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Same, agosto 75 Quarta Era. Verso Ulvila
Si era lasciato alle spalle abbastanza uomini da far credere al suo avversario che l’intero esercito di Adarrathil fosse ancora sparpagliato nella piana attorno a Rauma, e aveva guidato più di mille cavalieri per quasi tutta la lunghezza della strada fra le montagne senza farsi scoprire da nessuno, almeno per quanto ne sapeva. Le tre scaramucce con quei fanatici, gli Amuku, erano durate poco; i cavalieri di Arpel erano stati una sorpresa mortale. Malgrado ciò, gli Amuku combattevano come le orde dell’Ombra, e lui non poteva fare a meno di ricordare lo scontro che gli era costato più di cinquanta uomini. Non era ancora sicuro che quella donna trapassata dalle frecce che lui aveva fissato a fine battaglia fosse stata una strega.
“Falmir!”
Uno dei suoi uomini gli portò dell’acqua in una tazza di terracotta presa da una bisaccia; era gelida.
Il soldato dal viso scarno smontò di sella. “Sì, mio signore capitano?”
“Quando ingaggerò il nemico, Falmir,” disse lentamente Athonath, “tu non prenderai parte alla battaglia. Guarderai da lontano, e porterai notizie a mio figlio di quanto accadrà.”
“Ma … mio signore capitano …”
“Questo è un ordine, capitano Falmir!” scattò lui. “E tu obbedirai, vero?”
Falmir irrigidì la schiena, e guardò dritto davanti a sé. “Ai tuoi comandi, signore capitano.”
Athonath lo studiò per un momento. L’uomo avrebbe fatto quello che gli era stato chiesto, ma sarebbe stato meglio se gli avesse dato un’altra ragione, oltre al dover raccontare a Dain come era morto suo padre. E sapeva già delle cose che era urgente comunicare ad Arpel. Fin dai primi attacchi venuti dai boschi. ‘Trenta selvaggi e una donna mi sono costati più del doppio delle perdite che hanno subito’. Sin d’allora non si aspettava più di vivere abbastanza da poter lasciare quella misera e fredda terra.
“Quando troverai mio figlio – dovrebbe essere con il signore capitano Adarrathil, vicino a Vaisala – e gli avrai detto ciò che devi, ti imbarcherai per i Domini e cavalcherai ad Arpel, e farai rapporto al capitano della città. A Niall in persona, capitano Falmir. Gli dirai tutto quello che abbiamo appreso su questi fanatici e sul negromante di Same; lo scriverò per te. Assicurati che capisca che sconfiggere Nurmi non è stato abbastanza e che non possiamo più contare sul fatto che le nostre armi siano sufficienti contro questa stregoneria. Se l'Ombra combatte apertamente qui, lo dovremo di sicuro affrontare anche altrove”.
Athonath esitò. Quell’ultima parte era la più importante di tutte. Dovevano sapere, i signori dei Valdacli, che nonostante tutte le vittorie di cui si vantavano, gli stregoni dell'Ombra che credevano sconfitti erano pronti a marciare in battaglia. Gli dava una sensazione spiacevole l’idea di un mondo dove magie maledette venivano usate in guerra, e i morti non avevano riposo; non era sicuro che avrebbe rimpianto di doverlo lasciare. Ma c’era un altro messaggio che voleva far arrivare ad Arpel. “E, Falmir … dì a Niall degli errori di Adarrathil dopo la vittoria, di come è stato usato da questo negromante e come siamo caduti anche noi nell’inganno.”
“Come comandi, mio signore capitano” rispose Falmir, ma Athonath sospirò nel vedere la sua espressione. L’uomo non capiva. Per Falmir, bisognava obbedire agli ordini, qualunque fossero, sia che venissero dal suo signor capitano o da Adarrathil.
“Scriverò tutto perché tu lo passi a Niall e a Nagomo” aggiunse. Non sapeva comunque a che cosa sarebbe servito.
Athonath bevve l’ultimo sorso d’acqua e gettò la tazza di lato.
“Non ci sarà alcun pasto qui per gli uomini, Falmir. Non lascerò che questo negromante mi prenda a sonnecchiare. Fai salire a cavallo i soldati, capitano Falmir!”
Alte sopra le loro teste, una grossa figura alata volava in cerchio, inosservata.
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[size=2]Liberamente tratto da "La Grande Caccia" di Robert Jordan[/size]
Isole delle Colonie Orientali, luglio 75 Quarta Era
“Il signore Thabaya?” disse Zenaran, e la sua fu una via di mezzo fra una domanda e un’affermazione.
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Zenaran
L’uomo sul palanchino annuì appena. “Tu sei una donna”. Aveva una parlata strana, e Zenaran ci mise un momento per capire. “Una donna dei Domini” aggiunse Thabaya storcendo la bocca, e un mormorio si levò fra i suoi servitori. “Dobbiamo sbrigarci, qui. Ci sono delle pattuglie, ed è bene che non ci trovino. Le attenzioni dei Valdacli non piacerebbero né a te né a me. Ho intenzione di tornare a Zambra prima che le spie degli Eshe si rendano conto che sono andato via. Chi ti ha dato il mio nome, come fai a sapere di me?”
La donna mise una mano sulla schiena del suo cavallo e una su un fianco. “Hathoriani. Mi è stato detto della tua simpatia per i pirati e le marche di confine, e per chi ti porta ricchezze in omaggio. Qui ce ne sono in abbondanza”. Fece un cenno con la testa in direzione dell’uomo che l’accompagnava. “Te le consegnerò quando mi avrai detto le cose che devo sapere.”
Thabaya si alzò dal palanchino, e si pulì le mani come se fossero sporche o sudate.
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Thabaya
“Molti, qui nelle terre del Golfo”, disse Thabaya, sempre con il suo tono quasi amichevole, “non credono che le donne abbiano diritto a un nome, o comunque abbiano una funzione diversa da quella assegnata loro dalla natura. Ma io sono un illuminato, così ti prenderò, mi occuperò di te e ti darò il permesso di mantenere il tuo nome. Se non mi deluderai troppo. Adesso sono un po’ seccato con te. Vuoi davvero continuare a dirmi che cosa devo o non devo fare fino a farmi arrabbiare?”
L’uomo vestito d’azzurro si mosse all’improvviso verso Zenaran per afferrarla, e nell’istante successivo tutto sembrò accadere simultaneamente. Thabaya imprecò, e un servitore gridò, o forse più di uno; all’improvviso la brezza si trasformò in un forte vento che portò via le urla furiose di Thabaya e lui stesso tra nuvole di polvere e foglie, e fece piegare e gemere gli alberi. I cavalli arretrarono lanciando nitriti acuti. Col mantello che sventolava come una vela, Zenaran alzò le braccia contro la forza del vento, e proiettò quella stessa forza contro gli uomini dell’Harad.
Quando Thabaya riuscì di nuovo a mettere a fuoco la vista, il vento era calato. Un bel po’ di cavalli vagavano a briglia sciolta, il palanchino era ribaltato, e alcuni dei servitori stavano pregando e imprecando allo stesso tempo mentre si alzavano da terra. Zenaran si stava spazzolando via la polvere e le foglie dal vestito, con calma.
“La prima cosa che imparerai” disse Zenaran “è fare quello che ti viene chiesto, senza perdere tempo.”
Thabaya rimase senza fiato. All’improvviso la pelle, dalle piante dei piedi ai capelli, gli bruciava e prudeva come se si fosse rotolato tra le ortiche. Agitò la testa quando la sensazione di bruciore aumentò.
“Tu non farai più una mossa contro di me, Thabaya, in nome di Edril. Non muoverai un dito contro la Vera Fede. Chi mi ha mandato lo disapproverebbe, perché qui c’è più bisogno di me che di te, e tu avrai presto più paura di loro che delle pattuglie delle Colonie.”
[size=2]Liberamente tratto da "La Grande Caccia" di Robert Jordan[/size]
In una zona montana di Morija, luglio 75 Quarta Era
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Iejasu
Lo sguardo di Iejasu vagava per la sua stanza delle udienze, ma gli occhi scuri, offuscati dai pensieri, non vedevano nulla. Gli arazzi rovinati, che erano stati le bandiere dei suoi nemici di gioventù, si confondevano con i pannelli di legno scuro posati sulle pareti di legno, nel cuore della Fortezza dei Tre Regni. L’unica sedia della stanza - pesante, con lo schienale alto, quasi un trono – gli era invisibile quanto i pochi tavoli disseminati intorno che completavano l’arredamento. Anche l’uomo dalla veste bianca, inginocchiato sulle ampie assi del pavimento e a malapena in grado di trattenere la propria impazienza, per il momento era svanito dalla sua mente, anche se pochi lo avrebbero ignorato così alla leggera.
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Yasemi
Yasemi aveva avuto il tempo di lavarsi prima di essere introdotto al cospetto di Iejasu, ma il pettorale era opaco a causa del viaggio e ammaccato dall’uso. Gli occhi profondi erano accesi da una febbrile luce d’urgenza, in un volto sul quale sembrava che ogni lembo di carne in eccesso fosse stato consumato via. Non portava la spada, non era permesso a nessuno, in presenza di Iejasu, ma sembrava pronto all’attacco.
I fuochi nei grandi bracieri alle due estremità della stanza tenevano fuori il fresco della sera montana. Quella era la stanza semplice di un guerriero, ogni elemento era di buona fattura, ma non c’erano sontuose decorazioni. Iejasu aveva camminato in sale ricolme d’argento e di gemme e non ci aveva mai pensato due volte, non più di quanto pensava ai bei ricami della sua cintura. A Iejasu l’argento interessava poco.
Alla fine i suoi occhi tornarono verso il tavolo al suo fianco, coperto da una confusione di mappe, lettere e rapporti. In mezzo giacevano tre fogli male arrotolati. Ne prese uno con riluttanza. Non aveva importanza quale: riportavano tutti le stesse notizie, anche se si trattava di mani diverse.
La pelle di Iejasu era sottile come una pergamena, tesa su un corpo che sembrava tutto ossa e tendini, ma non c’era nulla di fragile nel suo aspetto. Nessun uomo metteva dimora nella Fortezza dei Tre Regni se era più morbido delle pietre del Tempio della Verità. Tuttavia, di colpo fu consapevole della tensione dei tendini sul dorso della mano che teneva il foglio, del bisogno di affrettarsi. Il tempo cominciava a ridursi. Il suo tempo cominciava a ridursi. Doveva bastare. Doveva farselo bastare.
Si costrinse a srotolare in parte il foglio, quel tanto per vedere la parte che gli interessava. L’inchiostro era un po’ sbiadito a causa del viaggio nelle bisacce da sella, ma si leggeva nitidamente.
‘Un uomo dell’Ovest, con gli occhi e i capelli neri, sfregiato da una cicatrice. Alto molto più del normale, lo sguardo duro’.
A parte gli occhi e i capelli, gli sarebbe stato impossibile camminare in una qualunque parte di Morija senza destare commenti.
“Questo … questo Valdaclo si è proclamato del Sangue del Drago?” mormorò Iejasu.
Il Drago. Quel nome gli fece sentire il freddo dell’inverno ancora lontano e della neve che sarebbe caduta. Il sangue che avrebbe avuto l’Avversario quando sarebbe venuto per condannare alla pazzia ogni uomo libero, incluso se stesso, in quel momento e per sempre. Erano passati più di quattromila anni. Quattromila anni, ma profezie e leggende aiutavano gli uomini a ricordare. Almeno nella sostanza, anche se i dettagli erano svaniti. Era un tempo impresso a fuoco nella memoria dalle storie che i padri raccontavano ai figli. E le profezie dicevano che il Drago sarebbe venuto di nuovo.
La frase di Iejasu non era stata una domanda vera e propria, ma Yasemi la interpretò come tale. “Si. E’ una follia peggiore di qualsiasi delle decisioni di Rugia, di tutte le sue decisioni messe assieme. Migliaia di guerrieri si proclameranno suoi fedeli. Verrà la guerra civile, il conflitto divamperà. Chinua non è ancora giunto ma le notizie sono già arrivate e ci sono già tumulti lungo tutta la costa. Non ho mai visto un fuoco diffondersi così in fretta, mio signore. Come mettere una torcia vicino alla carta di riso. La neve forse potrà rallentare la rivolta, ma con l’arrivo della primavera le fiamme bruceranno più roventi di prima.”
Iejasu lo zittì sollevando un dito. Gli aveva lasciato raccontare la storia già due volte, la voce ardente di rabbia e odio. Alcune cose Iejasu le aveva già sapute da altre fonti, e di altre ne sapeva di più di Yasemi, ma ogni volta che la sentiva, quella storia lo pungolava.
“Arakhon Eshe e mille dei suoi guerrieri in viaggio verso il castello di Rugia. E per mare. Ne sei sicuro, Yasemi?”
“Sicuro, mio signore. Una grande nave dei Valdacli, e quattro del Golfo. Mi sono costate più di cinquanta lingotti d’argento, queste informazioni.”
“E sei sicuro … sicuro che si sia proclamato Drago?”
“E’ stato detto da Chinua di fronte ai potenti di Tul Harar, signore, e Chinua ha lasciato una Shenjin con lui. La Shenjin Nuth”.
La voce di Yasemi era ferma e piena di convinzione. Aveva poca fantasia quell’uomo; la morte era parte della vita di un guerriero, in qualsiasi modo si presentasse. Iejasu annuì torvo. Le donne che ancora si arrogavano quel titolo erano comunque un gran problema. Facevano un gran parlare di quei loro Tre Giuramenti: non proferire parola che non sia vera, non dare a un uomo un’arma che consenta di uccidere un altro uomo, usare il Potere come arma solo contro la progenie dell’Ombra. Ma ora stavano dimostrando che quei giuramenti erano solo bugie. Lui aveva sempre saputo che nessuno poteva volere il potere che avevano quelle donne, se non per sfidare il Creatore, e ciò significava servire il Nero Nemico.
“Sì, sì” rispose Iejasu con impazienza. Studiò il volto incavato di Yasemi per un momento, quindi aggiunse: “Non dubito della tua onestà e del tuo coraggio. E’ esattamente ciò che Chinua avrebbe fatto, lasciare la sua Shenjin più esperta, per salvaguardare sia la vita della donna che il suo nuovo tesoro, e portarne una più debole con lui”. ‘E un tipo di cosa che tu non potresti inventarti, perché non hai abbastanza immaginazione’, aggiunse tra sé.
Non c’era altro da sapere, da quell’uomo. “Ti sei comportato bene, Yasemi. Hai il mio permesso di portare queste notizie al Castello dei Ciliegi. Secondo l’ultimo rapporto, vi troverai Tahase; puoi unirti a loro. Porta una Nijen e dieci spie con te, fai in modo che non perdano mai di vista quelle navi e che seguono il loro muoversi lungo la nostra costa. E prendi mille lingotti d’argento.”
“Grazie, mio signore. Grazie”. Yasemi si alzò e fece tre profondi inchini. Eppure, ebbe un attimo di esitazione. “Mio signore, siamo stati traditi”. L’odio rese tagliente la sua voce.
“Dal Falco di Ormal, come mi hai detto, Yasemi?” Non riuscì a non usare un tono duro. Un anno di piani giaceva in rovina fra i corpi di centinaia di guerrieri. “La giovane Jamilah che hai visto due volte, Yasemi?”
