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Il capitano Tanadas
Il soldato di guardia si era spostato dalla porta al battere del pugno sulla corazza del capitano che eseguiva il saluto, e un istante dopo Tanadas rientrò dalla terrazza della torre, inbacuccato in un mantello con un cappuccio, con gli ordini del giorno sotto il braccio, e cominciò a passeggiare avanti e indietro nella stanza d’osservazione, andando da una finestra all’altra. Ogni tanto dava un’occhiata alla posizione dei soldati e all’assetto delle fortificazioni, un gesto puramente automatico: non c’era mai niente da ridire, la fortezza era una macchina dove ogni cosa funzionava alla perfezione. Il comandante avrebbe potuto restarsene tutto il giorno sulla sua branda, non era possibile nessun rimprovero, nemmeno se si fosse sentito bilioso come Seregul dopo la caduta di Mindaneril, il che non era il suo caso; tutt’altro. Lui e i suoi uomini vivevano da parecchie settimane, dopo la nomina di Ar-Venie a primo consigliere, in uno stato di generale benevolenza, a dispetto delle tediose operazioni di preparazione al blocco e all’assedio, il compito più duro e faticoso del servizio; se è possibile, infatti, che la ricchezza non dia la felicità, la sua prospettiva immediata ne offre un’ottima imitazione e nell’ultimo mese le galee costiere avevano catturato una delle navi di Gondor più ricche in circolazione, il carico della quale era stato equamente distribuito, per decisione di Ar-Venie, fra la città, i capitani e i soldati. Lo sguardo di Tanadas era dunque pieno di benigna approvazione, sebbene non contenesse quell’amore schietto con il quale aveva guardato il primo avamposto al suo comando, tanti anni prima. La fortezza non era veramente sua; lui ne era soltanto il comandante temporaneo in attesa che il suo vero comandante, Iandiman, facesse ritorno dal campo di Yamo.
Il capitano scese i pochi gradini della scala a chiocciola che separava la sommità della torre dal resto della costruzione, ed entrò nella stanza al centro, quella con il grande tavolo di quercia. Ar-Venie, in piedi in un angolo, appoggiata a un leggio, stava esaminando gli ultimi rapporti delle staffette arrivate dai passi di Cirith Celiant e Dabu Cupem, nella luce rossastra del tardo pomeriggio. Sebbene Tanadas apprezzasse e ammirasse l’efficienza di Ar-Venie e la sua silenziosa disciplina, non riusciva ad abituarcisi. Ar-Venie era un esempio ammirevole della mentalità dei Valdacli al suo meglio, nonostante il suo lignaggio non fosse puro; e Tanadas era un discendente di mercanti venuti da Umbar. L’ammirava, sì, ma in modo distaccato, come se gli fosse stata affidata la moglie di un altro ufficiale, una donna elegante, riservata, priva di immaginazione, che conduceva la sua vita secondo principi ispirati da un matematico.
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Malana Ar-Venie Eshe
I rapporti giunti dai passi e confermati da un drappello di vedette delle pianure confermavano quello che Yasini le aveva già fatto sapere; Imrazor, Indur e gli uomini di Artagora erano transitati rapidamente oltre le montagne e si stavano dirigendo verso est, verso i boschi e le terre selvagge. Viaggiavano lungo la strada per Arpel, fermandosi nelle stazioni di posta, ed erano molto visibili. Ar-Venie rabbrividì per lo spiffero d’aria fredda giunto dalla porta aperta e richiusa da Tanadas; si strinse nel suo tabarro di velluto e pelliccia, ripiegò le lettere con i rapporti e si voltò verso di lui.
“Tutto a posto, Tanadas?” domandò.
“Tutto a posto, signora” , rispose Tanadas, guardando alle spalle di Ar-Venie e alzando il mento a mo’ di segnalazione.
“Siate le benvenute, signore” , disse Ar-Venie, girandosi nella direzione del mento. Pensò alla piccola locanda verso Ro-Mollò, dove aveva mangiato e bevuto in modo eccezionale non molto tempo prima, insieme a Imrazor, Indur e Curloer. Un bel caldo, allora: un bel freddo, adesso. Un pranzo eccellente davvero.
