Interludio: Rosso e Dorato (lug, set 74 QE, Ostelor) | Terra Di Mezzo | Forum

Ambito del forum


Confronta



Opzioni del forum



Lunghezza min ricerca: 3 caratteri - Lunghezza max ricerca: 84 caratteri
Password persa?
sp_TopicIcon
Interludio: Rosso e Dorato (lug, set 74 QE, Ostelor)
RSS
1236 Messaggi
(Offline)
1
Agosto 10, 2006 - 11:25 pm

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Yamo Nindamos , Primo Consigliere di Ostelor

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Lo stendardo di Ostelor

Yamo prese posto sullo scranno più alto del palco, e i suoi guardiani si fermarono, come cani da caccia, ai suoi piedi, per tenere distante la folla in tumulto. Tutti gli uomini più importanti di Ostelor erano ormai riuniti nel Mardo Eloriono, il Palazzo del Consiglio, assieme ai loro cadetti e servitori; su uno dei palchi più alti e lontani, quasi nel buio, stava Artagora, rappresentante di Hathor.

L’attenzione si rivolse di nuovo verso la grande porta dell’edificio ; l’ingresso dell’ammiraglio Akhibrazan, inviato dall’oligarchia della città di Ro-Mollò e investito dei pieni poteri, fu accompagnato da un’ovazione generale: grida di benvenuto e acclamazioni da ogni parte, mentre ogni flauto, tromba e tamburo si univa al clamore e i più bassi saltavano al di sopra delle spalle dei più alti e spingevano per vederlo passare.
Sembrava un pò confuso per l’accoglienza, ma a metà tragitto non poté più far finta di nulla, e s’inchino agli astanti mentre Yamo ringraziava la folla con gesti regali, e veniva ricompensato da un coro di “Urrà”.
Gli altri consiglieri lo imitarono, ma senza riuscire a eguagliarne l’aristocratica disinvoltura. L’espressione di Tamagran, che lasciava presumere che egli si ritenesse oggetto in prima persona di tanto entusiasmo, provocò diverse risate. Di tutto il gruppo, soltanto Ar-Venie rimase impassibile; Telumethar mostrava la sua profonda tristezza, e Nimraphor stava accanto a lui, forte, sostenendolo. Ciononostante, l’entusiasmo si rivolse anche verso di loro, e la folla li salutò molto calorosamente, specialmente coloro che, dopo aver gettato dietro le spalle l’ultima speranza di pace alla notizia della lettera di Valandor, avevano messo la vita nelle loro mani, offrendosi di servire per l'una o per l'altra famiglia. Come Artagora, si sarebbero senza dubbio stupiti se Ar-Venie e Telumethar si fossero comportati diversamente.

Quando Akhibrazan si fece avanti, e salì sul palco mettendosi vicino a Tanadas che gli cedeva il posto alla destra di Yamo, si creò un improvviso silenzio. Con il tono di voce che usava sempre sulle sue navi Yamo disse:

“Uomini e donne di Ostelor. Uomini e donne di Bragolstir, Enyarma, Keliant ...”

Scandì con energia i nomi delle contrade, lasciando spazio per la vociante reazione del pubblico dopo ognuno, dal moderato clamore dei pochi del quartiere di Inziladun alle grida sonore delle centinaia di persone di Enyarma e del porto.

“Uomini di Ostelor! Di Arpel, e di tutte le città dei Domini! Numenoreani!
Mai, da quando le reliquie di Ar-Pharazon sono state condotte per la prima volta sulle nostre spiagge, né per tutti i secoli in cui i nostri antenati hanno seguito il suo sacro emblema come soldati, la nostra terra è stata onorata quanto oggi. Siamo giunti a un grande momento.

Questa è una città prosperosa. Ci ha accolto porgendoci i doni della terra, i frutti e i pesci dei suoi mari. Ha accolto e protetto con benevolenza le nostre navi con il suo meraviglioso porto naturale. Possiamo credere che tali ricchezze ci siano state date e siano rimaste nostre sino a oggi perché soltanto per puro caso gli altri popoli, gli altri regni sono rimasti all’oscuro della loro esistenza? Siamo vissuti liberi in questa terra meravigliosa così a lungo soltanto per una semplice coincidenza?"

Una furia esultante rese la sua voce di tuono.

"Io vi dico che per Eru Iluvatar non esistono coincidenze. Apparteniamo a un grande popolo! Siamo i prediletti! Portiamo in noi tutto il meglio di Numenor, con cuore sincero! Non è stato per caso, che questa terra ci è stata donata, ma per volontà di Eru!”

La sua mano si chiuse eloquentemente in un pugno; Tanadas acquietò la folla, soffocando lo strepito con entrambe le mani. Artagora incrociò lo sguardo di Ar-Venie, che gli rivolse un cenno di saluto: era assente, spettatrice immobile e trasparente di una tragedia che pareva non riguardarla.

"Apparteniamo a un grande popolo. Un gigante in catene! Un popolo che abbonda di tutte le più grandi virtù: siamo dotati di forza, d’ingegno, risolutezza e coraggio. Sensibilità, e animo gentile. Eppure, nonostante tutto, siamo costretti a vedere i nostri sforzi spegnersi a poco a poco nell’inoperosità, alla luce della malevolenza.

Abbiamo invocato la soppressione del divieto di commerciare con Umbar e con le terre del nord, inviando infinite petizioni al legato di Gondor. Abbiamo richiesto le più modeste concessioni, ma tutto è stato inutile: il cuore del re di Gondor è duro come pietra. Più di una volta, a Umbar e a Pelargir, è accaduto che un mercante di Ostelor sia stato costretto a vendere le proprie merci di contrabbando, svigliandosela dal porto a mezzanotte in modo da non incorrere nella confisca della nave perché, se un capitano di porto di Gondor l’avesse visto, l’avrebbe trattato alla stregua di un qualsiasi negro o straniero.
Più spesso, quel mercante non è riuscito a concludere nessun affare in quei luoghi, e a causa di questa restrizione delle sue libertà il nostro popolo ha patito il freddo e camminato a piedi nudi.

Con estrema pazienza e umiltà abbiamo riproposto la nostra supplica a Valandor, governatore scelto da Elessar: permetteteci di negoziare con le colonie di Gondor, ne conseguiranno ricchezze per loro e anche per voi. Chi poteva opporsi a una tale richiesta? Ma no, non hanno voluto sentire ragioni. Ci hanno scacciati.

Ora diciamo basta, non lo chiederemo di nuovo. Ciò che non ci è stato concesso ce lo prenderemo."

Si fermò per accettare un boccale d'acqua che gli veniva offerto, e per slacciarsi gli stretti polsini. Si rivolse al Consiglio. Prima d'ora, Artagora non lo aveva mai sentito usare una voce così forte e profonda, ancora più potente di quella riecheggiata da un capo all'altro della stanzetta della prigione, quand'era stato di fronte a lui assieme ad Endariel, per interrogarlo, in un passato incommensurabilmente remoto.

"Gondor ha già dimostrato una certa benevolenza dichiarando le sue intenzioni attraverso Athanasios, l'ambasciatore di Hathor, e questa missiva... ecco qua...”

Estrasse la lettera, e l’aprì con solennità, sollevando il foglio verso il lume della torcia.

"Il Cavaliere Beleridan, primo segretario del governatore della provincia di Ostelor in nome di Gondor, Cavaliere Valandor Hamina, si permette di annunciare che il governatore, desiderando servire il proprio Re, la Maestà Elessar Telcontar di Gondor, e guidato da veri sentimenti di amicizia e dall’amore che lega il Re alle terre che furono un tempo del Dominio dei Valdacli e a tutti i suoi sudditi, auspicando pace e armonia tra i due popoli, impone ai recentemente e illecitamente eletti rappresentanti di Ostelor, nonostante le molte offese e usurpazioni ai danni del Sovrano sua Maestà Elessar Telcontar, di ritirarsi definitivamente e incondizionatamente entro la festa di Mezza Estate prossima ventura dal governo della città, e di lasciarla, con tutti i loro beni, merci di scambio e armi, fatta eccezione unicamente per le navi da guerra di loro proprietà, che serviranno d’ora in poi la bandiera di Gondor e accompagneranno alla destinazione da lui medesimo comunicata le navi del Cavaliere Cirmoth di Gondor, intese all’ancora in Ostelor entro l’estate. In osservanza di tale supplica, il governatore della provincia di Ostelor in nome di Gondor, Cavaliere Valandor Hamina, assicura sul suo onore che a chi è stato illecitamente eletto in Ostelor non sarà fatto alcun male.

Il vostro devotissimo servitore,
Cavaliere Beleridan di Pelargir di Gondor

M’inchino di fronte a voi"

“Una missiva ardita ed elegante! Come dovremmo rispondere? Dovremmo forse polemizzare, oppure scusarci? Difenderci? Dissertare, come fa il filosofo Artagora che porta ora la voce di Athanasios, delle necessità del nostro popolo? Avanzare sfide o minacce? No! Noi ci batteremo con le nostre spade, ecco la nostra risposta!”

Avvicinò la mano alla fiamma della torcia e il foglio prese fuoco inviando vivaci bagliori sul suo volto. Un ruggito ferino si levò dalla folla, le acclamazioni proseguirono a gran voce ...