“Si, mio signore. Non so perché l’abbia fatto, non so come, ma so che è colpa sua. Lo so.”
“Vedrò cosa potremo fare a riguardo”. Yasemi aprì di nuovo la bocca, ma Iejasu sollevò una mano per prevenirlo. “Puoi andare, ora”. L’uomo dal viso scarno non poté fare altro che inchinarsi di nuovo e uscire.
Non appena la porta si chiuse, Iejasu sprofondò nella sua sedia dall’alto schienale. Pensò vagamente, non per la prima volta, che forse un cuscino non sarebbe stato un lusso eccessivo. E, non per la prima volta, respinse quell’idea. Il mondo stava precipitando verso la follia, e lui non aveva tempo di arrendersi alle debolezze.
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[size=2]Liberamente tratto da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan e da "Volpe Volante della Montagna Innevata" di Jin Yong[/size]
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Same, agosto 75 Quarta Era. Vicino Ulvila
Athonath guardò il fulmine lampeggiare sopra Ulvila, e lo congedò dai suoi pensieri. Una strana, grossa creatura alata, senza dubbio uno dei mostri del Negromante, volava frenetica verso di loro. Se ci fosse stata una tempesta, avrebbe ostacolato i suoi avversari tanto quanto lui.
Le colline quasi prive di alberi, alcune ricoperte da radi boschetti, ancora gli nascondevano la città alla vista, e nascondevano lui da chi l’assediava.
I suoi mille uomini erano sparsi ai suoi lati, una lunga fila di soldati a cavallo, che si snodava negli avvallamenti fra le colline. Il vento freddo agitava i loro mantelli, e faceva sventolare la bandiera accanto Athonath, un sole d’oro raggiato.
“Vai adesso, Falmir” comandò. L’uomo dal viso scarno esitò, e Athonath indurì la voce. “Ti ho detto di andare, capitano Falmir!”Falmir si portò una mano all’altezza del cuore e fece un inchino.
“Ai tuoi ordini, mio signore, capitano”. Fece girare il cavallo, con molta riluttanza.
Athonath eliminò Falmir dai suoi pensieri. Aveva fatto quello che poteva. Alzò la voce. “I cavalieri di Arpel avanzino al passo!”
Con uno scricchiolio di selle, la lunga linea di uomini si mosse lentamente verso le colline e il mare.
Dal nulla, una nebbia cominciò ad alzarsi. Prima in piccoli filamenti che restavano sospesi in aria, poi in banchi più spessi, sempre di più, fino a ricoprire la terra come un manto di nuvole.
Athonath si irrigidì sulla sella quando un suono colmò l’aria, così dolce che voleva ridere, così malinconico da farlo piangere. Sembrava provenire allo stesso tempo da tutte le direzioni. La nebbia continuò a sollevarsi, crescendo a vista d’occhio.
‘Il negromante. Sta cercando di fare qualcosa. Sa che siamo qui’ , pensò.
Era troppo presto, la città era troppo lontana, ma estrasse la spada. Il rumore di altre lame snudate percorse le fila dei suoi cavalieri.
“Avanti al trotto!”, gridò; adesso la nebbia copriva tutto, ma lui sapeva che Ulvila era ancora lì, davanti a loro. I cavalli presero il passo; non li poteva vedere, ma li poteva sentire.
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A un tratto il terreno davanti a lui esplose con un gran fragore, tempestandolo con una pioggia di terra e sassi. Una figura spettrale, un uomo altissimo il cui viso era un teschio fiammeggiante, si levò su di loro, sovrastandoli. Dal bianco nulla alla sua destra, udì provenire un orrendo ruggito, e uomini e cavalli gridarono, poi dalla sinistra, di nuovo. E ancora. Tuoni e grida, nascosti dalla nebbia.
“Che i cavalieri attacchino!” Il suo cavallo balzò in avanti quando lui affondò i talloni nei fianchi, e sentì il boato dei cavalieri, quelli che erano ancora vivi, che lo seguiva.
Tuono e grida, tutto avvolto nel biancore.
Il suo ultimo pensiero fu di rimpianto. Falmir non sarebbe stato in grado di dire a suo figlio Dain come era morto.
[size=2]Liberamente tratto da "La Grande Caccia" di Robert Jordan[/size]
Tul Harar, luglio 75 Quarta Era. Nel Quartiere dei Mercanti
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Eadur
Esaminò con attenzione i sigilli e la firma, tenendo il documento vicino alla lanterna, ma non riuscì a trovare nessun difetto nei primi e, riguardo la firma, non aveva idea di come fosse la grafia di Valandor. Se non era stato il reggente in persona ad apporre il suo nome, Eadur sospettava che chiunque fosse stato avesse fatto un’ottima imitazione della sua grafia. In ogni caso, questo non era molto importante.
Era un documento semplice, senza preamboli o saluti, e l’interessò moltissimo.
Sappiate che Arakhon Eshe è un amico dell’Ombra, ricercato a Urland e nelle terre di Elorna e Miredor per omicidio e altri crimini osceni, ultimo dei quali l’avervi spiato e tramato contro la Vostra Persona per conto di Ar-Venie sua sorella, precedentemente Primo Consigliere di Ostelor, che ha illecitamente preteso di diventare signora dell’Alleanza dei Valdacli ed è morta nella battaglia contro l’armata del Re di Gondor, colta mentre fuggiva per non cadere in prigionia.
Contiamo su di voi affinché catturiate quest’uomo e prendiate tutte le cose in suo possesso, fino alla più piccola. Un Nostro rappresentante verrà a riprendersi ciò che Ci è stato rubato. Che tutto ciò che possiede, tranne le Nostre proprietà, sia vostro come ricompensa per averlo trattenuto. Che il vile traditore sia giustiziato subito, o trattenuto in catene per essere consegnato al nobile Balkazir, Nostro Giudice, affinché la sua malvagità figlia dell’Ombra non contamini più le vite dei Nostri sudditi.
Sigillato di Nostra mano
Valandor Hamina
Reggente in nome di Elessar Telcontar di Gondor
Difensore dell’Alleanza dei Valdacli
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I figli di Numénor erano animali politici. Sulle isole, nelle Colonie Orientali, la lettera sarebbe stata da subito incriminante, nelle mani di un messo proveniente da Ostelor dotato di credibilità sufficiente a minare l’autorità di Arakhon. O nel Dàr, con l’influenza gondoriana così forte.
A Tul Harar non c’era nessuna guerra ora e gli uomini andavano e venivano liberamente dai porti e dalle città sul Chenna e sul Siresha, ma c’era poco amore tra il Grande Harad e i Valdacli, nonostante la breccia aperta da Ar-Venie e dalle sue manovre con Mobarek. Mobarek però era morto, e con un pretesto come quello, nelle mani giuste …
Ma la ‘Daracil’ non si era fermata nelle Colonie, a causa delle navi dei Mumakani. Il capitano aveva rischiato, e proseguito quasi senza scorta d'acqua. Un imprevisto.
Per un momento Eadur pensò di bruciare la lettera nella lanterna – era una cosa pericolosa da avere, in qualsiasi posto potesse immaginare, e diventava sempre più pericolosa, ogni giorno di più – ma alla fine la ripose con cura in uno scomparto segreto dietro il suo specchio, nascosta da un pannello che solo lei sapeva come aprire.
[size=2]Liberamente tratto da "La Grande Caccia" di Robert Jordan[/size]
In una zona montana di Morija, luglio 75 Quarta Era
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Iejasu
La notizia più significativa di tutte, per Iejasu, era che Rugia era evidentemente uscita allo scoperto. Si vociferava che avesse mandato il fratello a Ostelor, e alcune Shenjin a nord a cercare la Via del Drago. Per quanto fosse raro, alcune delle Shenjin avevano il Potere. Quella era già una cosa da temere e disprezzare. Ma Rugia aveva inviato anche altri della sua corte a ovest per cercare sostegno, non poteva essere altrimenti.
Lo svolgersi degli eventi raggelava Iejasu fin nelle ossa. Il disordine si moltiplicava; eventi inauditi continuavano a ripetersi. Il mondo intero sembrava in agitazione, quasi come acqua bollente. Era chiaro. La battaglia si stava davvero avvicinando.
Tutti i suoi piani erano andati a monte, i piani che avrebbero lasciato il suo nome ai figli di Morija per centinaia di generazioni. Ma i tumulti erano sinonimo di opportunità, e lui aveva dei nuovi piani, con dei nuovi obiettivi. Se riusciva a mantenere la forza e la volontà di portarli a termine.
Il suono sommesso e deferente del gong lo ridestò dai suoi oscuri pensieri. “Avanti!” rispose in tono brusco.
Un servitore che indossava giubba e brache color bianco e oro entrò inchinandosi. Con lo sguardo fisso sul pavimento, annunciò che Jaichim, Unto dalla Giustizia, indagatore per conto dei Tre Regni, si presentava al cospetto del signore del castello. Jaichim apparve subito alle calcagna del servo, senza attendere la risposta di Iejasu, che fece cenno al servitore di lasciarli soli.
Prima ancora che la porta fosse chiusa del tutto, Jaichim si gettò in ginocchio con uno svolazzo del mantello immacolato. “Non appena ho ricevuto il comando di presentarmi al tuo cospetto, mio signore,” affermò Jaichim con voce decisa “sono tornato da Ra-Morij.”
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Jaichim
Iejasu lo esaminò per un momento. Era alto, ben oltre la mezza età, con i lunghi capelli intrecciati alla moda dell’est, eppure in forma perfetta, duro. I profondi occhi scuri avevano un’espressione astuta, come sempre. Non batté ciglio sotto il silenzioso esame del suo signore. Pochi uomini avevano la coscienza così pulita o i nervi così saldi. Jaichim stava lì inginocchiato, aspettava con calma, quasi fosse una faccenda di tutti i giorni essere richiamato in modo brusco dal proprio comando e dover fare immediatamente ritorno sulle montagne, senza neanche ricevere una ragione per tutto ciò. Ma, d’altro canto, si diceva che Jaichim avesse più pazienza delle pietre.
“Alzati, Jaichim”. Mentre l’altro si raddrizzava, Iejasu aggiunse, “Ho ricevuto notizie inquietanti da Tul Harar.”
Jaichim si lisciò le pieghe della casacca mentre rispondeva. La voce era ai limiti del rispettoso, quasi parlasse a un suo pari, piuttosto che all’uomo al quale aveva prestato giuramento di obbedienza fino alla morte. “Il mio signore si riferisce di sicuro alle notizie portate dal comandante Yasemi, secondo del compianto generale Garu.”
L’angolo dell’occhio sinistro di Iejasu palpitò, una vecchia avvisaglia di ira imminente. In teoria solo tre uomini al castello erano al corrente del ritorno di Yasemi e nessuno, tranne lui, sapeva da dove fosse arrivato.
“Non fare troppo il furbo, Jaichim. Il tuo desiderio di voler sempre sapere tutto potrebbe portarti un giorno dritto nelle mani dei tuoi stessi inquisitori.”
Jaichim non mostrò alcun segno di reazione se non una leggera tensione delle labbra. “Mio signore, la Mano cerca la verità ovunque, per servire i Tre Regni.”
Per servire i Tre Regni. Non per servire il suo signore. “E che verità mi porti tu, riguardo agli eventi recenti?”
“Amici dell’Ombra, mio signore.”
“Amici dell’Ombra?” La risatina di Iejasu non era affatto divertita. “Alcune settimane fa ho ricevuto dei tuoi rapporti sul fatto che Garu fosse un servitore dell’Ombra perché aveva portato i suoi uomini a Capo Mikaze contro i tuoi ordini”. La sua voce divenne pericolosamente gentile. “Adesso vuoi farmi credere che Garu, in veste di amico dell’Ombra, abbia guidato mille dei miei migliori guerrieri alla morte combattendo contro altri amici dell’Ombra?”
“Non sapremo mai se era un amico dell’Ombra oppure no,” rispose Jaichim in tono mite, “visto che è morto prima che potessimo interrogarlo. I complotti dell’Ombra sono oscuri, e spesso sembrano insensati agli occhi degli altri. Ma quelli che vengono da Tul Harar sono amici dell’Ombra e Shenjin, a sostegno di qualcuno che si è proclamato falsamente del sangue del Drago.”
“E cosa mi dici riguardo alle storie per le quali con lui viaggiano un negromante dei Valdacli, una Sognatrice che discende dai coloni venuti da Numénor e un grande eroe dell'Harad?”
Jaichim scosse il capo. “Mio signore, la gente mette in circolazione molte voci. L’occidente ribolle, da Tul Harar a Ostelor, e centinaia di nuove storie nascono ogni giorno, ognuna più oltraggiosa della precedente. Questo Arakhon e la sua compagnia non sono che una nuova accozzaglia di amici dell’Ombra, riunitisi a sostenere il Reietto, solo che questa volta hanno il chiaro appoggio di Rugia.”
“Che prove hai?” Iejasu lo chiese con un tono che rendesse chiara tutta la sua perplessità. “Hai dei prigionieri?”
“No, mio signore. Come senza dubbio ti avrà riferito Yasemi, il Falco di Ormal li ha aiutati e non abbiamo potuto avvicinarli. E di sicuro nessuno di quelli che abbiamo interrogato avrebbe ammesso di sostenere un amico dell’Ombra. Il mio signore mi permette di proseguire?”
Iejasu fece un gesto impaziente.
“Mio signore, molti di quelli che abbiamo interrogato parlano di quest’uomo, che verrà proclamandosi Principe e cavalcherà il Drago come nelle antiche canzoni. La maggior parte della gente non le ricorda nemmeno più, quelle favole. Chi altri potrebbe aver interesse in questa storia se non Rugia?”
“Si. Sì, forse hai ragione, Jaichim. Ripeto, forse”. Iejasu non avrebbe dato a Jaichim la soddisfazione di fargli sapere che era d’accordo con lui. ‘Lasciamolo lavorare per un po’ , rifletté. “Che cosa mi dici di lui, di Arakhon? Quanto è pericoloso?”
Jaichim si limitò a stringersi nelle spalle. “Forse è pericoloso, forse no. Le Shenjin potrebbero senza dubbio far credere che un gatto sia pericoloso, se volessero. Riguardo a quanto possa diventare pericoloso … qualsiasi pretendente lo è, fino a quando non viene annientato, e uno apertamente appoggiato da Rugia è dieci volte più pericoloso. Ma lo è comunque meno ora di quanto lo sarà fra sei mesi. Le sue forze sono poche, un pugno di uomini. Dubito che possa sollevare apertamente più di duecento sostenitori. Possiamo spazzarlo via in qualsiasi momento. Darò la caccia a questo falso Principe fino alla sua morte. Un cadavere non è pericoloso per nessuno.”
“E se dovrai affrontare i suoi maghi? Uomini che usano il Potere per uccidere?”
“Le loro stregonerie non li proteggono dalle frecce, o da un coltello nel buio. Muoiono velocemente come chiunque altro”. Jaichim sorrise. “Te lo prometto, riuscirò nel mio intento prima dell’inverno.”
