[SIZE=2]RaMorij![/SIZE]
[SIZE=2]RaMorij! Tu non cadrai, fra barbagli di bellicose lance [/SIZE]
[SIZE=2]I tuoi fragorosi eserciti resistono[/SIZE]
[SIZE=2]dalle mura alla marea![/SIZE]
[SIZE=2]Si! Non cadrai, perché i popoli ti chiamano regina per via del ricco oro che si vede in ogni sito[/SIZE]
[SIZE=2]E sul tuo lago di zaffiro in sussultante tripudio[/SIZE]
[SIZE=2]Di vele colme di vento incedono le tue galere[/SIZE]
[SIZE=2]Sotto una sola bandiera di cangianti colori.[/SIZE]
[SIZE=2]O bella e forte! O forte e bella![/SIZE]
[SIZE=2]Guarda lassù, dove nella sconsacrata reggia piangiamo la regina unta dagli dei![/SIZE]
[SIZE=2]Guarda in alto! Consentiranno tanto gli dei?[/SIZE]
[SIZE=2]No! Scenderà un principe cinto di fiamma,[/SIZE]
[SIZE=2]E trafiggerà il Guastatore con la spada del tormento.[/SIZE]
[SIZE=1](canto composto da Muhad, in occasione della battaglia di Ra-Morij)[/SIZE]
[SIZE=2]La mattina mi portarono al tempio dei Fiori e del Mare.[/SIZE]
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[SIZE=2]Poeti e filosofi hanno scritto della sensazione di straniamento che di quando in quando si prova credendo di rivivere un istante già vissuto; un luogo, una persona, una parola casuale che fanno scattare qualcosa nella memoria che dice, sì, mi ricordo, è così che era, è esattamente così. Questo ho letto, ma non mi è mai capitato, se non quando ce n’era motivo. Mi accadde quel giorno.[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]C’ero già stata, in quella città di legno costruita sull’acqua, sotto le grandi cupole d’oro del tempio. Molte volte avevo incrociato lo sguardo fisso e vuoto della grande effigie della dea Madre, che torreggiava immensa sopra l’altare, con onde intagliate che si sollevavano intorno ai suoi piedi.[/SIZE]
[SIZE=2]La prima volta avevo portato i dolci al miele. La seconda, avevo usurpato la sua voce.[/SIZE]
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[SIZE=2]Avevamo fatto un patto, io e la dea.[/SIZE]
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[SIZE=2]E ci eravamo andati con Rugia, che essendo la nostra regina aveva il diritto di ordinarcelo; e poi ancora con Chinua, come in quel momento, tra le sacerdotesse dell’Eletta, con le loro sussurranti vesti blu e il velo di rete d’argento che ne nascondeva il viso, perline di vetro simili a lacrime infilzate, piedi nudi che si muovevano sul pavimento senza fare rumore.[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]“Aspetto qui”, mi disse Zu, facendo il formale inchino, le mani strette a pugno sotto i guanti di maglia metallica dei bracciali. Tra la mormorata presenza delle sacerdotesse e il delicato orgoglio degli eunuchi del tempio con le loro lance cerimoniali, pareva del tutto estraneo, così spigoloso e mascolino.[/SIZE]
[SIZE=2]“Tornerò”, gli assicurai.[/SIZE]
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[SIZE=2]~[/SIZE]
[SIZE=2]“Dimmi.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Gli occhi di Qi si chiusero, le palpebre oscurate da vene blu, strette per difendersi dal dolore.[/SIZE]
[SIZE=2]Anch’io ho fatto una cosa simile, e l’ho vista fare ad altri; mai, però, a Qi. Le sue ciglia s’incurvarono come piccole onde d’ebano.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non c’è stata nessuna cospirazione”, esordì, cercando le parole. Riaprì gli occhi.[/SIZE]
[SIZE=2]I miei occhi si fissarono sui suoi. “Cosa, allora?”[/SIZE]
[SIZE=2]Non credo che qualcuno che la conoscesse meno di me l’avrebbe vista trasalire, avrebbe colto la terribile consapevolezza che riempì i pozzi blu dei suoi occhi. Mi spiegò.[/SIZE]
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[SIZE=2]Non sapevo cosa mi aspettassi. Sopportai il colpo; lo sopportai bene. Era stato un colpo assai forte. Un nemico mortale poteva essere superato in astuzia, in pianificazione. Non quello. Non il caso.[/SIZE]
