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Imrazor
L’avevano picchiato. Questo lo ricordava. E ricordava il lampo blu davanti agli occhi, il suo corpo che tremava, senza che riuscisse a controllarsi, e la sensazione di morire trafitto da infiniti aghi d’argento. Il resto era solo confusione. Dal momento in cui si era ridestato, forse, rendendosi conto di essere stato catturato, aveva tentato di tutto; ma era legato forte, e gli uomini sconosciuti lo guardavano continuamente e l’avevano colpito subito. Pugni in faccia, pugni allo stomaco; tanti, fino a quando non era svenuto di nuovo.
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L'uomo coi guanti di pelle
Erano venuti con quella fiasca in mano e lui era legato mani e piedi; aveva tentato di nuovo di ribellarsi, con coraggio, con forza, ma non ce l'aveva fatta. Uno degli uomini si era seduto sopra di lui e gli aveva aperto la bocca mentre l’altro gli teneva la testa ferma. Come in una morsa di ferro. Il terzo uomo, quello con i guanti di pelle, gli aveva versato in gola il contenuto della fiasca. “Bevi, Imrazor” , gli aveva gridato in adunaico. “Bevi! Tu devi essere Imrazor di Ostelor. Quello che cercano. Ma certo che sei Imrazor! Portavi le carte della città, per passare i blocchi dei soldati. Bevi, Imrazor!”
Bere, o soffocare; con tre uomini che lo tenevano fermo, non aveva alternative. Aveva bevuto; quel liquido era come il fuoco, un fuoco freddo che gli aveva bruciato le viscere. Gli uomini lo avevano subito lasciato andare, lo avevano lasciato a saltare e a dimenarsi per terra, stretto dalle corde e con il fuoco nella pancia; avevano riso di lui.
“Non ti piace il liquore, giovane Imrazor?” aveva gridato ridendo l’uomo dai guanti di pelle. “Che peccato. Ma vedrai che fra un poco sarai più calmo. Mi racconterai un po’ di cose, mi dirai tutto di te. E se non me lo dici, non hai idea di quello che ti faccio”.
Il liquore l’aveva confuso, ma non aveva vinto la sua volontà. E l’uomo si era infuriato; mille domande, ma nessuna risposta. Voleva sapere dei libri di Ar-Venie e di dove si trovava adesso Arakhon. Sempre quello chiedeva: "Dov'è Arakhon, Imrazor? Dov'è Arakhon?" . Ma Imrazor non sapeva niente, non sapeva di Arakhon e non sapeva dei libri, e allora non aveva potuto parlare neanche quando aveva pregato di poter dire almeno qualcosa all'uomo dai guanti di pelle, per farlo smettere. E ancora pugni, e calci, e pugni, e poi gli avevano messo un fazzoletto sulla bocca e gli avevano versato sopra dell’acqua, in modo che la stoffa entrasse fino in gola e gli desse la sensazione di soffocare. E calci, e pugni, fino a quando non era svenuto di nuovo.
Quando era rinvenuto, faceva buio. Era ancora nel bosco. Nessuno aveva acceso il fuoco; gli uomini avevano freddo, e anche lui aveva molto, molto freddo. Tanta sete. Gli uomini stavano preparandosi a muoversi. Stavano parlottando piano.
“Ha bisogno di stare al caldo e di riposare. Possiamo rifare la cosa dell’acqua domani, e ogni giorno se non parla prima, ma deve riposare e stare al caldo. Se non sta al caldo crepa”, aveva detto uno, quello più chiaro in faccia.
“Lo portiamo la’, allora, e basta", aveva risposto l'uomo con i guanti di pelle. "Non posso rischiare che crepi qua; Umar Lham ci taglierebbe le mani e i piedi”
“Quel bastardo valdaclo vorrà altri soldi” , aveva detto il terzo uomo, il butterato.
“Glieli daremo. Gli diamo i soldi di Imrazor. Prima che Hìma arrivi fino al mare, passeranno giorni e giorni. Dovremo tenerlo qui fin che Hìma non torna con Lham”, aveva risposto l'uomo con i guanti. “E Ranas, e i nostri che sono andati al villaggio?”
“Se non sono ancora tornati, vuol dire che sono morti. Andiamo via”.
“Che facciamo della sua roba?” aveva chiesto il butterato.
“Buttatela via. Non possiamo portarcela dietro. Buttate via tutta la roba che possano riconoscere. In questo bosco, non la troverà mai più nessuno”.
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Hamac
La sala della locanda era calda e luminosa, e le finestre adesso erano di nuovo chiuse da stuoie oltre che dalle imposte. Le tavole erano pulite, i giunchi sul pavimento quasi freschi, e l’odore del maiale arrosto riempiva l’aria. Nìn passò accanto al padre con un vassoio pieno di boccali traboccanti, lo guardò, poi sollevò un sopracciglio verso Kiryazis, disapprovando le sue scelte in fatto di donne. Con un profondo inchino, appoggiò due boccali e se ne andò verso il tavolo in fondo, accanto al focolare.
