Suri noleggiò un calesse trainato da un asino: Zimuran gli sedeva accanto, Arto e Tara erano dietro, e un ragazzo, consigliato loro da Jano Tulmir come guida, viaggiava a piedi alle loro spalle.
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Tara [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Arto di Ulvila
Non era un mezzo veloce, ma la giornata era molto bella e fresca, e non avevano fretta.
Suri era felice di allontanarsi per un pò da casa; partì con la speranza che al ritorno avrebbe trovato Curloer più conciliante, meno arrabbiato per i suoi errori del giorno precedente sul manifesto di carico.
Seguirono le indicazioni di Curloer e della loro giovane guida, e la prima destinazione fu un grande molo di legno molto fuori dalla città, sulla parte orientale della costa; il punto di arrivo e di smistamento della canna da zucchero per gli Eshe.
Rapidamente, negli anni passati, il pepe nero del Grande Harad e la canna da zucchero provenienti da Morija avevano raggiunto e in alcuni periodi superato il valore dell’argento; gli Eshe avevano fatto ricavare, con grande fatica di braccia ma notevole preveggenza, grandi terrazze quasi verticali sulle pendici delle colline orientali fuori Ostelor, ridosso al mare, poi grazie all’industriosità della gente haradana al servizio dei Faris e alla benevolenza del clima era stato costruito il molo.
Scaricavano le merci fuori dal porto e le preparavano subito per la partenza verso altri mercati, sfruttando la mancanza di chiarezza delle leggi di Ostelor a proposito, e grazie a questo gli Eshe non pagavano al Consiglio che una tassa molto bassa, per il solo reimbarco. Dopo gli Eshe, altri erano arrivati, ed era sorto un grande mercato, ma ormai la famiglia aveva stabilito un buon vantaggio; tutti i mercanti conoscevano Ar-Venie, Min Curloer e Tara.
Mentre attraversavano le balle di canna da zucchero e le fascine di granturco, passando davanti ai rinomati vigneti del rosso di Giara, videro Jundi , il proprietario del mercantile Ji Zarhed, appena giunto da Tul Isra. Li aspettava, e li accolse loquacemente, come i “grandi pirati Valdacli”, e non poté non ridere del loro modesto mezzo di trasporto.
Jundi parlava solo l’apisaico e poche parole della lingua dell’ Ovest; Tara non tradusse a Suri tutte le parole del suo lungo discorso, il cui scopo era, gli disse poi, anche dimostrare di conoscerli bene. Suri sorrideva stupidamente, cogliendo solo qualche parola storpiata.
Jundi desiderava sapere se i Valdacli erano così coraggiosi come li descrivevano, se era vero che i loro soldati crescevano come il grano. Tara rispose con un sorriso e un inchino e disse che era loro usanza cavare le budella di tutti coloro che provavano a imbrogliarli.
“Allora devo farvi un prezzo onesto, mio signore Suri, come a tutti i miei clienti del Dominio”, disse Jundi.
[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "La Nave del Sole Nascente", di Douglas Galbraith [/size]
Lo seguirono in una grande baracca, nella stanza di preparazione, dove poterono ammirare lunghe file di scure foglie di canna da zucchero e inalare la densa dolcezza che esalavano nell’aria; Suri non si stupiva più del fatto che quella dolce polvere che se ne traeva fosse più preziosa dell’argento: il pane assieme alla polvere aveva il gusto del cibo di un dio.
Dopo una breve negoziazione stabilirono il prezzo e Jundi, Arto e Suri sancirono l’accordo con un bicchiere di un liquore bruno e forte tratto da quella stessa canna; Suri decise di acquistarne una botte, e ripartì.
Arrivarono dal successivo fornitore al momento del pranzo. Il proprietario, un certo signor Turallas , erede dell’attività paterna, aveva capelli e baffi neri come i suoi concittadini adottivi e anche il suo parlare aveva preso uno strano accento.
Fu loro offerto un pranzo squisito a base di tonno, pomodori, olive nere ed erbe aromatiche, il tutto accompagnato da pane in abbondanza, fatto con la farina di granoturco che erano lì per comprare. C’erano i formaggi prodotti dalle capre di Caterre e fragole di Ulvila grandi come patate novelle. La signora Turallas e i tre piccoli eredi, tutti a tavola con loro, erano scuri come Yasini Faris e osservavano Suri con grande meraviglia; Tara parlò con lui dell’ingiustizia dell’ Atto di Navigazione e della presenza troppo forte di Gondor, dal cui allontanamento avrebbero tratto beneficio tutti i mercanti dei Domini meridionali.
I loro affari si conclusero amichevolmente; oltre al peperoncino, ordinarono cardamomo e coriandolo, quattro botti del suo vino invecchiato dieci anni e sei barili di uva passa, il tutto da consegnare a sue spese entro tre giorni.
Accettarono poi di buon grado l’offerta di riposare su una terrazza ombreggiata sul retro della casa. Era stata intelligentemente coperta con teli di mussola che la servitù, in estate, spruzzava di tanto in tanto con dell’acqua. Suri si assopì mentre Tara e Arto passeggiavano con il mercante; si risvegliò però quasi subito, al vociare di Zimuran che giocava con i bambini nel giardino sotto la terrazza.
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Zimuran
Scostò la tela per osservarli mentre cercavano di far volare un uccello di carta. Zimuran lo lanciava più in alto che poteva, ma quello continuava a ricadere a terra come un sasso. Poi ci provò il secondogenito, e questa volta, con la complicità di una brezza leggera, riuscì a farlo volare. Quel successo fu accolto con un grido di gioia infantile che si tramutò in preoccupato silenzio quando l’uccello atterrò nella fontana. Iniziarono a discutere di chi fosse la colpa, credette Suri, e chi dovesse andare a ripescarlo. Dalle parole i bambini passarono alle mani con Zimuran che cercava di separarli e al primo pianto sbucò una ragazza, che doveva avere circa diciassette anni. Diede uno scappellotto a ciascuno, si scusò con Zimuran e li portò via.
Mentre la ragazza si allontanava, consolando il più piccolo tra le braccia, Suri si ricordò che di lì a poche ore sarebbero tornati al loro greve isolamento in città, a casa. Guardò di nuovo il giardino, immerso in un silenzio rotto solo dal rumore della fontana, guardò i filari che si arrampicavano sui fianchi delle colline e si sorprese della volubilità del suo animo.
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