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Sargil[/SIZE]
[SIZE=2]Nell’estate dell’anno 76, mentre nel Grande Harad la Compagnia della Luna, divisasi, combatte gli emissari dell’Ombra, Sargil - inviato del Guardiano di Ardor Rinata - si ricongiunge al Mezzelfo Nùmenion (Xir), erede della vecchia Corte e nipote di Ardana. Sargil intende condurre Nùmenion al sicuro nella fortezza elfica di Menelcarca, dove lo aspettano Fuinur e Lynn, che per molti anni Nùmenion ha creduto essere sua madre e che era in realtà la damigella della regina Ardaniel, figlia di Morelen e Manator, ultima regina di Ardor.[/SIZE]
[SIZE=2]Dopo essere giunto a Gaven, capitale del Geshaan, ed essere sfuggito all’inseguimento dei Valdacli affiancati dagli uomini dell’oligarca Xan di Hathor, Sargil inizia a perlustrare l’immensa palude della Terra Sprofondata a cavallo di una delle terribili Fiere Alate di Ardor, e viene visto da Aredhel, inviata da Seaine, Custode dell’Ordine di Tesarath. Aredhel dileggia Sargil ma lo conduce fino a quelle che crede essere le rovine del tempio di Ty-Ar-Rana, da lei scoperte circa vent’anni prima, nelle quali pensa che Siuan, la Tesarath che accompagnava Nùmenion, abbia condotto lui e la loro scorta.[/SIZE]
[SIZE=2]In quelle rovine, dopo essersi reso conto che le stesse sono un antichissimo fuoco d’Essenza risalente addirittura alla Prima Era, capace di generare potentissime illusioni che richiamano scene di vita e gloria passata degli Elfi, Sargil incontra effettivamente Nùmenion e la Tesarath Siuan. [/SIZE]
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[SIZE=2]Nùmenion, Erede di Ardor[/SIZE]
[SIZE=2]L’unico modo per far arrivare l’Erede di Ardor rapidamente a Menelcarca è volare sulla Fiera Alata stessa, che però non può portare più di due cavalieri; sia Aredhel che Siuan sono convinte che i Valdacli, che hanno sicuramente visto il volo della Fiera sulla palude, stiano per giungere alle rovine. [/SIZE][SIZE=2]Sargil rimane coraggiosamente con Siuan e la piccola scorta per proteggerli dai Valdacli, mentre Aredhel e Nùmenion volano a Menelcarca.[/SIZE]
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[SIZE=2]Le rovine del Tempio di Ty-Ar-Rana, effettivamente risalente alla Prima Era del Mondo, sono un vasto complesso sotterraneo situato nella parte nordoccidentale della Terra Sprofondata di Geshaan - un'immensa palude, maledetta da Ardana.[/SIZE]
[SIZE=2]Il tempio, costruito da Elfi Luminosi che si opponevano ad Ardana stessa, ha una pianta a stella, una stella con tre punte; ciascuna delle punte è notevolmente distante dalle altre, a ciascuna delle loro estremità si trova un ingresso piramidale in pietra e metallo che poggia su una base in granito, per un’altezza totale di sessanta piedi – al centro della stella si trova una struttura identica ma più grande, alta circa il doppio.[/SIZE]
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[SIZE=2]Sargil e Aredhel hanno localizzato una sola delle quattro entrate del tempio (Sargil può risalire all’esistenza delle altre tre dai testi della biblioteca di Menelcarca); in particolare hanno trovato quello che sembra essere un altare di pietra - in realtà uno dei gradini monolitici della scalinata d’ingresso, che appare assieme al resto dell’imponente struttura piramidale in pietra e metallo solo in alcuni momenti del giorno, e non ogni giorno, ma a intervalli irregolari, apparentemente casuali, non legati ad un’ora precisa della giornata o a un giorno della settimana. Nel momento in cui Sargil ha incontrato Siuan e Nùmenion, l’intera struttura era visibile, e Sargil ha seguito Siuan prima in una stanza triangolare all’interno della piramide e poi in una sala sotterranea vicina all’ingresso, nella quale Nùmenion stava riposando assieme agli altri; alla partenza di Nùmenion, il tempio è scomparso, e Sargil si è ritrovato in una radura fra gli alberi, distinguibile dal resto degli isolotti della palude, oltre che per l’ “altare”, solo in quanto piana e di forma regolare.[/SIZE]
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[SIZE=2]Sargil sa che, affrontando i Valdacli all’esterno, si troverebbe in forte inferiorità numerica ed avrebbe poche speranze di sfuggir loro; sa anche però che il tempio, anticamente, era protetto da potenti incantesimi tali da non consentire alla malvagità (e quindi ai servitori della Corte di Ardor) di penetrarvi. Inoltre, sempre stando alle leggende e ai testi, Ty-Ar-Rana è difeso da un misterioso “Guardiano” che richiama alla memoria di Sargil la natura del Guardiano di Menelcarca, Morgil. [/SIZE]
[SIZE=2]Moran, il figlio maschio di Ardana, aveva la possibilità di entrare a suo piacimento e in libertà nel tempio di Ty-Ar-Rana, ed è probabilmente grazie al suo sangue che Nùmenion ha potuto localizzare il tempio e rimanervi celato sino all’arrivo di Aredhel e Sargil stesso. Sargil e i suoi compagni di Ardor Rinata saranno allo stesso modo benvenuti?[/SIZE]
[SIZE=1](le mappe del tempio di Ty-Ar-Rana sono tratte dal modulo "The Court of Ardor", I.C.E. [Permesso negato per la visualizzazione di questo supporto multimediale]
, non più in stampa)[/SIZE]
[SIZE=2]Mentre Nùmenion incontra re Fuinur a Menelcarca, nel piccolo accampamento situato vicino all’altare di Ty-Ar-Rana la preoccupazione di Sargil cresce. Né lui né Siuan sanno quanti siano gli esploratori Valdacli e gli Hathoriani di Thanatos che si stanno avvicinando, ma Sargil, dalle esplorazioni fatte precedentemente, ha ragione di ritenere che si tratti di numerosi gruppi, forse cinque o sei, ciascuno dei quali di una decina di guerrieri guidati da uomini del luogo.[/SIZE]
