Dorgur e Khalid, presi prigionieri ad Ooni da Peshtan, tratti in schiavi e condotti fino nel Grande Harad, sono stati venduti a una ricca famiglia mercantile del Sirayn e si trovano ora a Tartaust, una città molto importante fra i fiumi Chenna e Siresha, rinomata per le sue cave di marmo.
Gli abitanti del Sirayn, fra i quali Khalid e Dorgur adesso si trovano, sono un gruppo di natura unica fra i popoli dell'Harad. La sofisticatezza e delicatezza della loro cultura, conosciuta in tutto il continente di mezzo, sorpassa quella di tutte le altre Genti Libere fatta eccezione per i soli Eldar e Numenoreani.
Divenuta potente a metà della Terza Era, e poi andata via via decadendo per rinascere dopo la Guerra dell'Anello, Tartaust è una presenza economicamente influente nella regione. Dorgur non vi si è mai recato nel corso della sua giovinezza, ma ha sentito tanti racconti; molti secoli fa, nella Seconda Era, quando le prime pietre delle Città sui Fiumi venivano posate, in Tul Harar, e poi in Tul Isra, nel porto libero di Tul Harar, in Charnesra ora in rovine e a Tartaust risiedevano famiglie di nomadi venuti dall'Est, marinai Elfi e discendenti di Elros. L'unione di queste culture ha prodotto una società unica nel suo genere.
Purtroppo non c'è solo oro nel Sirayn, non ci sono solo cose belle, e vendere e comprare schiavi è una pratica comune, accettata in molte delle città principali; in origine, i primi schiavi erano prigionieri catturati in guerra, e dal riscatto di quei prigionieri si è generato il commercio degli schiavi attualmente esistente. Forestieri ingenui, debitori e bambini possono costituire una facile fonte di profitto per gli schiavisti di Tartaust; il numero di schiavi posseduti indica spesso, nel Sirayn, la potenza e ricchezza di una famiglia, e per gli schiavi maschi più giovani e forti il lavoro nelle cave di pietra o l'essere venduti alle donne più influenti è la sorte più comune.
Proprio in una cava di pietra, dopo averli tenuti per un breve periodo al servizio nella loro casa, la famiglia Hassounah utilizza adesso la forza fisica di Khalid e Dorgur.
Il loro padrone è Nadim Hassounah, ma il persecutore e aguzzino è stato, nel corso dei mesi trascorsi nella cava, Awad, uno schiavo liberato di razza Adena.
Khalid e Dorgur vivono in una baracca assieme ad altri dieci schiavi; il cibo, l'acqua e gli abiti non sono mancati, e tutto sommato sono stati trattati abbastanza bene, ma il lungo lavoro, protrattosi anche per periodi di molti giorni, con poco o nessun riposo, li ha debilitati e minati nel fisico. A tratti, per settimane, sono stati anche separati, e solo di recente sono stati riuniti; non sono mai stati in città, ne sanno molto poco e perlopiù hanno appreso cose raccontate dagli altri.
Per quanto non abbiano mai rinunciato alla speranza di fuggire, si rendono conto di come la fuga stessa sia estremamente difficile.
La baracca è comoda, la paglia del letto viene cambiata spesso, ci si può lavare; ci sono degli sgabelli, degli strumenti per suonare e dei dadi per giocare. Chi sa leggere, può chiedere di farlo, e gli vengono portati dei rotoli contenenti antiche ballate del Sirayn. Ma possiedono veramente poche cose; due tuniche di juta (quella indossata è tenuta stretta da una cintura di corda), delle scarpe di pelle con la suola di corda, un piccolo otre appena sufficiente per una giornata o due, ed un sacco nel quale tenere la loro coperta, il pane, un poco di grasso per le mani e il martello e lo scalpello con il quale lavorano sulle pietre ...
... nonostante ciò, Khalid non ha perso la speranza. Che cosa farà?
Come Dorgur gli ha detto, l'unica speranza è discendere uno dei due fiumi con una barca, e arrivare al mare; è ciò che lui ha fatto molti anni fa. Affrontare le alture settentrionali, o le terre desolate a oriente, equivarrebbe a morte certa. E nessuno, una volta riconosciuto il loro marchio di schiavi (due cerchi rappresentanti due anelli di una catena), li aiuterebbe, a meno di non avere la fortuna di venir aiutati da un Ayten o da un Danak, due etnie che odiano la schiavitù. Ma per raggiungere i fiumi dalle cave di pietra è necessario passare il grande ponte, e non hanno una barca. E con una barca, comunque, non potrebbero affrontare l'oceano; Khalid vuole tornare verso sud, ma come fare, se si è senza denaro, per ottenere un passaggio su una nave?