Hamac alzò lo sguardo. Adesso era sicuro di aver capito. “Prima di parlare mangiamo, d’accordo?”, disse piano, con voce calma, e indicò l’arrosto di fronte a lui, attaccando il suo piatto con appetito. Dopo un momento, Kiryazis assaggiò il suo. Non vedeva carne fresca da vari giorni, e il grasso caldo e croccante del maiale gli faceva quasi girare la testa. Il pane era fragrante, e il burro dolce; non assaggiava cibo così buono da quando era a casa, e per un attimo pensò soltanto al suo stomaco. Poi il sapore del sidro gli fece rammentare improvvisamente la notte, e Niara. Rimise il boccale sul tavolo.
Hamac lo guardò mandando giù il boccone; vicino al fuoco, Loras, Hima e Indur cantavano assieme, allegramente. Anni prima, il coraggio di Kiryazis e il suo sorriso avrebbero potuto convincerlo. Anni prima, avrebbe voluto credere a questi uomini ingenui e valorosi, avrebbe voluto essere loro amico. Ora era stanco e basta. Erano un intralcio, un legame da evitare. Si limitò a dire: “Pensare che Niara fosse quello che sembrava è stato da sciocchi. Ti aspettavi una ragazzina, e hai scoperto una donna. Calda e affamata”. Hamac spinse via il piatto vuoto e girò lo sguardo verso il fuoco. “Dicevi di non sapere niente”, disse Kiryazis. “Come mai?”
“Non lo sapevo, allora. Quando l’ho trovata vicino alle cave, dopo la seconda battaglia. Vicino al campo di Seregul. Tutti questi anni. Lei era già così, come la vedi oggi. Gli stessi occhi. E la stessa fame.”
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Indùr aveva finito le sue riserve di pazienza…
Passare l’inverno nella taverna, alla fine, lo aveva stancato.
Da uomo d’azione qual’era, non si sentiva oramai più a suo agio in quel, sia pure caldo e accogliente, rifugio. Si era ben guardato dal lasciar trasparire questo suo stato d’animo per non turbare l’allegria dei suoi compagni, degli altri ospiti della taverna di Hamac e, soprattutto, della piccola Nìn, tuttavia…
Tuttavia temeva che fosse trascorso troppo tempo, troppo tempo da quando avevano scoperto che fine aveva fatto il corriere inviato dall’Ambasciatore Artagora e constatata la perdita del messaggio che recava con sé.
Avrebbero dovuto proseguire subito alla volta di Hator, per recare la copia del messaggio che Kiryazis recava con sé, ma le ferite che loro stessi avevano subito, la necessità di aiutare i sopravvissuti del villaggio attaccato dai predoni, riparare i danni dei quali lui ed i suoi compagni erano comunque, in parte, responsabili ed infine le titubanze di Imrazòr, turbato dalla scomparsa della sua spada e angosciato dalla volontà di ritrovarla, avevano finito col fermare la comitiva fino al sopraggiungere della neve, che aveva bloccato i passi e, di fatto, anche loro.
Da alcuni giorni però, l’aria aveva un odore diverso e, spesso, era accompagnata da un sia pur lieve tepore. Certo, erano ancora ben lontani dal disgelo, però finalmente Indùr intravvedeva la fine di quel, sia pur piacevole, confino. Parlò con Hamac e con gli anziani sopravvissuti del villaggio per sapere quando, secondo loro, le strade avrebbero potuto essere nuovamente praticabili e alla fine radunò i suoi compagni attorno al tavolo della taverna ed esordì:
“Amici miei! Fra un po’ di tempo le strade ritorneranno agibili e noi dovremo riprendere il nostro cammino. Io propongo, dopo aver riconsegnato il figlio del Balivo al padre ed averlo informato della sconfitta dei briganti, di lasciar perdere gli indugi e puntare direttamente su Hator.”
“Imrazòr!” riprese Indùr “So quanto tu tenga alla spada di tuo padre ed ammetto che, se fosse la mia, sarei angosciato quanto te per la sua perdita. Ma non possiamo rimanere qui per mesi a cercarla, perciò ti propongo questa idea: utilizza il tempo che ci rimane per cercarla. Dei preoparativi per la partenza ce ne possiamo occupare noi, lasciando te e chi ti accompagnerà liberi di cercare.
Non rimanere mai solo! Non vorrei che coloro che ti hanno rapito la prima volta si facessero vivi di nuovo! Se non la dovessi trovare in tempo, descrivi l’arma ai superstiti del villaggio che sicuramente conoscono la zona meglio di noi e chiedi loro la cortesia di cercarla e, se la trovano, di conservarla. La recupereremo al nostro ritorno.”
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