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[SIZE=2]Fuinur, all’arrivo di Nùmenion a Menelcarca, ha inviato subito Aredhel e Gildor sulla Fiera Alata verso il tempio di Ty-Ar-Rana, ma non ha certezza che arrivino in tempo, e che, nonostante siano entrambi temibili combattenti, questo sia un aiuto sufficiente per Sargil. Potrebbe recarsi egli stesso a Ty-Ar-Rana, ma solo utilizzando una grande quantità del Potere ed esponendo Menelcarca a forti rischi – non sa peraltro se gli sia possibile entrare nel comprensorio del tempio, protetto contro Ardana e la sua Corte da antichi incantesimi, ed ha molte cose da discutere con Nùmenion. Inquieto, cammina nella grande sala del Teschio, indeciso.[/SIZE]
[SIZE=2]Sargil si trova a poter contare quindi, per la difesa del tempio stesso o per la fuga, solo su Siuan, sui suoi due Custodi, su due delle Bianche di Geshaan e su una guida, sul piccolo gruppo quindi che ha condotto Nùmenion e Siuan al tempio per sottrarre Nùmenion stesso alla ricerca dei Valdacli. Né Siuan né le Bianche sanno combattere.[/SIZE]
[SIZE=2]Tanith, capitale di Hathor. luglio dell'anno 76 della Quarta Era[/SIZE]
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[SIZE=2]Tarush non lasciò trasparire il suo nervosismo mentre si piegava su un ginocchio mormorando: “Che la Luce splenda su Nindamos.” Anche gli altri soldati che erano con lui s’inginocchiarono, sguardo fisso a terra. Tarush era del sangue di Arcil, ma di rango troppo basso per poter aspirare ad una carica più elevata di quella che già ricopriva. E non poteva essere accolto in Nindamos. Fin troppo umile per potersi mostrare sorpreso se la Mano della Luce permetteva a una strega di Tesarath di rimanere in piedi e vestita al suo cospetto, anche se incatenata. Strani tempi per una terra strana, dove si aggiravano dei Draghi ora e gli eredi di Ardor erano tornati per uccidere e schiavizzare la gente ovunque volessero.[/SIZE]
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[SIZE=2]Saren a malapena guardò Tarush prima di studiare la tavola della mappa. Sotto il comando di Ralmoth, i Valdacli avevano ottenuto più di quanto fosse possibile sognare, rovesciando le sorti di Hathor e reclamando grandi distese di quelle terre rubate alle Genti Libere dai Mumakani. Erano stati mandati solo a difenderne la capitale, Tanith, una difesa senza speranza, e dopo quanto era successo e la vittoria contro gli Umar alcuni nobili avevano pensato che non fosse possibile e avevano mandato loro fiduciari ad accertarsi della verità. [/SIZE]
[SIZE=2]Se Ralmoth avesse continuato con i suoi successi, e la campagna che aveva immediatamente intrapreso non poteva che essergli favorevole, avrebbe potuto presentarsi alla principessa Arcil e forse chiederla in moglie, l’adozione nelle famiglie dei Sette non era un evento inaudito per conquiste così grandi. E se Arcil l’avesse rifiutato e Ralmoth avesse fatto il passo più lungo della gamba con altri, nel peggiore dei casi si sarebbe solo dovuto tagliare le vene. Ma c’erano buone, ottime possibilità che Ralmoth riuscisse là dove altri avevano fallito, ora, e Tarush si vedeva capitano di Tanith, o forse governatore di tutta Hathor.[/SIZE]
[SIZE=2]Continuò ad osservare Saren in paziente silenzio, ma era stato un esploratore prima di essere promosso, e non poteva fare a meno di notare tutto intorno a sé. Un esploratore, in quelle terre, viveva o moriva a seconda di ciò che vedeva o no, e da questo dipendevano anche le vite degli altri soldati. La donna incatenata respirava appena e non aveva un bell’aspetto. Un messaggero in quel momento venne respinto dai soldati all’ingresso. Quanto importanti erano le notizie se quell’uomo aveva cercato di farsi strada oltre le guardie di Nindamos?[/SIZE]
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[SIZE=2]La donna degli elfi catturò di nuovo l’attenzione di Tarush. Non era possibile stabilire quanti anni avesse. Prima che finisse nelle mani dell'Inquisitore, qualsiasi uomo in quella stanza avrebbe desiderato di rubarla a Saren e tenerla per sé. Il suo grazioso volto di bambola si accigliava di continuo, e lo sguardo non restava mai basso per più di qualche istante. Una proprietà che mostrava la sua rabbia? E c’era dell’altro. [/SIZE]
[SIZE=2]Per quanto rapido fosse stato il suo sguardo, Saren se ne accorse. Con uno scatto e un gesto ai due attendenti, fece distendere la donna faccia a terra. “Giù, Alviaré” sibilò quasi in un sussurro. [/SIZE]
[SIZE=2]Stranissimo. Ma a malapena importante. Impassibile in volto, ma comunque fremente per l’impazienza, Tarush aspettava. Impazienza e non poco disagio. Era stato promosso capitano dopo aver cavalcato per quaranta miglia in una sola notte con tre frecce in corpo per portare a Sorul la notizia di una ribellione, e la schiena ancora gli dava dolore.[/SIZE]
[SIZE=2]Alla fine, Saren si distolse dalla tavola della mappa. Non gli diede il permesso di alzarsi, tanto meno lo abbracciò come si conveniva a un capitano dei Valdacli. Non che lui si fosse aspettato qualcosa del genere. La sua posizione era molto inferiore. “Sei pronto a marciare?” gli chiese lui con calma. Almeno non gli aveva parlato attraverso i suoi attendenti. Davanti a così tanti dei suoi uomini, una vergogna del genere lo avrebbe fatto camminare a occhi bassi per giorni.[/SIZE]
[SIZE=2]“Lo sarò, Saren” rispose con altrettanta calma, incontrando il suo sguardo. Per quanto bassa la sua posizione, era comunque dei Valdacli. “Loro non possono riunirsi in così poco tempo, e ci vorrà almeno un mese prima che escano dalla montagna. Molto prima di allora io …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Potrebbero essere qui domani” scattò lui. “Oggi! Se vengono qui, Tarush, arriveranno tramite l’antica arte del Viaggiare, e sembra molto possibile che accada. L’hanno già fatto due volte.”[/SIZE]
[SIZE=2]Tarush sentì gli uomini che cambiavano posizione senza riuscire a trattenersi. Saren che perdeva il controllo delle sue emozioni e credeva alle leggende? “Non ne siamo sicuri.” Le parole gli uscirono di bocca prima che potesse fermarle.[/SIZE]