"Forse, signori, le notizie, le brutte notizie sono già giunte all’inviato di Elessar. Immaginatevi la scena! Il messaggero con il viso arrossato ansima lungo le interminabili rampe di scale del palazzo di Cirmoth. Egli cammina avanti e indietro; è inquieto, gli è giunta qualche voce sull’accaduto. Un inquietante sospetto lo affligge mentre ascolta l’eco di quei passi che salgono con fatica l’ultima rampa di scale; ma non può essere vero. Alla fine il dispaccio è nelle sue mani, rompe il sigillo, legge.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Cirmoth, capitano della flotta di Gondor

I Domini Valdacli sono in armi, una flotta che unisce le navi di Ostelor e di Ro-Mollò si dirige verso la sua! Osservate il suo volto mentre infine si rende conto della situazione e il suo cuore diventa di ghiaccio.

Trecentosettanta galee di Ostelor e Ro-Mollò! Trecentosettanta galee, condotte alla gloria da Akhibrazan, Tarfil, Tamagran e Telumethar!

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
L'Ammiraglio Akhibrazan [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
L'Ammiraglio Tarfil [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Il capitano Tamagran [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Il capitano Telumethar

Elessar avrebbe potuto essere qui se avesse voluto vivere assieme a noi, da fratello! Ma no, non ha voluto scendere a patti!
E altre mille galee si armano nei nostri porti! In pochissimo tempo è stato fatto un ottimo lavoro. Grazie agli sforzi di uomini giusti e onesti, che nella nostra città non sono mai mancati. Grazie a donne come Ar-Venie, alla quale il Consiglio affida, unanimente, il governo dei commerci e la giustizia, mentre la Camera di Guerra rimarrà chiusa!

E ora andate! Quanto stiamo per compiere sarà ricordato per secoli da quelli che verranno! Un giorno di riposo e una notte di danze e di festeggiamenti non sono mai stati così meritati! Sia festa in tutta Ostelor, in tutta Ro-Mollò!"

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Lo stendardo di Gondor

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Elessar Telcontar, Re di Gondor

[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "La Nave del Sole Nascente", di Douglas Galbraith [/size]

1236 Messaggi
(Offline)
2
Agosto 28, 2006 - 9:58 pm

La stanza più in alto, inospitale e spoglia, non era stata più abitata dal tempo dei grandi Palanrist: il pavimento era ricoperto da uno strato di soffice polvere grigia e di guano di pipistrelli e, fra le travi oscure in alto, si udivano muoversi i pipistrelli stessi. Era una stanza priva di allegria, ostile, e ciò nondimeno offriva un’eccellente vista del porto, e di Inziladun e del suo cortile, anche se non di ciò che si trovava sotto i pergolati.

“Eccone uno”, annunciò il primo osservatore, “Si è appena spostato al sole”.
“Il letterato che sta passeggiando con la donna?”
“E’, sì, un letterato e molto bravo, a quanto dicono; ma è anche un agente di Hathor e informatore. Si chiama Artagora. Padre di Parga, madre nata sulle città costiere, verso le Colonie orientali. Può farsi passare per l’uno o per l’altro; per hathoriano o valdaclo, o per dunedano. Ha provocato danni molto gravi, è stato la causa diretta della morte di molti dei nostri e si trovava assieme ad Anysa quando è stata organizzata la spedizione che ha ucciso Ahnta”.
“Mi occuperò di lui stanotte”.
“Voi non farete niente del genere”, ribatté seccamente il primo uomo.

Aveva un forte accento meridionale, ma in realtà era orientale, uno dei più importanti aradani nei Domini, e il mumakano che era con lui s’inchinò con aria di sottomissione. L’aradano era un individuo smilzo, di altezza inferiore alla media, olivastro, spigoloso; il tipo dello studioso, dall’espressione abitualmente chiusa, riservata, un uomo che raramente attirava l’attenzione ma che, una volta attirata, comunicava un’impressione di grande intelligenza e di dominio di sé; e Ba Zalarit aveva anche l’aria autorevole della persona con molti mezzi a sua disposizione. Dall’abbigliamento lo si sarebbe detto un prospero commerciante.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ba Zalarit

“No, no, Umar Lham”, riprese in tono più gentile, “il vostro zelo è lodevole e so che sapete usare il coltello con eccezionale perizia, ma qui non siamo a Umbar, e nemmeno a Tul Harar. La sua scomparsa senza spiegazioni farebbe un gran chiasso: le implicazioni apparirebbero ovvie ed è assolutamente indispensabile che nessuno sospetti della nostra presenza. In ogni caso, c’è poco da apprendere da un morto, anche quando lo si può interrogare, mentre Artagora vivo potrà fornirci una buona dose di informazioni. Gli ho messo alle costole qualcuno di cui vi parlerò, e Zanaenia spierà i loro nuovi incontri con la massima cura. Piuttosto vi preparerete a partire subito per raggiungere Umar Khel.”
“Chi è la donna?”
“Una signora che lavora per noi senza saperlo. Riferisce ogni giorno molte cose, anche se poche ci sono subito e direttamente utili. Vicino a lei c’è sempre il nostro uomo. E’ in una posizione ideale per ottenere informazioni: è ricevuta dalle migliori famiglie, è sempre vicina alle mogli e alle figlie dei consiglieri, e talvolta ai consiglieri stessi, e ciò la porta a ricevere una quantità di confidenze. Ognuna per se stessa di poco conto, ma se le mettiamo tutte in fila e usiamo le capacità della nostra mente, ecco che appare un prezioso quadro d’insieme. Suona il mandolino. Vedete quell’uomo alto sotto il pergolato all’estrema sinistra?”
“Il marinaio col tatuaggio sul braccio?”
“No. L’altro, a capotavola.”
“Quell’uomo grande e grosso, con i capelli neri?”
“Proprio lui. E’ il consigliere al momento più influente.”
“Quella specie di bue dalla faccia rossa? Mi stupisco. Lo avrei piuttosto detto amante delle baldorie. Guardate come ride: di sicuro lo sentiranno persino a Rilaj. Probabilmente è ubriaco; i valdacli sono sempre ubriachi, non conoscono la decenza.”
“Forse. In ogni caso ama molto la musica. Tra l’altro, permettetemi di mettervi in guardia contro i giudizi affrettati, offuscati dall’antipatia personale. E badate a non sottovalutare il nemico: il bue dalla faccia rossa è Yamo Nindamos, il Primo Consigliere e, anche se in questo momento può non sembrare molto saggio, è l’uomo che ha negoziato con Sciahan, ha eliminato le pretese territoriali di Nurmi e ci ha cacciato dal Mumakan orientale. Uno sciocco non avrebbe saputo fare nemmeno una di queste cose, non parliamo poi di tutte e tre. Ma, come stavo per dire, essendo amante della musica, ha deciso di imparare a suonare il mandolino e a cantare, per capire la poesia dell’est.”

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Umar Lham

Lham stava per dire qualcosa sull’ingenuità di una simile cosa ma, vedendo l’espressione sul volto di Ba, tenne la bocca chiusa. “Il suo primo maestro è stato il vecchio Lindir ma, non appena Zanaenia l’ha saputo, ha mandato le persone adatte a dirgli di ammalarsi e di raccomandare la signora. Non interrompetemi, prego”, disse, alzando una mano per impedire all’altro di parlare, “è in ritardo e desidero dire tutto ciò che va detto prima che arrivi. Il punto fondamentale è questo: Yamo ed Endariel sono intimi, e portando la donna a contatto con Yamo, la porto in contatto con Endariel. E’ giovane, graziosa, molto intelligente e di buona reputazione: non le si conoscono amanti. Nessun amante dopo il matrimonio, intendo. Date le circostanze, non ho dubbi che Yamo s’invaghirà di lei e mi aspetto di ottenere informazioni davvero preziose.”

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Zanaenia Itarit

Mentre Ba pronunciava queste parole, Yamo si girò sulla sedia, si alzò e guardò dritto verso la torre, proprio come se i suoi strani occhi scurissimi penetrassero attraverso le imposte chiuse e fissassero gli uomini che si trovavano all’interno, tanto che entrambi arretrarono silenziosamente di un passo. “Un serpente pericoloso, quello”, bisbigliò Lham.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Yamo Nindamos , Primo Consigliere di Ostelor [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
L'arconte Artagora di Hathor

“Vado alla sala da musica ogni volta che posso”, spiegò Yamo quando si furono seduti a un tavolo sotto il pergolato, dietro la serra. “Piace anche a voi il canto, Artagora?”
Artagora rispose prontamente: “Moltissimo, signore, purché privo di sdolcinatezze o di ricerche di effetti brillanti e con un fraseggio preciso: nessuna nota di passaggio, nessuna ostentazione.”
“Proprio così!”, esclamò Yamo. “E nessuno di quei melismi alla moda. Semplicità: ecco il punto. E qualche degno giovane orientale ne conosce il segreto.”
Parlarono dei modi del canto orientale, trovandosi d’accordo sul fatto che in generale preferivano quello delle isole alle voci dell’Harad, e Yamo disse: “Sono stato a una delle loro cene l’altro giorno, hanno cantato in misolidio, una cosa composta qui, e devo confessare che la Pace del vecchio cantore mi ha commosso fino alle lacrime.”
“Pace...” gli fece eco Artagora. “La rivedremo mai nel nostro tempo?”
“Ne dubito, con il re di Gondor nella sua forma attuale. E’ vero che voi non siete di Ostelor, Artagora; ma non desiderate ugualmente vedere il tiranno Elessar doppiamente maledetto per tutta l’eternità, andata e ritorno, il cane?”, inveì Yamo.
Artagora rise. “Ricordo Araphor, la vostra signora di Miredor, che ho conosciuto. Ella riconosceva ogni sorta di gravi colpe ai Dunedain dell’Arthedain, compresa quella di aver dato la luce a dei tiranni, come dite così giustamente voi, e ancor peggio li accusava di una totale ignoranza della grammatica, degli usi e delle maniere di Numenor. Ciò nondimeno li appoggiava con tutta se stessa. Sosteneva questo: solo le arti distinguono l’uomo dagli esseri bruti e rendono la vita quasi sopportabile, le arti fioriscono soltanto in tempo di pace e per la pace universale è necessaria una regola universale... e a questo punto mi ricordo d’averla sentita citare lo storico Xuthus di Hathor sull’epoca felice di Elros Mezzelfo, concludendo che in realtà perfino il più grande dei re di Numenor, perfino Ar Pharazon, era un tiranno, non fosse che in potenza, ma che la pace valeva il rischio del potenziale esercizio di questa tirannia. Secondo il punto di vista di Araphor, Gondor era l’unica potenza, appoggiata ora da semidei più che da uomini, capace di sconfiggere il Signore Oscuro e imporre un impero universale, e così, per ragioni umanitarie e artistiche, ella si era impegnata contro Sauron.”