“Beruthiel, prego, sedete a capotavola; Paraphion, vi prego, qui vicino a me. Zenabeth, Eadur ... “ , indicando con un cenno i loro posti. “Ora, ancor prima di cominciare” , continuò mentre le donne si sedevano e la prima portata compiva il tragitto dalla scala al centro della stanza nelle mani del cuoco della fortezza, “voglio scusarmi per la cena. Con la miglior volontà del mondo, questo non potrà essere che un ben misero ricevimento, un banchetto di guerra."
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Paraphion [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Zenabeth [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Beruthiel [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Eadur
Ar-Venie si era recata a cena dalla sua cara amica Areth, moglie di Imro Nadanul, il mercante di legname che viveva poco fuori le mura. Nadanul, dopo averla salutata, si era scusato per la necessità di doverle lasciare da sole; impegnato al porto, così aveva detto.
Ar-Venie e Areth erano state bambine e giovani donne al primo ballo insieme, tra loro potevano parlare liberamente. Nadanul non aveva avuto fortuna: Arbalzor, con la sua abilità, la sua spregiudicatezza e i suoi contatti con i commercianti del nord, gli aveva portato via quasi tutto; a lui e ad Areth non restavano che poche proprietà, e Ar-Venie stava cercando di dar loro una mano, adesso che, con la guerra, ci sarebbe stato bisogno di fortificazioni e di lavori sulle navi.
Mentre le sue guardie attendevano all’esterno della casa, nel cortile, vicino al fuoco, Ar-Venie osservava pensierosa il volto pallido di Areth e le sue mani nervose, e quando, terminato il magro pasto, costituito dall’ultima malridotta gallina della fattoria bollita non fino alla polpa ma fino ai tendini, la serva se ne andò e si ritrovarono sole, osservò, con la sincerità che sempre aveva avuto nei confronti di Areth: “Mi ha fatto impressione vedere Nadanul”.
“Me lo immaginavo” , disse Areth. “Ha fatto lo stesso effetto anche a me la prima volta dopo che è tornato da Urland. Come l’hai trovato?”
“Sfinito, completamente sfinito. Ha fatto fatica ad alzarsi dalla sedia... gambe magre come manici di scopa. Ma che cos’ha?”
“Ha che deve restare qui a mantenere questa maledetta fattoria, vecchia e malandata, senza più servi, a corto di tutto... con la compagnia, al porto, senza più niente per pagare i debiti e un amministratore incompetente. Io ti dico, Venie, che sarà la sua morte. Ho meno della metà dei suoi anni, ma tu sai come viviamo. Tagliati fuori da tutto. Neanche una bottiglia di vino buono. Abiti mal lavati, tempo brutto, la noia, l’esasperazione. Niente figli. Per lui è stata molto dura, molto più che per qualsiasi altro”.
“Perché non se ne rimane a casa, allora? Perché non vendete tutto, e non pensate solo a voi? Nadanul ti ama, e tu ami lui”.
“E chi dovrebbe sostituirlo al porto? Arbalzor?”
Tutte e due risero con disprezzo. “Belamran, forse?” suggerì Ar-Venie. “Abrininath? Persino Yasini. Sono tutti abbastanza competenti della cosa, saprebbero mantenere gli affari e vi darebbero il giusto per rilevare il cantiere, e anche una buonuscita”.“Ma non si tratta solo del cantiere, zucca vuota!” esclamò Areth. “Nadanul saprebbe governarlo con un occhio bendato e una mano legata dietro la schiena, sarebbe pasciuto e roseo come noi due... anche se, Venie, mi sembra che tu abbia perso un bel po’ di pancia dall’ultima volta che ti ho vista; non credo che tu pesi più di centocinquanta libbre. No, se fosse solo per il cantiere...”
“Ma non può pensare di rimanere la’ a struggersi e a lottare per niente fin che non morirà di fatica. Se dovesse morire... in ogni caso, si dice che abbia manifestato parecchie volte l’intenzione di vendere tutto. Me l’ha confermato lo stesso Arbalzor".