Iejasu annuì. Jaichim adesso era più sicuro di sé. Di certo credeva che le domande pericolose sarebbero già dovute arrivare, se ce ne fosse stata qualcuna. ‘Ma avresti dovuto ricordare, Jaichim, che sono sempre stato considerato un ottimo stratega’, pensò Iejasu.
“Jaichim,” disse con fermezza, “ti assicurerai che questo principe Arakhon non muoia. Lo porterai da me, appena arrivato a Morija. E se un qualsiasi avversario si facesse avanti per opporsi a lui invece che sostenerlo, potrai usare quei tuoi coltelli nel buio.”
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[size=2]Liberamente tratto da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan e da "Volpe Volante della Montagna Innevata" di Jin Yong[/size]
Al castello di Ra-Morij, luglio 75 Quarta Era
Quello che faccio lo faccio perché non ci sono alternative. E stavolta penso che non tornerò. Non c’è bisogno che muoiano anche quelli che mi circondano. In troppi sono già stati ammazzati in mio nome. Io non voglio morire, e farò di tutto perché non accada. Nei sogni si nascondono le bugie e la morte, ma vi si cela anche la verità
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Rugia , Regina di Morija
"Non c’era altro. Lasciò il messaggio sul letto, infilato sotto il cuscino” disse Rugia con voce tesa. “Prese alcuni dei vecchi abiti che i viaggiatori venuti dal Miredor avevano lasciato fuori ad asciugare, oltre al suo flauto e un cavallo. Nient’altro, a parte poche provviste. Nessuna delle sentinelle lo vide andare via, eppure avrebbero notato anche lo strisciare di un topo. Così scomparve Fei.”
“E a cosa sarebbe servito se lo avessero visto?” intervenne Tian Rengfen con calma. “Uno qualsiasi di loro avrebbe fermato l’uomo di Liara, o anche solo provato a farlo? Alcuni si sarebbero tagliati la gola se la regina o Fei glielo avessero chiesto. Fei era uno straniero ma aveva un grande ascendente su tua nonna, non erano congiunti ma lei aspettava …”
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Tian Rengfen
Rugia studiò Tian Rengfen con il capo piegato da un lato, e lui s’interruppe e dovette sforzarsi molto per non abbassare lo sguardo. “Questo forse non ha niente a che vedere con ciò di cui stiamo discutendo oggi”, rispose infine la donna.
Le spalle di Tian Quingwen si sollevarono in un silenzioso sospiro. “Mai far arrabbiare la regina” disse in un sussurro chiaramente inteso solo per sé, ma udibile a tutti. “Meglio abbracciare il sole che far arrabbiare la regina di Morija.”
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Tian Quingwen
Tian Rengfen corrugò preoccupato la fronte, con i lunghi baffi che tremavano leggermente. “Intendevo dire che il suo amore l’accecò, e lei lo seguì all'Ovest in maniera imprevidente. Forse non ha niente a che vedere con l’uomo che stai portando qui, ma forse …”
Ora fu Naerus a studiare Tian Rengfen. “Ti aspettavi qualcosa di diverso? Egli doveva diventare il suo principe; non avrebbe mai messo piede a Ra-Morij, se non fosse stato per Liara. Lei l’amava. Che cosa ti saresti aspettato da una donna innamorata?”
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Naerus , Re di Morija
L’uomo non parlò, e Rugia proseguì con maggior calma. “Tu ci credi, Tian Rengfen? Credi che davvero un figlio di Liara sia venuto alla luce lontano dalla sua terra? Oppure è solo qualcuno che puoi usare prima che i tuoi nemici lo sfruttino a loro vantaggio?”
“Calmati, Rugia” l’avvertì Naerus. “Sei troppo arrabbiata. Ciò che è accaduto non è colpa di Tian Rengfen, non fu colpa di nessuno, perché è parte del Disegno. I nemici di Rengfen sono i nostri nemici, e i nostri nemici sono nemici della famiglia Tian.”
“Mi calmerò quando mi fornirà una spiegazione. Allora, Tian?”
“Ciò che è stato è stato, Liara” rispose tagliente l’indovino. “Tu pensavi che il Disegno avrebbe costretto chi aveva il Sangue a intraprendere il percorso giusto prima o poi. E’ questo che sta accadendo, ed è quindi giusto ciò che hai fatto, o erano ignari, estranei al nostro destino, e stavano provando a vivere in pace? Io non ho visto nulla di ciò che tu avevi prospettato, non abbiamo nessuna certezza sul sangue degli Eshe. Stai affidando il destino della nostra terra a degli sconosciuti che non sono neppure della nostra razza. Un gruppo di improbabili avventurieri”
Per un momento, Tian Quingwen pensò che il vecchio indovino avesse esagerato. Gli occhi scuri di Rugia rilucevano di rabbia. Ma Rengfen rifiutò di arrendersi. “Allora, regina di Morija?”
Rugia trasse un profondo respiro. “Questi eventi potrebbero benissimo essere quelli prescelti dal Disegno. Non ne ho certezza, naturalmente. Però, dopo le notizie mandate da Dochin, non volevo che Arakhon andasse via da solo verso nord, verso le Terre Infuocate dove avrebbe certamente trovato la morte. Con tutto il potere che ha, è indifeso come un bambino sotto molti punti di vista, e altrettanto ignoranti riguardo al mondo sono i suoi compagni. E il Nemico lo ucciderà, se Arakhon lo inseguirà senza prepararsi. C’è così tanto che deve ancora apprendere. Lo hanno spinto a correre prima di insegnargli a camminare. E c’è la questione dell’ Eroe Khaled. Lal ne è sicura.”
“Tu spacchi un capello in quattro e semini false piste, Rugia”. Tian Rengfen sbuffò. “Se Arakhon è quello che dici, ti è mai venuto in mente che saprebbe meglio di te cosa deve fare?”
Tian Quingwen chiuse uno dei suoi ventagli, e parlò gesticolando con la mano. “Tutti noi, tutte le nostre vite influiscono su quelle degli altri, Rengfen. Per i Figli dell’Ovest, l’Esistenza è una Musica, creata da un dio, nata nel primo momento, che racchiude in sé l’essenza di tutto ed è di per sé compiuta; ciascuno ha un suo posto nella Musica e tutto è già deciso. Per noi, è una Trama, un Disegno, forse intessuto da un telaio, che si ripete, nel quale non c’è inizio e non c’è fine, ma tutto ha un inizio e una conclusione. Ciascuno di noi è libero ma mentre veniamo intessuti nel Disegno, i fili dell’esistenza di ognuno di noi tirano e muovono quelli delle vite che ci circondano. Per gli Eroi è lo stesso, ma loro sono molto, molto più forti. Muovono l’intero Disegno, almeno per un certo tempo, costringendolo a prendere forma attorno a loro. Più sei vicino a un Eroe, più ne sei influenzato personalmente. Si narrava che trovandosi nella stanza di Shimazu Hideie era possibile percepire il Disegno che cambiava attorno a lui. Non so se è vero, ma le Shenjin più anziane mi dicono di sì. La cosa non funziona in una sola direzione, però. Credi che Arakhon e Khaled siano degli Eroi, Rugia?”
“Di Khaled non so nulla. Arakhon è quel che è,” ripeté Rugia con fermezza, “non mi aspettavo che fosse lui a portare il Sangue a Morija. Ma devo mantenerlo in vita, se deve fare qualcosa, qualsiasi essa sia. Da morto non adempierà a nessuna profezia e, anche se riuscisse a evitare la progenie dell’Ombra, ci sono migliaia di altre mani pronte ad ammazzarlo, così com’è accaduto a quel buon Tarim e a Mutamin. E per loro è sufficiente anche solo un accenno alla centesima parte di ciò che lui potrebbe essere. Eppure, se dovesse affrontare solo questo, non mi preoccuperei così tanto. Bisogna tener conto di ciò che farà Alatar.”
Naerus trasalì; dal suo angolo, Tian Quingwen emise un lamento. “Alatar e i Reietti sono incatenati nell’Abisso”, iniziò a recitare Quingwen, ma la regina non le diede il tempo di finire.
“I sigilli si sono indeboliti, Quingwen. Ne ho la certezza, ormai. Alcuni si sono spezzati, ma il mondo ancora non lo sa. E non deve saperlo. Alatar non è libero. Non ancora. Ma con i sigilli che si indeboliscono sempre di più, egli può già manifestarsi e toccare la Vita e la Morte. Quale dei suoi Reietti potrebbe già essere tra noi?”
[size=2]Liberamente tratto da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan e da "Volpe Volante della Montagna Innevata" di Jin Yong[/size]
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Nei Domini Valdacli sudorientali, estate dell'anno 75
L’uomo che si faceva chiamare Ibal, almeno in quel luogo, sogghignò nell’ascoltare il basso mormorio che vagava nella sala dal soffitto a volta, simile allo starnazzare sommesso delle oche. La sua smorfia era però nascosta dal cappuccio color della notte che gli copriva il viso, uguale agli altri cappucci che nascondevano gli altri volti. Tanti cappucci scuri e tante paia d’occhi che cercavano di vedere chi vi si celasse dietro.
Se non la si guardava con troppa attenzione, la grande stanza poteva sembrare quella di un castello, con i suoi alti camini di pietra, le lampade dorate che pendevano dal soffitto, gli arazzi colorati e gli intricati motivi del mosaico sul pavimento. Se non la si guardava con troppa attenzione. Tanto per cominciare, i camini erano freddi. Le fiamme danzavano su ceppi spessi quanto la gamba di un uomo, ma non emanavano alcun calore. Le pareti dietro gli arazzi e l’alto soffitto sopra le lampade erano in pietra nuda, quasi nera. Non c’erano finestre, e la stanza aveva solamente due entrate, una a ogni estremità.
L’uomo che diceva di chiamarsi Ibal non aveva idea di cosa in realtà fosse quell’ambiente e credeva che nemmeno gli altri lo sapessero. Non gli piaceva pensare alle possibili risposte. Era stata sufficiente la chiamata. Non gli piaceva pensare nemmeno a questo, ma per chiamate del genere anche lui era costretto a muoversi.
Si sistemò meglio il mantello; tutti i suoi indumenti erano neri, e le pieghe voluminose nascondevano la posizione incurvata che assumeva per celare la propria altezza e corporatura. Non era il solo a essere avvolto in panni fin troppo larghi.
Studiò i suoi compagni, in silenzio. La pazienza aveva contraddistinto gran parte della sua vita. Di solito, se aspettava e osservava abbastanza a lungo, qualcuno alla fine commetteva un errore. Molti fra gli uomini in quella sala la pensavano probabilmente allo stesso modo: osservavano e ascoltavano in silenzio quelli che si sentivano costretti a parlare. Alcuni non erano in grado di sopportare l’attesa o il silenzio, così dicevano più di quel che dovevano.
Un giovane vestito di blu stava vicino alla porta, accanto a un tavolo sul quale erano appoggiate delle coppe di vino. Lui ne prese una, pur non avendo intenzione di bere: altri l’avevano accettata, e un rifiuto avrebbe potuto essere interpretato come un segno di sfiducia, e in quel luogo le conseguenze potevano essere sempre mortali; tuttavia, in una coppa era possibile versare di nascosto qualsiasi cosa. Ibal si chiese distrattamente se era necessario uccidere i giovani dopo l’incontro. ‘I servitori origliano sempre’, pensò. Mentre il ragazzo si raddrizzava da un inchino, lui ne colse lo sguardo. Occhi assenti. Vuoti. Occhi più morti della morte. Rabbrividì, e si portò la coppa alle labbra quasi senza rendersene conto. A terrorizzarlo non era ciò che era stato fatto al giovane. Si era reso conto di come, ogni volta che credeva di aver identificato una debolezza in quelli che adesso erano i suoi padroni, si ritrovava disilluso: la presunta debolezza era stata già eliminata con una spietata precisione che lo lasciava sbalordito. E preoccupato. La regola principale della sua vita era sempre stata quella di cercare le debolezze altrui, poiché rappresentavano fessure dalle quali poteva sondare, curiosare e insinuarsi. Se i suoi attuali padroni, padroni almeno per il momento, non avevano punti deboli …
Aggrottando le sopracciglia sotto il cappuccio, riprese a studiare i suoi compagni. Almeno tra questi poteva scorgere parecchie debolezze. Il nervosismo li tradiva, anche quelli che erano abbastanza sensati da tenere a freno la lingua: un uomo che se ne stava troppo rigido, un altro che si sistemava il mantello con gesti troppo bruschi. All’improvviso socchiuse gli occhi e concentrò lo sguardo su uno sconosciuto avviluppato in una veste nera che non mostrava altro che le dita. Alla mano destra spiccava un anello d’oro a forma di serpente che si morde la coda. Distolse lo sguardo prima che lui potesse accorgersi di essere osservato.
Si udì un rintocco, una gelida nota solitaria che proveniva contemporaneamente da tutte le direzioni e recise tutti gli altri suoni come se fosse una lama.
Le alte porte in fondo alla sala si spalancarono, ed entrarono, con passo lento, inumano, due alte figure completamente coperte da un’armatura da battaglia; il viso completamente nascosto da un mostruoso elmo, l’armatura coperta da una cotta di maglia chiodata che arrivava fino alle ginocchia. Tutti indietreggiarono, anche l’uomo che si faceva chiamare Ibal.
Ignorando gli uomini nella sala, le due creature si girarono indietro verso la porta e s’inchinarono, servili. Una terza figura, spettrale, passò in mezzo a loro, che scesero in ginocchio. Era vestito di un nero che faceva sembrare chiaro il colore dei cappucci dei convenuti.
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I suoi abiti pendevano immobili, senza pieghe, mentre l’essere, i lineamenti levigati di un Elfo ma senza pelle e senza occhi, il teschio orribile avvolto da fiamme azzurrognole, si muoveva con la grazia di una vipera.
[size=2]Liberamente tratto da "La Grande Caccia" di Robert Jordan[/size]
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Oltre il Grande Harad settentrionale, estate dell'anno 75
“Allora!”
La voce, alta nei toni, era lieve come il rumore delle porte che scorrevano nelle loro guide. “Voi non siete chi mi aspettavo di vedere.”
Per un breve istante, Ba lo fissò. L’uomo alto con i baffi che era entrato indossava una lunga veste con lo strascico, e le sue unghie erano così lunghe che Ba si chiese se riuscisse a maneggiare qualcosa. I due uomini ossequiosamente in piedi alle sue spalle avevano solo metà dei capelli scuri rasati, il resto pendeva in una treccia sulla loro guancia destra. Uno di loro cullava fra le braccia una spada nel suo fodero.
Ebbero solo un momento per guardarli, poi i paraventi caddero per rivelare, alle due estremità della stanza, due ingressi con quattro o cinque guerrieri Easterling a capo scoperto ma in armatura, e con le spade sguainate.
“Siete alla presenza di Oyugun” iniziò a dire l’uomo che portava la spada, guardando con astio Ba, Abit e gli altri, ma il breve movimento di un’unghia laccata di rosso lo fece smettere. L’altro servitore si fece avanti con un inchino, e cominciò a sfilare il soprabito di Oyugun.