[SIZE=2]E capì che prima si era sbagliato pensando che la Mano della Luce avesse perso il controllo. Lo perse in quel momento. Gli occhi divamparono. Le mani si strinsero tanto forte da far sbiancare le nocche tremanti. [/SIZE]
[SIZE=2]“Metti in dubbio la mia parola? Non credi ai tuoi stessi occhi?” ruggì Saren incredulo. “Ti basti sapere che Alviaré, lei, mi ha detto tutto. Ma anche se non l’avesse fatto ho le mie altre fonti d’informazione.” Ed era furioso con loro, oltre che con lui, si rese conto Tarush. [/SIZE][SIZE=2]“Il loro generale mercenario, Aetos, ti è scappato, è svanito sotto il tuo naso. Prima che scomparisse lui, è scomparsa Aidea, la donna Hathoriana che vi ha presi in giro spiando le vostre mappe. E hanno mandato a Tanith altri dei loro assassini. Se arrivano, ci saranno almeno cinque o sei di queste Tesarath col loro nome pomposo. Ma non più di due o trecento dei loro guerrieri. A quanto pare erano così pochi anche all’inizio, non importa cosa le nostre avanguardie abbiano detto.”[/SIZE]
[SIZE=2]Tarush annuì lentamente. Trecento guerrieri. Tesarath. La sola idea di toccare una di quelle streghe gli faceva venir voglia di sputare per il disgusto. Di sicuro la principessa Arcil avrebbe raggiunto Tanith il più velocemente possibile, per poter schiacciare gli elfi di Ardor di persona. Erano pochi quelli che riuscivano a scrollarsi di dosso il timore reverenziale che la presenza di Arcil incuteva, con la sete di obbedirle che seccava la lingua.[/SIZE]
[SIZE=2]“Mi lascerai l’onore di cercare il mercenario Aetos?” chiese. “Il combattimento sarà breve e sanguinario. Per lui.”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Sentiero dei Pugnali", di Robert Jordan[/SIZE]
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[SIZE=2]Seaine sospirò per il fastidio di vedersi bloccata la via dalla porta chiusa, volteggiò su se stessa e si precipitò su per le scale strette e ripide, risalendo tutti i piani di corsa. Non vi era una sola finestra che lasciasse entrare la luce. Lo Specchio era sicuro, ora, ma la sua vita era meno sicura che mai. Non le sarebbe dispiaciuto vivere ancora un poco. Una volta tornata a Menelcarca avrebbe preso Sheriam per il collo e … [/SIZE]
[SIZE=2]Giunse all’ultimo piano, non molto più illuminato delle scale, con una sola finestra dal lato della strada. [/SIZE][SIZE=2]C’erano molti Hathoriani in terra. Quelli che aveva ucciso prima. Altri però erano Valdacli, e non li ricordava. Alla luce di una lampada, vide un uomo dall’aspetto straordinario, forse della stessa altezza di un Elfo, e snello, con il forte torace nudo. Indossava un semplice gonnellino e un mantello rosso. Le sorrise. [/SIZE]
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[SIZE=2]Seaine aveva promesso di chiudere lo Specchio. Di mantenere Ardor protetta. Per Numènion. L’aveva promesso. Lo Specchio era chiuso, però desiderava vivere ancora un poco. Gli sorrise. Gridò e si scagliò contro Xan, lanciando una delle sue Stelle verso la gola dell’uomo.[/SIZE]
[SIZE=2]Seaine aveva già visto come si muovevano i migliori guerrieri Kiran, e i Mumakani, ma questo era anche più veloce, benché fosse difficile da credere. Sembrò volare davanti a lei, bilanciandosi con la lancia, ne afferrò il manico con la destra e piroettò, scagliandogliela contro rovesciata. [/SIZE]
[SIZE=2]Seaine rimase senza fiato quando il manico della lancia la colpì forte in mezzo al petto, spingendola verso pavimento. Colpì il terreno, sollevando un piccola nuvola di polvere mentre la Stella rotolava via. Ansimando, si rialzò subito, con il medaglione di Ardor che le pendeva fra i seni, davanti alla camicia aperta e al segno della lancia, quasi all'altezza del cuore. Estrasse un pugnale da sotto la giubba e si scaraventò contro quell’uomo, saltando verso di lui in modo da superare il suo scudo e tagliargli la gola.[/SIZE]
[SIZE=2]Quell’uomo avrebbe fatto sembrare lento un Nazgul. Girò attorno a lei evitando il suo affondo come se non avesse ossa nel corpo, e allungò la mano sinistra per colpirla con un pugno pesante come un maglio sui polmoni. Il fiato le mancò di nuovo e sbatté contro la parete, rompendosi il naso. Il sangue le rigò il volto.[/SIZE]
[SIZE=2]Seaine saltò all’indietro, più in alto della testa del suo avversario, lo superò e atterrò alle sue spalle, avventandosi contro la sua schiena. Non provava alcun rimorso nel pugnalare un avversario alle spalle quando era necessario, soprattutto se era uno in grado di spezzarle il collo con una mano. Avrebbe dovuto dire a Sheriam che proteggere Lynn era più importante. Quel pensiero le venne in mente mentre affondava la lama una seconda e poi una terza volta.[/SIZE]
[SIZE=2]L’uomo gridò sotto i suoi colpi. Non avrebbe dovuto essere possibile, ma in qualche modo quel tizio riuscì a voltarsi sotto di lei, sottraendole il pugnale. Gli occhi freddi e il sorriso di Xan erano un avviso molto chiaro agli occhi di Seaine, che, disperata, afferrò il polso dell’uomo. La sua mano scivolò leggermente sul sangue.[/SIZE]
[SIZE=2]L’altro le sorrise. Aveva un pugnale che gli spuntava da un fianco e rideva! “Lui non ti vuole morta” disse l’uomo sottovoce e, come se non avesse alcun impedimento, mosse le mani verso la testa di Seaine, trascinando nel movimento anche il braccio di quest’ultima.[/SIZE]
[SIZE=2]Seaine, in preda al panico, lo spinse e scaricò tutto il peso del proprio corpo sul braccio del suo avversario, senza ottenere alcun risultato. Si sentiva come una bambina che lottava contro un adulto. Quel tizio si stava divertendo, se la prendeva comoda. Con le mani gli afferrò la testa. Dov’era andato a finire Erarnil? Seaine si sollevò facendo appello alle poche forze che le restavano e … l’uomo le spazzò via le gambe con un calcio, facendole fare un volo prima di ricadere a terra come un sacco pieno di patate.[/SIZE]