“Si, è vero”, ammise Areth. Esitò. “Si, è vero. Ma, Venie, ha sempre lasciato uno spiraglio... ha sempre detto a palazzo di voler vendere e ritirarsi in modo tale da permettere che gli altri insistessero affinché rimanesse e a se stesso di cedere. Non vuole fermarsi e io non credo che gli altri sappiano quanto stia male. Gli hanno fatto delle promesse per le forniture di guerra, hanno promosso alcuni dei suoi cadetti, lo hanno fatto capitano del porto e credono così di aver sistemato la faccenda...”
Areth s’interruppe sentendo bussare alla porta. Ar-Venie era il Primo Consigliere, adesso, e si chiese fino a che punto fosse giusto farle quelle confidenze, e se qualcuna delle sue guardie potesse aver sentito qualcosa.
“Che cosa c’è?” chiese Ar-Venie. “Signora”, rispose Tanadas senza aprire, “il capitano Gimatir è qui per voi, con notizie urgenti”.
Ar-Venie guardò Areth; odiava queste situazioni. “Me ne vado subito”, disse l’amica, ma Ar-Venie la fermò. “No, no, rimani. Si tratta di cose più personali che ufficiali, e un tuo consiglio non potrà che giovare. E poi, è casa tua. Fate passare, Tanadas”.
Gimatir, un individuo corpulento dall’aria collerica, la faccia rossa e i capelli neri, coperto di fango e visibilmente stanco, come per una lunga cavalcata, entrò, chinandosi appena percettibilmente davanti al Primo Consigliere. Dietro a lui, entrò Tanadas.
“Che cosa dovete dirmi di tanto urgente, Gimatir, da spingervi a presentarvi davanti a me in simili condizioni?”, chiese Ar-Venie, insolitamente colpita da quella mancanza di rispetto.
“Ar-Venie, signora, abbiamo perso le tracce di Imrazor e dei suoi compagni”.
Ar-Venie deglutì, appoggiando il bicchiere di chiaretto sul tavolo mentre lo stringeva più forte con la mano e cercava di non tossire.
“Molto bene”, rispose con voce bassa, dopo un breve silenzio. Deglutì di nuovo; Areth, silenziosamente, si spostò in fondo alla stanza, fingendo di riassettare il camino.
“Mi dispiace”, disse Gimatir, paonazzo. “Li abbiamo incontrati proprio dove avevate detto. Fin oltre i passi, e sulla Via Sud fino a quando l’hanno percorsa, seguirli è stato come giocare. Non prestavano molta attenzione, viaggiavano con estrema sicurezza e questo ci ha persino stupiti. Poi hanno preso l’est uscendo dalla strada, e tutto è andato bene fino a un fitto bosco. Per qualche motivo il vostro Imrazor ha deciso di attraversarlo, e la’ li abbiamo persi. E’ un luogo strano; alberi molto fitti, e l’erba così verde ...”
Dopo una pausa ansimante e collerica, Ar-Venie esplose. “Avevate tutti i vantaggi che un inseguitore potrebbe desiderare, conoscevate persino la loro destinazione: potevate precederli e aspettarli fuori da quel bosco. Senza pensare, che dico, senza nemmeno riflettere un istante, vi siete preso la responsabilità di gettarli al vento e di tornare indietro. Di gettarli al vento! Per fortuna non è troppo tardi; potete riprendere la vostra strada subito”.
“No, signora, non posso”, rispose freddamente Gimatir. "Siamo stanchi, e sui passi sta cadendo la prima neve. Non possiamo ripartire. E, prima di rinunciare, abbiamo tentato molte volte di ritrovare le loro tracce; non ci siamo riusciti. E' mia responsabilità conservare gli uomini e le nostre risorse, in questo momento".
“Non ne voglio sapere dei vostri strilli da corvo sulla responsabilità: se un’occasione preziosissima va ora perduta a causa della vostra ignoranza ostinata, sarà di poco conforto sapere a quale dei servitori del Consiglio attribuirne la responsabilità”.
“E’ dovere di tutti, Ar-Venie, di tutti coloro che sono impegnati nella guerra, soprattutto nel lato politico della guerra, considerare la situazione con imparzialità. Ogni sentimento e preferenza personale vanno messi da parte... se non fosse stato per le circostanze, tutte contro di noi, io mi sarei rifiutato di interrompere la ricerca...”
