Interludio: verso il mare di Ormal (giu, lug 74 QE, Usakan) | Terra Di Mezzo | Forum

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Interludio: verso il mare di Ormal (giu, lug 74 QE, Usakan)
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Agosto 2, 2006 - 10:13 pm

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Il casato degli Eshe

...

La tranquillità di queste ultime giornate mi ha permesso di dedicare più tempo a questo resoconto e mi accorgo di essere così presa dallo scrivere e dall’opportunità di liberarmi dei soliti odiosi numeri che stento a rassegnarmi all’idea che la fine di tutto ciò sia così vicina.
Presto qui verrà l'estate. Immaginate cosa potrebbero pensare le generazioni future di quello che sta per accadere a Ostelor, se avessero, a testimonianza degli eventi, solo questo mio scritto: potrebbero scorgervi solo i tratti della volontà di una donna, o di pensieri che una volta appartenevano a uomini e donne di Numénor, ma tutto il resto rimarrebbe avvolto nel mistero.

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Eshe Far nella Terza Era

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Ahnta Faris [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ar-Venie Eshe [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Arakhon Eshe

Da ragazza ero in grado di tenere un libro mastro, di scrivervi in bella calligrafia numeri e lettere, fare addizioni e sottrazioni, calcolare senza sforzo le percentuali, tenendo testa a tutte le mie coetanee.
Pensavo allora, e lo credo ancora, di sapere il fatto mio. Un pomeriggio, ebbi l’ardire di farlo notare al mio maestro mentre lui scriveva una lettera di presentazione per conto di mia madre. -Devo forse aggiungere sulla lettera, disse, -che siete giovane e arrogante, con un’irritante fiducia in voi stessa e la presunzione di saperne di più di chi è vecchio e più esperto?
-No, signore, risposi, -non credo mi sarebbe d’aiuto.
-C’è una cosa che non sapete, Arvenie, disse: -ciò che ha davvero valore per il mondo. Guardate quel muro e non voltatevi fino a quando non ve lo dirò.
-Come, signore? chiesi. -Obbedite! Mi gridò.

Mi girai e sentii che la sua penna scriveva altre due o tre frasi sul foglio, e la carta scricchiolare mentre sventolava la lettera in aria e faceva asciugare l’inchiostro. Poi la piegò e la chiuse con la ceralacca.

-Parlo così ai miei allievi una sola volta, Arvenie, e poi mai più. Forse vi sembrerà importante sapere il significato di tutte le citazioni degli antichi re, conoscere tutte le generazioni dei primi consiglieri di Ostelor, oppure la legge che regola il comportamento della sostanza gassosa, ma il mondo non vi regalerà un solo chicco d’orzo per tutto ciò. Consegnerete questa lettera a Indaman, a lui personalmente, mi raccomando. Un tempo eravamo amici e farà ciò che può rispettando voi e vostra madre, anche se non sarà molto. E’ uno sciocco, un ubriacone. Imparerete molto da lui.

Seguii il mio maestro fino alla strada. Quando raggiungemmo la porta, l’aprì di scatto come se si aspettasse di trovare qualcuno dall’altra parte che origliava, e per un attimo rimanemmo lì fermi sulla soglia.
-Osservate sempre il signor di Indaman con attenzione e sforzatevi di fare esattamente il contrario. Imparate tutto quello che potete e poi abbandonatelo.

A quel punto volse lo sguardo verso il porto, e per un attimo sembrò non ricordarsi della mia presenza. Poi mi diede un’occhiata ardente e provai una punta di imbarazzo; mi abbracciò, e cercai di non trasalire per la forza della sua presa.
- Bene, Arvenie, furono le sue ultime parole, -vi ho trattato come un uomo come volevate. Ho fatto tutto quello che era in mio potere. Qualunque futuro scegliate ora, io non ne sarò responsabile. Dite a vostra madre che può essere orgogliosa di vostro fratello e fate che io non debba sentire il vostro nome per i prossimi dieci anni.

Non vi è in me la meschinità di chi tradisce l’amico accampando pietose giustificazioni, pretendendo di essere stato indotto a scegliere il male minore in mancanza d’altre vie, o ancora fingendo di esser caduto in errore per buona fede, ignoranza, colpa d’altri.