[SIZE=2]Quando si rialzò, mezza stordita e con un braccio rotto, l’uomo era in piedi con le mani sui fianchi. Seaine non era sicura di cosa fosse quello che aveva davanti, tranne che di sicuro non era un uomo.[/SIZE]
[SIZE=2]Xan si tolse il pugnale dal fianco e lo lanciò contro Seaine, che lo afferrò al volo d’istinto, facendolo volteggiare per impugnarlo in modo corretto, con la punta rivolta verso l’alto, e nel farlo notò che la lama era splendente. Non era sporca di sangue.[/SIZE]
[SIZE=2]Di colpo, l’uomo scomparve.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "La Corona di Spade", di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Naurlindol, Ardor. Estate dell'anno 76 della Quarta Era[/SIZE]
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[SIZE=2]Rimase sola, in silenzio, osservando dapprima il cortile in basso e poi gli edifici regolari all’interno della cinta, ognuno un tempo con una funzione ben definita, dall’arena con il massiccio tetto a cupola per le dimostrazioni equestri al coperto, all’enorme piazza destinata all’addestramento dei soldati di Ardor.[/SIZE]
[SIZE=2]Poi si voltò a guardare il sole che tramontava proprio in quel momento, avvicinandosi al parapetto e appoggiandosi alle sue pietre rosse. Da lì fece correre lo sguardo sui boschi, prima a nord, poi a ovest e infine a sud. Nella luce aranciata del crepuscolo, sotto un cielo che si stava facendo sempre più scuro, i rivestimenti in pietra delle case risplendevano come se fossero provvisti di una luce ambrata propria, che però svaniva insieme al sole, anche se più lentamente, quasi a voler ritardare la sua uscita di scena.[/SIZE]
[SIZE=2]Non appena gli ultimi raggi furono scomparsi a ovest dietro la linea dell’orizzonte e il chiarore del crepuscolo si fu ridotto sensibilmente, Niara fissò lo sguardo in quella direzione, concentrandosi con il talento per cercare di percepire tutto ciò che era possibile.[/SIZE]
[SIZE=2]Un’ondata di colore la travolse facendola vacillare e obbligandola ad appoggiarsi al muro con la mano. Sottili filamenti rossastri provenienti da ogni dove convergevano verso il cielo, a un punto tale che il terreno tutt’intorno pareva rischiarato da una luminescenza rosso-violetta. Mentre guardava, ebbe la consapevolezza che quella rete rossastra fosse invisibile a tutti coloro che non possedessero il suo talento. Poi, osservando con maggiore attenzione, scorse un tessuto impalpabile che copriva tutto il cielo, e capì che si trattava della trama e dell’ordito di tutti i filamenti del mondo che sembravano intrecciarsi eppure non toccarsi mai. Contrapposta al diafano intreccio di questi ultimi, la rete formata dai fili rossastri sembrava terribilmente fuori posto, un’opprimente ragnatela che convergeva e si dipartiva dalle dimore di Uomini ed Elfi.[/SIZE]
[SIZE=2]Si chiese se sarebbe stata in grado di fare qualcosa riguardo a quell’orribile tela di ragno. Era forse quella a cui si riferivano le parole dello Spirito dei Boschi? E perché proprio lei? Altri sicuramente avevano visto ciò che lei stava osservando. Non poteva essere la prima dotata di talento ad assistere a quello spettacolo. O invece sì?[/SIZE]
[SIZE=2]Represse un brivido.[/SIZE]
[SIZE=2]Poi si raddrizzò ed esaminò di nuovo con attenzione i fili. Forse … forse se avesse escogitato qualcosa, per quanto difficile potesse sembrare, avrebbe aumentato le possibilità degli Spiriti di purificare il mondo.[/SIZE]
[SIZE=2]Indugiò. Qual era il problema? Non aveva fatto altro che pensare a un modo di fuggire e, proprio come riteneva fosse terribilmente sbagliata la mostruosa tela che vedeva dinanzi a sé, così lo era anche l’idea di una semplice fuga fine a se stessa. Ma allora … cosa avrebbe potuto fare?[/SIZE]
[SIZE=2]Intrufolarsi nella residenza del Re Fuinur? Senza dubbio sarebbe stata scoperta dal primo Elfo in cui si fosse imbattuta, e di certo lui si circondava di guardie esperte e molto attente. E allora, cosa avrebbe potuto fare?[/SIZE]
[SIZE=2]Avrebbe potuto scappare, cercare il mare … senza fare niente. Avrebbe potuto dirigersi a nord e di certo, con la sua esperienza, sarebbe stato difficile scoprirla e catturarla. Ma … avrebbero comunque saputo. E se mai fosse tornata a casa, ogni volta che avesse camminato attraverso le distese che circondavano l’altopiano avrebbe ricordato di aver visto in faccia la malvagità e di averle semplicemente voltato le spalle.[/SIZE]
[SIZE=2]Spinse di nuovo lo sguardo verso i boschi e verso la sconvolgente iniquità della ragnatela che così pochi erano in grado di vedere. Studiò a lungo i fili che si intrecciavano e che convergevano, finché la sera con le sue ombre non avvolse tutto. Allora Niara trasse un lungo e profondo sospiro, per poi voltarsi e scendere la stretta scala verso il cortile e le radure orientali, dove sapeva avrebbe trovato la giovane Tesarath.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Le Cronache di Corus" di L.E. Modesitt[/SIZE]
[SIZE=2]Agosto dell'anno 76, verso Hathor[/SIZE]
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[SIZE=2]È buffo come possano cambiare le prospettive. Mentre viaggiavamo verso Hathor, vedevo il mio destino con nuovi occhi. Quando superavamo i carri coperti kirani, molto più colorati ed elaborati dell’umile mezzo di trasporto che avevamo scelto, benché simili nel disegno, le giovani donne si sporgevano dalla parte posteriore ridendo e facevano gli occhi dolci alla nostra scorta. Imparai a riconoscere quelle nubili dal fatto che portavano i capelli scoperti. Chiacchieravano e civettavano felici mentre passavamo e Aetos diventava più interessato a loro a ogni scambio di battute.[/SIZE]
