto, non poteva pensarci senza avere voglia di piangere, ma aveva già da tempo versato tutte le sue lacrime, e il mondo era quello che era. Non c’era altro che rovina.
E accadrà che quanto gli Uomini hanno costruito sarà distrutto.
Le donne piangeranno e gli uomini si perderanno d’animo, mentre le terre del Marinaio saranno ridotte a brandelli come stracci consunti. A Oriente non resterà più nulla.
Gli Eroi vestiranno le genti di ceneri e stracci, e con la loro venuta spezzeranno di nuovo il Mondo.
Senza badare se l’abito si strappava ancor più, ma facendo estrema attenzione a essere silenziosa, si arrampicò su un mucchio di macerie e osservò le strade della città interna. Per quanto poteva vedere, in ogni direzione c’erano rovine e desolazione, edifici che sembravano abbattuti da una folla impazzita, spessi pennacchi di fumo che salivano dai fuochi ancora ardenti. C’era gente per le strade, bande di uomini armati che si aggiravano furtivi in cerca di prede. E c’erano loro. Uno camminava a grandi passi lungo la strada, il mantello nero ondeggiava gentilmente secondo la sua andatura, anche quando le folate di vento sollevavano polvere e sporcizia.
Ma senza i nostri signori, chi siamo noi? Alla fine, che cosa siamo, se non un ombra dell’ombra. L’eco di ciò che fu.
Scese dalla pila di sassi il più silenziosamente possibile.
La via della salvezza si presenterà una sola volta. Sii risoluta.
Corse avanti e si nascose fra le rovine del palazzo, arrampicandosi su travi cadute, schiacciandosi per passare fra le mura crollate. Non poteva fare nulla per i morti.
Passando a forza in uno stretto varco dove era crollata parte del soffitto, si ritrovò in una stanza sepolta dai resti di ciò che un tempo vi stava sopra.
Era inchiodato a terra da una grossa trave che gli era caduta di traverso sulla vita, e aveva le gambe nascoste dalle pietre che riempivano metà della stanza. Polvere e sudore gli ricoprivano il viso. Aprì gli occhi quando si avvicinò.
“Sei tornata.”
Come un’alba liberata dalle catene accecheranno e bruceranno, ma si confronteranno con l’Ombra e il loro sangue ci darà luce.
Pronunciò le parole a fatica, rauco. “Temevo … non importa. Devi aiutarmi.”
La sua voce affannosa le fece formicolare la pelle. Egaewe si accasciò stanca sul pavimento. “Non capisci”, disse lentamente. “Io … io non posso. Non posso, non posso!”
Eppure una Compagnia di Eroi si formerà per affrontare l’Ombra. Si formerà ancora come in passato, e rinascerà di nuovo, e ancora, per sempre. I Draghi si sveglieranno e ci saranno gemiti e lacrime al loro avvento.
La via della salvezza si presenterà una sola volta. Sii risoluta.
Egaewe si guardò alle spalle, e vide un bagliore argenteo, un bagliore pieno di luce bianca. Si trovava proprio dietro a lei. Ancora un momento e …
“Egaewe, aiutami. Dobbiamo fuggire.”
Sii risoluta.
“Ti prego, Egaewe. Aiutami. Non puoi combatterli. Ti prego, Egaewe. Per amor del cielo, Egaewe, aiutami!”
Lasciate scorrere le lacrime, o popoli del Mondo. Piangete per la vostra salvezza.
“Non posso” sussurrò lei. “Non posso. Perdonami.”
Fece un passo avanti.
“AIUTAMI, EGAEWE!”
La luce li ridusse in cenere.
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Anno Settantacinquesimo, Urui . In mare , verso Morija
Da quando siamo partiti Suri è padrone di se stesso; e credo stia abusando della sua posizione. Secondo quello che ho capito, ha veramente iniziato a fare il capitano: i marinai più anziani attendono per ricevere le loro istruzioni, il vento è favorevole e la marea anche; ma procediamo lenti, e il capitan Suri si preoccupa della pulizia dei sedili dei rematori nonché della loro salute. Corre dei rischi insensati, comportandosi in questo modo, e qualsiasi osservazione da parte mia può sembrare in malafede. Stamattina un demone mi ha suggerito che dovrei fare in modo che il comando passi a qualcun altro e lasciarlo cadere in trappola, cosa che non mi sarebbe difficile, e me lo ha suggerito con una dovizia di buoni motivi, principalmente di natura altruistica, menzionando sia l’onore di un Valdaclo che il dovere nei confronti di Arakhon, che vivrà solamente se la missione avrà buona riuscita; mi domando come non abbia fatto appello al sangue e al mio rango più alto di quello di un pescatore. In certa misura Tuija è consapevole dei miei sentimenti e quando mi ha rinnovato la sua richiesta di sapere di più sulle condizioni di Suri ha parlato di ‘essersi di nuovo imbattuta in lui per caso’ e si è diffusa sulla coincidenza in un modo che mi ha fatto provare un impulso di affetto per lei, nonostante la gelosia animale. E’ la bugiarda più inetta e più facile da smascherare, con tutta la sua strategia complicata, prolissa.
Ho scoperto di avere uno spirito di sopportazione minore di quello che avrei creduto. Di recente mi sono trovato spesso a riflettere sulla futilità di cose come il denaro e il potere. Sento Suri preoccuparsi di commissioni, mercati e rendimenti; vedo Muhad perdersi in sottili giochi dei quali i più non s’accorgono, lo vedo accrescere il proprio potere a spese di altri. La bella Jamilah appare come d’incanto, ci parla del destino e del Disegno, e ci porta in dono un prezioso trasporto verso le terre d’Oriente. Sadnaril rinuncia a tutta la sua influenza su Zayed, che non posso che invidiare essendo la dolce Jampe lontana e la dama dai capelli d’oro tremendamente desiderabile, e si mette in viaggio assieme a noi sopportando la nostra ostilità. Certo, è quel denaro che ha guadagnato, che ha permesso a Suri di comprare le rare erbe che utilizzerò con profitto; sono i giochi di Muhad che ci hanno assicurato la benevolenza dei potenti di Tul Harar, e Sadnaril, la Sognatrice, ci è utile senza chiedere apparentemente niente in cambio. Di Jamilah non sappiamo nulla, ma così come Sadnaril ci è utile e su di lei più di tanto non c'interroghiamo, non chiediamo il perché della sua grande generosità, ci accontentiamo di una misera spiegazione sull'appartenenza a un qualche oscuro 'ordine'. E andiamo avanti. Il Destino, il Disegno, 'alcuni di voi spostano il Disegno; altri vi ruotano solo attorno'.