Artagora vide una quantità di obiezioni appassionate affollarsi nel petto di Yamo, e si preparò alla dialettica, ma intuì che egli da lungo tempo aveva cessato di aprirsi con chi non fosse suo amico intimo; quindi si limitò a sorridere, mentre Yamo diceva, fissando il bicchiere: “E’ un punto di vista, certo. V’invidio l’onore di aver conosciuto Araphor.”
Artagora, per allentare la tensione, proseguì: “Ma in ogni caso, è chiaramente nostro dovere spezzare le gambe a chi intende dominare il mondo intero, se posso usare quest’espressione.”
Yamo, sporgendosi verso Artagora, soggiunse: “Per parte mia, Artagora, ammiro la vostra eloquenza. Ma non ho purtroppo il tempo, né oggi né domani, di indugiare con voi in conversazione. Ho un compito abbastanza delicato in questo momento e vi sarei grato di un vostro consiglio: l’ammiraglio Akhibrazan ha detto che avrei potuto rivolgermi a voi. Non appena sarà rientrato, terremo una riunione generale e forse voi sarete così gentile da intervenire. Non c’è bisogno di farne parola con nessuno; mi capite.”

[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "Il Porto del Tradimento", di Patrick O'Brian: ** you do not have permission to see this link **[/size]

1236 Messaggi
(Offline)
3
Agosto 30, 2006 - 8:48 pm

Con lo sguardo, seguì Ar-Venie attraversare a passo rapido la piazza accompagnata da Curloer e Indur, e scomparire lungo la strada affollata; turbato, tornò poi nel magazzino dell’arsenale, completamente vuoto a quell’ora, osservò la disposizione delle candele all’ingresso e percorse il corridoio lungo il muro occidentale dove una porticina, in genere chiusa a chiave ma allora solo accostata, lo introdusse in un piccolo chiostro. Era pieno di barili e un corridoio all’estremità opposta portava a un secondo magazzino, altrettanto pieno di barili: al centro stava Zalarit, con una penna e un libro in mano e un calamaio appeso al collo.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ba Zalarit

“Avete impiegato molto tempo, anche questa volta”, esordì. “E’ sorprendente che le candele non si siano consumate.”
“Si. Stavo parlando con una persona che ho incontrato all’arsenale.”
“Così mi hanno riferito. E che cosa avevate da dire ad Ar-Venie?”
“Abbiamo parlato di poesia. Perché me lo chiedete?”
“Sapete che è compromessa?”
“Vi riferite al suo amante?”
“No, no, vi prego. Ai suoi rapporti con il nord.”
“Per chi lavora?”
“Per voi, naturalmente. Per Gondor.”
“Ho sentito dire che è stata consultata, in particolare dopo che Arminidun ha lasciato, dopo la sua nomina. So che le è stato sottoposto qualche rapporto per via della sua conoscenza della situazione politica all’est e so che ha consigliato Yamo sulle questioni dell’Harad e di Morija. Ma in quanto a lavorare per Gondor... no, non penserei mai a lei come a un agente di Valandor. Il suo nome non compare nell’elenco di Beleridan”.
“Non sapete che è stata lei a far uccidere Naban Bal, e che suo fratello ha smantellato quasi completamente la forza di cui disponevamo a Rauma e sta continuando a smantellarla mentre viaggia a est? Non sapete che per suo conto Yasini Faris ha raccolto informazioni importantissime, e per noi molto pericolose, nel Chennacat, e che, se le sue iniziative hanno successo e se continua a complottare con Hathor attraverso Artagora, dovremo metter fine alla nostra collaborazione nel Mumakan?”

“No, per la morte!”
“Allora è chiaro che Beleridan non si è confidato con voi, e che Ar-Venie stessa si è tenuta a una certa distanza. Sarà stato forse a motivo della sua naturale astuzia o qualcuno, da qualche parte, ha fiutato qualcosa. Dovrete controllare le vostre mosse, amico mio.”
“Conosco a memoria l’elenco di Beleridan”, insistette Andalonil, e posso affermare con assoluta certezza che il nome di Ar-Venie non compare”.
“Sono sicuro che avete ragione”, ribatté Zalarit. “E’ idealista, come voi, e per questo è così pericolosa. Comunque sia, è un bene che non lo abbiate saputo, non sareste stato capace di parlarle con tanta naturalezza, altrimenti. Se hanno fiutato qualcosa e se quella donna ne è al corrente, è probabile che possa fugare i sospetti su di voi. Le avete parlato della vostra missione?”
“Vi ho accennato, e l’ho pregata di assistere alla riunione della Compagnia”.
“Molto bene. Ma sarà meglio che acceleriate la partenza e manteniate anche voi le distanze: trattatela come un consigliere, come una persona molto informata sull’est, niente di più. A parte la normale attenzione, ho messo delle mie persone a lavorare su di lei adesso. Certamente ha dei servitori molto fedeli, alcuni di loro sicuramente a Morija e anche un solo nome potrebbe portarci... ma è un soggetto difficile, coriaceo, e se non dovessimo riuscire presto, il successo sarebbe improbabile e allora dovrò chiedervi di trovare un modo plausibile di togliere di mezzo lei e il suo ragazzotto senza compromettere la nostra posizione qui.”
“Capisco”, disse Andalonil. Rifletté per un pò e alla fine osservò: “Si può fare. Se non si presenterà prima un’altra occasione, ci penserà certamente Angavu. In verità”, soggiunse, "credo che possa essere utilizzato molto vantaggiosamente. Utilizzato per prendere i due pesci nella rete, per così dire.”

Zalarit lo studiò pensieroso. “Prego”, disse dopo un momento, “Contate i barili sul vostro lato della colonna. Non li vedo tutti da qui.”
“Ventotto”, replicò Andalonil.
“Grazie.” Zalarit annotò la cifra. “Ricevo sette doppi d’oro e cinquanta per ogni barile, il che non è poco.”

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

Mentre Zalarit eseguiva i calcoli con sua personale soddisfazione, si capiva che Andalonil stava pensando a ciò che avrebbe detto di lì a poco. Quando parlò, lo fece con la goffa mancanza di spontaneità dei discorsi preparati e con un’indignazione virtuosa eccessiva in quella circostanza.

“Mi avete appena definito un idealista, e infatti lo sono”, esordì. “Nessuna somma potrebbe convincermi a darvi il mio aiuto. Ma non posso vivere soltanto di ideali. Con la guerra, i commerci finiti prima della stagione e la preparazione della spedizione, fino a quando mia moglie non avrà ereditato, il mio reddito resta molto basso e sono costretto a mantenere un certo decoro. Milazor e tutti quelli che riescono a tirar fuori parecchio dall’arsenale e dai vettovagliamenti puntano poste molto alte adesso e io sono obbligato a stare al gioco.”
“Avete ottenuto un forte aumento della vostra consueta... sovvenzione prima che io arrivassi a Ostelor, e ricevete anche da Beleridan”, obiettò Zalarit. “Non potete pretendere che io vi paghi i debiti di gioco.”
“Lo pretendo, invece, se sono stati contratti per una ragione di questa specie”, ribatté Andalonil.
“Lo farò presente al mio capo, ma non posso promettere niente”, disse Zalarit, per poi aggiungere con un moto d’impazienza: “Però potreste guadagnarvi la fiducia di quegli uomini anche senza puntate troppo alte, non è così? Mi pare un sistema molto scadente”.
“Con quegli uomini è necessario”, affermò testardamente Andalonil.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Andalonil

"Ancora una cosa. Cercate di tenere quel mercenario, quello che avete preso da vostra moglie, lontano da qui. O meglio, che avevate. Trovatevi un nuovo capitano. Ci occuperemo presto di lui, abbiamo qualcosa in sospeso. E fa parte della schiera di chi manifesta ardore tirandosi giù i pantaloni; l'amicizia di Arminidun è importante, e il vostro mercenario si è invaghito della sua figlioccia".