[SIZE=2]Sebbene le donne kirane sembrino tanto spudorate da potermi far arrossire, e alcune ci riescono davvero, posso dire che si tratta di un’apparenza ingannevole, come avevo appreso durante i miei anni nelle campagne: il loro atteggiamento licenzioso non è altro che una recita, poiché la loro cultura tiene la verginità in grande considerazione. Ammetto che, in una certa misura e anche se lo sapevo, m’infastidiva che tutte quelle donne si prendessero simili libertà di fronte a tutti.[/SIZE]
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[SIZE=2]Quanto ad Aetos, la sua apparizione suscitava risatine e commenti trasmessi da bocca a orecchio dietro lo scudo di una mano. Nonostante l’età, è un uomo estremamente attraente, lo ammetto; ricordavo ancora il suo vigore dopo che avevamo concluso, nei primi giorni a Parga, e la sua aria piuttosto dolce mentre mi osservava alzarmi e indossare i miei abiti. Laddove alcune a Menelcarca, persino fra le Sorelle, l’avevano guardato con aperto interesse, le kirane non osavano farlo: la legge è feroce, nella loro società. Non fui in grado di tradurre con esattezza il termine laxta per Sheriam ma, in pratica, esso allude all’incontaminata virtù di una donna. Tale rispettabile condizione si può perdere in un’infinità di modi - basti dire che la mia se n’era andata da tempo, ammesso che l’avessi mai avuta - ma l’onta più grave, per loro, consiste nel mischiare il prezioso sangue kirano con quello di un gadje, cioè uno degli Altri.[/SIZE]
[SIZE=2]Una volta compresa l’importanza di questa legge capii anche, in parte, l’entità dell’odio dei kirani nei confronti di alcuni della loro stessa gente. Molti Valdacli avevano profanato il corpo delle loro donne, facendolo diventare impuro; molte donne però avevano acconsentito, coprendo d’infamia la loro discendenza. Avevano perso la laxta, in cui risiede il valore di una donna kirana.[/SIZE]
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[SIZE=2]Quelli che erano in viaggio con noi verso Tanith, però, non sapevano nulla di tutto questo. Sheriam, nascosta nel carro, in mezzo alle altre donne, era silenziosa. Per qualche motivo, non aveva accettato di buon grado la mia presenza assieme a lei e ad Aetos in quest’impresa di salvare le altre sue sorelle che erano rimaste ad Hathor dopo la battaglia. Io stessa avevo pensato di rimanere al tempio degli Elfi, a Menelcarca; c’era così tanto da scoprire, ogni ora trascorsa assieme ai signori di quella Corte era entusiasmante. Volevo, inoltre, rimanere accanto a Lynn. Ma il ritorno di Aetos ad Hathor, senza di me, non sarebbe stato diverso da una stupida marcia incontro alla morte, e dopo aver parlato con il signore Morgil li avevo raggiunti attraverso lo Specchio. Messa in questo modo, pareva quasi un mio generoso gesto … non era così, sapevo bene quanto pericoloso fosse ritornare a Tanith. Dovevo però finire delle cose che avevo iniziato, e aiutare gli Elfi mi avrebbe portato ancora un po’ della loro gratitudine, del loro rispetto, che desideravo ardentemente.[/SIZE]
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[SIZE=2]A Tanith si sarebbe tenuta una grande fiera equina, fra le altre celebrazioni per la vittoria dei Valdacli; i più promettenti tra i puledri di un anno sarebbero stati offerti ai nobili e ai capitani dell’esercito di Arcil a prezzi incredibili. Quella fiera, ci aveva assicurati Achaikos, il ladro che conoscevo, avrebbe fatto sembrare piccolo il mercato di Parga e lo stesso valeva per quello di mezza estate in Eisheth. La fiera era la miglior occasione per entrare in città; nessuno ha mai censito i kirani presenti ad Hathor: si spostano troppo per poter essere contati e sono troppo sospettosi per riferire dati veritieri. Vedendoli riuniti, tutti sulle strade che portavano alla fiera, posso dire che sono molti … ben più di quanti li credano i Valdacli.[/SIZE]
[SIZE=2]Era strano vedere il cambiamento che stava avvenendo in Aetos … perché era lui ad essere sempre più nervoso e impaziente man mano che Tanith si avvicinava. Sentiva il legame con Nienné, la giovane Sorella che aveva preso come amante. Qualcosa di più che amante. Non avevo capito che cosa significasse per lui quel legame fino ad ora. Aetos sentiva che era viva, e che soffriva. Da parte mia, continuavo a chiedermi perché i Valdacli di Nindamos non l’avessero uccisa, o perlomeno portata lontano, a Sorul o nelle loro Colonie. Fra tutte le nostre diversità, avevo con Sheriam una similitudine: tutt’e due eravamo sicure che fosse una trappola, e che i Valdacli stessero usando la giovane Nienné come succosa esca, stessero aspettando Aetos … e me. Non pensavo, infatti, di esser passata del tutto inosservata fra le lenzuola del capitano Ralmoth nei giorni prima della battaglia.[/SIZE]
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[SIZE=2]Ralmoth. Aveva un sogno semplice, senza pretese … essere accettato ad Hathor, trovare una famiglia. Pregai che si realizzasse: in fondo, aveva rischiato molto accettando di servire la principessa Arcil in terre lontane, ancor di più dopo il veleno che avevo messo nelle sue orecchie e i rischi che gli avevo fatto correre, e quella era la sola ricompensa che desiderava.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "Il Dardo e la Rosa" di Jacqueline Carey[/SIZE]
[SIZE=2]Agosto dell'anno 76, Tanith, Hathor[/SIZE]
[SIZE=2]Nell’oscurità profonda della cantina, Sheriam aprì gli occhi, si mosse e trasalì, quindi rimase immobile. Era mattina, fuori? L’interrogatorio era andato avanti per molto tempo. Cercò di dimenticare il dolore nella lussuosa consapevolezza che ancora respirava. La pietra rozza sotto il corpo le graffiava il corpo percosso e livido sulla schiena. Il sudore bruciava nelle ferite; sentiva una massa unica di dolore dalle ginocchia alle spalle. Tremava nell’aria fredda. ‘Non mi hanno lasciato nemmeno la veste’, pensò. L’aria odorava di vecchia polvere e muffa secca, di vecchio. Una cantina profonda. Nessuno doveva aver aperto la porta che intravedeva nel buio fin dai tempi di Ardana. Non dopo la Caduta.[/SIZE]