Continuo quindi a provare nei confronti di Suri questa acredine, e forse desidero la scaltrezza di Muhad, e Sadnaril nel mio letto, forse è tutto qui. Eppure sono convinto che si perda troppo tempo in discussioni che non hanno nessuna utilità, e che questo tempo che perdiamo non possa essere recuperato. Dentro di me sento che ogni giorno che passa ci porta più vicini a uno scontro dagli esiti incerti, a una battaglia alla quale non possiamo sottrarci.
La serata non è stata piacevole. Siamo giunti a qualche conclusione solo a tarda notte, e gran parte delle mie energie è servita proprio allo scopo di far convergere l’attenzione dei miei molto valorosi compagni di viaggio su cose che non fossero futili.
Pensiamo, ora, che Ar-Venie abbia voluto riferirsi, nelle sua lettera scritta ad Alsarias, alla vigilia dello scontro con Cirmoth, a ciò che avvenne d’inverno nella fortezza di Ny Chennacatt. Non ero con loro, perché gli intrighi fra i vari potentati locali mi avevano bloccato a Tartaust con Tuija, ma ricordo ciò che Arakhon mi raccontò.
In Ny Chennacat, su insistenza di Tara e nonostante la perdita di Mutamin, i miei compagni scesero nel profondo della fortezza, e fu là che trovarono le vestigia di un terribile passato e vennero attaccati dai servi dell’Ombra, dagli spregevoli Orchetti del Drago. Tara si separò da Arakhon, e scomparve nel buio, correndo verso i corridoi più profondi; la compagna di giochi di Arakhon, perché fin da bambini erano stati amici e complici, si separò da lui per andare incontro a un destino che certamente non poteva essere ignoto ad Ar-Venie. Tara non faceva nulla che potesse dispiacere ad Ar-Venie e già nel corso del viaggio sulla Baglah avevamo intuito che ci nascondesse qualcosa, forse una missione segreta.
Ma se Tara è la compagna di giochi, allora Tara è sopravvissuta a Ny Chennacatt. In qualche modo è tornata a Ostelor, ed ha incontrato Ar-Venie. E se ha incontrato Ar-Venie, forse è lei la sua voce , forse sta viaggiando a est per ricongiungersi con Arakhon. E se non ascolterà ciò che Tara deve dirgli, Arakhon non potrà camminare verso il sole, verso est, verso Morija. Oppure, addirittura non vedrà il sole, e ciò potrebbe voler dire che a Morija non arriveremo mai.
Ma il dubbio mi attanaglia, perché di certo Ar-Venie non poteva intuire ciò che sarebbe accaduto ad Arakhon, non sapeva dello Spettro, di questo sono assolutamente sicuro, e allora quello che lei ha scritto non si riferisce a un pericolo già affrontato, anche se in maniera infausta, ma a un pericolo che ancora deve venire. Che ci attende sul nostro cammino.
Ar-Venie parla del giorno di Mettaré e questo giorno elfico coincide con il nostro capodanno di Ostelor. Potremmo quindi fare in tempo, nonostante le condizioni di Arakhon e il viaggio per mare che abbiamo già intrapreso, ma avremo una sola occasione, non potremo attardarci in nessun modo, altrimenti non raggiungeremo il Chennacatt entro il termine indicato. Perché il giorno di Mettaré, e che cosa significa che la voce si presenterà una volta sola? Forse che Tara, giunta da ovest, non aspetterà un Arakhon in ritardo e proseguirà da sola verso una nuova missione? L’ultima missione a lei affidata da Ar-Venie stessa?
Mi rimane l’arduo compito di soddisfare, almeno per un certo tempo, la mia insaziabile curiosità spiegando quale sia il messaggio che Ar-Venie ha affidato a Tara. Di certo non riguarda piccolezze come l’eredità e il tesoro della famiglia Eshe, perché le ricchezze sono già in gran parte al sicuro, a Tul Harar, e affidate nella loro rimanenza nientemeno che all'improbabile Sha Bla, quindi le ipotesi sono due: Ar-Venie non teneva in alcuna considerazione le cose materiali al punto di trascurarle in punto di morte, oppure Sha Bla Tiedra è un suo uomo fidato.
No, per quanto le volontà nascoste di Ar-Venie siano inesplicabili, abbiamo perso fin troppo tempo sulle piccole cose.
Tara non porta ad Arakhon istruzioni su come condurre i commerci di spezie. Penso quindi che la cosa abbia a che fare con la profezia di Rugia che ci vede quali eroi che assieme a Khalid affronteranno il Sole per strappare – quale controsenso, eppure è in questo modo che i miti del Dàr s’incontrano con quelli d’Oriente, attraverso di noi – per strappare il mondo all’Ombra, gli Eroi che porteranno distruzione e morte a Morija.
Ar-Venie ha osato persino cercare Azrabeth e, cosa incredibile, l’ha trovata, non l’avrei mai pensata ancora in vita, deve essere vecchissima. Ar-Venie e Anikaran: cosa li legava? Ricordo poco di Anikaran, ero molto giovane, se non che fosse attaccato alla sottana, pieno di donne, e Ar-Venie era una gran bella donna; ma Ar-Venie odiava gli uomini, li disprezzava. Che li disprezzasse a causa di Anikaran, che fosse veramente Anikaran il padre di Urrit, Urrit che Ar-Venie nascose a Eshe Far e affidò a Tara, sua amica fidata, sufficientemente di basso rango da poter sopportare la vergogna di una figlia illegittima? Se così fosse, se ci fosse stata veramente un’unione fra Anikaran, discendente dai coloni di Numénor e così puro nel suo lignaggio da far impallidire la purezza dell’acqua di fonte, e un’ Ar-Venie con sangue dei Kinnlai, dei Quendi, nelle vene, sembrerebbe meno incredibile l’ipotesi di Urrit Fanciulla dei Mezzelfi. Si spiegherebbe anche il grande interesse di Ba nei suoi confronti e non solo nei suoi, ma anche in quelli di Anysa. Anysa Fanciulla dei Mezzelfi, corrotta a causa del maligno padre e perduta, e Urrit Fanciulla dei Mezzelfi vergine e pura. Quale tristezza. E il solo immaginare una ragazza con tale sangue nelle mani di Azrabeth e dei reietti di Unnath Edril mi fa rabbrividire – quale terribile sorte, quali terribili cose farebbero, per ottenere quell’immortalità che Eru ci ha negato.
Quale miglior ragione per spingere Ar-Venie a continuare a negare la maternità di Urrit, e per allontanarla per sempre da lei e dalla sua memoria.
Tutte queste, però, potrebbero rivelarsi solo fantasie di Ciryaher, per quanto suffragate da fatti e condivise da altri.