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[SIZE=2]“È vivo?” Fu la prima cosa che dissi, la prima che fui in grado di dire, pronunciata a denti stretti.[/SIZE]
[SIZE=2]“Credo di sì.” Il pavimento di legno era duro sotto le nostre ginocchia, e la scomodità offriva concentrazione. “La visione era così carica di dettagli … il menekhetano ne ha riconosciuto il valore; ha pagato in moneta sonante. Da questo deduco che sia vivo.”[/SIZE]
[SIZE=2]Mi alzai. Feci un passo, due passi. Sentii il respiro corto, il cuore battere in fretta e con forza. Restai in silenzio. So cosa significa confrontarsi con una colpa che aveva portato morte. Ora, era per un figlio mio.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Qi.” Mi schiarii la voce, che pareva scomparsa.[/SIZE]
[SIZE=2]“È stato fatto. Le loro teste infilzate su lance decorano l’ingresso alla piazza.”[/SIZE]
[SIZE=2]“D’accordo.” Tre mesi. Un tempo infinito. Le mie spalle si abbassarono, di pochissimo. Fu sufficiente; lei vide. Raddrizzandosi, attraversò la stanza e aprì una scatola d’ebano. Le nostre dita si sfiorarono mentre mi tendeva un pezzo di pergamena. Abbassai lo sguardo e vidi un nome sconosciuto.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Accetta incarichi di guida per carovane dirette a Mo-Rhûn e al Jebe-Barkal”, spiegò Qi senza inflessione. “Mi assicurano che sa dove trovare i discendenti di Numènor. Non posso giurare che sia vero, ma la mia informazione è attendibile. Da qui, non sarò in grado di fare altro.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Grazie.” [/SIZE]
[SIZE=2]Le parole sembravano stupide.[/SIZE]
[SIZE=2]Giugno dell'anno 76 della Quarta Era. Morija.[/SIZE]
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[SIZE=2]Wei, regina di Morija[/SIZE]
[SIZE=2]Era pazzia.[/SIZE]
[SIZE=2]Se avessi avuto il coraggio di lasciar andare i miei sensi e perdermi per sempre nel sonno, credo che lo avrei fatto. Invece la mia mente si smarrì e poi ritornò lucida, riordinando di colpo ogni parola che avevo sentito, richiamando il giorno in cui mi ero chiesta cosa avrei fatto se avessi avuto in grembo un figlio. Era al bambino che avevo pensato, quello per cui avevo lasciato gli eroi, quello che dovevo porre davanti a chiunque altro nella mia vita. Non un uomo. Il bambino. Me n’ero andata per proteggere il nostro bambino. E non l’avevo detto perché avevo paura che non sarebbe venuto con me. Meglio non chiedere che farlo e ricevere un rifiuto.[/SIZE]
[SIZE=2]E avevo ragione. Non sarebbe venuto. Troppe cose stavano accadendo, troppo pressanti erano i suoi doveri. Aveva fatto bene ad accettare la battaglia. Era stupido, ma era così tipico di lui che volevo abbracciarlo. Volevo scrollarlo.[/SIZE]
[SIZE=2]Non so quanto a lungo dormii. I miei sogni si aprirono come tende spalancate dal vento. Mi riscossi. Ero in piedi, in una casa. Quattro candele splendevano sul tavolo di legno e la loro fragranza si mescolava addolcendo l’aria. Violette, e qualcos’altro. Una donna si chinò su di esse. Jie.[/SIZE]
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[SIZE=2]Wei Jie[/SIZE]
[SIZE=2]“Regina. Regina. Come hai potuto scegliere di ridurti così? Non doveva andare in questo modo, non dovevi viaggiare. La fatica ti ha spezzata. Dovevi essere a palazzo, ora, e permettere al tuo popolo di servirti. Avrebbe dovuto accendere per te mille candele. Non avresti dovuto farlo da sola.”[/SIZE]
[SIZE=2]“La ruota gira, Jie, e tesse come vuole. Siamo tutti parte del Disegno. Non potevo rimandare questo viaggio.” Un dolore lancinante interruppe le mie parole, e con esso un’ondata di paura, freneticamente repressa. “Andrà tutto bene” sussurrai a me stessa. “Andrà tutto bene. È normale che sia così. Credo.”[/SIZE]