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[SIZE=2]Fece una smorfia nel buio, non poteva dimenticare. Stringendo i denti si spinse su per sedersi sul pavimento di pietra e toccò il muro per appoggiarvisi. La pietra era fredda contro la schiena. ‘Cose semplici’, si disse. ‘Pensa a cose semplici. Caldo. Freddo. Mi chiedo se mi porteranno dell’acqua. Se lo faranno’.[/SIZE]
[SIZE=2]Non poté fare a meno di cercare l’anello dell’Ordine. Non era più al dito. Non che se lo aspettasse, credeva di ricordare quando glielo avevano tolto. Dopo un po’ i ricordi erano diventati nebulosi. Per fortuna. Ma si ricordava di aver detto loro tutto. Quasi tutto. Godeva del piccolo trionfo di aver trattenuto qualcosa qua e là nonostante la forza del sacerdote che le aveva toccato l’anima. Fra le risposte gridate, impaziente di rispondere se solo avessero smesso di colpirle le gambe, anche solo per un po’, se solo … si strinse fra le braccia per smettere di rabbrividire. Non funzionava molto bene. ‘Rimarrò calma. L’erede è salvo. Devo ricordarmi di questo prima di ogni altra cosa. L’erede è salvo’, si disse.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Madre?” La voce incerta di Seaine provenne dall’oscurità.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sei sveglia, madre?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Sono sveglia” sospirò Sheriam. Aveva sperato che Seaine fosse riuscita a fuggire, a scappare dalla città. Si sentì in colpa nel provare conforto dalla presenza dell’altra Sorella nella cella. “Mi dispiace di averti coinvolta in tutto questo, figl …” No. Adesso non aveva il diritto di chiamarla a quel modo. “Mi dispiace, Seaine.”[/SIZE]
[SIZE=2]Vi fu un lungo momento di silenzio. “Stai bene … Madre?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Sheriam, Seaine. Solamente Sheriam.” Pur non volendo cercò di abbracciare il Potere. Non c’era nulla qui. Non per lei. Solo un gran vuoto interiore. Mai più. Una vita di intenti e adesso era senza meta, alla deriva in un mare più scuro della sua cella. Si asciugò una lacrima dal viso, arrabbiata per averla lasciata sgorgare. “Non sono più la Madre di Tesarath, Seaine.” Parte della rabbia filtrò nella voce. “Immagino che Lynn prenderà per sempre il mio posto, ora, se non l’ha già fatto. Lo giuro, se lo farà darò quella donna in pasto alle fiere!”[/SIZE]
[SIZE=2]La sola risposta di Seaine fu un lungo sospiro disperato.[/SIZE]
[SIZE=2]Il rumore di una chiave infilata nel lucchetto arrugginito fece sollevare la testa di Sheriam, nessuno aveva pensato di oliarla prima di gettarle in quella cantina, e delle parti consumate non volevano girare. Torva, si costrinse a raddrizzarsi. Qualsiasi cosa fosse successa, non avrebbe camminato mai più, questo lo sapeva bene. “Alzati, Seaine. Alzati.” Dopo un momento sentì l’altra assentire e borbottare fra i lamenti.[/SIZE]
[SIZE=2]Con voce leggermente più alta Seaine disse: “Per quale motivo?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Almeno non ci troveranno contorte e piangenti sul pavimento.” Cercò di rendere ferma la voce. “Puoi lottare, Seaine. Io non tornerò più ad Ardor. Ma tu, fino a che sarai viva, potrai lottare.” ‘O Padre Celeste, mi hanno spezzata! Mi hanno spezzata!’ si disse in preda al panico.[/SIZE]
[SIZE=2]Costringendosi a svuotare la mente strinse i pugni e cercò di affondare le dita delle mani nel pavimento di pietre irregolari. Desiderava che il rumore che le sgorgava dalla gola non somigliasse così tanto a un piagnucolio.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "L'Ascesa dell'Ombra" di Robert Jordan[/SIZE]
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[SIZE=2]Fu orribile. Il patio era uno scannatoio insanguinato, con tavoli rovesciati, le decorazioni fatte a brandelli, persino la cenere che riempiva il camino sparsa ovunque. Opliti feriti vagavano inutili e sconvolti, privati della volontà dall’incantesimo di Sheriam. I servi ancora vivi si erano riuniti in gruppi. Ero in ginocchio, le braccia alzate e tese verso i nostri nemici; imploravo la loro pietà. Due soldati trascinavano via Aetos, immobile. Vidi Drucil, il mastro della casa, zoppicare intorno al cortile per occuparsi dei feriti; si teneva il ventre, dove si stava allargando una macchia scura. Al centro di tutto, Xan appoggiato al suo bastone, il piede sulla testa di Seaine.[/SIZE]
[SIZE=2]Nessuno dei sopravvissuti aveva intenzione di continuare.[/SIZE]
[SIZE=2]Tranne uno.[/SIZE]
[SIZE=2]Non ci fu clamore quando apparve, solo un silenzio più profondo. Tarush entrò nel cortile con passi lenti, deliberati. Nessuno si mosse per fermarlo. Alzai piano la testa.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Tu”, mi disse, la voce tesa, indicando con l’impugnatura di una mazza ferrata. “Tu morirai.” Fece roteare il mazzafrusto, unendoci tutti in quel gesto. “Voi morirete per quello che avete fatto!”[/SIZE]
[SIZE=2]Troppo esausta per parlare, mi limitai ad annuire. Il mazzafrusto è un’arma letale, e anche difficile; pochi guerrieri la maneggiano bene. Tarush era molto dotato.[/SIZE]
[SIZE=2]“Aidea. Adesso so come ti chiami”, esordì in un’odiosa parodia di cortesia. “Abbiamo una questione in sospeso.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Capitano Tarush.” Sapendo che presto sarebbe stato tutto finito, posai le mani sulle ginocchia per evitare che tremassero. Lo guardai negli occhi. Erano fissi e attenti. [/SIZE][SIZE=2]“Posate le armi. È finita. Il tramite è stato cancellato. Avete vinto.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Può darsi, Aidea. Può darsi. Ma ti sei messa al servizio degli Elfi, e ci hai spinti in una trappola. Ti spaccherò il cranio io stesso. E poi quello di tutti quelli che sono venuti assieme a te e di chiunque altro dovesse venire dopo di voi!” gridò, tirando indietro la mazza per farla roteare, i muscoli contratti per sferrare il colpo.[/SIZE]