Arakhon non migliora; il suo corpo si consuma rapidamente. Per dargli ancora qualche giorno posso fare una cosa sola. Di nuovo non riesco a dormire, dormo sempre meno e per quest'insonnia come per tante altre cose ho smesso di preoccuparmi, quindi cercherò di distrarmi continuando sui miei versi, e riposerò domani.
Nafi guardò con terrore le alte murate della nave Mumakan, che ora si stagliava contro il bianco della nebbia e filava elegante e silenziosa nella direzione opposta alla loro. Le vele avevano un disegno chiaro e scuro che le rendeva simili alle orbite di un teschio. Le ombre parevano muoversi. Di tanto in tanto si udiva uno scalpiccio, e uno dei neri marinai cambiava posizione.
La loro barca era più bassa, ed erano arrivati vicini; eppure, nessuna delle vedette li aveva visti. Erano concentrare sulla preda, sulla 'Daracil' che andava a oriente, e non su un’imbarcazione che andava verso le foci del Siresha. Una fortuna che sarebbe durata poco.
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Jamilah
“Non facciamoci sentire”, mormorò Jamilah, e fece un cenno a Nafi e agli altri, per incitarli a nascondersi.
“Com’è possibile?” chiese Domon con un filo di voce. “E' Umar Khel. Come fanno a essere qui?”
“Non c’erano navi Mumakan a Tul Harar, neanche una barca da pesca”, disse Nafi. “Te lo giuro, Falco.”
“Qualcuno ha tradito”, rispose Jamilah. “Qualcuno ha dato loro asilo in uno degli altri porti del golfo. Luce, lo sapevo. Abbiamo corso un rischio troppo grande. E adesso siamo qui al largo, e ci muoviamo a casaccio. Come hanno fatto a non farsi avvistare?”
“E’ magia”, rispose Nafi, con un gesto di scongiuro. “Solo con la magia”.
“Se riescono a vederci, siamo morti” disse Domon. Jamilah scambiò uno sguardo con Rachad, al timone, poi sospirò. Davanti a loro, filamenti di nebbia grigio argento si muovevano a due spanne dall’acqua, e si allungavano verso la barca.
“Non mi piace” disse. “Ma non abbiamo scelta. Non possiamo aiutarli. E’ parte del Disegno. La 'Daracil' è una buona nave, e non si farà prendere di sorpresa; con la nebbia, staranno svegli. Qualsiasi cosa accada, continuiamo a muoverci verso le foci. Procediamo veloci. Ma soprattutto, non dobbiamo fare rumore.
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Umar Khel
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Tuija sistemò la pesante camicia di lino in modo che non la intralciasse, e si lasciò ricadere sullo sgabello lisciandosi la gonna con un gesto impaziente. Gli occhi scuri erano pieni di disgusto. Aveva indossato quel vestito, con la gonna separata in due per cavalcare dalla sua stessa abilità di sarta, troppo a lungo, ma aveva solo un altro abito sulla barca, e dopo il tuffo notturno era ancora più sudicio. E dello stesso colore, il porpora del Chennacatt slavato e consumato dal sole. All’inizio del viaggio, giorni prima, non aveva potuto parlare con nessuno, così ci aveva pensato Ciryaher e adesso la scelta era tra porpora slavato o niente.
“OW!”
Gridò, quando Ciryaher, finito di segare il quadrello, lo spaccò in due per estrarlo dal braccio. Faceva un male terribile. “Giuro che non seguirò mai più quel grosso bue nelle sue imprese” disse asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Non che avrò molta scelta, una volta che lo ritrovo, perché lo strangolo con le mie mani. Lo ammazzo.”
“Stai di nuovo parlando da sola?” chiese Ciryaher, e diede uno strattone con le tenaglie.
“AHH! PIANO! Fa male!”
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Ciryaher aggrottò le sopracciglia, come faceva quando era preoccupato o turbato, o, a volte, quando si preparava a mostrare un’ostinazione sorprendente, e diede un secondo strattone. A Tuija mancò il fiato, ma il quadrello uscì.
“Ha scheggiato l’osso e ti ha rotto il braccio. Mi dispiace, ho dovuto fare così. Questa barca non sta ferma un attimo e non è facile. Guarda che roba, ha la punta come una spina di pesce. Non è andata troppo male, comunque, sono venuti fuori tutti i pezzi. Se s’infetta te lo dovrò tagliare, ma ho portato delle cose, non credo che succederà. Sarebbe meglio se ti distendessi per un poco, intanto prendo le bende e lavo via il sangue da per terra, potrei cadere e rompermi la testa.”
Tuija si morse il labbro inferiore. ‘Tagliare?’ pensò. “Si, forse è meglio, mi metto un attimo qui con Arakhon. Se non gli dà fastidio”. In altre circostanze, Tuija avrebbe riso all’idea di 'mettersi a letto con Arakhon'. Sicuramente Jampe ci sarebbe riuscita meglio. Ma in quel momento non aveva nessuna voglia di ridere.
“Oh, fai pure. Se fosse sveglio, gli farebbe piacere” disse Ciryaher con dolcezza, traendo un momento di piacere dall’espressione inorridita della ragazza. Quel piacere però svanì rapidamente. Le osservazioni pungenti, se si trattava di Tuija, non gli venivano naturali, e sapeva che i sentimenti suoi e di lei erano come matasse di filo dopo che un gattino si era intrufolato nel cestino del cucito. Ma Tuija non era un gattino, e Ciryaher doveva fare qualcosa riguardo a lei, prima che quella stupida, nobile ostinazione che non riusciva a superare lo facesse ammattire al punto da ucciderlo.
“Tutto è andato storto dal momento in cui Suri si è buttato in acqua” disse brusca Tuija. “Inseguire i pirati …” esitò, facendo una smorfia.
“Ormai deve badare a sé stesso da solo", disse Ciryaher passando la ramazza. "Temo che ora noi dovremo preoccuparci della nostra situazione. C’è qualcosa di storto. Lo posso … percepire. E se guardi Egaewe in faccia, vedrai che neppure lei ha dormito molto, di recente.”
“Sai di che cosa si tratta?” chiese Tuija.
Gli occhi profondi di Ciryaher studiarono la fiamma della lampada, fioca e tremolante, e il sottile filo di fumo nero che si alzava, quindi l’uomo scosse il capo. “Guai. Come se si stesse approssimando un temporale. Ma non vuol dire niente.”
Tuija deglutì sonoramente. “Dovevamo scappare tutti assieme; o agire insieme”.
Rabbrividì. Era stremata per la fatica e per il dolore. Suri. Da solo. Tagliato fuori da tutti quelli che avevano esperienza, che erano veri guerrieri. Non ce l’avrebbe fatta. E Ba stava andando a nord con Anysa.