Beleridan ha lasciato Ostelor oggi. Amo la mia casa, la mia città, le nostre cose al di sopra di tutto quanto il resto; qui sono nata, e qui morirò se questo sarà il mio destino.
Già domani mi recherò al Consiglio e parlerò con Nindamos; la nostra repubblica deve sapere ciò che Artagora mi ha rivelato, e prepararsi all’assedio di Gondor. Ad Artagora parlerò io stessa subito dopo; non mi illudo che egli mantenga verso di me il rispetto e l’amicizia che mi aveva dimostrato incondizionatamente, ma credo che possa capirmi, e se neppure Imrazor mi darà il suo affetto e il mio domani sarà nella solitudine, l’accetterò. Troverò compagnia, com’è sempre stato, nell’ombra di mia madre; l’odiavo, eppure ora che non c’è più mi conforta immaginarla accanto a me.

Farò comunque in modo che la legazione di Hathor non sia abbandonata a sé stessa; non ci saranno vendette. Né Eshe né Andalonil parteciperanno alla guerra contro re Elessar; ho seguito i preziosi consigli di Curloer, e assieme alla mia famiglia e ai miei amici la Daracil vi porta il tesoro del nostro casato. Andalonil intende perseguire la sua impresa, e se ne andrà dalla città prima di venir convocato da Nindamos. In questo momento, mi rendo pienamente conto di quanto siano stati utili e giustamente intrapresi il vostro viaggio e quello di Tara.

Samaduin, con questa lettera vi incarico di amministrare il nostro tesoro e tutte le nostre proprietà a Tul Harar. Vi trasferisco il comando della Daracil e delle navi della nostra flotta che via via giungeranno nella baia di Ormal nei prossimi mesi; ai capitani, consegnerete i documenti legati nel pacchetto assieme a questa lettera, essi li vincoleranno a voi. Mantenete i nostri commerci con Morija e con l’Harad orientale pagando regolarmente i tributi di quelle terre, fino a quando non sarà possibile trasferire gli scambi nuovamente in una zona franca; dopo la guerra, compenseremo le perdite che deriveranno dal mancato traffico di merce verso ovest con le prede.

Tara è al corrente della mia decisione, e vi appoggerà. Mio fratello Arakhon ne è ancora una volta all’oscuro, e mi odierà per un poco di tempo, ma mi perdonerà quando capirà che non ho avuto altra scelta. Rivelargli ciò che pensavo non avrebbe ottenuto altro risultato che indurlo a restare con me, contro ogni logica e sentimento razionale. Arakhon giunge comunque nell’Harad assieme al principe Mutamin, messaggero della regina Rugia, e vi prego di assecondare ed agevolare le loro ricerche; ma non potranno tornare a Ostelor, o a sud, fino a quando gli eserciti di Gondor e dei Domini non si saranno scontrati, o fin quando non riceverete una mia lettera nella quale vi informerò dello scongiurato pericolo e della pace.

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Samaduin Wafar

Per questo incarico, Samaduin, riceverete un compenso di cento doppi l'anno che tratterrete dai profitti, più un decimo degli stessi. Sei decimi li userete per accrescere il commercio, con tre decimi l'anno acquisterete oro che custodirete per me. A mio fratello non posso garantire, per questo tempo, che una rendita d’otto doppi per mese; a tutti gli altri della famiglia non più di due. Spiacente, ma nessuna variazione di tali termini sarà possibile. Confermate l'accettazione con un corriere entro questa stagione.

Vi raccomando più di ogni altra cosa Uri, e il mio cane Ponto.

Vi mando il mio affetto e la mia amicizia; sono, signore, vostra umile servitrice,

[size=6]Ar Venie Eshe[/size]

[size=2]Esclusivamente per la prima metà, fino a "i prossimi dieci anni": adattamento di un dialogo tratto da "La Nave del Sole Nascente", di Douglas Galbraith[/size]