[SIZE=2]Guardavo Jie in piedi accanto al focolare in quella piccola casa. Fuori infuriava una tempesta estiva; le guardie si riparavano sotto a una piccola tettoia. Il loro capitano scrutava di tanto in tanto dalla finestra, indeciso su cosa fare e cosa dire. Stringevo il bordo del tavolo, per metà piegata e per metà appoggiata. Indossavo solo una camicia da notte, e i miei capelli erano lucidi di sudore. Jie si affaccendava intorno a me. Trassi un altro gran respiro in un singulto, e poi gridai, non un urlo, ma un sottile suono rauco. Avevo forza solo per quello. [/SIZE]
[SIZE=2]“Venite ad aiutarmi, Shan!” disse Jie, chiamando a gran voce il capitano. Rimase impalato per un attimo, poi si precipitò dentro, irresistibilmente attratto dallo sguardo severo della mia cortigiana. “È troppo presto … troppo presto.” Jie era una buona ragazza; provavo per lei molta gratitudine.[/SIZE]
[SIZE=2]Mentre il capitano mi guardava sgomento, afferrai di nuovo il tavolo, spalancando gli occhi, ora senza voce per la forza che si muoveva attraverso di me. [/SIZE]
[SIZE=2]“È ora, è il momento” gli disse freneticamente Jie.[/SIZE]
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[COLOR=navy]Shan[/COLOR][/SIZE]
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[SIZE=2]Shan lasciò cadere la lancia e il sacco mentre spingeva la porta per chiuderla e la bloccava. “Cosa?” le chiese mentre si asciugava la pioggia dagli occhi e spingeva via dalla faccia i capelli bagnati.[/SIZE]
[SIZE=2]“Il bambino sta arrivando.” Adesso Jie sembrava stranamente calma. Shan la guardò vacuo per un istante. Poi parlò con fermezza. “No. Non può essere.” Sembrava quasi arrabbiato, tanto desiderava avere ragione. “Altri quindici giorni, forse di più. A palazzo è tutto pronto e saremo di ritorno in tempo …”[/SIZE]
[SIZE=2]Le sue parole si spensero mentre afferravo di nuovo il bordo del tavolo. Scoprivo i denti, mentre mi sforzavo di resistere. Shan era come paralizzato. Non l’avevo mai visto diventare così pallido. “Devo mandare una staffetta al prossimo villaggio a chiamare ..?” chiese con voce fioca.[/SIZE]
[SIZE=2]L’acqua ticchettava sulle rozze assi del pavimento. Dopo un’eternità, trassi un respiro. “Non credo che ci sia tempo”, disse Jie.[/SIZE]
[SIZE=2]Shan era ancora bloccato, con il mantello che gocciolava sul pavimento. Non avanzò nella stanza, rimase immobile. “Non dovrebbe sdraiarsi?” domandò incerto.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ci ho provato”, gli dissi. “Fa davvero male se mi distendo.” Jie mi sosteneva.[/SIZE]
[SIZE=2]Shan annuiva come una marionetta. “Allora dovreste stare in piedi, suppongo. Naturalmente.” [/SIZE]
[SIZE=2]Non si mosse.[/SIZE]
[SIZE=2]Jie lo guardò supplichevole. “Non può essere tanto diverso”, disse, “da un puledro o un vitello …”[/SIZE]
[SIZE=2]Gli occhi di Shan si spalancarono tanto che vidi il bianco tutto attorno. Scosse la testa deciso, in silenzio.[/SIZE]
[SIZE=2]“Shan”, gli dissi, “non c’è nessun altro per aiutarmi. Jie è troppo giovane. E io sono …” le parole mi furono improvvisamente strappate in una specie di grido. Mi chinai in avanti sul tavolo, le gambe mi si piegarono in modo che la mia fronte si appoggiò al bordo. Ero piena di paura, oltre che di dolore.[/SIZE]
[SIZE=2]La mia paura raggiunse anche Shan. Scrollò un attimo il capo, come un uomo che si risveglia. “No. Avete ragione, non può essere così diverso. Non può essere. L’ho fatto centinaia di volte. Esattamente uguale, ne sono sicuro. Va bene. Dunque. Vediamo. Andrà tutto bene, lasciatemi soltanto …” si strappò il mantello e lo lasciò cadere sul pavimento. Si spinse via i capelli bagnati, poi venne a inginocchiarsi accanto a me. “Devo toccarvi” mi avvertì; gli feci un cenno d’assenso.[/SIZE]