“Osate ricordarmi il mio dovere? Osate dire che ho perso la mia imparzialità e che tutto ciò che sto facendo è mosso da fini personali?”
“Siete guidata dalle vostre simpatie amorose, Ar-Venie, non è cosa segreta. Avete preso una decisione fondandovi sul sentimento, e ora vi ritenete totalmente nel giusto. Non rischierò i miei uomini, Ostelor non rischierà nulla per il vostro presuntuoso e ignorante amante!”
“Gimatir”, continuò Ar-Venie, completamente rauca a furia di gridare e in piedi con le mani appoggiate al tavolo, “io non m’illudo di possedere il monopolio della verità e di essere sempre nel giusto. Le vostre osservazioni sono del tutto irrilevanti. Rifiutate di obbedirmi?”
“Con tutto il rispetto per voi, signora, si!”
“Se volevo vedere lavato il lato sporco della mia vita, non potevo decidere di farlo in un posto migliore”, rifletté Ar-Venie, sentendo lo sguardo di Areth bruciarle sulla pelle. Sedeva costernata e silenziosa.
“Gimatir, io... vi ringrazio", disse. "Voi... avete fatto, davvero, tutto ciò che potevate fare. Fate rientrare i vostri esploratori; sono fuori ormai da molti giorni... e il tempo è inclemente. Mettetevi al servizio di Tanadas, farò in modo che possiate riposare almeno per un poco”.
“Signora, io vi chiedo perdono per avervi offesa”, disse Gimatir, rimanendo a testa bassa. Dietro la schiena, si tormentava le mani.
“Si, certo, Gimatir. Non dovete preoccuparvi per quello che avete detto. Certo, non era il modo, e mi avete ferito. Ma tutto rimarrà qui, fra di noi. E la sostanza di ciò che avete detto... andate, Gimatir. Riposatevi, ora”.
“Signora, se posso permettermi”, chiese Gimatir.
“Dite, Gimatir”.
“Non è tutto perduto. Si è trattato di sfortuna, e alla sfortuna c’è rimedio. Se il gruppo è andato diritto a est, così come sembrava intenzionato a fare, ormai sarà nelle terre che rispondono all’autorità di Arpel. Mandate un messaggio per mare; arriverà rapidamente, e uno dei balivi potrebbe mandare fuori i suoi uomini prima dell'inverno, e ritrovare Imrazor".
“Sfortunatamente, Gimatir", rispose Ar-Venie, "non ci sono più navi per mandare questo messaggio. Tutte le navi di Ostelor in buone condizioni e in grado di viaggiare con la cattiva stagione sono state prese da Yamo, per la flotta da guerra. Siamo quasi in inverno, e ci vuole un buon equipaggio per affrontare il mare e doppiare il capo Minyadhras. La Daracil è lontana, l’ Arsenia di Artagora non è ancora tornata. Ma vi ringrazio per il vostro consiglio. Andate".
“Credo davvero che avreste potuto schierarvi dalla mia parte, Tanadas", disse Ar-Venie una volta rimasta sola con Areth e Tanadas; nella sua voce, l'uomo avvertì l'amarezza. "L’avrei considerata una prova di vera amicizia, se, quando mi ha aggredito sulla mia ignoranza, voi gli aveste lanciato contro qualcuna delle vostre frasi sull’onore e l’obbedienza o qualcuno dei vostri proverbi”.
“A quel punto, Ar-Venie, avevate già lasciato cadere qualche osservazione di troppo sulla sua faccia rossa e butterata, ormai vi stavate prendendo a male parole, e questo, si sa, mette termine a qualsiasi possibilità. E prima, quando stavate conversando e non urlando, non sono intervenuto perché ho ritenuto che gli argomenti di Gimatir avessero un certo fondamento”, rispose Tanadas.
“Credete che io abbia agito male?”, chiese Ar-Venie.
“Io penso che avreste dovuto prima consultarvi con me, privatamente, e non facendolo mi avete offeso. Con il vostro permesso, signora, credo sia ora di rientrare fra le mura; vado a preparare gli uomini".
“Arakhon non fa altro che ripetermi che vedo trame oscure dappertutto, e che le mie decisioni e i miei silenzi non fanno che peggiorare le cose. Credo, Areth, che dica la verità, in fin dei conti. Che cosa devo fare, adesso. Ancora una volta ho preso una decisione sbagliata” , disse Ar-Venie.