Per nascondere il tremito di paura, Tuija si sporse sopra la branda che ondeggiava piano. Le coperte di Arakhon erano in disordine; facendo molta attenzione, la ragazza sistemò di nuovo la coperta sul suo petto. Le guance incavate e la pelle giallastra lo facevano sembrare assai più vecchio, e il torace si muoveva a malapena. Si chinò, e gli tastò la fronte.
“Ha la febbre”. Era preoccupata. “Se solo avessi con me un po’ di radice serenella o di scacciafebbre!”
Ciryaher scosse di nuovo il capo. “Non lo aiuterebbero. Egaewe e Nuth hanno detto che tutto ciò che si può fare per ora è mantenerlo in vita, e ci credo. Ho provato … ho provato la guarigione io stesso l’altra sera e non è accaduto nulla.”
Tuija rimase senza fiato. “Avevi detto che non avresti provato una cosa del genere fino a quando non avresti trovato qualcuno che ti guidasse passo dopo passo almeno un centinaio di volte. Avresti potuto ucciderlo”. Lo rimproverò aspra.
Ciryaher si soffiò il naso sonoramente. “Guarivo la gente prima ancora di pensare di andare a Same, anche se non usavo questa magia e non sapevo di cosa si trattava. Ma a quanto pare ho bisogno delle mie medicine per riuscire a far veramente qualcosa. Non credo che gli sia rimasto molto tempo. Giorni, forse.”
A Tuija sembrò che Ciryaher fosse infelice tanto perché sapeva, e per il modo in cui lo sapeva, quanto per Arakhon. Si chiese di nuovo perché il menestrello avesse scelto di seguirlo, e perché lei avesse scelto di seguire loro. Ciryaher aveva imparato la magia senza rendersene conto, anche se non sempre aveva il controllo delle sue azioni. Diceva di non voler apprendere nulla di più, ma a volte era curioso come un bambino che scopriva un nuovo mondo dietro ogni angolo che raggiungeva.
“Presto arriveremo a Morija”, osservò Ciryaher. “Là potranno guarirlo.”
[size=2]Liberamente tratto da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan[/size]
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Dal ponte ingombro di rottami della martoriata 'Daracil', tra il fumo degli incendi appiccati, Suri vide i suoi uomini lanciarsi sulla poppa torreggiante della nave mumakana. Suri saltò dritto su una delle pedane dei rematori avversari e uno di loro gli lanciò contro una pesante asta di legno. Suri lo evitò, menando un fendente diretto alla testa dell’uomo, che si abbassò di colpo; Suri lo scavalcò d’un balzo e fu sul ponte.
“Avanti! Avanti!” ruggì, colpendo furiosamente gli uomini davanti a lui e affrontando le picche e le spade che gli sbarravano la strada: erano centinaia, centinaia gli uomini che gremivano la coperta, eppure Suri continuava a ruggire: “Avanti!”
Sorprendentemente, i mumakani retrocedettero, come se non riuscissero a capacitarsi di quanto stava succedendo; uomini e ragazzi della ‘Daracil’ saltarono a bordo, a metà nave e sulla prua, respingendo i pirati che arretrarono a poppa fino a mezza nave. Lì però si riallinearono, e allora cominciò il combattimento duro, i colpi crudeli dati e ricevuti: una massa densa di uomini che lottavano, che incespicavano tra le aste, quasi senza spazio per cadere, colpendo, menando fendenti, uccidendo; e duelli singoli di due o tre uomini ai margini della massa, tra grida bestiali.
In quella parte dello scontro principale, Suri era riuscito ad avanzare di un paio di braccia: di fronte aveva un guerriero dalla pelle nera e, mentre le loro spade s’incrociavano alte, un mumakano armato di picca sferrò un colpo dal basso sotto il braccio destro di Suri, strappandogli la carne intorno alle costole e ritirando poi l’arma per colpire di nuovo a fondo. Barak, alle spalle di Suri, colpì con la sua spada, sfiorando la guancia del suo capitano e uccidendo il pirata. Con una finta, una rapida doppia scudisciata, Suri abbatté lo scudo con forza terribile sulla spalla del nero, che cadde a terra, poi si guardò intorno. “Così non va”, disse.
Sotto l’albero, intanto, la mera superiorità numerica dei pirati, che avevano cominciato a riprendersi, stava respingendo gli uomini della 'Daracil', inserendo un solido cuneo tra gli uomini di Suri e quelli del suo nostromo, che probabilmente era stato trattenuto. Le sorti potevano mutare da un momento all’altro. Suri saltò sulla murata tenendosi a una cima e con un urlo che gli scorticò la gola, gridò: “A poppa! Passate a poppa! ”
In quel momento, urla spaventose si levarono dalla nave mumakana: un assalto furioso, terribile, una lotta disperata, e Umar Khel, il capitano pirata, fu addosso a lui. Poi Barak colpì di nuovo e Umar Khel cadde; Suri corse, scavalcando con un salto il cadavere di Khel, qualcosa cedette e la massa dei pirati a mezza nave si fece indietro.
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Intorno si scatenò la confusione: gli uomini della ‘Daracil’ ululavano di giubilo come pazzi mentre si riunivano ai loro compagni; attorno a Suri, grida, cozzare di armi, calpestio precipitoso nella ritirata, tutti i mumakani sulla prua bloccati, sommersi, resi incapaci di reagire. I pochi rimasti corsero lungo il lato di sinistra, poi si arresero, e la ‘Daracil’ fu vittoriosa.
[SIZE=1]Da "Primo Comando" di Patrick O'Brian[/SIZE]
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Shenjin Nuth
Il moscerino lasciò il legno della barca e s’involò verso il lume a olio che gettava tutt’attorno lucori ammalianti esaltati dalla brezza, fresca dopo la nebbia e le notti di paura. Le ali frementi, si posò sulla parete traforata che riparava la tanto ambita fiamma. Rimase immobile, esattamente in equilibrio tra vita e morte, ma il dolce calore sprigionato e le scintille d’oro fuso lo convinsero di lì a poco a lanciarsi, e fu con un rapido sfrigolio che esso vide concludersi la sua breve esistenza.
Al crepitio della fiamma che divorò il minuscolo essere, Nuth alzò la testa, giusto in tempo per vedere l’insetto consumarsi e ridursi a poche ceneri annerite. Sospirò e allontanò la voluminosa pergamena che era intenta ad esaminare.
Anche le sue letture di quella sera erano allarmanti. Presagi, cronache, profezie. Quanto a lei, si era interessata alle Cronache del Drago solo pochi anni prima, e aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare che le profezie si realizzassero, ma la regina Rugia s’era distolta con un’alzata di spalle come chi fosse troppo occupato per curarsi di pericoli improbabili. Eppure. Ma cosa importava alla regina della vita dei campagnoli?