[SIZE=2]Poi le mani di Shan furono sul mio ventre, tastandolo gentilmente ma con fermezza, come faceva quando una cavalla era in difficoltà e lui desiderava affrettare le cose. “Non manca molto, ormai, non molto ancora” mi disse. “È davvero sceso.” Era tornato fiducioso, e mi sentii confortata dal suo tono. Tenne le mani su di me mentre un’altra contrazione mi scuoteva. “Va bene, è giusto.” Fra una doglia e l’altra, mi sostenne con le mani, continuando tutto il tempo a parlare piano, chiamandomi la sua brava ragazza, la sua ragazza paziente, la sua bella ragazza che stava per dare alla luce un bel bambino. Dubito che pensasse a quello che stava dicendo. Era tutto nel tono della voce. [/SIZE]
[SIZE=2]Jie si alzò una volta per prendere una coperta e la piegò sul pavimento accanto a sé. Non dissero parole goffe quando sollevarono la mia camicia da notte, ma Shan continuò a parlare piano, in modo incoraggiante, mentre Jie stringeva la mia mano. “Continua così, continua così, eccoci qua, eccoci qua, continua così, va benissimo, e cos’abbiamo qui, chi è questo?”[/SIZE]
[SIZE=2]Poi Shan stava afferrando il bambino, la testa in una mano callosa a coppa, l’altra che sosteneva il minuscolo corpicino appallottolato, e sedette improvvisamente sul pavimento, sbalordito. I discorsi delle donne che avevo sentito mi avevano fatto immaginare ore di urla e laghi di sangue. Ma c’era poco sangue sul bambino che alzò su Shan calmi occhi grigi. Tutto era silenzioso, tranne il mio ansimare e il respiro di Jie.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sta bene?” domandai infine. Tremavo. “C’è qualcosa che non va? Perché non piange?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Sta bene” disse Jie piano. “Sta benissimo. Bello com’è, perché dovrebbe piangere?” [/SIZE]
[SIZE=2]Rimanemmo in silenzio per un lungo tempo. Finalmente deposero con riluttanza il bambino sulla coperta, voltando un angolo per coprirlo. “C’è ancora un poco di lavoro da fare, ragazza, prima che abbiamo finito” mi disse Shan, burbero.[/SIZE]
[SIZE=2]Ma non passò molto tempo prima che fossi seduta su una sedia accanto al fuoco, avvolta in una coperta per non prendere freddo. Esaminavo il bambino lanciando esclamazioni alla vista dei lucidi capelli neri, le minuscole dita di mani e piedi con le unghie perfette, le orecchie delicate. Poi Shan fece lo stesso mentre teneva il bambino e girava la schiena in modo che potessi cambiarmi la camicia zuppa di sudore. “Avrai la fronte di un re” gli disse sommessamente. Gli sorrise e gli toccò la guancia con un dito. Il bambino girò la testa verso il tocco.[/SIZE]
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[SIZE=2]Quando tornai accanto al fuoco, Jie mi tese di nuovo il bambino, e mi accovacciai sul pavimento accanto alla sedia mentre me lo portavo al seno. Atanamir; re di Morija. [/SIZE]
[SIZE=2]Shan emise un lungo sospiro dal quale capii che aveva trattenuto il fiato per timore che non volesse mangiare. Jie alzò lo sguardo su di lui, il suo viso come il sorgere del sole. “Ci faresti una tazza di tè, per favore?” gli chiese sommessamente, e Shan annuì, sorridendo come uno scemo.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Viaggio dell'Assassino", di Robin Hobb[/SIZE]
[SIZE=2]Luglio dell'anno 76. Al palazzo della regina Wei, in Ra-Morij[/SIZE]
[SIZE=2]Quando entrò, 'Volpe di Seta' non era solo. Lo seguivano due uomini e due donne senza età, vestiti di seta e broccato. Fecero finta che Zu non esistesse e ci riuscirono, ma con le Guardie del Drago ai lati del corridoio fu un’altra storia. Halueth dai capelli biondi si fermò per un attimo, ma Ilbrin e Aolis, entrambi con i capelli neri e i volti duri, guardarono torvi i soldati e istintivamente poggiarono la mano sull’elsa della loro spada. Liari, una donna dai capelli rossicci che sarebbe stata bella se non avesse avuto un volto di pietra, li guardò cupa mormorando parole che nessuno poteva capire. Quando videro bene Wei, si scambiarono occhiate interrogative. Forse non sapevano che cosa fosse accaduto a Ra-Morij.[/SIZE]