“Quando una delle mie guardie è stata trovata morta,” disse calmo l’uomo dalla testa rasata “ho sospettato del tizio che si fa chiamare Saed. Non mi sono fidato di voi, e poi avete chiesto troppe cose …” Mise infuori le braccia per consentire al servitore di sfilargli la veste. Malgrado la sua voce delicata, quasi musicale, muscoli duri gli scolpivano le braccia e il liscio torace, nudo fino all’alta cintura viola che reggeva dei pantaloni che sembravano fatti di centinaia di pieghette. Sembrava disinteressato e indifferente alle armi nelle loro mani. “E adesso mi ritrovo con degli estranei che vogliono rubare nella mia casa. Mi farà piacere uccidere uno o due di voi, per aver disturbato la mia mattinata. Chi sopravvivrà mi dirà chi siete e perché siete venuti”. Allungò una mano senza guardare; l’uomo con la spada nel fodero gli poggiò l’impugnatura nel palmo, e Oyugun snudò la lama ricurva. “Non permetterò che le Pergamene di Alashan vengano lette.”
Oyugun non fece altri segnali, ma uno dei guerrieri avanzò nella sala e si allungò per prendere i rotoli. Ba non sapeva se doveva mettersi a ridere oppure no. L’uomo indossava l’armatura, ma il suo volto arrogante sembrava ignorare le loro armi come aveva fatto il suo signore.
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Abit pose fine al tutto. Quando l’Easterling allungò la mano, lei la squarciò usando la spada dall’elsa nera. Imprecando, il guerriero balzò indietro, sembrando sorpreso. Poi cominciò a gridare. Il suo urlo raggelò la stanza, facendo restare tutti immobili al loro posto, meravigliati. La mano tremante che l’uomo si portò al viso stava diventando nera, l’oscurità strisciava dal taglio sanguinante che gli attraversava il palmo. Il soldato spalancò la bocca e si lamentò, afferrandosi il braccio, poi la spalla. Scalciando e dimenandosi, cadde a terra, agitandosi sul tappeto di seta, strillando mentre il viso gli diventava nero. Si contorse, strozzandosi alla ricerca d’aria, sbatté a terra i talloni, poi smise di muoversi.
Ba si mosse, passandosi le dita sulla barba appuntita e levigata, e parve soppesarli tutti, tutti uno a uno. “Come vedi” disse in tono pacato “non siamo una facile preda”. Un brivido serpeggiò palese tra i presenti, sotto lo sguardo di Abit. La minaccia della sua spada li spinse a disporsi in semicerchio verso la porta.
La voce di Ba era raschiante come la pelle secca di un serpente quando si sbriciola. “Verrà presto il giorno in cui il Signore della Tenebra tornerà fra noi. Egli sceglierà i suoi servi, e voi dovrete farvi piccoli di fronte a lui. Dovrete farvi piccoli di fronte a me! Sulla pancia, vermi! Strisciate, affinché il suo splendore non vi bruci!”
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Nel Golfo di Ormal, verso Morija, estate dell'anno 75
Ciò che vide non poteva essere lì, a meno che non si fosse sollevata a mezz’aria. Non riusciva a vedere nulla di sé stessa, come se fosse incorporea; quel pensiero le annodò lo stomaco. Ma sotto di sé, chiari come se fossero illuminati da mille lanterne, si dispiegava una lunga serie di specchi, che sembravano sospesi nell’oscurità, ma piatti come se fossero appoggiati su un enorme pavimento. Si estendevano a perdita d’occhio in ogni direzione, ma proprio sotto i suoi piedi c’era uno spazio vuoto. Con delle figure. All’improvviso riuscì a distinguere le voci, come se si fosse trovata in mezzo a loro.
“Sommo Signore,” mormorò uno degli uomini, “dove mi trovo?” Si guardò attorno una volta, trasalendo nel vedere la propria immagine riflessa migliaia di volte, quindi tenne lo sguardo dritto davanti a sé. Gli altri accalcati attorno a lui sembravano ancora più spaventati. “Stavo dormendo a Ròmollò, Sommo Signore. Io sto dormendo a Ròmollò! Dove mi trovo? Sono impazzito?”
Alcuni degli uomini intorno a lui indossavano delle giacche elaborate, coperte di ricami, altri invece portavano abiti più semplici, mentre altri ancora sembravano nudi.
“Anch’io sto dormendo” quasi urlò uno degli uomini. “A Parga. Ricordo di essermi messo a letto con mia moglie!”
“E io sto dormendo a Igawa” disse tremante un uomo che indossava una lunga veste rossa e oro. “So che sto dormendo, ma non può essere. So che sto sognando, ma questo è impossibile. Dove mi trovo, Sommo Signore? Sei davvero venuto da me?”
La figura che li fronteggiava era vestita di nero, con merletti argentati che spuntavano dal colletto e dalle maniche. Di tanto in tanto si portava le mani, avvolte da guanti, al torace, come se gli dolesse. Laggiù c’era luce ovunque, proveniente dal nulla, ma egli, che si trovava sotto Egaewe, sembrava ammantato d’ombra. L’oscurità gli ondeggiava attorno, carezzandolo.
“Silenzio!”
La figura non parlava ad alta voce, ma non ne aveva bisogno. Nel pronunciare quella parola aveva alzato la testa; gli occhi e la bocca erano voragini aperte nel fuoco infuriato di una fornace, solo fiamme e bagliore ardente.
In quel momento, Egaewe, pur sapendo di non averlo mai incontrato, lo riconobbe. L’Elfo.
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Stava fissando colui che era diventato la Voce di Alatar, in persona. La paura la travolse e la inchiodò. Sarebbe fuggita, ma non sapeva come fare e non si sentiva i piedi. L’anello che teneva nel petto, appeso alla catena, si mosse fra i suoi seni; lei lo prese fra le mani e lo strinse forte. Qualcosa di reale. Qualcosa di più reale, sperò, di ciò che stava vedendo. Ma sapeva che erano reali entrambe le cose.
Gli uomini accalcati si rannicchiarono; solo uno, il viso avvolto in un cappuccio rosso, rimase in piedi. Ba Zalarit.
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“Vi sono stati assegnati degli incarichi,” disse l’Elfo. “Alcuni li avete portati a termine. In altri avete fallito”. Di tanto in tanto la bocca e gli occhi si trasformavano di nuovo in fiamme, e gli specchi rilucevano di fuochi riflessi. “Quelli che sono stati contrassegnati col marchio della morte devono morire. Quelli che sono stati contrassegnati con il marchio della cattura devono inchinarsi a me, e servire il Maestro e il Fuoco Segreto. Chi delude il Maestro, chi delude lo Stregone Blu non può essere perdonato”. La fiamma brillò nei suoi occhi; Ba chinò leggermente la testa e s’inginocchiò. L’oscurità circostante ondeggiò e turbinò. “Tu.” Il dito dell’Elfo indicò l’uomo che aveva parlato di Ròmollò, un uomo vestito da mercante, semplici abiti di tessuto della migliore qualità. Gli altri si allontanarono da lui come se avesse la febbre della rabbia nera, lasciandolo solo a tremare di paura. “Hai lasciato che i Valdacli scoprissero troppe cose.”
L’uomo gridò e iniziò a tremare come una lima sbattuta su un incudine. Sembrò diventare incorporeo, e le sue grida si assottigliarono con lui.
“State sognando tutti,” disse l’Elfo “ma ciò che accade in questo sogno è reale”.
L’uomo che si stava rimpicciolendo ormai era solo un fascio di nebbia che somigliava a un essere umano, le sue grida erano distanti, e poi anche la nebbia si dissolse. “Temo che non si sveglierà mai più”. L’Elfo rise, e dalla bocca ruggirono le fiamme. “Questa è la magia del Maestro. Questa e anche altre. Non mi deluderete ancora. Andatevene! Svegliatevi e obbedite!”
Gli uomini svanirono, e Ba con loro. Per un momento l’Elfo rimase da solo, quindi all’improvviso apparve una donna, no, un altro Elfo, una femmina, vestita di nero e argento. Egaewe fu scossa dall’emozione. Non avrebbe mai potuto dimenticare una donna così bella. Le erano già apparse in sogno, non lei ma altre come lei, spronandola a cercare la verità e la Luce.
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“Si”, disse l’Elfo. “Ti ho sentita. Ti avevo già sentita camminare fra gli Uomini, Elfo Scuro. Nelle terre dei Valdacli.”
Alle spalle della donna apparve un elegante trono d’argento, dove lei si accomodò, sistemandosi con cura la gonna di seta. “Usi liberamente il mio regno”, disse.
“Il tuo regno?” chiese l’Elfo. “Ritieni quindi che sia tuo? Non sei più al servizio del Sommo Signore Melkor?”L’oscurità che lo circondava si addensò per un momento, parve ribollire.
“Io servo” rispose la donna velocemente. “Ho servito a lungo la mia regina e il Signore del Crepuscolo. A lungo sono rimasta ad aspettare, imprigionata per i miei servigi, in un infinita vita senza sogni. Solo agli Spettri dell’Anello è negato sognare, e ai demoni senza coscienza di Arda. Persino i Troll possono. Prima potevo usare i sogni degli Uomini, potevo viaggiare in essi. Adesso sono di nuovo libera, e userò ciò che è mio.”
“Ciò che è tuo” disse l’Elfo. L’oscurità che turbinava intorno a lui parve quasi divertita. “Ti sei sempre considerata più potente di quanto tu non sia, Maité. Quale orribile scherzo della sorte ritrovarsi qui, noi due.”
La donna in nero era in piedi, e il trono era scomparso. “Io -sono- potente, Fuinur. Guardati. A cosa hanno portato i tuoi piani? La morte e la perdita di ogni speranza. Mille e mille e mille e più anni di sussurri, manovrando i fili di burattini incoronati, eppure tutto è finito. Anche per causa tua. Incapace, Ardaniel è morta davanti ai tuoi occhi e lei era l'ultima. Come atto finale di codardia, non sei stato capace di piegare Alatar, quando l’hai incontrato! Ardor sarà nostra di nuovo, ma tu ne sarai escluso!”
“Servi te stessa ora, Maité?” La voce dell’Elfo era gentile, ma le fiamme gli ardevano costanti negli occhi e nella bocca. “Hai abbandonato i giuramenti prestati al Sommo Signore Melkor?”
Per un istante l’oscurità quasi lo nascose, si vedevano solo le fiamme ardenti. “Non sono così facili da rompere come quelli prestati alla Luce che abbiamo rinnegato riconoscendo i nostri nuovi padroni. Il tuo padrone vuole che tu sia sua per sempre, Maité; neppure il potere di Rilia ti aiuterà, neppure lei potrà romperli. Sì, prima che tu me lo chieda: io so. Cadrà come noi, perché anche lei ha giurato. Continuerai a servire, o preferisci un’eternità di dolore, di morte eterna senza sollievo?”
“Io servo.” Malgrado le parole dell’Elfo, la donna rimase dritta, con un atteggiamento di sfida. “Servo il Sommo Signore Melkor e nessun altro. Per sempre!”
La serie infinita di specchi cominciò a svanire, come ricoperta da ondate nere, sempre più vicine al centro. La marea travolse l’Elfo e la donna. Ci fu solo oscurità.