Un empito di rabbia arrossò le gote della Shenjin Nuth, che spendeva il suo tempo libero andando ad aiutare le contadine nel parto e a curare i malati fuori città.
La notte era inoltrata, e nella minuscola e silenziosa cabina, ella si sentì improvvisamente sola. Di fronte alle tante cose che richiedevano il suo giudizio, bisognava trovare la soluzione, ogni volta non troppo severa per non cadere in atti che disprezzava, ma nemmeno troppo lieve, per non perdere il controllo. E sempre giusta, perché proprio per questo era stata destinata a quella missione importante. La regina e quindi la Dea in persona si affidavano a lei.
Nuth abbozzò un sorriso ambiguo dove il dubbio faceva tutt’uno con una viscerale incertezza. Nel suo intimo, era sicura di sapere cosa fosse la giustizia, ma d’altro canto si domandava spesso in che modo essa potesse sopravvivere in una terra sull’orlo della decadenza come quella di Morija. Con l’ineluttabile dicotomia tra il popolino nato per servire e l’ambizione di signori sempre più avidi, come applicare quel concetto di giustizia il cui scopo era di rendere il mondo più stabile, perché più equo? Lei conosceva la profondità della miseria del popolo per averla vissuta sulla propria pelle, ma sapeva anche che non ci si potevano aspettare proposte per una vita più giusta dai miserabili. Chi, in quella capitale in disfacimento, avrebbe prestato orecchio alle sue lamentele, quando tra i signori insaziabili scoppiavano continue guerre d’interesse?
Per trovarsi dalla parte giusta, bisognava essere vigili, e la parte giusta non era mai quella del popolino. Era fuori questione che una Shenjin prendesse le difese dei contadini, dato che quel tradimento diretto minacciava il fondamento stesso di tutto l’impero.
E però qualcosa in lei le impediva di riposare, di rallegrarsi. Infatti, lei stessa non aveva forse fatto il necessario per emergere dal fango originario e arrivare a quel posto da cui poteva far sentire la sua voce? Shenjin Lim, la sua amica, non aveva agito allo stesso modo, lei che era partita da meno in basso ma era oggi seconda solo alla regina? Tutt’e due erano riuscite, a forza di sacrifici, a salire la scala degli onori per far parte integrante di quella corte imperiale; dunque perché si sentiva così sola, stasera? Si domandò se anche Shenjin Lim passava notti solitarie, posta di fronte a domande cui soltanto lei poteva rispondere.
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Shenjin Lim
In quel momento fragile in cui ci si trova faccia a faccia con la propria coscienza, si pose l’eterno dilemma della rettitudine morale della regina. Come seguire la sua aspirazione a una giustizia equa quando la regina Rugia, che lei secondava, si abbandonava alle sue pulsioni? Infatti, nonostante le apparenze, non era forse una rivalità personale quella che spingeva la regina ad accanirsi contro Iejasu?
Come, in simili condizioni, ci si poteva aspettare un’armonia universale che vedesse la fioritura del mondo?
Quante volte avevano sognato del loro futuro, le sue compagne e lei? Mandando giù in fretta e furia una zuppa acquosa tra una sessione di studio e l’altra, si predicevano futuri gloriosi a misura della loro ambizione. La studentessa Lim era sicura di superare con successo tutte le prove – l’ultima imbecille avrebbe potuto prevederlo -, ma con una superstizione coriacea, non parlava mai direttamente della sua riuscita, invocando senza posa la Dea, come se dovesse insufflarle un sapere che lei già possedeva. Quel riserbo che somigliava a falsa modestia aveva a lungo irritato la giovane Nuth, prima che capisse le paure irrazionali di una ragazzina per la quale ogni parola poteva offendere una divinità nascosta nel più piccolo sasso o filo d’erba.
Quanto alla studentessa Nuth, credeva a una cosa soltanto: che il successo si ottiene a prezzo di sforzi sovrumani, senza i quali mai una miserabile come lei avrebbe potuto elevarsi dalla sua condizione iniziale e conquistarsi un posto nel mondo. Era quella certezza che la spingeva a imparare senza posa, notte dopo notte, e la teneva desta nel momento stesso in cui Lim chiudeva i rotoli, mormorando una preghiera alla dea del Successo, unita a qualche altra formula per qualunque divinità fosse per caso in ascolto.
La giovane Nuth era dotata e il lavoro fece di lei una studentessa temibile, sicura della sua intelligenza e convinta che un giorno avrebbe occupato un posto importante in seno a quell’impero che esigeva soltanto uomini e donne di valore. Per lungo tempo la studentessa Nuth aveva invidiato la posizione della loro amica la principessa Rugia, votata a un avvenire radioso, nata dalla famiglia più influente e dotata di un cervello più che capace. Superare le prove era una semplice formalità per una giovane così sveglia e che, anche di fronte a uno smacco, avrebbe sempre avuto un posto di spicco nella società, dato il suo sangue irreprensibile e il lignaggio reale. Non c’era niente che la Dea, nella sua bontà infinita, le avesse rifiutato.
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Shenjin Rugia
Nuth si rabbuiò, e il suo sguardo immalinconito si fissò sulla fiamma del lume a olio, abbandonandosi ai riflessi liquidi dei ricordi che le gonfiavano il cuore. Rivide un ragazzo fantasioso, dai capelli un po’ scarmigliati, i cui gesti esuberanti avevano la levità di una danza, gli occhi penetranti che si perdevano a volte in fantasticherie dove lei dall’immaginazione più classica non poteva seguirlo, il sorriso segreto che nasceva nel suo sguardo prima d’incavargli la guancia. L’avevano amato, lei e la giovane Rugia, per la sua generosità e la sua amicizia dimentica di ogni differenza sociale. Un essere nato per vivere, e che non ne aveva avuto il tempo.
E le tornò in mente quella notte memorabile che avrebbe dovuto consegnare loro il mondo, a tutti e quattro, alla fine delle prove. Nell’atmosfera solenne e comunque carica di emozioni indefinibili – fierezza mista a sorpresa, ambizione mista a rimpianto – il maestro di cerimonie si era congratulato a nome dell’Imperatrice. Il banchetto al quale partecipavano, nuove Shenjin dalla faccia infantile e Custodi, era una ricompensa, una liberalità della Figlia del Cielo, che avrebbe segnato il loro ingresso a corte. La giovane Rugia, tutta eccitata e vestita di broccato e di seta, non stava più nella pelle e sobbalzava per l’entusiasmo a ogni rullo di tamburo che punteggiava la fine di un discorso. La sala del banchetto dalle travi di legno era illuminata da centinaia di lampioncini rossi e oro. I serpenti scolpiti prendevano d’assalto le travi, strisciando di concerto, le scaglie scintillanti alla luce delle fiamme. Sul palco rivestito di velluto cremisi, troneggiavano i dignitari nei loro indumenti inamidati: la Shenjin dell’Etichetta, un sontuoso ventaglio in mano, accanto all’Imperatrice. Alcuni musici traevano note melodiose dai loro strumenti. Un nugolo di servi portava pietanze di una raffinatezza mai vista. Lim guardava le altre Shenjin, abbagliata dal lusso e dal protocollo, e dette loro tacitamente appuntamento alle più alte funzioni dell’impero.