[SIZE=2]“Mia regina,” intonò Zu ad alta voce, fermandosi davanti a lei, “Signora del Mattino, Principessa dell’Alba, Custode della Luce, davanti al quale il mondo intero si inginocchia, ho condotto da te i Kinn-Lai della Valle del Drago. Ilbrin e Aolis, maestri in molte arti; Halueth e Liari, capaci di toccare il cuore del mondo.”[/SIZE]
[SIZE=2]I quattro Elfi guardarono Zu, con labbra tese e occhiate oblique. Dal tono di voce di Zu pareva che avesse portato a Wei quattro cavalli. Dire che irrigidirono le schiene mentre fissavano Wei sarebbe equivalso a dire che l’acqua era diventata più umida, ma così era sembrato. Non potevano fare a meno di spostare lo sguardo da un punto all’altro della sala, evitando di incrociare gli occhi di Wei, che aveva voglia di ridere davanti ai loro volti oltraggiati. Oltraggio, ma anche prudenza, e forse un po’ di soggezione malgrado ciò che volevano dare a credere. Era stata capace di farli uscire dalla loro valle, per la prima volta dopo mille e mille anni. [/SIZE]
[SIZE=2]Lei e Zu avevano inventato quella lista di titoli, ma la parte sul mondo in ginocchio era nuova, un’aggiunta personale dell’ufficiale. Il consiglio però era stato di Rugia. Le era quasi sembrato di sentire di nuovo quella voce argentina. 'Il modo in cui le persone vedono qualcuno per la prima volta è quanto rimane loro impresso. Così funziona il mondo. Se scendi da un trono, anche se ti comporti come un contadino in un porcile, tutti coloro che ti osservano ricorderanno da dove vieni. Ma se per prima cosa vedranno solo una giovane di campagna, si risentiranno nel vederla salire su un trono, qualunque sia il suo diritto o potere'. Se un titolo o due potevano essere d’aiuto, se gli abiti e il trucco pesante potevano far dimenticare agli Elfi la ragazzina che era stata nella Valle del Drago assieme ad Arakhon, tutto sarebbe stato più facile.[/SIZE]
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[SIZE=2]Wei rimase impassibile. “Non vi darò il benvenuto. Questa è la vostra terra, questo è il luogo in cui sorgeva il palazzo della vostra regina. Ma sono contenta che abbiate accettato il mio invito.” Dopo molti giorni e con solo poche ore di preavviso, ma di questo non fece cenno. [/SIZE]
[SIZE=2]Si alzò e appoggiò il ventaglio sul trono, quindi scese dal palco. Con un sorriso riservato – ‘non essere mai ostile a meno che tu proprio non debba’, le aveva detto Rugia, ‘ma soprattutto non essere in nessun caso troppo amichevole. Mai spazientita’. Fece un cenno verso cinque cuscini, piazzati in circolo nella sala. “Unitevi a me. Parleremo davanti a del tè fresco.”[/SIZE]
[SIZE=2]Gli Elfi, dopo un momento, la seguirono, guardandola con freddezza e curiosità. Quando furono seduti, arrivarono i gai’shain di Tul Harar, silenziosi sotto i loro cappucci bianchi, portando tè e tazze d’oro già bagnate di condensa. Altri stavano in piedi dietro ogni sedia con un ventaglio di piume, muovendo gentilmente l’aria. Dietro ogni cuscino tranne quello di Wei. I quattro lo notarono, come si accorsero della mancanza di sudore sul suo volto.[/SIZE]
[SIZE=2]Wei guardò Ilbrin e Aolis. I Kinn-Lai, Elfi Avari, erano un popolo leggendario. Fino alla venuta di Arakhon e al viaggio della Compagnia della Luna, lei stessa aveva dubitato della loro reale esistenza. Tutto era cambiato. Esser riuscita a fare in modo che accettassero di mandare una loro delegazione a Ra-Morij, trovarsi seduta assieme a loro, li rendeva meno … magici. Più vicini alle cose terrene del mondo, così come tanti altri. A modo loro, rimanevano capaci di fare forse ciò che volevano, quando lo volevano, ma Wei cominciava ad avere una speranza. La loro lingua era melodiosa e difficile, ma Wei l'aveva studiata, in quei mesi. I loro pensieri erano per lei più … vicini.[/SIZE]