[size=2]Liberamente tratto da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan[/size]
[SIZE=2]A Tul Harar, nel Grande Harad, estate dell'anno 75[/SIZE]
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[SIZE=2]Zenaran andò alla finestra ad arco e guardò dal balcone il giardino sottostante, con le mani saldamente giunte dietro la schiena. [/SIZE]
[SIZE=2]Thabaya rivolse a Muzabar uno sguardo incerto – incerto la metà di quello del Valdaclo – quindi inspirò profondamente; la donna aveva oltremodo offeso Zayed, con il suo comportamento, e certamente avrebbero tutti ricevuto ulteriori punizioni. Si avviò energico verso il potente principe, per rendergli omaggio e rinnegare la straniera; in quel momento Zayed si alzò, avviandosi energico verso il tavolo e il campanello che chiamava gli inservienti e le guardie, poi si sedette di nuovo allo scrittoio accanto, poi parve di nuovo non aver fretta. O diventare più insicuro.[/SIZE]
[SIZE=2]Vedere Zayed incerto fece chiudere lo stomaco di Thabaya. Il principe era sempre sicuro, sempre serenamente concentrato sul suo cammino. Zayed era la forza in persona. Per quanto fossero forti le altre famiglie di Tul Harar, l’uomo dall’altro lato dello scrittoio aveva una conoscenza e un’esperienza tali da poterle rigirare fra le mani a suo piacimento. Vederlo vacillare all’improvviso – come un ragazzo che sapeva di doversi tuffare di testa da una scogliera senza sapere quanto il mare fosse profondo, o se ci fossero rocce o fango sul fondale – fece tremare Thabaya fin nel suo animo. ‘Chi è questa donna?’ , si chiese. ‘Che cosa ha intenzione di fare?’[/SIZE]
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[SIZE=2]Tamburellando con le dita su una scatola d’ebano intagliata sulla scrittoio davanti a sé, Zayed fissò quell’oggetto come se stesse guardando qualcosa che si trovava oltre.[/SIZE]
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[SIZE=2]Muzabar cambiò posizione, a disagio. Quanto sapeva Zenaran? Non era certo il tipo di domanda che potesse rivolgerle, non a lei e di fronte al principe Zayed. E quanto sapeva Zayed? Rimase in silenzio. [/SIZE]
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[SIZE=2]Passò diverso tempo prima che Zenaran continuasse, sempre girata di spalle.[/SIZE]
[SIZE=2]“Solo due si fecero avanti; Curumo e Alatar. Curumo fu scelto da Aulë, il Creatore, fra i suoi Maiar e Alatar fu mandato da Oromë, Vala della Caccia. Manw[COLOR=black]ë allora chiese dove fosse Olórin, e Olórin, che era appena ritornato da un viaggio e giunto all’assemblea, domandò che cosa egli volesse da lui, e Manwë disse che desiderava che egli andasse come terzo nella Terra di Mezzo. Olórin rispose che egli si riteneva troppo debole per una simile impresa e che aveva paura di Sauron. Allora Manw[/COLOR]ë disse che questa era una ragione di più perché egli andasse e gli comandò di essere il terzo. A questo punto Varda interruppe e disse: “Non come il terzo”.[/SIZE]
[I][SIZE=2][COLOR=green]Chi potrà opporsi alla sua venuta?[/SIZE][/I][/COLOR]
[SIZE=2][COLOR=green][I]Le Mura Lucenti si dovranno inginocchiare. L’Eroe è solo. Offre in sacrificio i propri amici[/SIZE][/I][/COLOR]
[SIZE=2][COLOR=green][I]Due le strade davanti a lui, una per la morte al di là della vita, una per la vita oltre la morte[/SIZE][/I][/COLOR]
[I][SIZE=2][COLOR=green]Quale sceglierà? Qual è la mano che protegge? Qual è la mano che uccide?[/SIZE][/I][/COLOR]
[I][SIZE=2][COLOR=green]L’Eroe giunse alle montagne del Destino. L’Oscuro l’attese negli alti passi.[/SIZE][/I][/COLOR]
[SIZE=2][COLOR=green][I]Uno visse e uno morì, ma entrambi esistono[/SIZE][/I][/COLOR]
[SIZE=2][COLOR=green][I]La caccia è ora iniziata. Le Sentinelle aspettano. Il tempo del Cambiamento è giunto[/SIZE][/I][/COLOR]
[I][SIZE=2][COLOR=green]Sangue è, sangue era e sempre sangue sarà[/SIZE][/I][/COLOR]
[SIZE=2]Quando Zenaran finì ci fu un lungo silenzio.[/SIZE]
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[SIZE=2]Poi Zayed chiese: “Chi altro ha udito questa profezia, donna? Chi ne è al corrente?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Solo Azrabeth, la più anziana di noi", rispose Zenaran. "Non appena Ar-Venie l’ebbe letta, Azrabeth ordinò di cancellarla dalla Fonte. Nessuno di noi fece domande; eravamo tutti impazienti di liberarci di quei segni oscuri e delle rune del Male.”[/SIZE]
[SIZE=2]Zayed annuì. “Bene. Non c’è bisogno di preoccupazioni aggiuntive. Ne abbiamo già abbastanza. Che cosa ne pensi?” chiese poi a Sudhir con cautela. “Credi ci sia verità in quelle parole?”[/SIZE]
[SIZE=2]L'uomo inclinò il capo di lato, guardando pensieroso i mosaici sul pavimento. [/SIZE]
[SIZE=2]“E’ possibile. Ha la forma di alcune delle poche profezie oscure che conosciamo. E alcune parti sono abbastanza chiare. Si, credo che abbia a che fare con il Fuoco Segreto.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Zenaran sospirò.[/SIZE]
[SIZE=2]“La potente Eshe Far", disse, "la donna che ha avviato molti dei commerci di cui siete fieri, ricevette, quattro anni fa, un messaggero proveniente da Same, una remota e misera colonia dei Domini Valdacli. Questa colonia, per la sua lontananza dalla corte di Valandor Hamina, ospitava molti fuggiaschi invisi al reggente stesso e timorosi di Gondor. Alcuni di loro temevano la forza del braccio di re Elessar; altri tremavano al pensiero della sua purezza. [/SIZE]
[SIZE=2]Il messaggero, Narca Nivan, un uomo di lettere, chiedeva aiuto; implorava l’assistenza di Ostelor per il suo popolo, impegnato in una ribellione contro Nurmi, un tiranno di bassa levatura eppure molto ricco. Ma desiderava anche consiglio, perché un antico libro contenente misteriose profezie era capitato nelle sue mani ed egli sapeva che Nurmi, con l’aiuto di Ahnta Faris, capitano mercenario, lo stava cercando. Ahnta era figlia illegittima di Eshe Far; udito il nome di Ahnta, Far ordinò ad Ar-Venie di mandare una spedizione comandata dal fratello verso le terre di Narca e di riportarla a casa. [/SIZE]
[SIZE=2]La spedizione non ebbe buon esito, ma i racconti di eserciti di morti viventi e di vestigia di una misteriosa civiltà detta del 'Popolo Che Non Sogna', uniti alla morte della madre, malata da tempo, ma spentasi improvvisamente dopo aver ricevuto quelle notizie, diedero ad Ar-Venie la certezza che qualcosa di legato alle profezie ritrovate da Narca stava accadendo e che doveva agire. [/SIZE]
[SIZE=2]Ar-Venie era una donna molto intelligente, ma orgogliosa e solitaria. Prima cercò di indagare con le sue sole forze, mandando la sua serva, Tara, nel Grande Harad; poi, quando eventi più grandi di lei la travolsero, Ar-Venie allontanò sia Tara che il fratello Arakhon, probabilmente per metterli al sicuro. Questo salvò Arakhon, ma lei rimase sola a Ostelor, con pochi amici; altri scritti arcani furono ritrovati nella casa degli Eshe, ignoti cultisti tentarono di rubarli e poi di ucciderla. [/SIZE]
[SIZE=2]Ar-Venie si fidò del suo giovane amante Imrazor e di Artagora, Legato di Hathor, un sapiente che aveva partecipato al viaggio di Arakhon nella colonia di Same. Aveva avuto da fanciulla un legame con noi, e, per quanta violenza potesse fare a sé stessa nel tentativo di cancellarlo, il ricordo emerse nel momento in cui i dubbi sulla natura di ciò che stava accadendo attorno a lei si fecero più forti. Quando comprese che il Male originatosi da Morgoth, il Nemico del Mondo, minacciava ancora le genti libere all’Est e nelle terre dei Valdacli, ebbe paura e ricorse a noi prima attraverso Artagora e poi tramite Sha Bla Tiedra, un suo fiduciario. [/SIZE]
[SIZE=2]Chiese di poter incontrare Azrabeth. Perché sapeva che Azrabeth aveva conosciuto Shakor Belechael, e il libro di Narca era appartenuto proprio a Shakor; perché aveva scoperto che Ahnta serviva Zalarit e il Fuoco Segreto, e che il sangue degli Eshe era importante. Fu Ar-Venie stessa a raccontare di questi avvenimenti ad Azrabeth; accadde nel marzo di quest’anno. [/SIZE]
[SIZE=2]Il Fuoco Segreto; secondo alcuni, i più potenti fra i Reietti che ancora adorano Sauron e che si sono tenuti nascosti dopo la caduta di Mordor. Un ordine segreto del Grande Harad; l’ordine che temete, Zayed, e contro il quale pensate di marciare. Troppo poche tracce sono rimaste di loro perché si possano avere certezze, e la vostra marcia è una scelta pericolosa; il loro maestro, però, viene chiamato ‘Traditore Della Speranza’ da chi vive nella terra dei Due Fiumi. E questo lo sapete molto bene, perché vi è stato detto da Egaewe, la Sapiente che avete rifiutato, finora, di farmi incontrare.”[/SIZE]
[SIZE=2]Nei mari delle Colonie Orientali dei Valdacli, estate dell'anno 75[/SIZE]
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[COLOR=navy]Cuduma[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]Appoggiato alla murata della nave, Cuduma guardava Aringil, cinta da difese di legno, con il suo porto e il mercato sul mare che si avvicinavano sempre di più mentre i rematori portavano il "Gabbiano Grigio" verso i lunghi moli incatramati. Brulicavano di gente, e altre persone stavano scendendo dalle navi di diverse dimensioni che erano lì ormeggiate. Alcune di queste persone spingevano carriole, trainavano slitte tutte piene di fagotti e con casse ben legate; altre portavano i carichi in spalla. Non tutti erano affaccendati. Parecchi tra uomini e donne erano raggruppati, incerti, con bambini attaccati alle gambe. Molti bambini piangevano. I soldati con le giubbe rosse e i rilucenti pettorali di metallo cercavano di farli muovere dai moli verso la città, ma i più sembravano troppo spaventati per muoversi.[/SIZE]
[SIZE=2]Cuduma si voltò e si protesse gli occhi con una mano per guardare verso ovest. La terra che aveva lasciato. C’era molta attività, sul mare di Erinin, più di quanto ne aveva vista a sud di Arpel, con quasi una dozzina di vascelli in movimento, che variavano da lunghe imbarcazioni haradane dalla poppa affusolata che sfrecciavano a nordovest, verso Koros, sospinte da vele triangolari, a grosse navi valdacle dall’ampia prua e le vele squadrate, che procedevano lente verso Ormal.[/SIZE]
[SIZE=2]Tuttavia, quasi la metà delle navi che riusciva a vedere non aveva nulla a che fare con il commercio. Due dromoni da guerra dai grossi alberi con il ponte vuoto ingombravano il molo più grande, mentre altre tre imbarcazioni manovravano per attraccare, con le persone stipate sui ponti come sardine in un barile. Il sole al tramonto, quasi poggiato sulla linea dell’orizzonte, metteva in ombra la bandiera che sventolava sopra il forte. Quell’isola apparteneva ai Valdacli, ma Cuduma non aveva bisogno di vedere la bandiera per sapere che era un Leone Mumakano. Aveva sentito chiacchiere a sufficienza nei pochi villaggi dove il "Gabbiano Grigio" aveva effettuato brevi scali.[/SIZE]
[SIZE=2]Scosse il capo. La politica, alla fine, non gli interessava. ‘Purché non provino a dirmi di nuovo che sono dei loro solo per via della mia pelle’ , pensò. ‘Che io sia maledetto, potrebbero anche provare a farmi combattere nel loro schifoso esercito, se questa faccenda di Ostelor … ‘ . Con un senso di fastidio, riportò l’attenzione su Aringil. Gli uomini scalzi a bordo del Gabbiano stavano preparando le gomene da lanciare sui moli.[/SIZE]
[SIZE=2]Il capitano Mallia stava osservando Cuduma da dietro, accanto al timone. Non si era mai arreso nel tentativo di ingraziarseli, di scoprire quale fosse la loro missione importante. Alla fine Curloer gli aveva mostrato la lettera sigillata e gli aveva spiegato che la stava andando a consegnare al signor di Andalonil per conto della moglie Paraphion. Un messaggio personale, niente di più; notizie sul suo stato e sulla prossima nascita di un erede. Ma Mallia pareva avesse sentito solo le parole “signor di Andalonil”.[/SIZE]
[SIZE=2]Cuduma rise tra sé. Una tasca ben nascosta nella giubba conteneva due sacchetti pieni di gemme e aveva abbastanza monete d’oro sparse da riempirne altri due, forse di più. La fortuna gli era stata straordinariamente favorevole da quella prima strana notte, quando i guardiani del porto e tutto il resto sembravano impazziti, ed era ancora dalla sua parte. Dopo la terza notte, Mallia aveva smesso di dimostrare la sua amicizia giocando d’azzardo, ma ormai il suo forziere era già stato alleggerito di parecchio. Lo sarebbe stato anche di più dopo la sosta ad Aringil. Il capitano doveva comperare altre provviste – Cuduma lanciò un’occhiata alla gente che si muoveva sui moli – se ci fosse riuscito, e chissà a che prezzo.[/SIZE]
[SIZE=2]Il sorriso svanì dalle sue labbra quando riportò il pensiero sulla lettera di Curloer. Una lama di coltello riscaldata gli aveva permesso di sollevare il sigillo con il giglio dorato. Non aveva scoperto nulla. Paraphion era ancora a Ostelor, stava bene; la gravidanza faceva progressi e la donzella era impaziente di partorire. Era una moglie rispettosa e la governante l’aveva rimproverata perché aveva voluto lavorare assieme ai servi ordinandole di non farlo mai più, così il marito avrebbe capito perché non poteva aggiungere altro. Raccontava anche che Yamo Nindamos era sicuramente prigioniero e che probabilmente lo era anche Telumethar Fuindil. Andalonil non doveva preoccuparsi, ma Paraphion sarebbe stata contenta del suo ritorno a Ostelor e si augurava che tornasse presto con tanti uomini armati, per portare soccorso alla città.[/SIZE]
[SIZE=2]Era una bella cosa che Paraphion dicesse al marito di non preoccuparsi. E intanto Andalonil era al sicuro, e le vicende della guerra avevano cacciato lui, Cuduma, in una pentola bollente. Quella stupida lettera probabilmente era il motivo per cui quegli uomini li stavano inseguendo, ma da Min Curloer non aveva ricavato niente, anche se una sera che aveva bevuto e pianto per la sua Ar-Venie aveva borbottato qualcosa riguardo a ‘messaggi cifrati’ , ‘codici’ , ‘Belechael’ e ‘il gioco delle casate’, finendo con un ‘il male viene da est’.[/SIZE]
[SIZE=2]Cuduma aveva rimesso al sicuro la lettera dentro la fodera della giubba di Curloer, con il sigillo di nuovo a posto, ed era pronto a scommettere che nessuno se ne sarebbe mai accorto. Se qualcuno la voleva così tanto da cercare di ucciderlo per prenderla, forse ci avrebbero provato ancora. ‘Ti ho detto che ti avrei aiutato, Curloer, e lo farò, maledizione, non importa chi cerca di fermarci’, pensò. Ciò nonostante, avrebbe scambiato due parole con quell’irritante Yasini la prossima volta che l’avrebbe incontrato. Parole che di sicuro lui non avrebbe gradito. ‘Se mai l’incontrerò …’[/SIZE]