Al loro fianco, la nuova Shenjin Nuth, ancora incredula del successo, non smetteva di guardarsi attorno. Nuth se lo ricordava perfettamente: non si gustava a dovere il pranzo ufficiale dell’Imperatrice. Aspettava, impaziente, poi preoccupata, l’arrivo del suo amico, il principe Hung. L’avrebbe aspettato a lungo. I lampioncini si sarebbero spenti e i tavoli svuotati prima che lei si arrendesse all’evidenza … il principe Hung non sarebbe venuto.
[SIZE=1]Da "L'Ombra del Principe" di Kim e Tranh-Van Tran-Nhut[/SIZE]
[FONT=Arial][SIZE=2][COLOR=black][FONT=Arial][SIZE=2][Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
[/SIZE][FONT=Verdana][SIZE=1][COLOR=darkslateblue]Tuija a Morija[/SIZE][/FONT][/FONT][/COLOR][/SIZE][/FONT][/COLOR]
[SIZE=2][COLOR=black][SIZE=2]Dovette aprire quattro porte di legno e carta, diverse fra loro e di carta diversa – quella casa era costruita in un modo assurdo - e farsi maledire due volte dagli occupanti delle stanze prima di trovare Ciryaher. Era completamente vestito tranne le scarpe, seduto su uno dei piccoli e bassi letti a gambe incrociate, e leggeva il suo libro di appunti alla luce di una lanterna. Stava esaminando le prime pagine, vide Tuija, appunti che probabilmente aveva preso prima ancora di arrivare a Vaisala; vicino aveva degli altri rotoli di scritture e i codici di Intillamon. Le sue cose e i suoi strumenti erano sistemati in ordine sull’altro letto.[/SIZE][/SIZE][/COLOR]
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[SIZE=2][COLOR=black][SIZE=2]“Desideri qualcosa, Tuija?” chiese freddamente. In una mano teneva una penna con la punta d’argento, macchiata d’inchiostro scuro. La stanza era assai migliore della sua, sulle pareti erano applicati pannelli di legno lucido, c’erano altre lanterne intarsiate d’oro e un caldo fuoco ardeva in un grosso braciere. L’aria profumava di fiori.[/SIZE]
[SIZE=2]“Credevo … volevo parlarti” riuscì a dire Tuija. “Non sapevo se eri ancora sveglio, ma tu leggi sempre di notte, e io credevo … pensavo …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Cosa vuoi? Volevi mostrarmi ancora il tuo nuovo abito da spaventapasseri d’oriente, parlarmi di nuovo di Suri e della necessità di corrergli appresso, o chiedermi qualcosa di sensato?”[/SIZE]
[SIZE=2]Lei trasse un profondo respiro. “Ho fatto un sogno” esordì, e iniziò a raccontarglielo. Tutto. Prima di quel momento gli aveva tenuto nascoste delle cose, e sospettava che lo avrebbe fatto ancora e si sentiva tanto in colpa, ma questo poteva essere troppo importante per tenerlo segreto. Un ago era piccolo, e facile da realizzare, ma senza di esso il filo non avrebbe tenuto assieme nessuna stoffa. Quando ebbe finito, rimase in piedi ad aspettare.[/SIZE]
[SIZE=2]Ciryaher l’aveva osservata per tutto il tempo senza nessuna espressione, anche se quei suoi occhi scuri avevano esaminato ogni parola che gli era uscita dalla bocca, l’avevano soppesata, misurata, guardata in controluce. Ora Ciryaher stava seduto nella stessa posizione, ma adesso era Tuija l’oggetto del suo approfondito esame.[/SIZE]
[SIZE=2]“Be’, è importante?” chiese lei alla fine. “Penso si tratti di uno di quei sogni veri che mi hai detto – ne sono sicura, deve esserlo! – ma non so se quello che ho visto è vero. Però tu hai detto che forse adesso questo Stregone è libero, e lui, Ba, l’ha chiamato Alatar, e … E’ importante o sto qui a fare la figura della scema?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Ci sono uomini e cose” disse lentamente Ciryaher “che farebbero del loro meglio per ucciderti se sentissero quello che io ho appena sentito. Ba sarebbe il primo nell’elenco, se solo avesse idea che tu sei viva e che adesso hai anche tu questo legame con loro; ma credo che più di tutti dovresti guardarti dal nostro amico Elfo, che per tua sfortuna, così come Ba, ti conosce e potrebbe raggiungerti nel sogno stesso”. [/SIZE]
[SIZE=2]Tuija si sentì gelare i polmoni; non riusciva a respirare.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non ti sto accusando di aver commesso degli errori”, continuò lui, sorridendole, e quel ghiaccio parve sciogliersi. “Gli uomini e le donne che possono veramente entrare nel Sogno sono così rari, e non credo che tu abbia veramente questo dono, credo piuttosto a una combinazione, forse all’effetto della magia di queste terre. Sto solo cercando di farti capire quanto temibili siano i nostri avversari. Non devi aver paura di questo.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Be’, grazie tante dell’avviso” rispose Tuija con amarezza. “Non mi parli quasi più da quando siamo arrivati qui e non c’era bisogno che mi spaventassi a morte solo per potermi dire che non ho motivo di aver paura!”[/SIZE]
[SIZE=2]“Oh, ma tu ce l’hai un motivo per aver paura. O quanto meno per essere prudente di notte, nei tuoi sogni, e fare come ti suggerirò. L’Elfo potrebbe toccarti e ucciderti prima ancora di scoprire che non c’è nulla per cui debbano temerti o considerarti.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Per la … che io possa cadere nel letame!” La ragazza fissò accigliata il menestrello. “Tu stai cercando di guidarmi tirandomi per il naso, Ciryaher, ma io non sono una vacca, e non ho l’anello al naso … ” Tuija si toccò veloce, di nascosto, l’anellino d’argento che portava fra le narici, fin da quando era ragazzina, e decise che l’avrebbe tolto, il prima possibile. “Ad Athair, se lui è l'Elfo, o a chiunque altro, non verrebbe in mente di ammazzarmi a meno che non ci fosse qualcosa di vero in quello che ho sognato. Significa che questo Alatar è libero? E’ lui che ci insegue?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Vi avevo già detto che era possibile. In un certo modo. I tuoi … sogni sono qualcosa che non mi aspettavo, Tuija. Egaewe mi ha già detto delle sue percezioni e Nuth della straordinarietà di queste terre, mentre eravamo in mare, ma questo non me lo aspettavo.