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Agosto 3, 2006 - 9:11 am

Artagora uscì dalla casa degli Eshe tenendosi il ventre con una mano, avvolto com’era da una nausea crescente. Solo l’aria fresca e carica di umidità lo sollevò un poco.
Aveva appena smesso di piovere, ma nuvole nere coprivano le stelle e dopo quella sera convulsa gli sembrava che un velo nero di lutto fosse stato disteso su Ostelor.
La conversazione appena tenuta gli riecheggiava ancora nei pensieri in un crescendo che ben presto si trasformò in un ronzio che a null’altro lasciava spazio che al fastidio.
Si blocco e trasse un respiro profondo.
“Pensa Artagora, pensa!”
Riprese a camminare col passo lento e regolare che usava quando di astraeva nei suoi ragionamenti.
“Eccomi qua…non sono né un politico né un militare, ciononostante intrattengo relazioni diplomatiche con un’influente famiglia della città e mi preparo ad assumere il comando di una guarnigione….e la guerra incombe.”
Serrò la mano con forza attorno al suo lungo bastone
“Mi è stato chiesto di ottenere la discrezione degli Eshe sulle informazioni che sono stato autorizzato a divulgare, ma il legato di Athor conosce i miei interlocutori, come può pensare che una notizia del genere possa non arrivare al consiglio?!? Io non ho tutta questa influenza..”Artagora si bloccò colto da un sospetto.
“Athanasios non è uno sciocco, è un diplomatico e conosce il modo di pensare dei Valdacli… forse contava su di una fuga di notizie… e poi mi ha detto che Athor si prepara ad una guerra…ma con chi…certo con i domini, quei 40 opliti serviranno a tutelare la rappresentanza di athor…ha poi parlato di appoggio agli Eshè, ma non ha detto in che termini…e meno di lui il legato di Condor, che di sicuro voleva indebolire il governo di Ostelor con le sue pressioni durante il consiglio..”
Era ormai giunto di fronte alla porta della casa del legato di Athor: Fece un profondo respiro cercando di raccogliere tutte le sue energie e assunse un’aria decisa.
“Coraggio Artagora! Sveglia Athanasios; è ora di fargli delle domande precise…e il tempo è sempre meno.”

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3
Agosto 9, 2006 - 9:40 pm

“Al mascone!”, ordinò Jano con un cenno del capo. “Coraggio, bordate la vela!”. Corse al timone, spinse via un cadavere e mise la barra al vento. La Daracil poggiò, prima lentamente, poi sempre più in fretta.

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La Daracil

Girando il capo, vide i velacci spiegarsi sulla nave dei negri, e quasi nello stesso istante si spiegò anche la loro vela maestra; chinandosi poi per schivare uno strale, Jano vide che l’altra nave, quella più indietro, stava cominciando ad abbattere. C’era una grande attività a bordo e lo stesso si poteva dire per le navi negre: uomini che correvano avanti e indietro dopo la breve, violenta battaglia; grida, fischi, il rullare del tamburo che ordinava di ritrarre i remi... Tuttavia, con quella brezza adesso gentile e con così poca tela a riva, tutti parevano muoversi con lentezza, come in un sogno, seguendo docilmente un ondeggiante itinerario prestabilito. Le vele venivano issate da tutte le parti, anche sul dromone, non avendo Jano l’intenzione di speronare un avversario certamente superiore a lui in numero, ma ancora i velieri non avevano abbrivio, non riuscivano a stringere il vento e, a causa della loro lentezza, Arakhon ebbe la stranissima impressione di essere circondato, dopo le urla, dal silenzio, un’impressione che si dissolse solo quando gli uomini della Daracil salutarono il loro capitano con un’acclamazione tonante, alla quale anche le donne si unirono.

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Jano Tulmir

Solo la Daracil aveva una discreta onda prodiera: con un moto di orgoglio, Jano vide che la vela era stata inferita, tesa e portante. Sporgendosi a poppa, Arakhon levò alta la spada, gridandogli: “Ben fatto davvero, signore!”, mentre i servi portavano altro fuoco per le frecce. I soldati che si erano tenuti pronti a ricevere l’arrembaggio salutarono a loro volta Jano e d’un tratto l’atmosfera di ferocia e di morte sul ponte del dromone cambiò. Si levarono altre grida, e dalle navi negre venne una specie di ululato di risposta.