[SIZE=2]Mentre i marinai lanciavano le gomene sul molo, Min Curloer salì sul ponte, con il fagotto in spalla e alcuni rotoli in mano. Anche zoppicante, si pavoneggiava sul ponte mentre si avvicinava al parapetto. “Non sta guardando nessuno, Curloer” gli fece notare Cuduma. “E non penso che nessuno farebbe caso a te, a meno che tu non avessi da mangiare in mano.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Curloer fissò le banchine. “Dei del cielo. Avevo sentito che la situazione era brutta, ma questo non me lo aspettavo! Povera gente. La metà di loro sembra morire di fame. Una stanza per stanotte ci potrebbe costare una delle tue borse. E l’altra per un pasto.”[/SIZE]
[SIZE=2]Cuduma si limitò a sorridergli. [/SIZE]
[SIZE=2]“Così mi lascerete qui” disse a Cuduma il capitano. Il sorriso di Umar Mallia non era più pronto come una volta. “Siete sicuri che non ci sia nulla che io possa fare per aiutarvi ancora? Che la mia anima incenerisca, non ho mai visto una tale marmaglia! Questi soldati dovrebbero ripulire i moli. Con le spade, se necessario. Così commercianti per bene come voi potrebbero condurre i loro affari. Forse possiamo aprirvi un varco fra questa feccia fino alla vostra locanda.”[/SIZE]
[SIZE=2]‘In modo che tu sappia dove ci siamo fermati? Non in questa vita’ , si disse Cuduma. “Avevo pensato di mangiare qualcosa prima di scendere a terra, Mallia, e magari giocare un po’ a dadi per passare il tempo”. Mallia impallidì. “Tuttavia preferirei avere un terreno fermo sotto i piedi per il prossimo pasto. E così ti lasceremo ora, capitano. E’ stato un viaggio molto piacevole.”[/SIZE]
[SIZE=2]Mentre il sollievo ancora combatteva con la costernazione sul viso di Mallia, Cuduma raccolse le sue cose dal ponte e, usando il bastone da combattimento come uno da passeggio, si avviò verso la passerella assieme a Curloer. Il capitano dalla barba a punta li seguì fino alla murata, mormorando di rimpiangere la loro partenza, cosa che era sia vera sia falsa. Cuduma era certo che quell’uomo detestava l’idea di perdere l’occasione per entrare nelle grazie dei suoi Sommi Signori mumakani scoprendo i dettagli di un piano per soccorrere Ostelor dalle Colonie Orientali.[/SIZE]
[SIZE=2]Mentre Cuduma e Curloer si aprivano un varco in mezzo alla folla, Curloer borbottò, “So che quell’uomo è ben lungi dall’essere gradevole, ma perché continui a prenderti gioco di lui? Non ti è bastato svuotargli le riserve che gli sarebbero dovute durare fino alla prossima primavera?”[/SIZE]
[SIZE=2]In mezzo a tutti quei volti incavati, molti dei quali erano di bambini, il ricordo non sembrava più tanto divertente. [/SIZE]
[SIZE=2]“Mallia merita di essere preso a calci. Che mi dici di quella nave incontrata ieri? Quella che era incagliata su un banco di fango o chissà cosa? Si sarebbe potuto fermare per aiutarli, ma non si è voluto avvicinare per quanto quelli gridassero”. C’era una donna con dei lunghi capelli neri davanti a loro che avrebbe potuto essere graziosa se non avesse avuto quell’aspetto così esausto; scrutava ogni volto, come se stesse cercando qualcuno, e un ragazzino che le superava di poco la vita e due bambine più piccole le stavano attaccati, piangendo tutti e tre. “Tutte quelle chiacchiere sui pirati di Ormal e le trappole. A me non sembrava per niente una trappola.”[/SIZE]
[SIZE=2]Curloer schivò un carretto con le ruote molto alte – una gabbia nella quale grugnivano due maiali era ben legata sopra un oggetto indistinto coperto da un telo – e quasi inciampò in un secondo carro trainato da un uomo e una donna. “Invece tu lasci sempre la tua strada per aiutare le gente, vero? Strano, eppure non lo avevo notato.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Aiuterò chiunque sia in grado di pagarmi” rispose Cuduma con fermezza. “Solo gli sciocchi nelle storie fanno qualcosa per nulla.”[/SIZE]
[SIZE=2]Le due bambine singhiozzavano sulla gonna della madre mentre il ragazzino combatteva contro le lacrime. Gli occhi infossati della donna si soffermarono per un momento su Cuduma a studiarne il volto prima di distogliere lo sguardo; sembrava che anche lei avrebbe voluto piangere. D’impulso, Cuduma prese una manciata di monete dalla tasca senza controllarne il taglio e le infilò in mano alla donna. Lei sobbalzò, sorpresa, fissò l’oro e l’argento che aveva in mano con uno sbigottimento che mutò presto in un sorriso e aprì la bocca mentre le lacrime di gratitudine le riempivano gli occhi.[/SIZE]
[SIZE=2]“Compragli qualcosa da mangiare” disse rapido Cuduma, e proseguì prima che quella potesse parlare. Notò che Curloer lo stava guardando. “Che hai da fissarmi a quel modo? Le monete le posso guadagnare facilmente, se riesco a trovare qualcuno che vuole giocare a dadi”. Curloer annuì lentamente, ma Cuduma non era sicuro che avesse capito davvero. “Quei maledetti bambini frignanti mi stavano facendo innervosire, tutto qua”, disse Cuduma. ‘ Adesso questo stupido si aspetterà di vedermi distribuire monete a ogni derelitto che incroceremo. Sciocco! ‘ [/SIZE]
[SIZE=2]Per uno sgradevole momento, non fu certo se l’insulto era rivolto a Curloer o a sé stesso.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Scopriremo ciò che ci interessa sapere a tempo debito” disse Zayed in tono piatto. “Ancora non abbiamo prove che questa sia una profezia. Non sarà certo Zalarit a far tremare i nostri cuori.”[/SIZE]
[SIZE=2]Thabaya si rabbuiò in viso, quasi temesse il futuro.[/SIZE]
[SIZE=2]“Gli esploratori troveranno Zalarit” riprese Sudhir. “E’ andato a nord. C’è ancora chi crede alla vecchia storia della pista che si può percorrere d’estate e della fortezza di Julerah, dove i guerrieri Sufah furono mandati ad attendere e da dove un giorno torneranno, però dopo tutto questo tempo …” Scosse il capo, sprezzante. “Ora ci sarebbe bisogno di Sadnaril, naturalmente. Nessuno più di lei conosce queste antiche storie. I '[COLOR=black]Mina Said Alayyan' ,[/COLOR]le Vedette sulle Onde, ancora hanno una … comunità è la definizione migliore, suppongo … nel settentrione estremo del deserto.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Stai suggerendo, Sudhir,” disse Zayed “che i discendenti di quella gente potrebbero davvero essere ancora vivi dopo migliaia di anni?”[/SIZE]
[SIZE=2]Sudhir diede a Zayer un’occhiata guardinga, nella quale fu visibile il desiderio di restare da solo con lui, per potergli parlare apertamente. Zayed fece un gesto per tranquillizzarlo, e il suo vecchio amico e consigliere reagì con una smorfia.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non so. Ne dubito però. Non sappiamo nulla di loro e delle loro terre. E’ un vero peccato che le nostre guide si rifiutino di attraversare il deserto d’estate. Gli Amazigh dicono che le 'Dune dei Morti' si trovano dall’altro lato del deserto settentrionale. Mi piacerebbe sapere che cosa intendono, ma la maledetta ritrosia di quel popolo quando si tratta di parlare …” Sudhir sospirò, a testa bassa. “Tutto quello che abbiamo è un riferimento ‘alle terre sotto l’Ombra, al di là del sole nascente, al di là del mare delle dune, dove regnano gli Eserciti della Notte’. Io credo, Zayed, che se i discendenti dei Sufah fossero ancora vivi, e se mai hanno avuto intenzione di tornare, non avrebbero aspettato così a lungo. Questo è chiaro.”[/SIZE]
[SIZE=2]Zenaran annuì e la sua voce divenne ancora più gentile.[/SIZE]
[SIZE=2]“Altre cose sono altrettanto chiare, e i tuoi nemici, mio signore Zayed, non trionferanno. Nessun tema può essere suonato se, alla fine, non proviene da Iluvatar stesso. Nessuno può alterare la Musica a dispetto di Iluvatar. Chi ci prova, in ultimo scopre di aver aiutato a comporre qualcosa di ancor più complesso e di una meraviglia più grande. Il potere di Sauron ha fatto sì che nascano la crudeltà, il saccheggio, le tenebre; tuttavia questo è accaduto per mezzo dei Figli dell’Ombra, e non per volontà loro, bensì per scelta di Iluvatar. Quello che fu trovato nei libri di Same è sogno e allo stesso tempo verità, che contribuisce solo all’eccelsa gloria di Iluvatar, e non fa che rendere la sua Musica più degna di essere udita. [/SIZE]
[SIZE=2]Iluvatar ci ha mandato una nuova speranza, Zayed; una forza che renderà invincibili i tuoi eserciti, e immortali i tuoi condottieri. [/SIZE][SIZE=2]Non devi far altro che tendere la mano, e mandare i tuoi migliori esploratori sulle tracce di Zalarit, prima che questo negromante nato fra i fiumi delle tue terre sfrutti per lui il dono riservato al coraggioso che sconfiggerà per sempre il Drago del Sud: la Corona di Anathien.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Al castello di Ra-Morij, agosto 75 Quarta Era[/SIZE]
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[SIZE=2]“Tu hai capito quello che ho detto” disse, facendo un cenno con la mano. “Solo che non lo ammetti. Non ti ho mai parlato così chiaramente da quando sei arrivato. Forse è questo che ti confonde.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Suri scosse di nuovo la testa. “Non ha senso! Rugia ha viaggiato per scoprire in che posto era già stata, per sapere qual’era stata la sua storia? Come può essere? La storia è quello che è passato ed è alle nostre spalle.”[/SIZE]
[SIZE=2]Questa volta Tian Quingwen scrollò la testa lentamente. “La storia è quello che facciamo delle nostre vite. La creiamo mentre viviamo”. Sorrise enigmatica. “Il futuro è solo un altro tipo di storia.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Nessuno può conoscere il futuro.”[/SIZE]
[SIZE=2]Il suo sorriso si allargò. “No?” chiese in un sussurro. “Forse, Suri, da qualche parte, c’è scritto tutto il futuro. Non scritto da una persona, sappilo, ma se le tracce e le visioni e le premonizioni e le profezie di un’intera razza fossero scritte, e annotate e collegate l’una all’altra, un popolo non potrebbe forse creare un telaio per conservare la trama del futuro?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Assurdo” obiettò Suri. “Come farebbe qualcuno a verificare che parte di essa è corretta?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Se un tale telaio venisse costruito, e un simile arazzo di previsioni venisse tessuto, non per pochi anni, ma per decine di centinaia d’anni, dopo un certo tempo si potrebbe mostrare che presentava una preveggenza sorprendentemente accurata. Tieni a mente che coloro che conservano queste annotazioni sono un’altra razza, dalla vita molto, molto lunga. Una razza pallida, graziosa, che ogni tanto si è mescolata con noi. E poi …” [/SIZE]
[SIZE=2]Girò su di se, all’improvviso incantata, insopportabilmente compiaciuta di se stessa. [/SIZE]
[SIZE=2]“E poi, quando nascono certi individui, marchiati così chiaramente che la storia deve ricordarsi di loro, vengono chiamati a farsi avanti, a trovare il loro posto in quella storia futura. E potrebbero anche essere esortati a esaminare quel luogo, quell’unione di mille fili, e dire: questi fili, ecco, sono quelli che io cambierò, e così facendo muterò l’arazzo, devierò l’ordito, altererò il colore di ciò che sarà. Cambierò il destino del mondo.”[/SIZE]
[SIZE=2]Lo stava prendendo in giro. Adesso ne era sicuro. “Un giorno, forse fra mille anni, potrebbe giungere un uomo capace di compiere un cambiamento tanto grande nel mondo. Un potente re, forse, o un filosofo, in grado di dar forma ai pensieri di migliaia. Ma io, Tian? Sono una pedina. Un numero. Voglio solo servire il mio padrone Arakhon.”[/SIZE]
[SIZE=2]Quingwen scosse la testa con compatimento. “Questo, più di qualsiasi altra cosa, è ciò che non ho mai capito di voialtri dell’Ovest. Potete lanciare i dadi e comprendere che tutta la partita può dipendere da come cade un solo dado. Date le carte, e dite che tutta la fortuna di un uomo per quella notte può dipendere da una mano. Ma l’intera vita di un uomo, quella la disprezzate e dite, come! Questa nullità, questo pescatore, questo falegname, questo ladro, questo cuoco, che mai possono fare nel vasto mondo? E così consumate le vostre vite vacillanti, come candele in una corrente d’aria”. [/SIZE]
[SIZE=2]Sollevò la mano come per guidare una carica, e parlò come se si stesse rivolgendo ai Cinque Signori al completo. [/SIZE]
[SIZE=2]“Siete qui, Suri, tu e i tuoi compagni, per cambiare il futuro del mondo. Tutti voi. Per aprire la mano e lasciar cadere il minuscolo sassolino che scatenarà il crollo del masso. Rugia lo sa e vuole che il suo destino si compia; ma anche altri sanno, e vorranno fermarvi. Per questo dobbiamo trovare Arakhon, prima che lo trovino gli altri. Anche se che cosa sia giusto io non lo so.”[/SIZE]
[SIZE=2]Nel Grande Harad settentrionale, settembre 75 Quarta Era
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[SIZE=2]La corona giaceva indisturbata, appoggiata sul cuscino di velluto. In alcune delle sue parti sembrava di vetro. Con la vendita del solo cuscino, tempestato di pietre preziose, decorato con spirali scarlatte e blu e con fili d’oro, avrebbe potuto nutrire un intero villaggio per mesi. Su quasi ogni superficie piana delle sue stanze, del resto, erano collocate delicate porcellane, o calici, scodelle e ornamenti d’oro decorati in argento, e argento intarsiato d’oro. Sull’ampia mensola vicino alla finestra, due leoni d’argento con gli occhi di rubino cercavano di abbattere una gazzella d’oro. Arazzi di seta scarlatta ricamati con figure intessute di fili argentati che rappresentavano aironi erano appesi davanti alle strette finestre e sventolavano leggermente nel vento che diminuiva.[/SIZE]
[SIZE=2]Ora, dove credeva che avrebbe visto degli assassini, o dei ladri, in mezzo al tappeto stava in piedi una bellissima donna, esitante e sorpresa, con i capelli neri che le ricadevano lucenti sulle spalle. Il sottile abito di seta color sabbia metteva in risalto più di quanto celasse. Jampe, la giovane donna venuta dalle terre dei Valdacli, era l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere.[/SIZE]
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[COLOR=navy]Jampe[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]La donna fece una profonda e aggraziata riverenza, che le accostò strettamente gli abiti al corpo. “Non sono un pericolo per te, mio signore. Mi sottopongo a te e mi lascerò frugare, se dubiti di me”. [/SIZE]
[SIZE=2]Il sorriso della donna lo rese d’improvviso consapevole di ciò che provava.[/SIZE]
[SIZE=2]‘Che sia bruciato se mi farà annaspare per la stanza nel tentativo di non toccarla’. Il pensiero fluttuò oltre il vuoto. ‘Non le ho chiesto di entrare. Di intrufolarsi nella mia casa!’, pensò. Rabbia e imbarazzo aleggiavano al limite del vuoto, ma arrossì comunque; era vagamente consapevole che il rossore aumentava. Così freddamente calmo, in apparenza, al di fuori … avvertiva ogni singola goccia di sudore che gli scivolava sul torace e sulla schiena. Richiedeva un vero sforzo di ostinata volontà restare in piedi impassibile sotto gli occhi di quella donna. ‘Frugarle addosso? Che i cieli mi aiutino!’, pensò.[/SIZE]
[SIZE=2]Rilassando la sua posizione, si mosse verso il tavolo, e si versò del vino speziato. Non riuscì a impedire al suo sguardo di correrle lungo i fianchi. Era come bere da un buco in un terrapieno quando l’intero cumulo di terra voleva cedere, il vino dolce e nauseante come un rivolo che passa attraverso un cumulo di erba marcia.[/SIZE]