[SIZE=2]Mi preparai all’impatto. Che non ci fu.[/SIZE]
[SIZE=2]Una forte mano gli aveva afferrato la faccia da dietro, le dita a coprirgli la bocca, piegando la testa all’indietro per scoprire la gola, e nell’ombra vidi splendere il sorriso di Xan, mentre l’altra mano saliva, la lama di un pugnale giusto un lampo nell’oscurità.[/SIZE]
[SIZE=2]Uno spruzzo di sangue schizzò in avanti, e mi gettai di lato per evitarlo. Xan mi buttò il pugnale in grembo.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Ben fatto, piccolina”, commentò compiaciuto mentre guardava il capitano Valdaclo contorcersi e morire, rivoli di sangue che scorrevano sul pavimento e colmavano gli spazi tra le pietre da lastrico. “Speravo proprio di avere un’occasione per ucciderlo.”[/SIZE]
[SIZE=2]Dietro la maschera, il sorriso del sacerdote di Thanatos era un ghigno orribile.[/SIZE]
[SIZE=2]Non stava andando bene.[/SIZE]
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[SIZE=2]L’Ombra sorgerà sempre sul mondo. I suoi sentieri saranno molteplici, ed egli non avrà un solo nome, poiché rinascerà tra noi molte volte, con diverse sembianze, come ha sempre fatto e sempre farà, in eterno. Il suo rinascere sarà come la lama affilata di un aratro, spezzerà le nostre vite, c’imprigionerà in luoghi in cui giaceremo in silenzio. Ci offenderà per spezzare ogni legame; forgerà tutte le catene. Tramerà per distruggere il destino.[/SIZE]
[SIZE=2]Il sangue scorre forte in me. Possa la Luce salvarmi da esso; fa inginocchiare le montagne, i mari si aprono al suo cospetto. Prego affinché il mio cuore non diventi mai pietra e la mia anima ricordi sempre l’amore.[/SIZE]
[SIZE=2]Eppure chi è nato con l’Alba, secondo le profezie, può protendere innanzi le mani per catturare l’Ombra, gridando nel dolore della salvezza. All’Ombra, agli Altri Dei, mi opporrò con tutto me stesso. L’Albero Bianco è rinato; uniti saranno tutti i Valdacli. Uniti saremo, tutti, di nuovo.[/SIZE]
[SIZE=2]Numènion, re di Ardor[/SIZE]
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[SIZE=2]Arcil, affacciata alla finestra a circa ottanta spanne di altezza, poteva vedere il paesaggio oltre Tanith per leghe fino alle pianure e alle foreste ondulate intorno all’ampio fiume che scendeva da nordovest. Le lunghe ombre del mattino dovevano aver già cominciato a screziare la città, ma da lassù sembrava tutto chiaro e luminoso.[/SIZE]
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[SIZE=2]La festa per il suo arrivo era ormai passata, il clima era quello di un’estate torrida. Un altro segno, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’Ombra toccava di nuovo il mondo. Arcil non permise che il caldo, o quel pensiero, la distraessero. La lettera portatale dal messaggero di Ardor la turbava ancora. Un uomo affascinante, intrigante. Un figlio di Numènor. [/SIZE]
[SIZE=2]Il ‘re’ si era firmato Numènion.[/SIZE]
[SIZE=2]Le mattonelle ordinarie color ruggine e le pareti di marmo bianco adornate da alcuni arazzi variopinti non reggevano il confronto con la grandiosità della sua casa a Eregost. Di tanto in tanto Arcil la usava ancora, ma aveva spostato la sua residenza a Sorul ora e vi svolgeva gran parte del suo lavoro. Lo aveva fatto per la veduta. Non sulla città, sul fiume o sulla foresta, ma sull’isola di Ardinaak, che nelle giornate limpide s’intravedeva oltre il mare. Le rovine della Cittadella degli Elfi. Il simbolo della vittoria dei Valdacli e della Luce.[/SIZE]
[SIZE=2]La lettera era stata scritta da una persona molto ben educata, dalla grafia gentile e nello stile di Gondor. Il ‘re di Ardor’ … un Mezzelfo? Imparentato con una casata settentrionale? L’uomo affascinante che le aveva portato il messaggio aveva gli occhi di uno del nord.[/SIZE]
[SIZE=2]Arcil scacciò con fermezza quel pensiero dalla propria mente. Era molto orgogliosa della sua capacità di saper separare il possibile dall’impossibile. Era una questione insignificante. Gli Elfi di Ardor non aveva più alcun ruolo nella vita del mondo, dai tempi in cui Seregul aveva ucciso l'ultima loro regina.[/SIZE]
[SIZE=2]La vista degli uomini che si affaccendavano nella piazza d’armi le fece aggrottare leggermente le sopracciglia. La riorganizzazione dell’esercito procedeva a rilento. C’era bisogno di un cambiamento. Sì. Avrebbe dato gli ordini in giornata.[/SIZE]
[SIZE=2]Il delicato orologio alle sue spalle batté la terza levata. Arcil si allontanò dalla finestra con un sorriso, lisciandosi il vestito di seta nera screziata di rosso e sulle spalle l’ampia stola con le frange dorate.[/SIZE]
[SIZE=2]L’orologio era l’opera stupenda di un ingegnere di Hathor. Aveva decorazioni d’oro bianco, e le statuine d’oro, d’argento e di metallo smaltato si muovevano seguendo i rintocchi. In un riquadro, dei Troll con corna e musi animaleschi fuggivano dal re di Numènor avvolto in un mantello; in un altro un nero uomo del Mumak cercava di schivare i fulmini d’argento scagliati da un mago Valdaclo. E sopra il quadrante dell’orologio, oltre il capo di Arcil, un re e una regina incoronati si inginocchiavano al cospetto della principessa di Nindamos con la sua stola smaltata, mentre l’Albero Bianco, intagliato in una grande goccia di luna, si stagliava al centro di un arco dorato sopra la testa della statuina della principessa. Arcil non rideva spesso, ma non riuscì a trattenersi dal farlo alla vista di quell’orologio. Quanta adulazione, nei gesti di quegli Hathoriani, nelle parole del loro arconte Kadmos. Quanto tempo sprecato.[/SIZE]