[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "Il Porto del Tradimento", di Patrick O'Brian: ** you do not have permission to see this link **[/size]

1236 Messaggi
(Offline)
4
Settembre 3, 2006 - 6:04 pm

“Buongiorno, amico mio” , disse Ba con uno dei suoi rari sorrisi. “Credevo che sareste stato puntuale quest’oggi”.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ba Zalarit

“Che intendete dire?” domandò Andalonil, irritato.
“Va tutto bene”, lo calmò Ba, “anche se per poco non sono stati catturati e uno di loro ha perso un dito. Non era il caso che ci allarmassimo: nella stanza non c’erano alla fine che lettere personali e cose di secondaria importanza. La scatola è scomparsa, ma so che fine ha fatto. Né la minima indiscrezione, né il minimo indizio oltre a quello che già sappiamo, e nulla su di voi”.
“Per fortuna, per fortuna” esclamò Andalonil; ma nella sua voce s’indovinava la collera mescolata al sollievo. “Avreste potuto avvertirmi”, riprese, “dovevate immaginare quanto fossi in ansia. Non riuscivo a stare tranquillo, non riuscivo a concentrarmi. Una strage! Una strage in piena Ostelor. Ar Venie non ha potuto metter tutto a tacere e adesso siamo sulla bocca di tutti, a così poco tempo dall’assassinio di Gilzamir. Ciò che state facendo non mi piace, Zalarit; Beleridan non ammetterebbe l’assassinio di innocenti nell’interesse di Gondor, non in questa misura”.
“Non siate ridicolo. Morirà molto gente nella vostra guerra, e non è stato ucciso nessun innocente. Forse le due serve, per loro provo compassione, ma è stato inevitabile.”
“A parte tutto, l’agitazione mi ha fatto perdere una grossa somma alle carte. Sarebbe bastato un vostro biglietto per evitare tutto questo.”
“Meno si scrive meglio è. Ciò che è scritto rimane. Guardate.”
"Che cos'è?"
“La bozza di uno scritto in codice. Non lo riconoscete?”
“Il codice di Parga?"
“Si. Ma chi ha scritto si è confuso nella seconda trasposizione e ha gettato via la minuta, o meglio l’ha piegata e messa nella tasca della veste. E ha ricominciato da capo. Se la minuta fosse stata un po’ più lunga, avrebbe avuto un grande valore. E’ utile anche così, comunque. Conoscete la scrittura?”
“E’ quella di Eurayle, mi pare.”
Dall’espressione animata nella risposta pareva che Andalonil dovesse dilungarsi sull’argomento, ma si trattenne. Ba domandò: “Come si è comportato Artagora alla riunione?”
“E’ stato molto discreto, così mi hanno riferito... ha parlato di sé come un consigliere occasionale e volontario, niente di più, e in pratica ha detto a Yamo che, data questa sua posizione, avrebbe sì fornito l’aiuto richiesto ma che non avrebbe preso ordini. Credo che non si fidi di nessuno. Ma in effetti il suo parere l’ha dato.”
“Se questo parere fosse venuto da Athanasios, anche se solo parzialmente, sarebbe stato ben fondato. Una persona delle più esemplari. Quanto ad Artagora, per il momento ho una certa presa su di lui, ma temo che non possa durare e in questo caso dovrà essere ucciso. Nel frattempo fareste bene a non frequentare lui e gli Eshe troppo assiduamente.”
“Dovrò probabilmente incontrarli solo un’altra volta prima della mia partenza, per motivi ufficiali.”
“Non ve ne sarà il tempo. Non c'è stato modo di aprire la cassaforte, e non possiamo ritirarci adesso. Già domani dovremo agire, prima che Ar Venie compia qualcosa di irreparabile per noi.”
“Non ho nessun desiderio di vedere Ar Venie per più dello stretto tempo necessario, o scoprire qualcun altro a ficcare il naso nei miei affari. E in via non ufficiale, probabilmente non passerò più di un pomeriggio con loro assieme a Paraphion. Ma lasciate che vi dica una cosa: non mi piacciono affatto le vostre parole e intenzioni, e questo controllo, questa supervisione, questi consigli sulla scelta dei miei compagni e dei miei capitani, e nemmeno queste arie di superiorità.”
“Non litigheremo per questo, servirebbe soltanto a distruggerci entrambi. Potete tenervi Ender, se così volete. Vedrete Ar Venie ogni giorno della settimana, se vi aggrada, e non le sarà fatto nulla di grave; vi prego soltanto di ricordarvi di usare prudenza.”
“Molto bene”, disse Andalonil e poi, con un certo imbarazzo: “Avete avuto notizie?”
“A proposito del pagamento dei vostri debiti di gioco?”
“Se vi piace così.”
“Non ancora. Ma temo che sia difficile superare la somma iniziale. A meno di un vostro piccolo sforzo. E potreste farlo già domani proprio con Ar Venie, considerato che siamo entrati in discorso.”

[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "Il Porto del Tradimento", di Patrick O'Brian: ** you do not have permission to see this link **[/size]

1236 Messaggi
(Offline)
5
Settembre 10, 2006 - 10:49 pm

Aspettò finché il battente non si aprì, con precauzione, lentamente, senza il solito cigolio, e, prima che coprissero la lanterna, vide due uomini, uno alto e uno basso, e una donna vestita di verde che non portava la sottana ma comode braghe larghe. Si fermarono un istante, poi, in punta di piedi, attraversarono di corsa il cortile allagato sotto la pioggia d’estate, e lui arretrò silenziosamente fino a sotto la finestra.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ba Zalarit [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Umar Lham [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Zanaenia Itarit

Dopo essersi avvicinati senza far rumore, i tre entrarono nel giardino, muovendo la lanterna di qua e di là.
“Ah, siete qui” , disse Zalarit, gettando un fascio di luce verso di lui. “Avete fatto presto e bene. Dove sono le cose che cerchiamo?”
“La' dentro, come vi ho promesso”, disse lui indicando una cassa. Zalarit la guardò e sbuffò. “Naturalmente. Non avevo pensato al fatto che potessero essere così pesanti. Sono stato imprevidente” .
Zalarit si voltò verso la donna, e le disse qualcosa nella lingua meridionale che pochi a Ostelor capivano; lei annuì e corse via, silenziosamente così com’era arrivata. “Non parla mai, la vostra serva?”, chiese. “No”, rispose Zalarit con impazienza. “Non può. Le hanno tagliato la lingua da bambina. Predoni dell’Harad. Ma capisce tutto e sa fare tantissime altre cose, è molto intelligente”.
“Dobbiamo aspettare?”, chiese l’individuo più basso.
“No”, rispose ancora Zalarit scoprendo completamente la lanterna e posandola sul davanzale di pietra. “Non possiamo permetterci di mancare l’appuntamento al porto. Se non sarà tornata prima che Loras arrivi al pozzo, domani dovremo mandare un paio di uomini affidabili al posto suo. Andremo verso le tre o le quattro del mattino: per quell’ora Loras sarà là di sicuro.”
“Anttu e Kauri, per domani?”, suggerì il basso.
“No, Anttu no”, rispose Zalarit, soffiando leggermente. “Prova troppo piacere in certe cose. Come ho detto, deve essere fatto rapidamente. Un lavoro pulito, poco chiasso. Bravi tiratori. Devono sembrare gente di qui.”
“Ci sarebbe Taman: molto serio, una vista da falco, e forte come un toro. Lavorava da un macellaio.”

Per qualche istante Zalarit non rispose.

“Mi avevate garantito che non ci sarebbero stati più altri morti”, disse il loro ospite. “Ce ne sono stati già troppi; ogni volta avrebbe dovuto essere l’ultimo.”
“Me ne dispiaccio sinceramente”, disse Zalarit. “La fortuna non ci è stata amica. Ma, al punto in cui siamo, non si può più tornare indietro. L’ideale sarebbe stato di trovarla addormentata, in casa sua, l’altra volta. Domani sarà veramente l’ultima occasione, non abbiamo più tempo”.

Poi, per un lungo intervallo di tempo, tutti e tre rimasero seduti in silenzio, ascoltando la pioggia.

[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "Il Porto del Tradimento", di Patrick O'Brian: ** you do not have permission to see this link **[/size]

1236 Messaggi
(Offline)
6
Settembre 11, 2006 - 11:07 pm

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

“Non vuol dire niente.”
“Questo è quello che ho visto, signore. Di più non ho potuto. Non ho avuto la forza.”

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

“Di nuovo un errore. Questo codice non si può capire, nessuno di noi può. Adesso dovremo scoprire il messaggero e farlo prendere. Hai già sbagliato una volta con il bambinotto Eshe; hai tirato troppo la lenza e il pesce ci è scappato. Rimediare ci è costato caro. Ora abbiamo quasi addosso Nindamos e, vada come vada la cosa di domani, dovremo lasciare la città. Bada, perché la perdita della scatola e della chiave lo farebbe infuriare, e domani Umar e Zana metteranno sul piatto le loro vite; se li perdiamo, e se torniamo a mani vuote ancor di più, il maestro ci punirà. Punirà me, ma punirà te più di me”.
“Non ho colpa”.
“Questo al maestro non interessa per niente. Ho influenza su di lui, ma non c’è niente che possa fare. Ci sarebbe oltremodo riconoscente, ora, se tu volessi ripulire il terreno dai rettili più disgustosi.”
“No, signore. Non voglio farlo. Perdonatemi.”
“Ah! E’ tutto tempo perso, al di fuori di tuo padre non c’è proprio nessuna ragione per tenerti con noi. Anche qui a Ostelor, senza arrivare al mercato di Harar, avresti potuto fruttar bene. Gli ufficiali della città in genere montano a cavallo spesso, anche nelle famiglie di vecchia tradizione, e in certe occasioni costituiscono uno spettacolo dei più comici. Ma temo che ormai esista l’idea seccante e sempre più radicata che, quando si presenta qualcosa di eccezionalmente arduo e sgradevole da fare, come marciare in un deserto rovente e senza un filo d’ombra, allora tocchi a me. Un’idea che a me pare sciocca, inconsistente, presuntuosa, inutile e illogica... quanto riesci a tirare con il tuo arco?”
“Cinquecento braccia, signore, con buon vento.”
“Incredibile. Il miglior guerriero del Chenna non arriverebbe a quattrocento. Ho spesso fatto presente al maestro che nessuno si aspettava da Ahnta che si unisse agli uomini nel pulire le latrine, né che facesse altri vili lavori e che è dunque soltanto semplice fumo negli occhi, vanagloria, orgoglio... bene. La polvere ti farà star male tutto il resto della notte, ma domani ti sarai ripresa. E potrai tirare anche a settecento braccia, per come ti sentirai. Quando sarà il momento, il sole sarà a una spanna dall’orizzonte, dovrai fare attenzione. I suonatori daranno l’avvio alle danze al battere della sesta ora, e tutti saranno impegnati a seguirli. Tu andrai in quell’edificio in rovina che ti ho mostrato, a lato della torretta e delle tre palme, accanto al pozzo. Mi sarò già occupato di far allontanare tutti i pezzenti e mendicanti. Solo una volta; nient’altro. Ricordati: solo una volta.”