[SIZE=2]“Il tè è eccellente.” Fissando la coppa, Liari esitò prima di aggiungere: “Regina.” Fu uno sforzo.[/SIZE]
[SIZE=2]“Dalle montagne attorno alla valle” osservò Aolis. “È stupefacente tu sia riuscita a trovare del ghiaccio.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Pensate che sprecherei tempo a cercare il ghiaccio,” rispose Wei “quando ci sono così tanti problemi al mondo?”. Toccò leggermente il Potere, e la sua voce risultò più profonda e severa, il suo viso ancora più bello e forte.[/SIZE]
[SIZE=2]Halueth la guardò di colpo e sembrò fare fatica a bere un altro sorso. D’altro canto Ilbrin svuotò la tazza e la protese per farla riempire di nuovo da un gai’shain, i cui occhi azzurri lampeggiavano furiosi in contrasto con la remissività dell’espressione. Gli uomini di Tul Harar mandati dall'ambasciatore Mu'had disprezzavano la sola idea di servire degli stranieri. Come potesse quel disgusto accompagnarsi al concetto di gai’shain e al desiderio di servire invece la famiglia della regina, Wei non era riuscita a capirlo pienamente, ma era così.[/SIZE]
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[SIZE=2]Liari tenne la tazza sulle ginocchia e da quel momento in poi la ignorò. Da vicino, Wei riusciva a vedere una notevole somiglianza con Rugia. Forse una cugina stretta. Dopo averla osservata per un istante parve sul punto di scuotere il capo, invece disse: “Come si chiama tua madre?”[/SIZE]
[SIZE=2]Wei sbatté le palpebre. “Mia madre?” Tian Ting era sua madre. Era il solo nome che le veniva in mente; l’aveva cresciuta fino a quando era morta. Ma decise di dirle la verità che aveva scoperto al Tempio dei Fiori e del Mare, dopo il ritorno a Morija. “Mia madre si chiamava Ivran. Era una delle vostre fanciulle. Mio padre si chiamava Shi, un poeta orientale.” Liari sollevò le sopracciglia dubbiosa. “Lo giurerei su un qualsiasi pegno di tua scelta. Ma cosa ha a che fare con ciò che voglio sapere? Sono morti entrambi da molto tempo.”[/SIZE]
[SIZE=2]La donna sembrò sollevata. “Allora non si tratta di una somiglianza casuale. Speravamo in questo; siamo venuti per conoscere la verità, più che per il dono che ci hai offerto.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Una somiglianza? Sono cresciuta nelle terre di confine, Tian Rengfen e Tian Ting sono stati come un padre e una madre per me, ma i miei genitori erano chi ti ho detto. A chi somiglio, perché mi fissiate tutti in questo modo?”[/SIZE]
[SIZE=2]La donna esitò. “Suppongo che non importi più, ora che il nostro tempo è alla fine. Venticinque anni fa, o forse più, una di noi scomparve durante la notte. Si chiamava Fhaor. Non aveva figli. Rivedo Fhaor nel tuo volto.”[/SIZE]
[SIZE=2]Adesso anche Wei era colpita. Sentiva freddo. Mentre Liari parlava, parti del racconto che le aveva fatto Qi le turbinavano in testa … una giovane dai capelli neri come le piume di un corvo, vestita di seta … un marito che non amava, un figlio che era morto per colpa sua, durante la caccia … Ivran o Fhaor aveva lasciato gli Elfi in segreto, portando la magia dei Priminati nel suo sangue; aveva incontrato il poeta Shi, che l’aveva conquistata con un amore così forte e profondo, l’amore che solo i Secondogeniti erano capaci di esprimere. Ed era morta durante il parto. [/SIZE]