[SIZE=2]Non sapeva molto di quella donna, tranne che si aggirava per la città come se fosse il suo palazzo a Ostelor. Ramahi sosteneva che faceva sempre domande, a tutti. Domande su di lui. E sarebbe stato naturale, visto quel che era, ma la cosa non lo faceva sentire a suo agio. E la donna era arrivata da Tul Harar in piena estate. Questo non era naturale. [/SIZE]
[SIZE=2]“Cosa stai facendo qui?” [/SIZE][SIZE=2]Sapeva di sembrare sgarbato, e non gli importava. “C’erano delle guardie a quella porta quando sono andato a dormire. Come hai fatto a superarle?”[/SIZE]
[SIZE=2]Le labbra di Jampe si incurvarono divertite; gli sembrò che la stanza fosse diventata ancora più calda. “Mi hanno lasciato passare immediatamente quando gli ho detto che ero stata convocata dal signore del palazzo.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Convocata? Non ho convocato nessuno”. ‘Smettila’, si disse. ‘E’ una prostituta, o quasi. Solo che è una bianca. Di come si comportano le prostitute ne sai quanto del volo’. Cercò di comportarsi civilmente, ad ogni modo, solo che non sapeva come chiamarla. [/SIZE]
[SIZE=2]"Mia signora …" questo doveva andar bene. "… perché avrei dovuto convocarti a quest’ora di notte?"[/SIZE]
[SIZE=2]La donna rise di una risata ricca e profonda, gutturale; sembrò che la risata gli solleticasse la pelle, gli faceva rizzare i peli delle braccia e delle gambe. Di colpo si rese conto del vestito aderente, e si sentì nuovamente arrossire. ‘Non può voler dire … o sì? Che io possa morire strozzato, non le ho mai detto due parole prima d’ora’, pensò.[/SIZE]
[SIZE=2]“Forse desidero parlare, mio signore.” [/SIZE]
[SIZE=2]“Domani sarò felice di parlarti.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Ma durante il giorno sei sempre circondato di gente. Richiedenti. Servitori.”[/SIZE]
[SIZE=2]La donna si passò le mani sulle spalle lisce, e lasciò cadere a terra il vestito.[/SIZE]
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[COLOR=navy]Farah[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]Anche mentre tornava a piedi verso la Città Interna, Farah non era affatto sicura del suo piano. Evitò la piazza ovale davanti al palazzo e vagò lungo il suo perimetro e nei giardini circostanti, per strade che curvavano seguendo le colline. Le cupole dorate del palazzo splendevano e sembravano deriderla con la loro distanza. Aveva quasi fatto il giro del palazzo, era quasi tornata alla piazza quando la vide. Una ripida scarpata coperta di fiori, che saliva dalla strada fino a un muro bianco di pietra grezza. Dalla cima di quel muro spuntavano diversi rami fronzuti, e dietro si vedevano le cime degli altri alberi di un giardino.[/SIZE]
[SIZE=2]Un muro che somiglia a un dirupo, pensò Farah, e un giardino dall’altro lato. Forse aveva sentito bene, dopo tutto. Uno sguardo disinvolto in entrambe le direzioni le disse che la stradina tortuosa era tutta sua, al momento. Doveva sbrigarsi; le curve non le consentivano di guardare troppo lontano, poteva arrivare qualcuno.[/SIZE]
[SIZE=2]Scivolò nel giardino come un’ombra, come se stesse dando la caccia alle lucertole, immobilizzandosi dietro un cespuglio o appiattendosi contro il tronco di un albero quando sentiva rumore di passi. Altre due coppie di soldati passarono lungo un sentierino, la seconda così vicino a lei che, se Farah avesse fatto due passi, avrebbe potuto dare un pizzico a uno di loro. Quando le guardie svanirono fra i fiori e gli alberi, raccolse una stellar dente rosso scuro e si infilò il fiore dai petali ondulati fra i capelli, ridendo piano. Era divertente come rubare i dolcetti durante il Giorno del Sole, e anche più facile. Le donne facevano sempre molta attenzione ai dolcetti; quegli stupidi soldati non alzavano neppure lo sguardo dalle pietre del lastricato.[/SIZE]
[SIZE=2]Non passò molto tempo prima che si trovasse contro le mura bianche del palazzo stesso e iniziò a seguirle, nascosta dietro una fila di rose bianche appena sbocciate arrampicate su delle rastrelliere, alla ricerca di una porta. Poteva vedere molte grandi finestre ad arco sopra la propria testa, ma credeva che sarebbe stato più difficile fornire spiegazioni se l’avessero sorpresa ad arrampicarsi da una finestra, piuttosto che mentre passeggiava in un corridoio. Apparvero altri due soldati, e Farah si bloccò; le sarebbero passati davanti, a meno di tre passi di distanza. Riusciva a sentire delle voci dalla finestra sopra di lei, un uomo e una donna, la voce abbastanza alta da permetterle di capire cosa stessero dicendo. “ … in viaggio verso settentrione, mia signora”. L’uomo sembrava spaventato e ossequioso.[/SIZE]
[SIZE=2]“Che rovinino pure i suoi piani, se ci riescono”. Questa voce era strascicata e forte, una donna abituata a comandare. “Gli servirà da lezione se un buffone e una prostituta riescono a intralciarlo. E’ sempre stato uno sciocco, e lo è ancora. Ci sono notizie del Valdaclo? E’ l’unico che può distruggerci tutti”.[/SIZE]
[SIZE=2]“No, signora. E’ scomparso, fuggito chissà dove. Non è sbarcato a Ra-Morij. Ma, signora, una delle nostre spie ha la fiducia della regina”.[/SIZE]
[SIZE=2]Farah quasi si girò, poi si trattenne. I soldati si stavano avvicinando, ma il fitto intreccio di rose doveva aver impedito che notassero la sua presenza. ‘Muovetevi, stupidi!’ li incitò mentalmente. ‘Passate, teste di bue, così potrò vedere chi è la donna!’ . Aveva perso parte della conversazione.[/SIZE]
[SIZE=2]“ … è stato sin troppo impaziente da quando ha trovato la Chiave” stava spiegando la donna con la voce strascicata. “Non si è mai reso conto che i piani migliori richiedono tempo per maturare. Vuole il mondo in un sol giorno, adesso. Potrebbe trovare il modo di aprire la Soglia da solo, e questo potrebbe vanificare tutto”.[/SIZE]
[SIZE=2]“Come dici tu, padrona. Devo dare ordine di preparare la partenza?”[/SIZE]
[SIZE=2]“No. Attirerebbe l’attenzione. No, non ancora. Inoltre … parla con Muzabar e fate in modo che Jamilah muoia silenziosamente, Umar Zai. Fa’ che la sua morte non attiri nessun tipo d’attenzione”. La voce della donna era sinistra. “Quegli sporchi ignoranti avranno delle difficoltà a ritornare a casa dopo che sarà morta. Questo potrebbe andare altrettanto bene. Fa’ che accada in fretta. In fretta, prima che lei abbia il tempo di prendere la Corona per sé”.[/SIZE]
[SIZE=2]I due soldati le erano arrivati quasi davanti; Farah cercò d’instillare la fretta nei loro piedi.[/SIZE]
[SIZE=2]“Mia signora,” disse l’uomo esitante, “potrebbe essere difficile. Sappiamo che dopo aver sconfitto Umar Khel è ritornata a Tul Harar, ma il veliero sul quale viaggiava è stato ritrovato infranto sulle scogliere di Jalmud, e tutti se ne erano già andati. Non sappiamo se abbia preso un’altra nave o se stia cavalcando verso ovest. Potrebbe non essere facile trovarla, una volta che raggiungerà Tul Harar, mia signora. Forse se tu …”[/SIZE]
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[COLOR=navy]Umar Zai[/COLOR][/SIZE]
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[SIZE=2]“Sono rimasti solo imbecilli al mondo, ormai?” rispose con durezza la voce strascicata. “Pensi che potrei andarmene in giro senza che nessuno venisse a saperlo? Non ho intenzione di rivelare la mia presenza ad altri, per ora. Portami la testa della donna, Umar Zai. Portami la testa di tutti i suoi alleati, o mi pregherai di prendere la tua!”[/SIZE]
[SIZE=2]“Si, mia signora. Sarà come tu comandi. Sì. Sì”.[/SIZE]
[SIZE=2]I soldati la superarono, senza mai girarsi. Farah attese di vedere le loro schiene prima di saltare per appendersi al davanzale e issarsi abbastanza da poter guardare dalla finestra.[/SIZE]
[SIZE=2]Notò a malapena il tappeto frangiato di Tartaust che ricopriva il pavimento, che valeva un bel sacchetto d’argento. Una delle ampie porte intarsiate si stava richiudendo. Una donna alta, con le spalle grandi e il petto fiero che tendeva la seta verde della sua veste ricamata d’argento, stava fissando la porta con i suoi occhi di un verde scuro. I capelli biondi erano ben tagliati, il viso era screziato da un tatuaggio. Nell’insieme dava l’impressione di una donna dura e abituata a impartire ordini.[/SIZE]
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[COLOR=navy]Alall[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]“Si, mia signora” disse all’improvviso e Farah perse quasi la presa dal davanzale. Aveva creduto che quella fosse la donna dalla voce profonda e strascicata, invece aveva un tono altrettanto esitante. Non molto servile, ma impaurito. “Sarà come tu comandi, signora,” ripeté amara. “Taglierò io stessa la testa di quella fanciulla. Non appena riuscirò a trovarla!”[/SIZE]
[SIZE=2]Uscì dalla stanza di gran carriera, e Farah si lasciò ricadere.[/SIZE]
[SIZE=2]Nelle Colonie Orientali dei Valdacli, autunno dell'anno 75[/SIZE]
[SIZE=2]I Valdacli riempivano la grande camera con i soffitti a volta, dai quali pendevano lampade dorate agganciate a catene. I governatori delle Colonie Orientali erano disposti in un circolo sotto la vasta cupola al centro della stanza, con i sergenti ed i valletti alle loro spalle. C’erano tutti quelli che non si trovavano in campagna o altrove, per l’elezione del nuovo Capitano, l’artefice della legge e comandante in guerra.[/SIZE]
[SIZE=2]La folla ammassata fece spazio a Barendar non appena vide chi era, di modo che lui, Girozar e Andalonil si mossero in un piccolo corridoio di spazio aperto. L’assenza di Ronethil irritava Barendar. Era una caratteristica di suo figlio svanire quando poteva avere bisogno di lui. Era preoccupato. Ronethil combatteva la volontà del padre e il legame che li univa così fortemente con la stessa energia con cui combatteva gli Orchi e i nemici dei Valdacli nella macchia; per Barendar, tentare di far dimenticare al figlio ciò che aveva visto nelle foreste e sulle isole era come provare a rompere l’acciaio a mani nude. ‘Dove quel ragazzo? Cosa sta facendo?’, si chiese. [/SIZE]
[SIZE=2]Un uomo dal mantello rosso e il merletto arricciato con il viso da cavallo, che Girozar chiamava Leitha, s’inchinò con un po’ troppa enfasi, e Barendar lo guardò. Solo uno sguardo, senza nemmeno rallentare il passo, ma l’uomo tremò e abbassò gli occhi. Barendar annuì. Poteva accettare che questa gente odiasse i Valdacli, ma non avrebbe sopportato i giochi degli Umar. Gli altri fecero un ulteriore passo indietro dopo aver visto Leitha abbassare lo sguardo.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sei sicura che non abbia detto nulla su cosa intende annunciare?” chiese Jamilah con calma. Con quella confusione, nessuno avrebbe potuto sentire, eppure non riuscì a trattenere l’istinto e, fingendo d’inchinarsi a Barendar, si guardò attorno. Al ‘Falco’ non piaceva che la gente origliasse.[/SIZE]
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[COLOR=darkslateblue]Jamilah[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]“Nulla”, rispose Izalé altrettanto piano. Sembrava irritata e inquieta come Jamilah.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ci sono state alcune voci”.[/SIZE]
[SIZE=2]“Voci? Che tipo di voci?”[/SIZE]
[SIZE=2]La ragazza non era molto brava a controllare l’espressione e il tono; chiaramente non aveva sentito le storie su quanto stava accadendo tra i Due Fiumi e vicino a Tul Harar. Scommettere che nemmeno Barendar le avesse sentite, però, era come prepararsi a saltare dalla cima dell’albero in un acqua profonda un braccio. [/SIZE]
[SIZE=2]“Dovresti indurlo a confidarsi con te. Ha bisogno di un orecchio attento. Lo aiuterà parlare dei propri problemi con qualcuno di cui si fida”. Izalé la guardò di traverso. Stava diventando troppo sofisticata per sistemi così semplici. Eppure Jamilah aveva detto la pura verità, Barendar aveva bisogno di qualcuno che lo ascoltasse alleggerendo così il suo fardello, e poteva funzionare.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non si confiderà con nessuno, Jamilah. Nasconde i suoi dispiaceri e spera di poterli risolvere prima che chiunque altro li noti”. La rabbia lampeggiò sul viso di Izalé. “Asino testardo!”[/SIZE]
[SIZE=2]Jamilah provò una momentanea simpatia. Non poteva aspettarsi che la ragazza accettasse di vedere Barendar andarsene a spasso a braccetto con dama Adreliveth, baciandosi negli angoli dove pensavano di non esser visti. Ed Izalé non ne sapeva ancora la metà. La commiserazione non bastava. C’erano troppe cose importanti che la ragazza doveva gestire per inquietarsi su qualcosa che comunque non poteva avere.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non riuscirai a convincerlo a non andare in guerra, ragazza”. Se Adreliveth avesse creato troppi problemi, Jamilah avrebbe dovuto parlare con lei riguardo a certi segreti che non aveva rivelato a Barendar. O forse lo avrebbe fatto fare a uno dei suoi orecchi e occhi. Quello l’avrebbe calmata.[/SIZE]
[SIZE=2]“Lo dici come se fosse impossibile. Lo amo, Jamilah. Non puoi vederlo? Non puoi nemmeno riconoscere un’emozione quando ne vedi una?”[/SIZE]
[SIZE=2]Jamilah la guardò con fermezza, uno sguardo che la lasciò senza altre parole. La ragazza sapeva così poco e pensava di sapere così tanto. Jamilah stava per dirglielo in modo molto arido quando uno sbigottito, anche spaventato mormorio si sollevò dalla folla.[/SIZE]
[SIZE=2]“Il sommo re Eäromä” esordì improvvisamente Barendar, forte, facendo sobbalzare i governatori più vicini, “ha tolto l’assedio a Ostelor. Ha garantito ai nostri messi un trattato. E Milazor, il nostro miglior negoziatore, torna nella direzione da cui è venuto e prenderà il mare nonostante il pericolo dei pirati. Raggiungerà il campo di Eäromä e parlerà con lui, seguendo strettamente le mie direttive. Me lo ha garantito con la sua vita”. Rise, quasi avesse fatto una battuta, e la maggior parte dei Valdacli rise con lui. Non Milazor, che sembrava chiaramente malato. [/SIZE]
[SIZE=2]“Se fallisce” annunciò Barendar “ha acconsentito a essere impiccato, e verrà accontentato”. La risata si interruppe. Il viso di Milazor assunse un tono verdognolo.[/SIZE]
[SIZE=2]Barendar fece un giro su sé stesso, soppesando i visi che vedeva. “Per via del trattato con Tul Harar, grazie agli Eshe, saranno presto disponibili navi per trasportare grano a ovest, alla nostra gente affamata”. Ci furono alcuni mormorii di apprezzamento.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ma c’è dell’altro. I Valdacli delle Colonie d’Oriente dovranno marciare”.[/SIZE]
[SIZE=2]La folla acclamò, suoni tumultuosi che risuonavano sotto al tetto. Gli uomini saltellavano, anche i governatori, e agitavano i pugni sopra la testa, lanciando in alto i cappelli. Le donne sorridevano estatiche come gli uomini, concedendo baci sulle guance di coloro che sarebbero andati in guerra. “Gondor cadrà!” gridò qualcuno, e decine di voci si unirono alla prima come il tuono. “Gondor cadrà! Gondor cadrà! Gondor cadrà!”[/SIZE]