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

1236 Messaggi
(Offline)
7
Settembre 15, 2006 - 10:07 pm

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]

Fiamme scaturirono dalla bocca e dagli occhi del Maestro. Ad Abit e Ba parve di udirne il ruggito. Abit si gettò ai suoi piedi, implorando la sua pietà; Ba si girò verso la porta, tirò freneticamente la maniglia. Il pensiero che sarebbe forse stato possibile blandire il Maestro in qualche modo, presentandogli i tesori presi a Ostelor e le buone notizie della guerra, era svanito. Il Maestro. La maniglia non si mosse, ma Ba continuò a tirare.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Il Maestro

“Posso uccidervi, adesso?” disse all’improvviso il Maestro, colpendo Abit in faccia con un calcio che le ruppe le labbra e i denti. “Il patto si può considerare infranto. Non siete stati capaci, e non avete obbedito. Non potete nascondere la verità a me, vi vedrei anche se foste sulla montagna più alta, o nella grotta più profonda. Ti conosco alla perfezione, Ba, in ogni dettaglio.”

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Abit [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ba Zalarit

Ba si girò per affrontare l’uomo... per affrontare il Maestro. Deglutì con forza. Abit si trascinò nell’angolo, lorda del sangue che le usciva dalla bocca, singhiozzando e gemendo. Un incubo. Allungò la mano per dare alla maniglia un ultimo strattone, poi raddrizzò le spalle.

“Ti aspetti gloria, Ba?” disse il Maestro. “Potere? Ti hanno detto, i bastoncini nel tuo piattino, che la Grande Razza sarà al tuo servizio? Quale gloria e quale potere toccano a un pupazzetto? Le stringhe che ti muovono sono state intessute da secoli”.

Il Maestro si avvicinò ad Abit, prendendola per i capelli e trascinandola a terra con una forza sovrumana. “E tu? Tuo padre fu scelto dalla Torre Bianca, come uno stallone legato alla cavezza e condotto al suo compito. Tua madre non era altro che una cavalla da monta, per i loro piani. E questi piani portano alla vostra morte.”

Abit strinse i pugni, e cercò di parlare, sputando sangue. “Mio padre è un brav’uomo e mia madre era una donna per bene. Non parlare di loro!”
Le fiamme risero. “C’è del coraggio in te, dopotutto. Forse sei proprio tu, quello che cercavo. Ma il coraggio ti gioverà ben poco. Ti userò, finché non sarai consumata, proprio come ho usato Davian e Guaire Amalasan e Raolin. Proprio com'è usato Fuinur. Finché di te non resterà niente.”

“Non so...” Abit agitò la testa da una parte e dall’altra, sotto lo sguardo sgomento di Ba. Anche quell’unico momento di pensiero chiaro, nato dall’ira, era sparito, e i suoi pensieri avevano ripreso a turbinare. Abit ne afferrò uno, zattera nel gorgo. Si costrinse di nuovo a parlare, con voce man mano più forte, coprendosi il petto col vestito strappato. “Tu... sei imprigionato... a Chya Ghul. Tu e tutti i tuoi reietti... imprigionati fino alla fine del tempo.”
“La fine del tempo?” la schernì il Maestro. “Tu vivi come una cimice sotto la pietra e pensi che il tuo fango sia l’universo. La morte del tempo mi porterà un potere che non puoi nemmeno sognare, scrofa.”
“Tu sei imprigionato...”
“Sciocca, non sono mai stato imprigionato!” il Maestro ruggì con un impeto tale che Ba indietreggiò, riparandosi con le mani.
“Fui a fianco di Vilyel, il Matricida, quando compì il misfatto che gli valse il soprannome. Fui io a dirgli di uccidere la propria madre, e poi la propria moglie e i propri figli e tutta la propria stirpe e ogni persona che amava o da cui era amato. Fui io a dargli un momento di lucidità perché sapesse che cosa aveva fatto. Hai mai sentito un uomo urlare fino a perdere l’anima, scrofa? Poteva colpirmi, allora. Non avrebbe vinto, ma poteva tentare. Invece chiamò su di se il suo prezioso potere, proprio come tuo padre. Ero al capezzale del più grande principe della Grande Razza, quando i consiglieri gli dissero che solo gli Elfi potevano salvargli la vita; parlai, e lui ordinò di impalare i consiglieri, e le sue ultime parole furono l’ordine di sterminare gli Avari delle isole orientali. Mille anni dopo, mandai gli uomini di sabbia a depredare l’est e per tre secoli essi devastarono il mondo. Dopo dissero che ero stato infine sconfitto, ma il patto era infranto senza rimedio e chi rimase a opporsi a me nell’est, allora? Io sussurrai nell’orecchio di Alatar e la terra di Morija si seccò in lungo e in largo. Sauron sussurrò assieme a me, e il Gran Monarca mandò i suoi eserciti al di là dell’oceano e del Mare del Mondo, e con questo atto sancì due condanne. La condanna della sua terra e del suo popolo, e una condanna ancora da venire.
Se uomini del valore di costoro non hanno potuto opporsi a me, quale possibilità hanno i tuoi cari, il tuo cerusico col mandolino, il filosofo, la figlia di Eshe Far? Serviranno me, oppure balleranno fino alla morte. E poi saranno miei! I morti appartengono a me!

“No”, gemette Abit. “Questo è un sogno. E’ un sogno!”
“Credi di essere al sicuro da me, nei tuoi sogni? Eppure dovresti sapere che non è così, tu stessa ti sei trastullata con il giovane Imrazor, hai goduto di lui. Guarda!”

Il Maestro puntò il dito, con gesto autoritario, e Abit fu costretta, anche se non voleva, a girare la testa. Sul tavolo era acquattato un grosso ratto, che batteva le palpebre alla luce e fiutava con diffidenza l’aria. Il Maestro piegò il dito: con uno quittio, il ratto inarcò la schiena e con le zampe anteriori artigliò l’aria, cercando goffamente di reggersi su quelle posteriori. Il dito si piegò maggiormente e il ratto cadde, agitando freneticamente le zampe, squittendo acutamente, con il dorso che si piegava, si piegava, si piegava. Ci fu uno schiocco secco, come lo spezzarsi di un rametto: il ratto tremò violentemente e rimase immobile, quasi piegato in due. Abit si prese il viso fra le mani, e scoppiò in singhiozzi violenti.

Quando il Maestro si voltò verso di lui, Ba deglutì. “Nei sogni può accadere di tutto”, borbottò. Senza guardare, diede un pugno alla porta. Sentì il dolore alla mano, ma non si svegliò. Aveva sete: un profumo di vino speziato gli stava facendo ricordare quanta sete avesse, come se per giorni interi non avesse bevuto niente. Possibile che il potere del Maestro fosse cresciuto così tanto?
“Allora volta la tua nave e vai da Ar-Venie”, disse il Maestro. “Vai con lei da Yamo e racconta tutto. Raccontalo anche a Elessar, racconta questo... sogno”. Scoppiò a ridere e Ba sentì il calore di fiamme che scaturivano dall’aria stessa. “Questo è un modo per sfuggirmi. Se gli dici tutto, allora sapranno che so. Ma ti lasceranno vivere, dopo quello che hai fatto e col rischio che tu vada a raccontare in giro cose che nessuno dovrebbe conoscere? Sei tanto sciocco da crederlo, Ba? Le ceneri di molti come te sono disperse sui pendii di Monte Fato.”
“Questo è un sogno”, ansimò Ba. “E’ un sogno e mi sveglierò.”
“Ti sveglierai?” Con la coda dell’occhio, Ba vide l’uomo piantare il dito su di lui. “Davvero ti sveglierai?” Il dito si piegò e Ba urlò, mentre inarcava la schiena e ogni muscolo del corpo la costringeva a piegarla sempre di più. “Ti sveglierai ancora?”

Ba Zalarit si rizzò di scatto a sedere nel buio, le sue mani stringevano della stoffa. La coperta leggera. Dall’unica finestrella dello stretto locale a poppa della nave entrava un livido chiaro di luna. Vide la sagoma scura di Abit, nuda, riversa sul piccolo letto accanto a lui; era sudata ma fredda, e si agitava gemendo, il viso stravolto, come in preda a un incubo. Qualche tizzone brillava fra le ceneri del braciere con cui aveva chiamato il Maestro; Zana era accucciata nell’angolo vicino alla tenda, e lo fissava silenziosa.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Zanaenia (Zana)

Era stato un brutto sogno. Il Maestro si era infuriato, come si era aspettato. Ba scacciò via Zana, e si avvolse nella coperta, tremando, ma non per il freddo. Anche la testa gli doleva. Si distese, sbuffando. La situazione era davvero tanto brutta da averlo spinto a mancare di rispetto al Maestro, con il suo atteggiamento? D’altra parte, ormai non era fin troppo coinvolto? Non aveva avuto scelta, ovviamente. Aveva lasciato i Fiumi Gemelli. Perciò non gli restava che continuare. Non molto meglio dei sogni, a pensarci bene. Si rincantucciò sotto la coperta e si sforzò di trovare la calma del vuoto, come Tam gli aveva insegnato; ma la calma non veniva. Allora si voltò verso Abit, ancora preda dell’incubo, e la prese nel sonno, prima che si svegliasse.