“Per prima cosa non è da te lasciarsi andare allo sconforto", rispose Areth, "non hai mai dubitato delle tue idee e delle tue scelte e non è un buon momento per iniziare. E poi, mentre parlavi al tuo soldato, ho pensato a questo. L’altro giorno, quando ci siamo incontrate a Enyarma, mi hai portato sui bastioni e quando ti ho mostrato la nave nera, quella rimasta nell’Hopandakro, mi hai detto che era una nave orientale e che la conoscevi bene, che erano tuoi ospiti. Se sono tuoi ospiti non ti negheranno questa cortesia; Arpel non è lontana. E puoi pagarli bene”.
Lo sguardo di Ar-Venie si rianimò. Apparentemente, presa dagli eventi burrascosi di fine estate, dai problemi di ogni giorno e dalle preoccupazioni per Imrazor, e per Arakhon e Tara lontani, aveva dimenticato la nave di Morija. L'aveva completamente dimenticata. Era ben rifornita, ormai, e poteva stare in mare con ogni tempo, così le aveva raccontato Mutamin. Certo, Chinua avrebbe voluto sapere il perché di quel viaggio... “Tutto sommato, Areth, hai ragione. Sha Bla potrebbe viaggiare come mio messaggero; un suo apprendista accompagna Imrazor, e se Imrazor è in pericolo... Ma non ho un pilota, e i marinai di Morija non conoscono bene le nostre acque”, disse Ar-Venie, già aspettandosi da Areth la risposta: Areth non avrebbe mai accettato denaro o favori da lei, ma un lavoro, un lavoro ben pagato, era una cosa diversa.“Nadanul sarà felice di aiutarti" , disse Areth, "ha un ragazzo molto giovane, Huzim, che è riuscito a tener fuori dalla guerra”.
Fu il dolore alla schiena a far riprendere ad Indùr, sia pure parzialmente, conoscenza.
L’ultima cosa che ricordava con chiarezza era la sua carica addosso a quello che sembrava il capo di quella piccola combriccola (tre in tutto) che minacciava il villaggio che lui e Kiryazis avevano apppena lasciato… l’urto era stato tremendo ed il brigante era crollato al suolo senza vita. La sensazione era stata esaltante, ma era durata un attimo. Infatti quel fattucchiere gli aveva lanciato contro una sorta di lampo che lo aveva stordito e lasciato in balia dell’uomo che lui aveva ferito in precedenza, ma non messo fuori combattimento. Grave errore! Aveva solo avuto il tempo di avvertire un colpo alla schiena e poi era stato il buio.
Da quel punto in poi tutto era confuso e nebuloso… Ricordava solo l’acuta voce della vecchia che l’aveva accolto a sputi litigare con qualcuno, probabilmente col vecchio capo del villaggio, e Kiryazis che cercava di farsi capire da qualcuno. Poi, il dolore che si attenuava, un tepore che si impadroniva di lui, il buio, il sonno. Poi, nel buio, ecco spuntare due stelle gemelle…
“Che belle…” pensò Indùr “… Dove le ho già viste?” Gli sembravano familiari. Cercò di scacciare il torpore che lo avvolgeva e, a poco a poco, le stelle divennero due occhi, i due occhi un viso, il viso della più bella donna che Indùr avesse mai visto.
L’aveva intravista per la prima volta e solo per un istante quand’era giunto nel villaggio la prima volta e lei aveva sbirciato per un istante fuori dalla capanna della vecchia, la stessa dello sputo! Era stato un’attimo, ma quell’immagine gli si era fissata in testa e, ammetterà in seguito, il suo cuore batteva più forte quando pensava a lei. Quel volto, a poco a poco, aveva sostituito nei suoi pensieri, il volto di Tara.
Indùr percepì che la ragazza era vicina a lui e, di tanto in tanto, gli metteva sulla fronte un impacco di acqua fresca. Cercò di muoversi ma questo gesto fece scappare la ragazza.
“Aspetta! Non… te… ne… andare.” Balbettò.
Ancora non sapeva che Niara era sordomuta…
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