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Be’, io penso che fosse reale. Penso che questo Alatar sia il nostro nemico. Cosa hai intenzione di fare?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Andare alla capitale di Morija, e incontrare la regina, in qualche modo. Convincendo il nostro ospite a lasciarci partire. Forse me ne ha dato lui stesso il modo. Ma lo sapremo presto, perché ho intenzione di parlargli già domani. Guarda questi rotoli, Tuija. Me li ha dati lui, Iejasu. Sono straordinari; questa gente ha preservato il sapere e la lingua dell’occidente, copiando e copiando cronache antichissime. Parlano anche degli Istari; gli Stregoni che vennero dall’Ovest.”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Il racconto a questo punto finisce con la cronaca di come Curumo fu obbigato a prendere Aiwendil con lui per compiacere la Valier Yavanna, moglie di Aulë, e che Alatar prese con sé Pallando come un amico e un pari. Altre cronache, però, furono scritte, e molte sopravvissero la caduta di Numénor. Gli Istari non erano ‘stregoni’ così come spesso il popolo l’intende, non erano propriamente uomini con magici poteri. ‘Stregone’ , stando a quanto ho potuto apprendere, non è che una traduzione dalla lingua elfica Quenya, la lingua degli Elfi Luminosi: un Istar è un membro di un ‘ordine’, e così essi definivano la loro cerchia, che possedeva ed esibiva effettivamente una profonda, spesso insuperabile conoscenza della storia e della natura del mondo. All’ovest, quest’ordine fu chiamato ‘Consiglio Bianco’ e se ne trova menzione nel Libro Rosso dei Confini Occidentali, che racconta dei Grandi Anni e della sconfitta di Sauron a opera dei Mezzuomini, gli Hobbit, e che è giunto fino a noi con le navi provenienti da Umbar. Un’altra traduzione di ‘Istar’ è ‘saggio’, e, invero, essi avevano eminente saggezza, perché la leggenda vuole che siano esistiti nelle loro vere forme prima che il mondo venisse creato.”[/SIZE]
[SIZE=2]Tuija strusciò i piedi, a disagio: nella voce di Ciryaher c’era ancora qualcosa di freddo. “Una volta mi hai detto che da quando hai studiato le scritture trovate a casa di Ar-Venie puoi percepire i servi delle Tenebre, o almeno uno che è immerso profondamente nell’Ombra. E Lal dice che anche Khalid può farlo. Hai sentito niente del genere qui?”[/SIZE]
[SIZE=2]Ciryaher si passò una mano fra i capelli e si voltò verso la porta. “Pochi esseri sono così marci perché io li possa percepire, Tuija, anche fra i peggiori amici dell’Ombra. Ricordati che non sono un mago”. Il suo sguardo si fissò di nuovo su di lei. “Perché me lo chiedi?”[/SIZE]
[SIZE=2]“C’era un ragazzo nella sala comune che mi fissava. Non guardava te o Khalid, come tutti gli altri, ma me.”[/SIZE]
[SIZE=2]Ciryaher riprese in mano il libro, e un sorriso gli sfiorò brevemente le labbra. “A volte dimentichi, Tuija, che sei una bella ragazza. Con tutte le botte che hai preso, e le cavalcate nel deserto, sei diventata come una statua, hai il petto e le cosce come marmo. Ad alcuni ragazzi piacciono le donne dalle spalle larghe, hanno qualcosa di selvaggio”. [/SIZE][SIZE=2]Tuija grugnì e mosse i piedi. “C’è dell’altro, Tuija?”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Ehm … si”. Ciryaher non poteva aiutarla riguardo al sogno, se non dicendogli ciò che lei già sapeva, e cioè che era importante. E poi non voleva raccontare a Ciryaher tutto. Non voleva neanche dirgli che aveva visto qualcosa su di lui, in realtà. “Alatar, allora, venne proprio qui, venne in queste terre, a Morija?”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Non si può sapere quindi che cosa ne fu di Alatar e di Pallando. Il loro compito era quello di aiutare gli uomini delle Terre Orientali, dove l’influenza di Sauron era particolarmente forte, a liberarsi. Qui nei rotoli di Iejasu scrivono che gli Stregoni Blu ebbero un certo successo, in principio; invero, quando la guerra venne a ovest, gli eserciti di Sauron non furono così potenti quanto gli Elfi si aspettavano. Ricordo i discorsi di Unnath Edril, e rammento molto bene l’amarezza dell’ambasciatore Aldor, che riteneva che, poco prima della Guerra dell’Anello, i Valdacli avessero semplicemente cessato di combattere sebbene il nemico fosse debole. Forse il nostro fu uno di quei popoli minati dall’opera dei due Istari, perché, di certo, se non ci fossimo incomprensibilmente fermati, avremmo mandato le nostre armi contro Gondor, così come abbiamo fatto adesso, e non contro i Nazgul. Eppure questo potrebbe contraddire le fonti meridionali, secondo le quali i Blu sarebbero arrivati nella Terra di Mezzo nella Seconda Era, prima degli altri, quindi, eccetto Saruman, e forse addirittura prima di lui. Queste fonti, che Intillamon cita nei suoi diari, davano agli Stregoni dei nomi in Quenya diversi da quelli consueti: Morinehtar, 'Uccisore dell’Ombra', e Rómestámo, 'Aiuto all’Est'. Rómestámo, come in Ró-Molló, dalla parola elfica ‘rómen’. “Rómestámo” che raccoglie forse in sé i concetti di ‘sollevazione’, ‘alba’ e ‘oriente’, e quindi indica anche la missione che egli aveva: incoraggiare la ribellione contro Sauron. Sauron che all’est forse era chiamato il Tenebroso”.[/SIZE]
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[SIZE=2]Tuija si appoggiò alla parete per un momento. ‘Madre, sono entrata a quel modo, di notte, e lui … lui è un bell’uomo. E probabilmente abbastanza vecchio da essere mio padre, o anche di più’ , si disse. Pensò che forse Ciryaher le avrebbe chiesto di ballare nella sala comune. No, non lo avrebbe fatto. Neanche Ciryaher era così stupido da non capire che lei voleva solo dimenticare Suri. Ma Ciryaher ballava. Tuija stessa aveva danzato con lui più di una volta, quasi cadendo a ogni passo.[/SIZE]
[SIZE=2]‘Smettila di pensare a lui come a un ragazzo del villaggio solo perché hai voglia di … Ci sono cose più importanti! Adesso devi pensare a come aiutarlo a scappare da qui, a come aiutarli tutti’ , si disse. [/SIZE]