1236 Messaggi
(Offline)
8
Settembre 17, 2006 - 10:53 pm

Sebbene nel sogno i colori fossero stati straordinariamente vividi, non lo erano stati fino a quel grado miracoloso; la sedia di vimini possedeva un’infinità di bellissime sfumature, dal bruno scuro a un qualcosa di più chiaro della paglia, mentre le corde che salivano verso le vele della nave avevano una qualità tutta loro: era come non aver mai visto prima una corda o come aver recuperato la vista dopo anni di cecità, e quando si girò a guardare Imrazor, la perfezione della sua guancia le tolse il respiro. Era seduto là, nel suo abito verde, le mani in grembo; la guardava, gli occhi socchiusi nascosti dalle belle ciglia. Tacevano entrambi – quello era un mondo di silenzio – eppure lei era consapevole dell’armonia perfetta tra loro e sapeva che niente di quanto avrebbero potuto dirsi li avrebbe mai avvicinati di più. Durante quella lunga giornata era stata sempre consapevole del trascorrere del tempo, non fosse perché dovevano evitare di essere sorpresi dalla notte: ora il tempo non esisteva. O, meglio, esisteva in quanto vi era una successione, in quanto un gesto o un pensiero seguiva il suo predecessore, ma non vi era nessuna sensazione di durata. Avrebbe potuto essere là, nelle braccia di Imrazor, da giorni o perfino da settimane. Non disse niente; si sentiva enormemente assonnata e ben presto chiuse gli occhi.

[Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Ar-Venie Eshe

All’inizio fu in grado di dire “sto sognando”, ma la sua percezione del sogno svanì quasi subito e si sentì presa da un’ansia grandissima. Sogno dentro il sogno; e questo si dissolse in una stanza sconosciuta. Imrazor era là, non più nel suo abito verde, ma avvolto da un semplice mantello grigio; e Artagora, la testa fasciata, era con lui e con due uomini vestiti di nero, medici ovviamente, uno dei due sciocco e l’altro di un’intelligenza eccezionale. Parlavano con Imrazor nella lingua di Hathor, che Artagora traduceva, la conoscenza di Imrazor dell’idioma essendo appena sufficiente a disbrigarsi nelle normali faccende domestiche con Kiryazis e i servi della legazione; e discutevano del caso tra loro. Ben presto furono raggiunti da Sha Bla, che essi salutarono. Sha Bla raccomandò un salasso: il ventre, disse, non presentava problemi particolari; aveva visto molte ferite di quella specie che avevano sempre reagito positivamente. Gli uomini in nero dissentirono; non credevano che il salasso fosse utile se non per abbassare la pressione del sangue, purché il paziente fosse in uno stato di salute ragionevolmente buono. Qui, certamente, si era in presenza di abitudini malsane, di un certo grado di malnutrizione e di quella che loro non avrebbero esitato a definire melanconia incipiente; occorreva però notare che la struttura, sebbene esile, era ben costruita e vi indugiavano ancora le tracce della giovinezza.
Ar-Venie li osservò per qualche momento mentre eseguivano i gesti gravi del consulto medico, una parte della gravità diretta agli astanti, una parte agli altri medici; ma quel genere di riunioni le erano ormai troppo familiari per provare un grande interesse e ben presto la sua attenzione si spostò sulle cose che la circondavano. La peculiare intuizione propria dei sogni le diceva che quella era la sua camera, il suo stesso letto. Sapeva che Artagora aveva chiamato a consulto il medico della legazione, l’uomo sapiente che stava dicendo in quel momento che, quando fosse stata in condizioni di assumere cibo solido, non avrebbero dovuto permettere di servirle carne di manzo o di montone, ancor meno di maiale, ma piuttosto salmone di fiume bollito con appena un pochino di orzo.
“Salmone di fiume”, disse Ar-Venie a se stessa. “Non ho mai visto un salmone di fiume; eppure, se il consiglio di questo brav’uomo sarà seguito, ne incorporerò presto uno. Sarò in parte un salmone, con tutte le virtù che questo può possedere.”

Mentre rifletteva, là, nel crepuscolo, furono accese alcune lampade; stava ancora riflettendo quando le lampade furono spente, tutte tranne una, la fiammella molto bassa; e ora la luce principale della stanza proveniva da un fuoco sulla sua destra, un bagliore vivo e tremolante sul soffitto. Senza dubbio dovevano essere stati scambiati saluti discreti e qualcuno aveva sicuramente prescritto qualcosa; ma Imrazor era solo adesso, seduto sulla poltrona accanto al letto. Posò la mano su quella di lei, mormorando: “Venie. Come vorrei che tu mi sentissi, mia cara.”

Ma era di nuovo lontana nell’oceano, ora, provando però questa volta la sensazione del trascorrere del tempo, perché sapeva con spaventosa certezza che il viaggio durava da giorni. Teneva il capo chino, curvo sul grembo dove le mani tenevano il rubino, molto simile a un frammento del sole. Respirava, ma quasi impercettibilmente; i sensi l’abbandonavano, l’abbandonavano; la testa ciondolò in avanti e il rubino cadde; e lei si alzò di scatto, gridando: “No, no, no!” in un rifiuto appassionato ed estremo.

“Buona, buona”, disse Artagora, prendendola tra le braccia e adagiandola piano nel letto. “Buona, ora”, come se stesse parlando a un cavallo; e poi, come se stesse parlando a una donna: “Dovete stare attenta a non muovervi troppo di scatto, siete molto debole”.

Ar-Venie si lasciò andare nel suo calore, riattraversando numerose realtà fino a quella presente, pur senza grande certezza della sua esistenza.

1236 Messaggi
(Offline)
9
Settembre 18, 2006 - 10:34 pm

Ogni tanto, lui si muoveva per la stanza, metteva altra legna sul fuoco o chiamava le serve che si occupavano dei suoi bisogni; lo faceva con un'efficienza e con una tenerezza che la commuovevano profondamente: e in quei brevi scambi lei parlava in modo intelleggibile e a proposito.
Si conoscevano da tanti anni, ma i loro rapporti non avevano mai richiesto tenerezza da parte di lui e Ar-Venie avrebbe detto che non facesse parte del suo carattere: coraggio, spirito, determinazione, sì, ma niente che si avvicinasse alla tenerezza più della generosità e di una certa bontà naturale. In questo, lo credeva simile a lei. Si sentiva debole, essendo stata molto provata dal riaprirsi della sua ferita dopo il tuffo nella baia, nella sua caduta fisica e metafisica e non avendo mangiato più niente da allora, debole e in certo modo querula e, riflettendo su questa nuova dimensione, pianse silenziosamente nel buio.

La mattina lo udì muoversi e disse: "Curloer, sei sveglio?"
Min Curloer si avvicinò, la guardò in faccia, e disse: "Sei di nuovo in te, grazie al cielo. Avevo tanta paura che tu ripiombassi nei tuoi incubi di navi".
"Ho parlato molto?"
"Si, mia povera innocente. Non c'era modo di darti conforto... è stato così penoso. E così lungo."
"E' durato ore?"
"Giorni, Venie."
Rifletté su questo e sulle acute fitte di dolore al fianco. "Senti", disse, "sarebbe possibile avere una tisana forte? E un pezzo di dolce? Muoio di fame. E, dimmi, la bottiglia che aveva portato Sha Bla c'è ancora?"
"No. L'ha gettata via Artagora. Ti ha quasi ucciso. Vado a chiamare Imrazor."

Quando Curloer fu uscito, guardò sotto le bende che le cingevano il ventre. Ricordava che il ferro di Ziminnath era penetrato molto vicino al peritoneo, e che l'avevano salvata a stento, la prima volta. "Se fossi in uno stato di debolezza ancora maggiore, lo considererei un cattivo presagio, un avvertimento", disse.

Avevano terminato la colazione e stavano parlando amichevolmente, lei, Curloer e Imrazor, quando Coridon, il medico di Artagora, il più intelligente dei tre consultati nei giorni precedenti, venne a visitare la paziente e a cambiarle la fasciatura. Ar-Venie accennò al dolore al fianco.

"Confido che non mi chiederete di prescrivervi il laudano, Ar-Venie", disse nel suo adunaico stentato, guardandola negli occhi. "Ho visto casi in cui qualche goccia presa dopo una dose massiccia, accidentale o no, aveva causato un gravissimo disturbo mentale, simile a quello di cui avete appena sofferto ma più duraturo, che talvolta aveva portato alla pazzia o alla morte."
"Avete motivo di credere che avessi preso il laudano?"
"Le vostre pupille, naturalmente; e vi sareste altrimenti accorta prima del dolore e della debolezza, dopo lo sforzo nella baia, di certo prima del collasso. E la bottiglia era quella del ciarlatano Sha Bla. Un medico prudente non aggiungerebbe una goccia di laudano a un organismo già sovraccarico, così come un custode non entrerebbe con una fiaccola accesa dove si sta distillando l'acquavite."
"Molti uomini di medicina usano la tintura per alleviare il dolore e i turbamenti emotivi."
"D'accordo. Ma in questo caso sono convinto che faremmo meglio a sopportare il dolore, a rimanere a riposo per almeno sei settimane e a contrastare l'agitazione di spirito con una dose moderata di elleboro. Niente ardori, di nessun genere."