La Daracil correva ora a vele spiegate oltre il nemico, alla velocità di quasi quattro nodi. La più lontana delle navi negre aveva un abbrivio appena sufficiente a governare e, nel suo lento movimento rotatorio, si era già impegnata nella curva graduale che avrebbe portato la sua poppa indifesa sulla rotta della Daracil. Meno di un quarto di miglio separava le due imbarcazioni e il distacco si stava riducendo in fretta. Ma il capitano nemico non era uno sciocco; Jano vide la vela di gabbia messa a collo e i pennoni bracciati in modo che il vento sospingesse la poppa sottovento, invertendo così il movimento, perché il timone non governava.

“Troppo tardi, amico mio, credo”, mormorò Jano. La distanza diminuiva. Trecento. Duecentocinquanta forse. “Tirate contro la saettia”, ordinò ai serventi la catapulta, e Suri corse a portare l’ordine. Il colpo, in effetti, attraversò la vela; le drizze vennero mollate, le vele ammainate e una figura corse agitata a poppa. Ma non c’era tempo di occuparsi di lui. “All’orza!”, disse Jano, e la Daracil si avvicinò al vento: la vela maestra fremette, poi tornò a gonfiarsi. I negri erano ormai a tiro.
“Così, così!”, esclamò Arakhon, e lungo tutta la linea dei combattenti si udirono i grugniti degli uomini che tendevano le corde degli archi, portandole alla massima tensione. Ognuno al posto giusto, i più giovani inginocchiati con le torce in mano pronti a dar fuoco agli strali, il viso rivolto rigidamente entrobordo. Arakhon e Mutamin, chinati quasi fuori bordo, fissavano gli arcieri nemici a poppa e all’anca, gli uomini sulle vele, privi di difesa, e il capitano avversario, orgogliosamente in piedi, che li sfidava con lo sguardo.

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Umar Khel

“Tirate!”

[size=2]Adattamento di un brano tratto da "Primo Comando", di Patrick O'Brian: ** you do not have permission to see this link **[/size]

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4
Agosto 18, 2006 - 7:31 pm

Urui dell'anno 74, Tul Harar

Mia carissima,

Abbiamo trovato il buon vento dell’est, dopo un tempo incostante, brezze leggere e burrasche, e finalmente posso riprendere la mia lettera con l’animo tranquillo. Siamo arrivate. Siamo arrivati tutti.

Nel mio precedente viaggio, ero sbarcata a Roc, più a sud, e avevo viaggiato verso Tiarret con una carovana. Questa volta, invece, vedo Tul Harar, e ti posso raccontare delle nostre esperienze e di quanto sia affascinante. La gente di qui dice che nessun porto delle coste occidentali d’Ormal sia più bello di questo; ci credo. Siamo proprio alla foce del fiume Siresha, nella più piccola baia d’Isauba, che si apre direttamente su quella d’Ormal. La penisola a sud della città la protegge dal vento e dalle tempeste. La costa è un mare di vegetazione, colorata e bellissima. C’è un bellissimo pinnacolo con un grande fuoco, un faro sicuramente più alto del nostro, e dicono che la sua costruzione risalga alla Seconda Era. Il porto di Tul Harar è a ovest del faro, e la grande torre della città si vede già da molto lontano; anche sulla torre c’è sempre un fuoco. Per attraccare, abbiamo dovuto essere trascinati a forza di remi fino ai moli da una piccola flotta di barche, perché siamo arrivati in un giorno di calma di vento; questo ci è costato un certo denaro, ma il capitano Jano ha preferito non correre rischi, data la paura di danneggiare i remi o lo scafo sui bassi fondali.

Tul Harar è divisa in cinque quartieri; noi stiamo adesso in quello mercantile, nella residenza preparataci da Samaduin. E’ strano vivere qui; non avevo mai visto una città come questa, c’è un poco di tutto: case con giardini come il nostro, palazzi con cupole rotonde dalla sommità a punta, costruzioni che hanno una strana geometria mista di figure a sei e otto lati che mi sono completamente straniere, e ancora case di legno e di carta con tappeti di bambù e fontanelle con giochi d’acqua, alla maniera dell’estremo oriente, forse di Morija o addirittura più oltre. Qui l’acqua non manca, siamo sulla gran foce del fiume; ma non sarà così quando ci muoveremo verso l’interno e i deserti, perciò me ne godo quanta più posso, e sono quasi sempre a nuotare o in vasca.