[SIZE=2]Si scosse. “Tutte queste cose sono nel diario? Lo ricordo, Intillamon … sembrava un vecchietto buono e gentile. Sembra che sia passato così tanto tempo ...”[/SIZE]
[SIZE=2]“Intillamon aspirava alla conoscenza di segreti che non dovrebbero essere uditi da donne e uomini. Usava scriverli in libri protetti da codici che egli stesso inventava; in gran parte ormai li abbiamo decifrati, tutti tranne uno – ma abbiamo scoperto che ciò che non possiamo decifrare completamente non è in realtà un codice inventato da Shakor bensì una cifratura molto più antica, risalente all’età del ‘Popolo Che Non Sogna’. Ci sono vicino comunque, e ogni giorno che passa mi porta verso la soluzione completa.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Tuija si sedette per terra. Ciryaher era in piedi adesso, dietro di lei; là vicino c’erano altri libri. ‘I suoi libri’, pensò Tuija. ‘I libri di Intillamon, i libri suoi. Uno di questi giorni dovrò vedere che cosa ha scritto su tutta questa storia. Se solo sapessi leggerli’. [/SIZE]
[SIZE=2]Cominciava a esser stanca dell’idea di essere ignorante, di non saper far questo, di non saper far quello. Si era quasi abituata al fatto che Ciryaher fosse inarrivabile, ma non sopportava più se stessa; voleva chiedergli di insegnarle ancora, di mostrarle altro. Qualcosa la solleticò dietro al collo e Tuija sobbalzò, prima di accorgersi che ora sentiva anche l’odore della sua pelle, oltre all’inchiostro e agli altri odori della stanza.[/SIZE]
[SIZE=2]Ciryaher agitò le dita, sorridendole. “Se questo è il risultato che ottengo solo sfiorandoti con le dita, Tuija, mi chiedo quanto salteresti in alto se io …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Ciryaher”. La voce di Tuija era fredda ma calma. “Che cosa pensi che troverai, alla fine della strada?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Oh, il segreto della vita”. [/SIZE]
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[SIZE=2]Tuija lo guardò incredula. [/SIZE]
[SIZE=2]“Bé, forse. Che non sono peraltro sicuro di voler trovare, perché Intillamon, ahimé, cercava orribili incantesimi, studiava di negromanzia; desiderava quel segreto di vita eterna che nessuno può avere, e di quella sete di conoscenza era divenuto vittima. Esistono forze elementari e fondamentali del Male come del Bene, nella Terra di Mezzo, per vederla come la vede il nostro ospite Iejasu. I Kinn-Lai, gli Elfi Scuri dell’Oriente, le conoscevano; ma quegli Elfi erano al di là del Male e non desideravano che fare del Bene, perché non comprendevano la morte e, non avendo conosciuto Valinor, non capivano perché le creature viventi dovessero sottostare a una così terribile sorte. [/SIZE]
[SIZE=2]I loro pensieri erano incompleti. In particolare non capivano perché i Secondogeniti, gli Uomini, dovessero morire, e con le loro arti volevano aiutarli. Furono forse i Numénoreani giunti a Est a capir male quel loro desiderio e a distorcere le arti dei Kinn-Lai a proprio vantaggio. Fallendo. Chissà che cosa accadde. Il ‘Popolo Che Non Sogna’ fu quello dei figli degli Elfi Scuri e dei Numénoreani, ne sono certo ora; pian piano, gli Elfi Scuri si ritirarono nelle loro dimore, e scomparvero, mentre il ‘Popolo Che Non Sogna’ raggiunse livelli sublimi nell’arte e nella sapienza, e poi venne a contatto forse con Sauron o forse addirittura con l’eredità di Melkor, in qualche forma. E precipitò. Così come accadde alla nostra bella Numénor. [/SIZE]
[SIZE=2]La città stessa di Ra-Morij potrebbe essere loro opera; mai ho sentito di nulla di simile, stando ai racconti dei servi di Iejasu. Rugia, se l’incontreremo un giorno, ce ne darà la prova. Ma la terra di Morija è stata contaminata nello spirito, fin dalle origini, se i suoi antichi re erano discendevano dal ‘Popolo Che Non Sogna’. Alatar dovette quindi venire a contatto con quel male, e cadde. E se Arakhon avesse quel sangue? [/SIZE]
[SIZE=2]La profezia di Nuth avrebbe un senso, almeno in parte, e anche le lettere di Ar-Venie ...”[/SIZE]
[SIZE=2]Ciryaher proseguì sereno, come se stesse declamando dei versi. [/SIZE][SIZE=2]“A quanto pare siamo nel centro del Disegno, ora. Ho cercato di fare in modo che tutti ne fossero pienamente consapevoli ma non credo di esserci riuscito. Sembra che il Disegno di questa gente stia intessendo il nostro futuro. L'Est incontra l'Ovest. Però, se dovranno, Arakhon e Khalid taglieranno qualche filo da questo Disegno e potrebbe essere il nostro. Tuija,” disse fermamente Ciryaher, “è giunto il momento di separarci. Torna verso ovest. Troverai altrove una vita migliore, e più sicura.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non credo”, rispose Tuija altrettanto fermamente. “Un cacciatore deve seguire le tracce che vede se vuole avere da mangiare per l’inverno, e nessuno ignorerebbe quella che lascia Arakhon. Hai bisogno di me. Voglio continuare con voi. E prima che tu me lo chieda, non è per Suri. E’ per te”. Rovinò leggermente l’effetto della risposta deglutendo sonoramente, ma non batté ciglio quando incontrò lo sguardo di Ciryaher.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ne sei certa?” chiese Ciryaher sottovoce. “Sei sicura che non cambierai idea … Tuija?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Ne sono certa. ‘Ricciolone Khalid’ e ‘Arakhon dalla Faccia di Pietra’ non possono fare niente per fermarmi. Niente mi fermerà”, rispose Tuija sempre più determinata. Poi la ragazza esitò, quindi aggiunse lentamente, come se avesse deciso di essere del tutto sincera: “O meglio, non avrò paura di nessuna delle cose che potrebbero fermarmi. So qualcosa su quello che ci aspetta, Ciryaher, avendo ascoltato tutte le tue storie. So che ci sono gesti che dovremo compiere. Khalid non avrà paura. E non penso che ‘Faccia di Pietra’ ne avrà. E io farò quello che serve assieme a voi, e se morirò … Ciryaher, se morirò, sarà meglio qui, con voi, che nella locanda di Ba. Mi avete dato una vita più bella di un sogno. Sarà stato più bello così.”[/SIZE]
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