Ar-Venie ebbe la tentazione di congratularsi con Coridon per la sua fortezza d'animo, ma non lo fece e i due si salutarono civilmente. Entro i limiti di ciò che sapeva, Coridon aveva ragione; ovviamente pensava che lei fosse un oppiomane considerata la sua stretta amicizia con i mercanti d'oriente e non aveva modo di sapere, come sapeva al contrario Ar-Venie, che il suo uso frequente e in verità abituale della sostanza che Sha Bla le preparava in un modo particolare non costituiva una vera dipendenza, ma solo il lato giusto di essa. I confini erano difficili da definire e non si poteva biasimare Coridon per il suo errore, visto che anche in quel momento Ar-Venie avvertiva qualcosa di più di una traccia di quella brama che era il segno distintivo di chi si era spinto troppo avanti. E tuttavia il suo attuale stato di instabilità emotiva doveva essere controllato. Poteva sopportare il dolore, ma non si sarebbe mai perdonata se avesse pianto davanti a Imrazor o se avesse mostrato segni di debolezza.

Imrazor entrò. "E' così contento di te e della tua ferita", disse. "Ma non devo assolutamente darti il laudano."
"Lo so. Crede che potrebbe danneggiarmi."
"E Curloer chiede se vuoi che mandi il valletto al Consiglio per dare la buona notizia, per dire che ti sei ripresa e che forse sei abbastanza in forze per ricevere Tanadas, che ha sempre chiesto come stavi, in tutti questi giorni."
"Ne sarò felice. Davvero gentile da parte sua. Imrazor, mio caro, potrei avere quel pacchettino che mi aveva portato Negan, con l'ultima nave arrivata da Morija?"
"Le foglie che ti fanno sentire intelligente e geniale? Venie, sei proprio sicura che non ti facciano male?"
"Sicurissima, anima mia. Non conosci le abitudini degli orientali, ma io sono stata in contatto con loro tanti di quegli anni... a Morija, e nel vicinato, le masticano giorno e notte; sono per loro abituali, come la mia tisana."

Quando Tanadas si fu congedato dopo una breve ma cordialissima visita, le foglie le avevano tolto del tutto il senso del gusto: un piccolo prezzo da pagare per la calma e la forza di spirito. La perdita del gusto non avrebbe potuto capitare in un momento migliore, poiché dopo che Ar-Venie ebbe contemplato per un po' l'effetto indubitabile di quelle foglie sul dolore, Imrazor entrò con una pozione mandata da Coridon: un'emulsione di una perfidia spettacolare.
Né avrebbe potuto capitare in un momento migliore il rafforzamento della sua mente, ora fermamente installata sulla sua base, perché tre giorni dopo, tre giorni di cattive notizie come il mancato ritrovamento di Arto, di dolore indicibile ma anche di un affetto instancabile da parte di Imrazor che l'aveva attaccata a lui più che mai, Endariel, annunciata da Curloer, venne a visitarla. Si aggirò per la stanza in un bizzarro modo inconcludente prima di sistemarsi sulla poltrona.

"Endariel", disse Ar-Venie in tono imbarazzato, "che cosa sia accaduto alla mia intelligenza il giorno in cui ho deciso di agire da sola assieme ad Artagora e di non informarvi non lo so. Soltanto ora, durante queste giornate, un lampo di buon senso mi ha illuminato."
Endariel preferì non far vedere che aveva capito immediatamente; rifletté per un momento, poi disse: "La mia intenzione era di affidare a Tanadas una lettera nella quale vi comunicavo che, vista la vostra condizione, sarebbe stato impossibile per il Consiglio chiedervi di far fronte ad obblighi così pesanti quali l'incarico di primo rappresentante. Mi hanno detto, però, che state molto meglio, e ho preferito venire di persona. Vedo che ho fatto bene."

452 Messaggi
(Offline)
10
Settembre 19, 2006 - 1:27 pm

Artagora era ancora provato dai recenti avvenimenti. la testa gli doleva ancora e, come altre volte era accaduto, il suo pesante e lungo bastone era diventato un sostegno reale più che un vezzo.
Aveva disposto la tumulazione dei soldati che erano morti durante il combattimento sulla barca, poi, dopo la rituale orazione, aveva rivolto un breve discorso ai suoi uomini, per ricomporli dal senso di distanza dalla madrepatria in cui quel lutto li aveva scaraventati; gli pareva avesse sortito buoni effetti sul morale dei soldati, non per la qualità oratoria delle parole, tanto per il visibile dolore che si portava dietro.
Guardò ciò che rimaneva del suo elmo dopo il colpo di balestra, immaginandola sua testa al posto di quel pezzo di metallo oramai quasi irriconoscibile.
Quell'elmo, che aveva collocato in bella vista sullo scrittoio era un monito, un monito che gli aveva permesso di chiarire a sé stesso che tra Ostelor e gli affetti che aveva costruito li c'era una bella differenza. Il destino di quella città sentiva che lo coinvolgeva meno di un tempo; era l'arconte di Athor, e per quanto si sentisse stretti quei panni faceva bene a portarli così come dovevano essere portati. Le iniziative personali le avrebbe tenute solo per le persone a cui realmente teneva, gli Eshè.
In quei giorni Kiryazis lo aveva accompagnato spesso a Inziladun, dove si recava per seguire la difficile e penosa condizione di Ar Veniè e a volte Artagora aveva avuto l'impressione di scorgere nei suoi occhi una espressione stupita. Forse era per la grande attenzione che dedicava a quella donna, assai più che politica, o forse ancor più per l'affetto quasi paterno che contemporaneamente avava per Imrazor.
Fattostà che a modo suo Kiryazis gli aveva fatto capire che aveva bisogno di un po'più di svago... certo, lo aveva fatto invitandolo ad unirsi a lui ed a altri soldati per alcune visite ora in una taverna ora in un bordello....ma l'intento era chiaro, e d'altra parte era stato proprio Artagora stesso a non mettere troppa distanza tra se e gli uomini assegnatigli.
Dopo lunghe riflessioni sul suo operato nei giorni scorsi, aveva alla fine maturato poche, ma chiare priorità:
era l'arconte di Athor, resposabile dei rapporti tra la sua patria e Ostelor,nell'interesse primo della sua nazione di nascita, e questa veste ufficiale avrebbe rispettato;
era Artagora il filosofo, amico della famiglia Eshè, e questo era tutto ciò che chiedeva a se stesso come privata responsabilità.

293 Messaggi
(Offline)
11
Settembre 19, 2006 - 3:36 pm

“Così è questo quel che si prova quando ti rompi un braccio!” Pensava Indùr, sfregandosi l’arto destro al di sopra della fasciatura… Più che il dolore, al quale si era oramai assuefatto (e che, giorno dopo giorno diventava sempre meno intenso), lo infastidiva terribilmente il prurito provocato dalla fasciatura.
Per distrarsi iniziò a pensare agli avvenimenti recenti…
Ancora non sapeva spiegarsi perché era balzato, con la sola protezione del grande scudo di uno degli opliti di Artagora su una barca piena di uomini in armatura. Forse il suo istinto guerriero gli aveva fatto comprendere che, se non agiva in quel modo, la barca con lui, Lady Ar-Veniè ed il suo amante Imrazor, l’Ambasciatore Artagora, oltre ad alcuni altri opliti e servitori sarebbe stata abbordata, con dei risultati estremamente pericolosi; così aveva deciso di agire per primo, lanciandosi con tutta la sua forza sugli avversari: non era riuscito a travolgerli come aveva sperato, ma quantomeno aveva bloccato l’arrembaggio avversario.
Doveva ammettere di aver avuto una gran fortuna, sia nel combattimento con quegli uomini, sia quando quella donna misteriosa aveva tentato di pugnalarlo alle spalle mente lui tentava con tutte le sue forze di far rovesciare la barca degli avversari, mancandolo in maniera clamorosa. Il suo volto ce l’aveva ben impresso nella memoria e sentiva che, prima o poi, l’avrebbe rivista, e allora…
Comunque, non era pentito del suo gesto, doveva molto alla famiglia Eshe in generale e al cadetto della famiglia, Arakon in particolare. In quei giorni cupi pensava spesso al suo compagno di bevute e di spacconate, avrebbe desiderato molto partire con lui ma adesso capiva perché lui e Imrazor erano stati lasciati indietro: dovevano proteggere la sorella di Arakon, Lady Ar-Veniè, capo della famiglia Eshe in vece sua, compito che sia lui che Imrazor avevano preso estremamente sul serio; Imrazor era addirittura andato oltre, divenendo l’amante (ricambiato) della Lady.
Indùr trasalì: da quando aveva cominciato a pensare a Imrazor come l’amante di Lady Ar-Veniè anziché come amico suo e di Arakon? Forse quando le sue dichiarate simpatie per Gondor (che lui non condivideva) erano diventate di pubblico dominio, mettendo la famiglia Eshe in una posizione difficile? Oppure quando la sua oscura ricerca aveva messo tutti quanti di fronte ad un pericolo del quale, tuttora, nessuno era ancora riuscito a trovare la fonte? O, onestamente, quando il rapporto fra lui e Lady Ar-Veniè era diventato pubblico, rapporto che lui invidiava perchè aveva perso la testa per una donna che non poteva avere e che comunque, ora, si trovava al di là del mare, in missione assieme ad Arakon?
Per quanti sforzi facesse, nei momenti di solitudine, i suoi pensieri andavano comunque a Tara, ai suoi capelli nero corvino, alla sua pelle chiara… Il marito di lei, Arto, era scomparso il giorno della strage alla villa Eshe e lui non era sicuro di volere che venisse ritrovato…
Infuriato con sé stesso, Indùr allontanò quei pensieri colpevoli, aveva voglia di bere! Si alzò dalla poltrona e, grattandosi il braccio, andò verso il tavolo e sollevò la bottiglia del vino rimasto dopo pranzo: ne erano rimaste soltanto un paio di dita…
“Meglio così…” pensò “… Non è il periodo giusto per prendersi una sbronza!”