Le tradizioni dell’Harad s’incontrano nella città vecchia, nella loro forma più pura; oso dire che quasi tutte le case in quel quartiere sono della seconda era, non solo il faro e la torre. Pietra e mattoni, colonnate, portici, torrette quadrate, cornici, mura con mosaici e bassorilievi: è tutto bellissimo, e ci vivono solo i più ricchi. Qui i mercanti vendono cose molto rare, esotiche e lussuose, e si mangia benissimo, perlopiù cose piccanti; Arakhon non si staccherebbe mai dalle bancarelle e dalle taverne. Nella città alta, invece, non ci siamo ancora avventurati; è piena di giardini fioriti e parchi, e torri alte e sottili, ma le porte sono sorvegliate giorno e notte, e dicono che ci vivano anche degli elfi e che ci si possa entrare solo se presentati e accompagnati. Non è detto però che Samaduin non riesca ad ottenere un lasciapassare, perché nella città alta c’è il palazzo del governo, che qui si chiama “assemblea dei parlatori”.

Samaduin ha ricevuto il tuo messaggio, ed ha già iniziato a mettere in atto le tue disposizioni; Arakhon è stato furibondo per qualche giorno, come avevamo immaginato, ma adesso è di nuovo calmo e pensa alla nave e alla spedizione nell’interno. Il capitano Jano non è riuscito a fare tutto quello che voleva con la nave in acqua, e adesso è ricoverata nell’arsenale; il maltempo nella baia del Mumakan ha provocato molti danni allo scafo, e Jano non è del tutto soddisfatto dei carpentieri ingaggiati. Ci vorranno diverse settimane prima di poterla rimettere in mare.

L’equipaggio si è comportato molto bene, e io mi sento veramente grata verso di loro; che giovane eccezionale, Suri, ha faticato come un negro, notte e giorno, ha combattuto, e poi, quando è stato picchiato e quasi ucciso da quel mercenario Peshtan, non una parola di rammarico, mai ha mostrato di sentirsi trattato ingiustamente. Uri si è molto affezionata a lui, e adesso qualche volta s’incontrano di nascosto; non so che fare, se scoraggiare Urrit e dirle di non vederlo più, oppure no. Credo che non farò niente, perché Suri piace anche a me, e per Urrit non possiamo sperare in un futuro a corte.

Per Jano è stata una fatica durissima, e anche con l’aiuto di Tarim, il navigante compagno di Mutamin, si è ritrovato un gran peso sulle spalle. Come hanno faticato sotto il solleone! Ciryaher è stato di grande aiuto: non ne sei sorpresa? Ma si tratta alla fine, credo, di un bravuomo; quando abbiamo dovuto impegnarci contro Peshtan fino a ucciderlo, come ti scriverò, si è comportato nobilmente. Anche Gilkarun, il nostromo, è un giovane eccellente, sebbene sia stato accalappiato in modo deplorevole dalla sgualdrinella che Arakhon si è portato dietro appena messo piede a terra e io sia stata costretta a dirlo a Jano.

A questo punto, mia carissima Venie, mi addentrerò in cose spiacevoli.

Peshtan, il mercenario che serviva Andalonil e che abbiamo imbarcato assieme ad Ender per il nostro viaggio, ci ha traditi. Quasi sicuramente ha venduto informazioni sulla nostra destinazione già alla partenza, perché siamo stati da subito seguiti da una piccola nave che non ci ha persi di vista nemmeno per un giorno. Siamo state forse in qualche modo poco accorte, nel preparare la partenza, anche se non mi capacito di come sia trapelata la notizia del tesoro che viaggiava con noi; di questo non abbiamo fatto menzione a nessuno, solo a Curloer, e non ho timore che possa aver parlato.
Ti dicevo di Peshtan: prima abbiamo incontrato due giunche cariche di pirati del Mumakan, capitanati da un uomo che Jano ha riconosciuto e che ricorda chiamarsi Umar Khel, e siamo sfuggiti a stento ad un agguato nello stretto di Usakan: saremmo tutti morti se non fosse stato per la maestria di Jano e per le sue stupende manovre. Poi, una notte, Peshtan ha fatto dei segnali con una lanterna ai nostri inseguitori, e quando Suri l’ha chiamato per chiedergli cosa stava facendo, l’ha attaccato picchiandolo come un selvaggio e poi si è chiuso nella nostra stanzetta e ha preso Urrit con un coltello alla gola. L’avrebbe uccisa di sicuro, o forse peggio: voleva una barca per scappare con lei verso la nave che c’inseguiva. Ma Ciryaher ha salvato tutti, versando un liquido velenoso da un buco nel soffitto, che ha accecato il selvaggio, e Arakhon l’ha ucciso. Urrit si è molto spaventata, ma sta bene adesso e non ha niente.

