L'inizio de "Gli Altri Dei". Repost dal sito di "Esaedro", settembre 2003.
Aprile inoltrato. Ma il terreno era ancora coperto da uno strato di ghiaccio spesso almeno due dita, che imprigionava aghi di pino, terriccio, piccole pietre. Dall’alto, dai triangoli di cielo fra le altissime conifere, filtrava una luce forte; il sole. Ancora troppo debole per scaldare la terra, ma deciso quanto bastava per infonderle nell'animo un pò di sicurezza e coraggio. Con passo malfermo percorreva lo stretto sentiero fra gli alberi, verso la grande e ancora lontana casa padronale, fermandosi solo di tanto in tanto per tirare il fiato. Presto sarebbe venuto il crepuscolo; il sole, in quella stagione, a quelle latitudini, non sarebbe sceso completamente fino quasi a mezzanotte, ma fra gli alberi alti le ombre si sarebbero presto allungate e tutto avrebbe iniziato a confondersi nelle tonalità scure della sera, fino a quando sarebbe diventato troppo difficile proseguire e molto, molto facile perdersi. Doveva proseguire ed essere veloce; le rimanevano solo un paio d’ore.
Trovò il cippo che il cacciatore le aveva descritto poco dopo la svolta; il sentiero si biforcava, scendendo da una parte verso destra in direzione della casa, e continuando a sinistra in leggera salita verso una radura sgombra e coperta di neve, non troppo distante. I cippi delimitavano le proprietà assegnate da generazioni agli ambasciatori valdacli; il diritto ad occupare quella terra era stato un atto di gentile cortesia del consiglio di reggenza nei confronti degli oligarchi numenoreani, protrattosi poi negli anni, e confermato dai reggenti succedutisi, fino a diventare, di fatto, una cessione di proprietà ai Domini. Dopo la grande guerra, dopo la caduta degli oligarchi e l’avvento di una monarchia elettiva sostenuta dai signori di Gondor, il consiglio di reggenza aveva avanzato pretese di restituzione di quei territori, ma una effettiva rottura dei rapporti fra i diplomatici non era mai avvenuta, non avendo nessuna delle due fazioni interesse, in quel momento, in una guerra, e così l’ambasciatore valdaclo poteva continuare a risiedere in Vaisala a patto che provvedesse egli stesso direttamente al sostentamento dei pescatori della regione nei tempi difficili, e che pagasse le spese per i soldati e la proprietà e le tasse dovute al consiglio. Per il monarca, nonostante ciò rappresentasse una spesa non indifferente, rinunciare al vantaggio strategico rappresentato dalle terre dell’ambasceria e dal piccolo porto nella baia sarebbe stato molto difficile, e quindi l’accordo era stato rapidamente trovato; tre volte l’anno, la tassa veniva pagata e l’ambasceria riceveva il denaro per il suo sostentamento direttamente da Ostelor. La tassa viaggiava per nave, con una munita scorta; le navi valdacle erano veloci e bene armate, e nessuno aveva mai attentato seriamente alla sicurezza di quelle spedizioni. Iniziò a scendere lentamente verso la casa. Aveva intenzione di osservare attentamente i suoi occupanti, e di salire lungo le scale esterne di legno fino alla veranda ingombra di rami di pino e di teli da slitta e casse. I servitori lossadan stavano già accendendo le luci per la sera, e dal camino salivano volute di fumo bianco e vapore miste ad un buon odore di qualcosa che si andava cuocendo; uno stufato di qualche genere, oppure una minestra con carne... qualcosa di buono, di molto diverso dal pane nero e dal poco formaggio duro che le era rimasto. Per un attimo fu tentata di abbandonare la prudenza, e semplicemente camminare verso la porta principale e bussare, e chiedere di potersi scaldare accanto al fuoco e mangiare qualcosa... ma il rischio sarebbe stato troppo grande. E come in tutti i racconti, l’avrebbero di certo trovata a causa di questa imprudenza, quando ormai era quasi in salvo, e l’avrebbero torturata per scoprire quello che sapeva e poi gettata nel mare gelato, e la morsa del ghiaccio l’avrebbe trascinata a fondo, e le correnti portata via, senza che nessuno potesse vederla o trovarla, fino alla prossima primavera e al disgelo. Rabbrividì a quel pensiero, e si spostò in mezzo agli alberi, cercando di essere più cauta e di far meno rumore. Vide che una parte del declivio era coperta di muschio, e posò il piede su quello, per fare in modo che il suo passo risultasse attutito e si confondesse con il cadere dei fiocchi di neve, e fu in quel momento che scivolò sulla roccia umida nascosta dal muschio. Cadde rovinosamente lungo il pendio, trascinando con sè i rami ai quali aveva cercato di aggrapparsi, graffiandosi le braccia e strappandosi i calzoni; urtò forte contro il tetto della legnaia nascosta in parte dalla neve, volò oltre il bordo e atterrò nella grande tinozza dell’acqua per il bagno, battè la testa, e svenne.
