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Il giudice Tamagran
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Ar-Venie Eshe [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Min Curloer [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Indur
Arakhon e Imrazor stavano in piedi vicini, al centro della sala. Il giudice Tamagran s’irrigidì all’ingresso di Indur e Curloer, e divenne addirittura tetro in volto quando le guardie vi accompagnarono Ar-Venie. Ar-Venie portava le brache, indossava una giubba da uomo macchiata di sangue, e si era tagliata i capelli tingendoli di un nero d’inchiostro. Tamagran era padre di otto figli; era giusto, si, che le donne potessero ottenere l'eredità di famiglia e anche parlare in Consiglio, ma una brava donna doveva saper stare al suo posto. Fino ad ora, Ar-Venie era sempre stata una buona fanciulla.
Le accuse erano gravi; il capitano Ziminnath aveva riferito che la nobildonna e i suoi attendenti avevano sobillato una rissa nella piazzetta del mercato, e che durante la rissa una ragazza era rimasta uccisa, colpita alla gola da una stoccata di Ar-Venie stessa. Tutto questo si aggiungeva alle pesanti responsabilità di Arakhon Eshe per l'affare di Gilzamir; altro fango sul Consiglio.
“Signoria”, iniziò Tamagran, deciso, “Io ho cinque figlie. E’ usanza in Ostelor che le figlie femmine condividano gli stessi privilegi e la stessa educazione dei maschi. Invero, è inconsueto però che una donna si presenti di fronte alla giustizia abbigliata in questo modo, e con le mani lorde di sangue innocente...”
“State zitto, Tamagran”, gridò Ar-Venie. La sua voce bassa, profonda, fece sobbalzare il valletto del giudice, e stupì i suoi compagni. “Se volete rendere onore alla giustizia di Ostelor, che dite di rappresentare, il silenzio è l’unica cosa che possa permettervi di farlo”.
Il giudice rimase a bocca aperta a guardarla, come se fosse stato inchiodato sulla sua sedia da una folgore.
“In quanto al sangue innocente”, continuò Ar-Venie, “Quella fanciulla portava un corpetto di cuoio sotto la veste, e stava per colpirmi con uno stiletto dalla lama retrattile. Un'arma da sicario. Non volevo colpirla a morte, ma non c’è stato tempo per altro”.
Ar-Venie si avvicinò al giudice e all’anziano Arminidun, del Consiglio di Ostelor. Stava ora in piedi diritta, le mani appoggiate sul grande tavolo coperto dal panno rosso con ricamato l’Albero Bianco. Il suo stocco era appoggiato su quello stesso tavolo, vicino a un leggio di legno scuro; il sangue si era ormai seccato. "E ho raccolto questa, vicino al pozzo", disse gettando un coltello accanto allo stocco. "Una lama da lancio, ben bilanciata, e di certo intinta nello stesso veleno. L'Ordine non voleva che sfuggissimo".
Tamagran, nel vedere il coltello, portò una mano al viso. Arminidun, che era rimasto in piedi accanto a lui per tutto il tempo, si avvicinò, lo prese con un fazzoletto e lo ripose nella scatola di legno delle penne e degli inchiostri. "E' la prova che qualcosa è successo", disse a bassa voce, "Ma non certo del coinvolgimento dell'Ordine in qualcosa di così meschino".
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Arminidun , del Consiglio [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Yamo di Nindamos
Arminidun si sedette pesantemente, prese la penna che il valletto aveva appena intinto nel calamaio, e iniziò a scrivere, rivolgendosi ad Ar-Venie senza guardarla. "Volete raccontarci il resto, dama Ar-Venie?", chiese.
Il capitano Ziminnath si avvicinò a una sedia, la prese e la spostò in maniera che Ar-Venie potesse sedersi a sua volta; ma lei rimase in piedi in silenzio, stringendo le braccia al petto. “Dunque", proseguì allora Arminidun, "Non più tardi che in mattinata ho avuto un lungo colloquio con vostro fratello Arakhon. Questa settimana non è destinata a venir registrata nelle cronache del Consiglio come priva di eventi, ormai è chiaro ...”
“Questa volta avete rilanciato troppo, Arminidun”, disse Ar-Venie d'improvviso. L’uomo rimase con la penna a mezz’aria, e la guardò sorpreso; il tentativo di sorriso apparso sul suo volto si spense quando i loro occhi s’incontrarono.