293 Messaggi
(Offline)
12
Settembre 20, 2006 - 7:52 am

Era oramai pomeriggio inoltrato, Indùr si recò sull’ampio terrazzo di villa Eshe trovandovi, come aveva immaginato, Lady Ar-Veniè ed Imrazor.
“Buon pomeriggio…” esordì “… e vi prego di scusare la mia intrusione, ma ho un dubbio che mi attanaglia e volevo condividerlo con voi, forse assieme potremo trovare una risposta.”
Lady Ar-Veniè posò la tazza di the che stava sorbendo “Dite pure Indùr, di cosa si tratta?”
“Ecco, ho pensato a lungo all’agguato che abbiamo subito quando ci siamo recati nella baia per liberarci della chiave. Ora, anche ammettendo che la casa fosse sorvegliata e che ci avessero visto uscire, e quindi che avessero potuto preparare l’agguato in poco tempo, quel che non mi spiego è l’arciere! Era troppo ben appostato, infatti di lui abbiamo visto soltanto le frecce che ci sono piovute addosso, e quindi lui, o chi ha organizzato l’agguato, sapeva. Questo mi porta a sospettare che qualcuno stia passando informazioni ai nostri avversari, chiunque essi siano. Perciò a questo punto mi chiedo, e vi volevo invitare a riflettere sullo stesso punto: a parte l’Ambasciatore Artagora, del quale penso tutti abbiamo la massima fiducia, chi altro poteva sapere, a parte noi, dove esattamente ci saremmo recati quella mattina? Escluderei le guardie perché lo hanno saputo all’ultimo momento, ma allora chi rimane? Chi ha tradito la nostra fiducia?”

1236 Messaggi
(Offline)
13
Settembre 23, 2006 - 7:48 pm

Ar-Venie soffocò un potente desiderio di scagliare la tazza, il servizio e il tavolo giù dalla balconata, e disse, tagliente:

"Ora, Indur, certamente l'ultima delle ragioni per cui sono qui adesso è un consulto con voi su spie e traditori. Ho già ascoltato il vostro parere, e vorrei rimanere, solo per qualche giorno, in pace, a riposare. Un'altra volta. Imrazor, sii cortese; ho freddo, potresti scendere e prendere il mio scialle? No, Indur, restate."

Indur, colpito dal modo rude con il quale Ar-Venie gli aveva risposto e già pronto a congedarsi, si bloccò; Imrazor rimase per un momento a bocca aperta, come se volesse aggiungere qualcosa, poi annuì, e si avviò verso il salone al pian terreno per prendere lo scialle.

"Vogliate, per cortesia, essere più accorto", disse Ar-Venie con impazienza. "Parlare di queste cose in sua presenza...". Tornò a sedersi accanto alla colonna di marmo.

"Dopo quello che è successo, non possiamo concedergli completamente la nostra fiducia, e questo, per me, è terribile. Ho pensato già per mio conto a quello che mi avete detto, e, come voi, non riesco a trovare una spiegazione. Chi altri poteva sapere? Solo Min Curloer, ma è impossibile che si tratti di lui, perché è l'unica persona, adesso che mio fratello e Tara sono lontani, alla quale affiderei la mia vita. Arto è stato rapito, forse ucciso... non resta che Imrazor. A ragion veduta. Non c'è cuore, in questa guerra spietata; Imrazor non ne è consapevole, ne sono assolutamente certa... è orribile, ma non può che essere lui. Farei qualsiasi cosa che potesse contribuire alla sua felicità, e invece mi trovo qui con voi a tramare alle sue spalle, per la nostra stessa vita. Dovremo agire, dovremo fare qualcosa, e se scopriremo che è vero... è come se lo stessi impiccando senza una sentenza."

Tornò ad appoggiarsi sul tavolino. "Sta per tornare, non possiamo parlarne adesso". Imrazor riapparve, e Ar-Venie sembrò riprendere il filo dei suoi precedenti pensieri. "Mi occuperò di queste mentre aspettiamo Tanadas", disse, rompendo il sigillo di una lettera. La guardò, poi si rivolse a Indur. "Devo procurarmi delle lenti", disse. "E' strano, nella nostra famiglia nessuno ha mai perso il bene della vista prima della tardissima età, eppure... leggetemela voi, Indur, volete? Se si tratta di ciò che spero, devo cominciare a preparare subito la risposta."

"E' di Mehdi, cammelliere del Chennacat", riferì Indur dopo aver preso la lettera e aver aiutato Ar-Venie a sistemarsi meglio sui cuscini. "E' stata scritta i primi giorni del mese scorso, a Tul Harar.

Agli Eshe, eccellenti fra i capi delle Potenze occidentali, che possiedono saggio consiglio e talento luminoso e abbondante, ai Modelli di cortesia e di educazione, ai nostri sinceri e veri amici. Possa la loro fine essere felice e il corso della loro vita segnato da grandi e gloriosi eventi. Porgiamo molti omaggi alle Vostre eccellenze e Vi informiamo, illustrissimi amici, che la vostra nave è giunta. Abbiamo ricevuto la Vostra gentile lettera tradotta in apisaico e l'abbiamo letta; comprendiamo il Vostro consiglio, elegantemente espresso quanto saggio, riguardo l'organizzazione e la difesa dei nostri porti. La Vostra assicurazione che conservate della considerazione per un vecchio e sincero amico, i Vostri saggi pareri ci hanno procurato soddisfazione e gioia infinite. Avrete sempre le prove della nostra sovrabbondante amicizia e della nostra rispettosa attenzione; e imploriamo gli Dei di dare effetto ai nostri voti e di conservarvi sempre nel rispetto e nella stima

"Molto civile", commentò Ar-Venie. "Ci conferma che la Daracil è arrivata, cosa che avevo saputo anche attraverso la lettera di Tara. Ma evade la questione, naturalmente: non una parola sul vero punto della mia comunicazione."
"Vedo che parla di lettere in apisaico."
"Si. In linea di principio, scrivo loro in adunaico, ma se voglio che le cose si attuino rapidamente, quando posso mando copie non ufficiali nelle lingue che essi capiscono. Anche senza Tara, ho servitori che conoscono l'hathoriano, i dialetti centrali e le lingue del Mumakan: con l'apisaico me la cavo da sola e l'Ovestron ci serve quasi a tutto; ma siamo in grosse difficoltà con le lingue di Morija. Darei non so che cosa per avere un traduttore veramente affidabile per i dialetti orientali. Ora vogliate essere così gentile da leggermi questa."

"Dal... pascià... di Barka. Immagino si tratti di un titolo onorifico. Non c'è data, ma comincia così:

Sia ringraziato l'unico Dio! Ai più potenti fra gli Uomini, pace a voi eccetera eccetera. Siamo stati informati del modo amichevole con il quale trattate il nostro popolo e sappiamo che è veramente così e che Voi siete in buoni rapporti con i mori. Vi serviremo in ogni cosa possibile con il più grande piacere. Prima d'ora un altro ... pascià aveva il potere, ma adesso è morto e sono io al comando; e qualsiasi cosa possiate desiderare che sia fatta sarà fatta, a Dio piacendo. Il messo della vostra città, qui residente, ci tratta molto male ed è nostro desiderio che si comporti e parli con noi in un modo migliore, e noi agiremo di conseguenza, come abbiamo sempre fatto. E' usanza, quando un nuovo ... pascià assume il potere, inviare alcune persone a congratularsi con lui. Mehairbi, pascià di Barka

"Si", disse Ar-Venie, "me lo aspettavo. Mehairbi aveva tastato il terreno presso di noi, per capire se l'avremmo aiutato a deporre suo fratello, Jaffar. Ma non era il caso, dato che Jaffar era nostro buon amico, mentre, come sapevamo molto bene, Mehairbi era in ottimi rapporti con i Mumakani, che gli avevano promesso di metterlo al posto del fratello. E' probabile che abbiano mandato alcune navi nel golfo di Ormal a questo scopo. Forse la Daracil le ha incrociate." Rifletté per un po'. "Devo scoprire se sono ancora là, cosa molto probabile, perché in questo caso Arakhon potrebbe andare a... rendergli omaggio, e sventare i suoi trucchi furfanteschi inducendo i Mumakani a fargli rompere la neutralità. Una volta sparso il primo sangue, Mehairbi non si potrà tirare indietro e noi saremo liberi di mandare un forte contingente, rimettere al potere Jaffar, che si trova proprio a Tul Harar, e forse catturare anche le navi Mumakane. Sì, sì. Datemi carta e penna, per favore."

Timezone del forum:Europe/Rome
Tutti i Feed RSS Visualizza Statistiche
Moderatori:
Tuija
Top Poster:
Buzz: 289
Rinil: 63
Reds74: 38
corian: 34
Nuovi Iscritti:
Statistiche Forum:
Gruppi:9
Forum:49
Discussioni:1138
Messaggi:5709

 

Statistiche utente:
Ospiti: 1
Utenti: 128
Moderatori: 1
Amministratori: 5
Numero più alto di Utenti Collegati: 292
Attualmente Online:
Ospite(i) 33
Attualmente su questa Pagina:
1 Ospite(i)
TRIESTE.news @ direttore responsabile e giornalista
Vai alla barra degli strumenti