L'ambasciatore Aldor incontra Dorgur, Athair e Anysa. Repost dal sito di "Esaedro", novembre 2003.
Aldor non era mai riuscito a capire come gli abitanti di quelle regioni potessero definire "casa" quella sorta di capanna ottagonale con il tetto a punta di lancia.
Per i suoi canoni, semplicemente l'essere ospite, per qualche sfortunata circostanza e nelle occasioni nelle quali era obbligatorio rendere omaggio all'uno o all'altro dei notabili locali, in una di quelle maledette baracche, era una tortura peggiore di quella dell'acqua o della corda. Là dentro non ci si poteva muovere; agli uomini erano riservate delle specie di panche poste ai lati, mentre le donne si affaccendavano in mezzo. Nel centro della baracca veniva acceso un fuoco, che serviva sia per cucinare che per riscaldare l'ambiente; il fumo usciva da un buco esattamente alla sommità.
I "nativi" avevano l'uso di spogliarsi e restare nudi come vermi, in quelle baracche; una totale mancanza di riservatezza e di dignità. Aldor non disdegnava la compagnia delle donne; l'educazione del Dominio era tale da impedire praticamente qualsiasi contatto fisico fra un uomo e una donna prima dell'età del matrimonio, e quindi un ignorante avrebbe potuto pensare che le occasioni fornite da quel vivere promiscuo in quelle baracche per un numenoreano fossero molto ghiotte. Niente di più sbagliato; le ragazze di quel posto potevano essere considerate attraenti fino ai quattordici o al massimo ai sedici anni, età per la quale non potevano essere considerate per i suoi canoni altro che bambine. Poi tendevano ad ingrassare improvvisamente e senza controllo, probabilmente a causa dei troppi figli e di quello che mangiavano, e quindi le "feste" in casa dei capi dei villaggi si risolvevano in un'orrenda ammucchiata di donne laide e brutte e di uomini sudati e troppo ubriachi persino per stare seduti...
Per convincere il villico a condurlo fino alla casa del "vecchio", c'erano voluti tutta la sua esperienza di diplomatico ed il suo eloquio , e tutto il suo potere di persuasione. Alla fine quando Athrazor aveva minacciato di mozzargli tutte e due le orecchie e la lingua, ed aveva cominciato a tagliare un pezzo del suo orecchio sinistro, l'uomo aveva misteriosamente scelto di dimostrarsi più amichevole e si era deciso a condurli oltre la radura, fino alla casa che cercavano. I villici di Vaisala erano furbi, e Aldor aveva più che opportunamente deciso di legargli una grossa corda attorno al collo e di farlo camminare una ventina di piedi davanti ai suoi uomini. Una decisione saggia, perché la radura si era rivelata in realtà un laghetto ghiacciato che avevano dovuto aggirare, e che li avrebbe sicuramente tratti in inganno e posti in pericolo qualora lo avessero attraversato imprudentemente con tutto il peso delle loro armature e degli scudi.
Ora, mentre stava in piedi di fronte alla casa e guardava questo "vecchio", Aldor sentiva crescere dentro di se una strana inquietudine. Era stato in battaglia e sapeva riconoscere le sensazioni che precedono uno scontro; talvolta aveva anche avvertito un nodo allo stomaco prima dell'imboscata. Questo però era diverso, era come il peso di un presagio di morte, o di un destino ineluttabile. Si voltò; i suoi uomini lo guardavano incuriositi, in attesa di un ordine, e lui alzò la mano come ad indicare di lasciar perdere la casa e lo strano vecchio, e di rientrare. Poi rivide la ragazzina morente sul suo letto, e la curiosità di saperne di più su quella faccenda lo vinse di nuovo. In fondo in fondo, era sempre stato curioso; in fondo in fondo, meglio morire dritto in piedi, guardando il sole, che attendere la vecchiaia e la decrepitudine in quello schifo di posto. Certo, tutto avrebbe potuto risolversi in una perdita di tempo e risultare una stupidaggine, ma forse... forse. Si girò di nuovo, abbassò la mano poggiandola sul pomo della grande spada, e chiamò a voce alta. "Uomo! Mi puoi sentire?"