Come pensa di fuggire, Khalid? Quali sono i suoi pensieri, nelle lunghe serate d'autunno?
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"Dirò la verità, Dohrgur, come ho sempre fatto". Eppure che cosa fosse la vera verità era la domanda che più frequentemente frullava nella testa dello schiavo. "So di alcune tribù lungo i fiumi che odiano la schiavitù e si battono per l'onore della ribellione a tale condizione". Facezie, finte speranze di uno sparuto gruppo di romantici idealisti. In queste vane speranze risiedeva la possibilità di fuga di Kahlid.
Ciò che serviva ora era incontrare uno di loro che magari risalisse fino alla loro città con una zattera per il commercio e fuggire in una sola notte in uno dei villaggi che volentieri l'avrebbe nascosto, come segno forte della sua ribellione alla schivitù. Dohrgur sembrava perplesso e scorgeva nelle parole di Kahlid solo il suo stato d'amore febbrile che lo facevano ragionare col cuore e non con la testa.
Com'era nella sua natura, Kahlid aveva lavorato fedelmente, senza destare un solo sospetto nei suoi padroni e nei suoi carcerieri. Ogni parola, ogni ordine erano stati eseguiti con fermezza e convinzione, diluendo l'amarezza dell'asservimento forzato, con i suoi pensieri e le sue sensazioni d'amore.
"Dohrgur, conosco ogni movimento e ogni pensiero dei carcerieri. Mi muoverò nelle ombre in compagnia del silenzio. Forse lungo il fiume, prima che le zattere ritornino ai loro villaggi, riuscirò a trovare qualcuno disposto a trasportarmi gratuitamente. La mia storia li convincerà ne sono certo. Fuggi con me fratello".
No, padre! Attento! PADRE! NOOOOO!!!!!!
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Il silenzio della baracca mi soffoca in gola l'urlo di dolore che ancora risuona nella mia mente mentre mi riprendo dal sogno.
Respiro, ascolto i miei compagni che russano; l'alba sta sorgendo oltre le torri di Tartaust al di là delle sbarre di ferro della piccola finestra, dipingendo la stanza di una luce pallida e grigia.
Guardo Khalid che sorride nel sonno, probabilmente avvolto in un sogno tiepido e romantico che lo vede vicino alla sua Lariessè, in un mondo migliore di questo.
Ormai sono mesi che il mio passato ritorna nei miei sogni; tornare nel Grande Harad ha fatto riaffiorare il dolore per la perdita della mia famiglia e ha riacceso dentro di me un odio bruciante, violento, una stretta al cuore che non mi abbandona.
Ancora una volta le persone che mi sono care muoiono per mano valdacla, un altro essere umano dice di essere il mio padrone e un collare e un marchio segnano il mio corpo, simbolo di una sottomissione a cui io non mi piegherò mai. Maledetti!!
Non riesco a pensare ad altro ultimamente: anche Khalid sembra un leone in gabbia: è irrequieto e impaziente. Dobbiamo fuggire!
Ma non riesco a ragionare con lucidità: gli eventi a Same sono precipitati. L'accecante sconfitta della cittadella sepolta, la fallita ribellione di Tadoor, la perdita del mio mentore e il destino sconosciuto di Anysa. Pensieri caotici si accumulano nella mia mente.
Ora anche la mia seconda famiglia non esiste più. Solo il mio scuro compagno è rimasto al mio fianco: gli altri fieri camerati che marciavano con me sono caduti, uno ad uno. L'amico Aldor, il fiero Valadil, il saggio Muthamin....non posso più lasciare che chi mi è caro perda la sua vita, senza almeno vendicarne la morte.
Il cuore di Khalid è pieno di amore...il mio di risentimento. E' ora che saldi i miei conti col passato, per poter affrontare con più calma il presente. E questo mi porterà lontano da Same, ad Arpel. Alla ricerca di mia sorella...e alla caccia di Darezor, l'assassino!
Fuggirò con te, Khalid, ma ti dovrò lasciare. Devo farlo. Ci sono dei conti che devo chiudere nella mia vita, altrimenti non potrò più avere rispetto di me stesso.
Lo so, non capirai, e mi maledirai.
Ma resterai mio fratello.
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