[SIZE=2]Lei non si sarebbe stata regina di Morija, ora, perché non sarebbe nata. Non ci sarebbe stato nessun figlio che portava in sé parte di quello stesso sangue e il sangue di tutti quei popoli, un figlio destinato a riunirli. Tutto si ripiegava su se stesso in circoli infiniti. Che cosa aveva fatto, Arakhon, quando aveva toccato la Fonte? Così tante vite erano cambiate, finite, perché Fhaor potesse partorirla al momento e nel posto giusti, per colmare un vuoto, morendo nel farlo. Tian Ting era la madre che lei ricordava, anche se vagamente, ma avrebbe tanto voluto conoscere Fhaor o Ivran o come si era fatta chiamare, anche se solo per un breve periodo. Solo per vederla.[/SIZE]
[SIZE=2]Sogni inutili. Era morta da molto tempo. Era tutto passato. La ruota del telaio e la ruota della vita giravano allo stesso modo, senza pietà o compassione. [/SIZE]
[SIZE=2]Di colpo si accorse di fissare il bianco della parete di carta della grande sala, verso ovest. Verso Arakhon. Non poteva fidarsi di nessuna Nijen in grado di toccare il Potere. Solo degli Avari, dei Kinn-Lai. Sperava di potersi fidare di loro, almeno in parte, e ciò che aveva promesso li avrebbe soddisfatti. Per qualche motivo guardò il soffitto con i disegni che rappresentavano battaglie e regine, alternate con draghi e mitiche creature. Pareva che quelle donne la fissassero con disapprovazione, chiedendosi cosa ci facesse in quel luogo. Immaginazione. Ma perché? Perché era venuta al corrente di Fhaor? Immaginazione o follia?[/SIZE]
[SIZE=2]Rimaneva solo la realtà. E Arakhon, Suri, e gli eroi della Compagnia della Luna. Avevano bisogno di lei.[/SIZE]
[SIZE=2]“È arrivato il momento di chiedervi ciò che già vi aspettate. Alatar, lo Stregone Blu, il Signore delle Anime, il Maestro, è divenuto ancora più potente; la sua mano si stende ormai dalle terre meridionali di Rhûn e dalla Dorsale del Mondo, alle colonie dei Valdacli, attraverso gran parte dell’Harad. I suoi servi guidano le azioni di molti re e principi; inconsapevoli di ciò che fanno, si muovono come pezzi di un grande gioco, e lavorano, anziché per il bene delle loro genti, per Alatar stesso. [/SIZE]
[SIZE=2]Egli aspira a essere dio. Egli desidera ardentemente la capacità di creare, che ancora gli sfugge. Egli trae potere da ciascuno di loro, perché ha legato i loro spiriti al proprio. Alatar non muoverà apertamente guerra a nessuno di questi principi e re; predilige altre vie, e costruirà tramando nell’ombra e muovendo i suoi pezzi una terra prospera, una terra senza dolore e senza morte, sulla quale regnerà, privando della libertà le genti che vi nasceranno. Genti che vivranno in un mondo di indicibili orrori dei quali nessuno avrà consapevolezza.[/SIZE]
[SIZE=2]Morija è l’unica terra ad essersi liberata dal giogo di Alatar, a un terribile prezzo. Esso comprende anche la forza per poter continuare la lotta; in Morija, questa forza non c’è più. Ci occorre aiuto.”[/SIZE]
[SIZE=2]Aolis sospirò. “Poche volte, regina, gli Elfi si sono avvicinati alle vicende degli Uomini. Mai ne è venuto del bene.”[/SIZE]
[SIZE=2]“E questa sarà l’ultima volta, Aolis. Voi lo sapete quanto me. L’ultima volta che Avari e Uomini toccheranno gli uni la vita degli altri. E sapete anche che ciò che sto per chiedervi, con il vostro aiuto, può esser fatto.”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Signore del Caos", di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Nelle regioni settentrionali di Morija. Agosto dell'anno 76.[/SIZE]
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[SIZE=2]Nhi Feier represse un sospiro. Aveva sperato che Ye non fosse un’idiota oltre che un presuntuoso. Le lodi di vittoria si diffondevano in fretta, che si trattasse di un esercito o di una mezza bandiera. Erano le sconfitte a finire inghiottite dal silenzio e dimenticate. E tutto quel silenzio era … minaccioso.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Negli ultimi rapporti non mi sembrava che si parlasse di ‘pochi superstiti’” insisté Feier. Lei non era un idiota; portava l’onore dei Nhi. “Ci sono cinquemila guerrieri di Ra-Morij a meno di venti leghe da qui, li guida la loro regina, e dubito che possiamo semplicemente andare lì con delle scope e spazzarli via.”[/SIZE]