“Signora, non capisco né le vostre parole né il motivo per il quale questa situazione si è creata. Dalla notte della violenza a Narika Nbari, e poi di giorno in giorno, sempre peggio, fino alle uccisioni di oggi. Nella piazza, di fronte a tutti. La vostra era una famiglia rispettata da generazioni; perché avete commesso quest’atto? "
“Non capite, Arminidun? Mi permetterete di aiutarvi, allora. Non credo che le mie parole possano avere il potere di ferire le nobili orecchie qui presenti più degli atti che stanno venendo commessi, e che sono stati nascosti al Consiglio”, disse Ar-Venie.
“Che siate un uomo che ha difficoltà a tenere le brache addosso è sempre stata cosa nota per noi. Da ragazzine abbiamo sempre avuto paura delle vostre visite. Le nostre serve erano terrorizzate da voi, le mie cugine vi guardavano con timore. Mia madre non vi approvava”.
Arminidun si agitò un attimo sulla sedia, non troppo colpito dalle parole di Ar-Venie, mentre la bocca di Tamagran si spalancava di nuovo, e ancora di più. “Sono calunnie. Non intendo cosa abbiano a che fare con ciò su cui si sta dibattendo oggi. Sono vecchie e già sentite”.
“Vi siete forse raccolto per un attimo almeno a pensare, Arminidun? Avete riflettuto sul passato dei morti?
Ronul era un giovane sinistro, un gran bevitore e un donnaiolo; più che la casa del padre, il suo tetto erano i lupanari del porto, e magari provava qualcosa di più che affetto filiale per la matrigna. Era violento, mal visto da tutti e mal sopportato a corte.
Gilzamir era un forte giocatore, spesso indebitato fino a dentro le ossa, ma nell’ultimo periodo aveva ottenuto il sorriso della fortuna e i suoi crediti, anche nei confronti di persone autorevoli, avevano superato di molto i debiti e questo stava creando un certo imbarazzo. Andalonil e Milazor gli dovevano molto; una mezza fortuna.
E Themis era stata per la maggior parte della sua vita una donna facile alle amicizie, estremamente aperta alle conoscenze. Conosceva molti uomini. Sapeva molte cose”, disse Ar-Venie.
“Vi ringrazio, signoria, ma il passato dei morti difficilmente avrà rilevanza nel nostro contesto. E nemmeno è troppo importante conoscere se alcuni notabili avessero o meno debiti di gioco con Gilzamir”, disse Arminidun. "Quasi tutti hanno debiti di gioco, compreso vostro fratello se non voi stessa", concluse.
“Chi era presente quella sera in casa di Gilzamir, Arminidun? Andalonil, Milazor, Muzabar. Tutti e tre membri di famiglie con un seggio nel Consiglio, tutti e tre in forte debito nei suoi confronti”, disse Ar-Venie. “Nessuno avrebbe pianto troppo la scomparsa di Gilzamir e Ronul; non erano amati. Ma che cosa aveva fatto Themis per spaventarvi? Perché avete fatto uccidere anche lei?”
"Signoria, adesso state passando il segno. Capitano, detesto darvi quest'ordine ma..."
“Themis e Ronul vi ricattavano, Arminidun? Perché mai? Cosa portano le vostre carovane dal nord, Arminidun? Il commercio di schiavi è ora illecito a Ostelor, eppure chi è influente presso la legazione di Gondor potrebbe riuscire a mascherare una tratta. O forse si tratta di vostra figlia Zenabeth? E’ molto giovane, e non è nata in città. Si potrebbe dire che provate per lei un forte affetto, più forte dell'amore di un padre ... ”
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Zenabeth , figlia di Arminidun
“Non intendo ascoltare una sola parola di più! Tutto ciò è ingiurioso”, gridò Tamagran alzandosi di colpo. Raccolse rapidamente le sue carte, e fece atto di lasciare la sala.
"Andate pure", disse Ar-Venie. "Credo che la questione travalichi ormai la competenza di una corte di giustizia; non c'è più bisogno di voi. Andate, Tamagran... andate".
Arminidun non aveva avuto reazioni apparenti alle parole di Ar-Venie, ma ora aveva posato la penna, e l’ascoltava. Nella sala, andatosene Tamagran, non c’erano altri rappresentanti del Consiglio; solo egli stesso, Ziminnath con le sue due guardie, e gli accusati. “Continuate, Ar-Venie. Credo che sia giusto lasciarvi libertà d’espressione”, disse.