Il giovane Ender, quell’odioso soldataccio che serve Paraphion e che Arakhon ha accettato con lui, sta cambiando in peggio. E’ un tipo molto violento, che si tiene tutto dentro, e che non è certo dotato di grande penetrazione nell’animo degli altri. Non vedo inoltre in lui altre qualità che suppliscano alla mancanza di sensibilità, se non un’innegabile intelligenza. Ha insistito per portare in viaggio il mercenario Peshtan, che ci ha traditi rivelando la nostra posizione a quei certi pirati mumakani, e poi si è inventato una sorta di spiegazione per l’averlo voluto portare. Quando sono entrata per parlare, mi ha scacciata come una serva. Così ho deciso di girargli al largo; verrà una buona occasione, come sempre succede.

Samaduin ha fatto cercare Khalid nei mercati di schiavi; c’è una gran confusione, non ho mai visto un posto con più gente in giro. Arrivano e partono continuamente navi e carovane, a tutte le ore del giorno; tutti urlano, e si agitano. E’ molto peggio che cercare paglie d’oro nella sabbia. Usando le descrizioni di Mutamin e di Arakhon non abbiamo avuto nessun risultato, ma non mi sorprende; mi sono tenuta abbastanza distante dai mercanti, perché le donne dalla pelle bianca sono una merce molto preziosa qui, ma ho visto in poco tempo più schiavi in un giorno di quanti tu possa immaginare allineati lungo tutto il nostro porto e anche oltre. Questa città è la più vecchia della costa, e il più gran mercato di schiavi di tutto l’Harad, e arrivano da tutte le parti del mondo. Da questo mercato parte la grande Strada dei Cammelli che va a ovest, e la Yol Harshandat che porta ai territori di Chy, Lodenuly, Bulchyades e Morija; Samaduin mi ha detto che le navi che portano le merci per noi arrivano da Thurac Codya, da Olyas Kriis e dai territori inesplorati di Mòrenore e da oltre Morija stessa. Ho visto, al mercato, l’ambra del deserto, ed ho pregato Samaduin di comprarne delle once per te.

Siamo più stati fortunati invece con la donna di nome Tuija; alle locande del porto si ricordano molto bene di lei, perché viaggia assieme ad un marinaio pieno di debiti che conoscono forse in tutti i porti del sud, un tal Eldoth, e la donna ha pagato una parte del suo debito qui a Tul Harar prima di dirigersi verso l’interno. Sono saliti lungo il fiume con una barca, assieme a uno del posto che si chiama Naji e alcuni portatori. Arakhon e Mutamin si stanno preparando, e presto partiremo anche noi; di nuovo verso il caldo soffocante del deserto.

Ho pensato tanto a una casetta, Venie. I genitori di Arto ne hanno una, e lui se ne intende molto di certe cose. Mi sono resa conto che potremmo vivere molto bene su un fazzoletto di terra, magari vicino al Capo, e dire addio a tutto. Non mi stancherei mai di cose fresche e nemmeno di patate, se è per questo, dopo tanti anni di viaggi, di pane secco e di carne cattiva. Ne ho fatto anche un disegno. Chissà però quando potrai vedere questo disegno, ma con un po’ di fortuna potrò affidare la lettera a una nave proveniente dall’oriente, e allora potresti averla prima dell’inverno. I loro movimenti dipendono tuttavia da quello che accadrà fra i Domini e Gondor; se le navi di Gondor fossero nei mari meridionali oltre il Capo non potrebbero mettersi in mare; perciò è possibile che io debba essere messaggera di me stessa.

Tua servitrice,

[size=6]Nielval[/size]

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