[SIZE=2]Jamilah vide che le labbra di Izalé si muovevano, le parole soppresse dal clamore della folla. Però poteva leggerle. "No, Barendar. Ti prego, no. Ti prego, non farlo”. [/SIZE]
[SIZE=2]Dal lato opposto di Barendar, Girozar lo guardava cupo con un silenzio di disapprovazione; Andalonil sembrava raggiante di felicità. Girozar, Jamilah e Izalé erano i soli che non stessero celebrando. Il sorriso di Barendar era deformato e sprezzante e non gli toccava mai gli occhi. C’era sudore freddo sul suo viso. Jamilah aspettò. Ci sarebbe stato dell’altro e non credeva che le sarebbe piaciuto.[/SIZE]
[SIZE=2]Barendar alzò la mano sinistra. Lentamente scese la calma, quelli davanti che cercavano di far zittire quelli dietro. Barendar attese il silenzio assoluto. [/SIZE]
[SIZE=2]“Le nostre armi si muoveranno a nord, verso Tul Harar, attaccata dagli Easterling. Zayed ha bisogno dell’aiuto dei Valdacli, e noi accorreremo. Al comando ci sarà il capitano Girozar, e sotto di lui Andalonil, Aracome e Maracon. L’esercito sarà generosamente finanziato da Maracon, il più benestante fra tutti noi, ed è anche per controllare che i suoi soldi siano ben spesi che ci accompagnerà in guerra”. [/SIZE]
[SIZE=2]Un silenzio mortale accolse questo annuncio. Nessuno si mosse, anche se l’inespressivo Maracon sembrava avere problemi a restare in piedi. Jamilah dovette fare a Barendar un inchino nella sua mente per le sue scelte. Mandare quei tre via dalle isole eliminava i tre più pericolosi complotti contro di lui, e nessuno di quegli uomini si fidava dell’altro abbastanza da complottare fra loro. Izalé gli aveva dato buoni consigli; chiaramente le sue spie avevano intercettato un buon numero di messaggi nelle tasche dei tre Valdacli. Le informazioni portate a est da Curloer erano state uno strumento fondamentale. [/SIZE]
[SIZE=2]Ma aiutare Zayed, aiutare l’Harad? Come mai, in nome del cielo? Questo sovvertiva ogni cosa. Come mai quel cambiamento?[/SIZE]
[SIZE=2]Andalonil era chiaramente d’accordo con lei, anche se non per le stesse ragioni. Fece esitante un passo avanti, un uomo forte e duro ma così spaventato che il bianco degli occhi si vedeva attorno a tutta l’iride. “Mio signore …” Si fermò, deglutì e iniziò di nuovo con una voce un po’ più forte. “Mio signore, intervenire nella guerra del Grande Harad è come entrare in una palude. Una dozzina di fazioni si sta contendendo la supremazia sulle terre dei Due Fiumi, fino al Chennacatt, con altrettante alleanze instabili, ognuna tradita quotidianamente. I villani affamati hanno denudato le poche campagne. Mio signore, un pantano inizia appena a descrivere le condizioni del Grande Harad. A parte questo, signore, tu odi quella gente fin nel profondo del tuo cuore …”[/SIZE]
[SIZE=2]Barendar lo interruppe. “Non volevi estendere l’influenza di Ostelor fino al Pugnale d’Oriente, Andalonil? Va bene. So chi odio fin nel profondo del mio cuore, e non sono le genti del Grande Harad, ma l’Ombra del Nemico del Mondo. Non vai per conquistare, Andalonil, ma per restaurare l’ordine e la pace per quanto sarà possibile. E per sfamare gli affamati. C’è più grano nei granai di Tul Harar di quanto possano venderne, e vorresti lasciarlo nelle mani degli Easterling nel momento in cui nel nostro Ovest si muore di fame? Ne porterete molto a Ostelor, prima della fine di quest’anno, a meno che mi disobbediate. Le navi lo trasporteranno verso ovest. Nessuno dovrà più mangiare foglie e corteccia a casa nostra, mio signore Andalonil”.[/SIZE]
[SIZE=2]L’altro Valdaclo aprì la bocca nuovamente e Barendar fece roteare la spada, mettendo a terra la punta proprio davanti a lui. “Hai delle domande, Andalonil?” Scuotendo la testa, Andalonil arretrò nella folla come se cercasse di nascondersi.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sapevo che non avrebbe iniziato una guerra” disse fieramente Izalé. “Lo sapevo”.[/SIZE]
[SIZE=2]“Credi che con questa trovata ci saranno meno uccisioni?” borbottò Jamilah. [/SIZE]
[SIZE=2]In cuor suo, però, sapeva che Barendar stava facendo la cosa giusta. Era incredibilmente sensato. Barendar non l’aveva detto, ma Milazor avrebbe certamente negoziato una tregua con il re degli Elfi; e forse ci sarebbe stato il tempo di mandare un messaggero a Gondor. Tempo di fermare la guerra tra fratelli. Pace, forse, per l'Harad, per la terra di nascita di Jamilah; Valdacli affamati nutriti. Che cosa era successo a Barendar? L’aveva incontrato una volta sola, ma ricordava molto bene il suo odio per le Terre del Sole - per il Grande Harad, per Zayed e per ciò che rappresentava. Tutto per una donna, una giovane che l’aveva respinto e umiliato anni addietro proprio a Tul Harar, preferendogli Zayed stesso. Insolitamente ricordava solo che era bella ma non il suo nome, e nemmeno il volto, mentre del giovane Barendar rammentava molto bene la gentilezza, le braccia forti, e il carattere di fuoco.[/SIZE]
[SIZE=2]“Credo comunque che Barendar abbia appena fatto qualcosa di molto furbo” osservò con tono piatto. “E coraggioso. Ha il pieno diritto di fregiarsi del titolo di Capitano dei Valdacli. E’ … cambiato”.[/SIZE]
[SIZE=2]“Con te alla nostra guida, mio Capitano, conquisteremo il mondo!” gridò un giovane con il viso butterato. Estean, il figlio più giovane di Maracon; la somiglianza del volto butterato era palese.[/SIZE]
[SIZE=2]Sollevando la testa di scatto, Barendar parve sorpreso. O forse arrabbiato. [/SIZE]
[SIZE=2]“Non sarò con voi. La mia via porta a Gondor. E’ tempo che i fratelli si abbraccino di nuovo; per sempre. La mia famiglia ha vegliato su queste colonie prima del mio arrivo, fin dal primo giorno, da quando il primo capitano dei Valdacli mise piede sulle sue spiagge. La mia famiglia lo farò nuovamente, mio figlio Ronethil sarà il vostro capitano. Fino al mio ritorno”.[/SIZE]
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Ronethil
[SIZE=2]Jamilah scosse leggermente la testa. Ronethil; il Giovane. Il Valoroso. Ronethil ‘Spada Bianca’. Barendar era davvero cambiato.[/SIZE]
[SIZE=2]Territori dei Valdacli, settembre 75 Quarta Era. Nella residenza della principessa Erendis[/SIZE]
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[COLOR=darkslateblue]Erendis[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]C’erano degli enormi pericoli in tutto ciò che aveva scoperto e nelle possibili conseguenze di ciò che stava per fare. [/SIZE]
[SIZE=2]Imparare a percepire l’essenza del mondo era imparare ad abbracciare, così le era stato insegnato, imparare a sottomettersi a qualcosa che avrebbe obbedito a sua volta quando ci si fosse arresi al potere. Era come guidare una forza immensa che non avrebbe fatto del male a nessuno a meno che non ne fosse stato fatto un uso sbagliato. Lo aveva ritenuto naturale; ora che sapeva come andare oltre, era quasi incredibile. Dominare ciò che stava sotto la delicata crosta di quello che era sembrato uno squisito dolce al miele era invece una guerra costante per il controllo e la sopravvivenza. Balzando troppo lontano o troppo veloce, si diventava come bambini lanciati nudi in una battaglia contro soldati in armatura. E anche una volta appresone meglio l’uso, l’essenza di Eä poteva distruggere, uccidere o annullare la mente, sempre che non si limitasse a bruciare la capacità di percepirla. Lo stesso prezzo che Unnath Edril, il teocrate di Ostelor, aveva imposto agli uomini e dalle donne che aveva sottomesso alla sua volontà, prima della caduta, era possibile pagarlo da soli in un unico momento di negligenza, un istante in cui fosse stata abbassata la guardia. [/SIZE]
[SIZE=2]Non era più il tempo dell’attesa, era giunto un cambiamento; sorrise amaramente fra sé, ricordando quelle stesse parole scritte nell’ultimo diario di sua madre. Aveva bisogno dell’aiuto di tutti. Quell’aiuto, a sua volta, aveva un prezzo. [/SIZE]
[SIZE=2]Alcuni degli uomini e delle donne nel cortile non erano pronti a pagare quel prezzo. La moglie dal viso rotondo di Huldin, il cuoco, stava cercando di attirare l’attenzione del marito, incerta, e gli altri uomini sposati guardavano dubbiosi verso le mogli, ma quella era una guerra e la guerra aveva le sue vittime, anche fra gli uomini sposati. Luce, stava diventando talmente dura da far sentire male una capra. Si voltò leggermente per non vedere gli occhi dei suoi servitori. “Spingetevi fino ai limiti delle terre che conoscete”, disse loro. “Anche oltre, se potete e se trovate il coraggio. Scoprite e cercate tutto ciò che potete, il più presto che potete, e tornate da me”.[/SIZE]
[SIZE=2]Girizor tese le labbra alle parole di Erendis. [/SIZE]
[SIZE=2]“Tutto ciò che possiamo scoprire” ripeté atono. “Ma cosa, padrona? Arti da utilizzare come armi, immagino, e coloro che le usano”.[/SIZE]
[SIZE=2]“Armi” concordò Erendis. “Tutti coloro che le usano come armi. E tutti voi dovete essere delle armi per me, te incluso”. Le armi potevano avere famiglia? Un’arma avrebbe potuto amare? Da dove proveniva quella domanda? “Tutti coloro che possono toccare l’Essenza e che possono imparare, ma coloro che possono già farlo sopra ogni altra cosa”. [/SIZE]
[SIZE=2]Erano così pochi. Ventisette e, se ce n’era anche uno solo oltre a Girizor che poteva andare tornando vivo, Erendis avrebbe ringraziato la Stella dell’Ovest per averlo mandato da lei in quel momento. [/SIZE]
[SIZE=2]Il Teocrate aveva preso e domato o ucciso tutti coloro che potevano percepire il potere, e prima di lui, negli ultimi tremila anni, purtroppo lo avevano fatto molto bene anche Nindamos, e le altre famiglie discese dagli uomini del seguito di Ar-Pharazon. Elfi, uomini delle Terre Selvagge, persino i loro stessi fratelli. Alcuni di loro dovevano essere convinti di aver ottenuto dei risultati positivi, di aver preservato dal Male le colonie fondate dai Marinai, e invece avevano quasi completato ciò che non avevano avuto intenzione di fare: estinguere tra i Secondogeniti la capacità di comprendere la Musica e di percepire Eä. La torre di Meneltarma, ad Arpel, era stata costruita per ospitare tremila bambini e bambine e anche di più, se necessario, con stanze per centinaia di ragazzi dove poter studiare, ma prima della divisione fra i Valdacli del nord e del meridione c’erano stati solamente quaranta ammessi. [/SIZE]
[SIZE=2]“Ho bisogno di altri studenti, Girizor. Cerca di trovarli, in un modo o nell’altro. Prima che vengano trovati da altri, insegna loro la via della Luce e portali da me”.[/SIZE]
[SIZE=2]“Stai cercando di eguagliare Unnath Edril?” Girilzor pareva imperturbato, anche se quello fosse stato davvero l’intento di Erendis. Gli occhi scuri non si muovevano.[/SIZE]
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[SIZE=2][Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
[COLOR=darkslateblue]Girilzor[/COLOR][/SIZE]
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[SIZE=2]“Quanti maghi e sacerdoti ci sono in tutto nelle Colonie, Girilzor, per guidare e aiutare i Soldati Bianchi nella battaglia contro il Male? Quanti Elfi? Mille?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non credo siano così tanti” osservò Girilzor con calma.[/SIZE]
[SIZE=2]Selezionare la razza migliore. Che fossero folgorati, tutti i figli di Numénor, anche se avevano avuto i loro motivi per farlo e il loro intento era stato in origine buono.[/SIZE]
[SIZE=2]“Avremo comunque molti nemici”, disse Erendis. Una cosa che non mancava mai erano i nemici. I seguaci del misterioso Maestro. La progenie dell’Ombra annidata nel Chennacatt, i Numénoreani Fedeli, i Mumakani e, molto probabilmente, la teocrazia di Ostelor, almeno qualcuno di loro, quelli che volevano sostituirsi ai governanti Valdacli nel nome di un qualche “dio”. E altri ancora. [/SIZE]
[SIZE=2]“Li sconfiggerò, Girilzor. Fino all’ultimo. Credono di poter distruggere tutto. Sempre distruggere, mai costruire! Io invece costruirò, mi lascerò qualcosa alle spalle, qualcosa che resti. Qualunque cosa accada, lo farò! Completeremo ciò che il re Elessar ha iniziato al nord. Sconfiggeremo l’Ombra. Puliremo queste terre, in modo che Elfi e Uomini non dovranno mai più temere nulla e il mondo non dovrà aver paura di loro. Io …”[/SIZE]
[SIZE=2]Mosse nervosa la gonna dalle pieghe verdi e bianche. Era impossibile. Il caldo e la polvere si facevano beffe di lei. Alcune di quelle cose dovevano essere fatte, ma realizzarle tutte era impossibile. Aveva bisogno di alleati; il meglio che potesse aspettarsi ora era combattere per indebolire il Male e morire prima di esserne divorata e lei non riusciva a vedere nemmeno come ottenere almeno quello. Tutto ciò che poteva fare era continuare a provare. Doveva pur esserci un modo. Se esisteva qualcosa di simile alla giustizia, doveva anche esserci una via d’uscita. [/SIZE]
[SIZE=2]“Pulire queste terre” ripeté Girilzor. “Credo che richiederebbe più guerrieri e maghi di quanti tu ne possa immaginare”. Socchiuse leggermente gli occhi. “Ho sentito parlare di certi oggetti chiamati ‘Palantiri’. Ne hai uno che ritieni potrebbe … “[/SIZE]
[SIZE=2]“Quel che ho o meno non ti riguarda” scattò Erendis. “Tu limitati a fare come ti ho detto, Girilzor. Esegui e ritorna da me. L’Ombra non aspetterà i nostri comodi. Non abbiamo abbastanza tempo, Girilzor, ma dovremo farcelo bastare. Dobbiamo!”[/SIZE]
[SIZE=2]“Farò ciò che posso, Sadnaril Erendis, ma non aspettarti che domani il tuo esercito di maghi sia capace di abbattere le mura di una città”.[/SIZE]
[SIZE=2]Erendis si accorse di essere piena di rabbia e satura di potere, un fiume in piena, tutto quello che era riuscita ad attingere dall’essenza di Eä. ‘Uccidilo’, mormorò la voce nella sua testa. ‘Uccidilo adesso!’ Per un istante Erendis fu scossa dallo stupore. Il mondo attorno a lei vacillò, il potere infuriò e si sgonfiò, e Sadnaril Erendis riuscì a rilasciarlo prima che schiacciasse lei, il cortile e tutto il villaggio. Era stata lei o la voce ad afferrare il potere? ‘Uccidilo! Uccidilo’[/SIZE]
[SIZE=2]Erendis gridò furiosa dentro la propria testa, ‘silenzio!’ Con sua sorpresa, l’altra voce svanì.[/SIZE]
[SIZE=2]Aveva il viso imperlato di sudore e si deterse con mano quasi tremante. Aveva afferrato Eä da sola; doveva essere così. La voce non avrebbe potuto farlo. Inconsciamente, si era incollerita con Girilzor. Ecco cos’era successo.[/SIZE]
[SIZE=2]“Tieni d’occhio tutti quelli che sembrano imparare troppo in fretta o sanno già fare troppe cose. Fammelo sapere immediatamente. Fra loro potrebbe nascondersi un servo dell’Ombra” mormorò. Forse stava rivelando troppo a Girilzor, ma il suo servitore più fedele aveva il diritto di sapere cosa avrebbe dovuto affrontare. [/SIZE]
[SIZE=2]“Come comanda la mia signora”. L’uomo si inchinò leggermente prima di incamminarsi verso la fattoria.[/SIZE]
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