“Le carte geografiche che sono state rubate dalla cassaforte di Gilzamir sono vostre, Arminidun. Non ne ho la certezza, ma l’avrò non appena avrò potuto confrontarle con le mie.
Le avevamo esaminate assieme l’anno scorso al Consiglio, quando si era parlato delle isole del Meridione dell’Harad, e ricordo molto bene le vostre osservazioni sugli errori, sui contorni imprecisi delle coste e sulle coordinate più importanti; ricordo la mano dell’autore, e le sue convenzioni. Le avete fatte avere a Gilzamir per esporlo e per creare un motivo per ucciderlo; eravate convinto che sarebbero state recuperate dai vostri assassini, ma la cassaforte di Gilzamir aveva un cofanetto al suo interno. Una doppia sicurezza che non era stata prevista.
Avete commissionato la sua uccisione. Addirittura, potrebbe esser stato più d'uno ad armare la mano dei sicari; se così fosse, non risultereste colpevole da solo, e sicuramente nessuno ha preso accordi direttamente con l'Ordine. Un processo significherebbe la destabilizzazione del Consiglio; qualcosa che in questo momento Ostelor non può permettersi.
La sera della festa era un’ottima occasione, e probabilmente avete contribuito a crearla. Lo scopo dell’assalto non era il furto; lo stato dei corpi non lasciava spazio per equivoci, la mano aveva colpito sempre per uccidere, e le armi portavano veleno. Lo stesso veleno che ha quasi ucciso il mio servo Suri, e che avrebbe ucciso me nella piazza del mercato".
Arminidun era immobile; il viso, freddo, non mostrava nemmeno ora alcuna emozione.
"La vostra idea era, forse, incolpare Arakhon per creare una gran confusione e allontanare l’attenzione da voi per qualche mese; nel frattempo avreste sistemato tutto il resto.
La mia famiglia è stata già colpita duramente dalla sorte dopo la morte di mia madre, e Arakhon è impulsivo, avrebbe avuto difficoltà a difendersi. Avreste di certo richiamato alla memoria degli altri notabili la fuga della nostra sorellastra, e proposto di mettere tutto a tacere con un’ammenda adeguata. Il Consiglio ne sarebbe stato felice; altro denaro sarebbe entrato nelle casse".
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Arakhon [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Imrazor
"Non potevate sapere che nella cassaforte di Gilzamir ci fosse una doppia sicurezza, e qualcosa d’altro oltre ai suoi gioielli e alle carte geografiche. Non potevate immaginare che queste cose sarebbero state prese e portate via, né che uno degli assassini sarebbe stato visto da uno dei nostri servi, e catturato. Non avevate previsto che le cose vi sfuggissero di mano, che tutto diventasse confuso e incontrollabile e che l’Ordine ne fosse scontento e allarmato.
Io credo che fosse stata Themis a vendere il rubino all’Ordine di Nindamos. Sicuramente non in maniera diretta, ma attraverso gli amici di Ronul. La pietra proviene da Hathor ed è lavorata in modo particolare; dalla sua parte centrale sono state tagliate delle pietre più piccole. Questo può essere stato fatto direttamente in Hathor, oppure qui, in città, chi potrà mai saperlo, ora che colui o colei che ha disegnato questo piano non c’è più?"
Ar-Venie si avvicinò ad Arminidun.
"L’Ordine vuole il rubino, Arminidun; forse Yamo è qui proprio in questo momento, in questa fortezza, e non attende altro che di poter avere mano libera con me per condurre le cose alla sua maniera. Ma non sarà così, perché non oserete più far alzare la mano dei vostri servi sulla mia famiglia.
Adesso so molte cose su di voi, persino sull’Ordine; mastro Ciryaher è sfuggito al vostro agguato, e miei messaggeri sono già pronti a partire se entro il tramonto noi tutti non saremo rientrati a Inziladun. Non vi chiederò nient’altro oltre la nostra libertà e la restituzione del mio denaro, perché non sono una sciocca: non voglio di certo mettervi nella situazione di non aver nient’altro da perdere.”
"Potete andare, voi e i vostri", disse Arminidun dopo un lungo silenzio. "Troveremo di certo un accordo. Il Consiglio ha bisogno di pensieri giovani".
"No!", gridò Ziminnath. "Non ve ne andrete, Ar-Venie. Voi siete mia!". La spada apparsa come per magia nelle sue mani, si avventò contro di lei, trafiggendole il ventre.
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Il capitano Ziminnath
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