[SIZE=2]Nhi Ye sbuffò di nuovo. “Li annienteremo, con le lance o con le scope. Che la Dea Madre mi accechi, non vedo l’ora di una battaglia decente. Ho detto agli esploratori di tirare avanti finché non li trovano. Non permetterò che ci sfuggano.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Che hai fatto?” disse piano Feier.[/SIZE]
[SIZE=2]Piano o no, le sue parole fecero scattare ogni sguardo verso di lui. Anche se Nhi Da e Nhi Yi dovettero sforzarsi per smetterla di guardare Ye a occhi sbarrati. Agli esploratori era stato detto di tirare avanti, gli era stato detto che cosa cercare. Cercavano Wei di Morija. Quante altre non avevano visto per via di quegli ordini?[/SIZE]
[SIZE=2]Prima che qualcuno potesse aprir bocca, dagli uomini nel passo si levarono urla seguite dai nitriti dei cavalli. Feier si premette sull’occhio il tubo del cannocchiale. Nel valico davanti a lei, uomini e cavalli morivano sotto una raffica di quelli che dovevano essere quadrelli di balestra, balestre dei Valdacli a giudicare da come sfondavano i pettorali d’acciaio e trapassavano toraci protetti dalle cotte di maglia. Centinaia di uomini già caduti, e altre centinaia di feriti accasciati in sella o a piedi mentre si allontanavano di corsa dai cavalli che si dimenavano a terra. [/SIZE]
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[SIZE=2]Troppi stavano fuggendo. Mentre lei continuava ad osservare, i soldati ancora in sella fecero girare rapidamente i cavalli nel tentativo di tornare all’imbocco di quel valico. Madre Dea, dov’erano finiti gli arcieri? Non riusciva a trovarli.[/SIZE]
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[SIZE=2]All’improvviso, incredibilmente, il terreno cominciò a esplodere in fontane ruggenti lungo tutto il serpente ritorto del suo esercito, fontane che scagliavano in aria uomini e cavalli con la stessa facilità con cui facevano volare le pietre. Fulmini scesero dal cielo, dardi bianchi e azzurri che frantumavano uomini e terreno allo stesso modo. Possibile che i soldati di Ra-Morij avessero delle Nijen? No, erano tutte morte. Nessuno possedeva più quella magia. [/SIZE]
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[SIZE=2]Poi Feier vide il drago, rosso come la scia di fuoco che lasciava dietro di sé, e capì.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Che dobbiamo fare?” chiese Nhi Yi. Sembrava scosso. E ne aveva ben donde.[/SIZE]
[SIZE=2]“Hai intenzione di abbandonare i tuoi uomini?” ruggì Ye. “Ci lanceremo all’attacco, cosa …” Si interruppe, gorgogliando, quando la punta della spada di Feier gli entrò in gola. A volte gli idioti potevano essere tollerati, a volte no. Quando l’uomo si riversò dalla sella, Nhi Feier pulì con fare sprezzante la lama sul candido manto del castrone prima che l’animale sfrecciasse via. A volte era necessario qualche gesto teatrale.[/SIZE]
[SIZE=2]“Attaccheremo ciò che possiamo attaccare, Yi” disse come se Nhi Ye non avesse neppure parlato. Come se non fosse mai esistito. “Salveremo il salvabile e ci ritireremo, per combattere Wei un’altra volta.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Girandosi per cavalcare verso il passo, ordinò a un ragazzo dallo sguardo fermo con un cavallo veloce di andare verso nord e fare rapporto su quanto stava accadendo. Era arrivato il giorno di morire per l’onore dei Nhi? Nhi Feier affondò i talloni nei fianchi del suo cavallo.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Sentiero dei Pugnali", di Robert Jordan[/SIZE]
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