Il vecchio non si era mosso di un palmo, per tutto quel tempo. Continuava a sedere sul terzo gradino della casa, stringendo un brutto brutto bastone, guardando diritto davanti a sè, il cappellaccio a punta calato quasi sugli occhi. L'abito che indossava poteva essere stato un tempo di colore bianco o forse azzurro pallido; ora era liso e grigiastro. Era chiuso in vita da una cintura di un cuoio molto scuro, dal quale pendeva solo un sacchetto. Il vecchio non indossava nè guanti nè stivali; portava solo dei sandali ed aveva le mani nude, ma sarebbe sembrato come incurante del freddo se non fosse stato per un ripetuto gesto di stringersi nel suo mantello verde scuro. Aveva una lunga barba, incolta e mai curata, così come i suoi capelli, rovinati e annodati.
Aldor si avvicinò al vecchio con cautela, già preparando sul suo volto un'espressione di disgusto per il fetore che certo sarebbe stato immancabile; quell'uomo doveva puzzare come un cane. Il profumo di pulito e di sapone che sentì fu la prima sorpresa; si ritrasse istintivamente sentendo quell'odore piacevole, così come avrebbe fatto se non lo fosse stato affatto. Era strano, innaturale, o perlomeno se non innaturale, inatteso. Sentì su di sè lo sguardo dei suoi uomini, e si riprese subito.
"Bene, uomo", disse. "E' cortese, nei luoghi nei quali siamo nati, presentare il proprio nome quando si incontra uno sconosciuto e seppur io mi renda conto che la vostra ignoranza vi impedisce, non colpevolmente, di farlo, non trascurerò questa cortesia. Chissà, forse un giorno potreste riuscire a seguire il buon esempio e imparare, e magari insegnare ai vostri figli".
Aldor drizzò la schiena, le mani sui fianchi e l'espressione volitiva, e continuò, più rivolto ai suoi uomini che al vecchio che sedeva davanti a lui. "Io sono Aldor, legato del monarca Valandor in queste terre, ambasciatore del Concilio dei Valdacli. Questi al mio fianco è Athrazor, mio capitano, comandante dei soldati della mia scorta. Giungiamo qui alla vostra casa per indagare su un fatto accaduto dentro ai confini della mia proprietà; ed essendo anche questa vostra casa all'interno della mia proprietà, per quanto in posizione remota, è lecito per noi interrogarvi. Immagino, vecchio, che voi siate colui che viene chiamato 'il vecchio' ".
L'uomo non si mosse, né cambio espressione; per un'istante solo, ad Aldor sembrò di vedere i suoi occhi illuminarsi come divertiti, ma subito tornarono ad essere vacui. Il vecchio aspirò dalla pipa una boccata di fumo. Aldor si avvicinò, e nel contempo scostò il mantello in modo da mostrare le sue insegne di ambasciatore valdaclo e la sua spada. Si chinò verso lo sconosciuto, fino ad essere a un palmo da lui. I soldati della scorta slacciarono le balestre.
"Uomo, noi non siamo qui per minacciarti. Nondimeno, non possiamo perdere più di tanto tempo, ho molto da fare. Un mistero attende di essere risolto. Una giovane donna ha perduto la vita ..."
Il vecchio espirò, proiettandogli lentamente il fumo della pipa in faccia. La nuvola azzurrognola era densa e carica di un sapore come di qualcosa di speziato, di affumicato; Aldor tossì forte, e scivolò sul ghiaccio perdendo l'equilibrio. Riuscì ad aggrapparsi ad un ramo vicino e a non cadere, ma le sue movenze dovettero risultare particolarmente comiche, perché sentì un mormorio ed una risata fra i soldati, subito seguita da una reprimenda del sergente.
Athrazor, il capitano, si avvicinò e prese il vecchio per la spalla, scuotendolo forte. "Senti, tu ..."
"Lascialo stare. Non ha fatto niente".
[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Dorgur
Aldor e i soldati si voltarono nella direzione dalla quale era venuta la voce; si era espressa nella loro lingua, in maniera ferma e profonda, ma con un forte accento del nord, delle lande desolate nell'estremo Harad. Un guerriero dalla pelle scura li stava osservando da poco distante. Aldor riguadagnò la sua compostezza, e si rivolse al nuovo arrivato sorridendo.
"Vedo che ci capisci. Chi sei? Sii il benvenuto, forse puoi aiutarci a dirimere la questione. Come stavo dicendo..."
"Sono Dorgur. Conosco le vostre leggi. Non avete il diritto di picchiarlo. E inoltre, siamo fuori dalla vostra proprietà, e di un bel pò. Questa, secondo le usanze dei Valdacli, è casa nostra e non avete chiesto il permesso di venire. Andate via".
L'uomo dalla pelle scura indicò con la mano un albero ad una distanza di una quarantina di passi, vicino a dove il sentiero faceva una curva; là, semisepolto dalla neve, stava un cippo di confine.
1 Ospite(i)
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.