[SIZE=2]Anche nell’alto schienale della sedia era incastonata una pietra di luna con l’Albero Bianco, che risaltò sopra i suoi capelli scuri dopo che Arcil si fu seduta. La superficie della scrivania era quasi del tutto sgombra.[/SIZE]
[SIZE=2]Per la centesima volta, lesse la lettera di Numènion.[/SIZE]
[SIZE=2]Era pura follia pensare che un qualsiasi uomo si fosse unito a una delle regine di Ardor e avesse generato un Mezzelfo capace di andarsene in giro liberamente, persino di studiare e crescere a Gondor, ma era assai peggio se si fosse trattato dell’uomo che, secondo le Profezie, avrebbe contribuito alla sconfitta dell’Ombra a sud. ‘Voglia la Luce che sia tutto falso’, pensò Arcil. Increspò le labbra.[/SIZE]
[SIZE=2]“Mia signora?” Arcil quasi sobbalzò nell’udire la voce di Saren. “Vorrei parlarti, mia signora.” Snello e dal volto freddo, Einor Saren era la Mano della Luce; nella sua bocca la parola ‘signora’ sembrava più un titolo fra pari che uno onorifico.[/SIZE]
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[SIZE=2]La sua sola presenza fu sufficiente per intaccare il buon umore di Arcil. Sapeva che il rispetto del quale Saren godeva gli spettava di diritto, ma Arcil era convinta che egli tenesse nascoste troppe cose. Mantenne un’espressione fredda come quella dell’Inquisitore, riconoscendo la sua presenza nella stanza con un semplice cenno del capo mentre continuava a esaminare la lettera. Uno dei soldati della guardia d’onore e l’ufficiale di un manipolo erano stati trovati morti dopo la cerimonia nella quale il messaggero di Ardor l’aveva avvicinata. Arcil non aveva intenzione di perdonare quell’assassinio. [/SIZE]
[SIZE=2]“Tarush e Daemar si sono finalmente degnati di farci pervenire altre notizie oltre a quelle di aver scoperto il nascondiglio delle spie?”[/SIZE]
[SIZE=2]Il tono era servito a ricordare a Saren che anche lui era vulnerabile, ma l’uomo snello si limitò a sorriderle con rispetto.[/SIZE]
[SIZE=2]“Nessuna notizia da Daemar, no, signora. Ma Tarush è morto, assieme a diversi soldati. Xan ha riferito che la casa era protetta dagli Elfi, e che Tarush si è battuto come un leone; ma egli è stato colpito a tradimento da una serva Hathoriana. La stessa che cercavamo. Gli Elfi sono fuggiti.”[/SIZE]
[SIZE=2]Non sospirare fu uno sforzo. Tarush era di rango inferiore; nondimeno, era stato un buon capitano. “ E perché, per la Luce, si troverebbero a Tanith?” chiese Arcil. “Per salvare le due loro donne che hai preso in battaglia? Non riesco a immaginare questo ‘re di Ardor’ che cade in una trappola così stupida, non ti pare?"[/SIZE]
[SIZE=2]“Accadono cose molto inquietanti, mia signora.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Altre voci? Voglio che vengano presi e portati da me. Potrei essere io, in fondo, il loro bersaglio. Li voglio tutti, Saren.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Per quanto non possa ancora disporre di loro, signora, lo stratega Xan … mi ha detto di avere le sue stesse mani molto vicine alle loro gole, e di esser pronto a stringerle.”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "La Corona di Spade" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Dirjal guardò sospettoso lo specchio che il sacerdote delle Terre Morte gli aveva indicato, poi guardò il … buco … che apparve quando la donna alta appoggiò le dita sulle parole scritte nella pietra che faceva da cornice. Un buco largo due passi e alto quasi tre. Oltre, era visibile una stanza non troppo grande coperta di drappi neri e dorati e illuminata da bracieri. Non gli piacevano le cose che avevano a che fare con la stregoneria, soprattutto con quella di Ardor. [/SIZE]
[SIZE=2]La donna stava con le braccia abbandonate in avanti, adesso. Due soldati di Hathor la reggevano, e teneva le gambe piegate in un modo innaturale, come se non potesse camminare. [/SIZE]
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[SIZE=2]Il sacerdote le premeva una mano sulla testa, e lei fissava un punto lontano, si scuoteva forte e diceva cose nella lingua di Ardor che per Dirjal non avevano nessun senso. Poi il sacerdote le piantò un coltello dietro al collo, strappandole un grido strozzato, e i soldati la buttarono in un angolo.[/SIZE]
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[SIZE=2]Xan entrò in quel buco, con il sacerdote e quegli spaventosi uomini mascherati che non parlavano e si muovevano in maniera strana. [/SIZE]
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[SIZE=2]Attraverso il buco, Dirjal vide Xan rovesciare i bracieri e incendiare i drappi, e gli uomini mascherati mettersi davanti a lui.[/SIZE]
[SIZE=2]Moshai gli toccò il braccio. “Fratello,” mormorò “il sacerdote ha detto che resterà aperto solo per un breve momento.”[/SIZE]
[SIZE=2]Dirjal annuì. Moshai aveva sempre chiara la situazione. L’uomo si velò e corse in avanti, saltando attraverso il buco che il sacerdote aveva aperto. Qualsiasi cosa sostenessero Xan e il Sacerdote della Morte, non si fidava di loro.[/SIZE]
[SIZE=2]Settembre dell'anno 76 della Quarta Era. Nel cuore di Ardor.[/SIZE]
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[SIZE=2]C’era una sola legge, fra i Valdacli, che limitava espressamente il potere di Arcil. Un gruppetto di usanze irrilevanti e un secchio pieno di realtà sconvenienti, ma solo una legge, eppure non avrebbe potuto essere peggio per i suoi propositi.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Dal momento in cui il capo dell’Ordine di Nindamos è tenuto in considerazione quanto il Consiglio stesso, del quale rappresenta il cuore, non deve esporsi ad alcun pericolo a meno che non vi sia un’estrema necessità.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Dyvim (Aetos)[/SIZE]
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[SIZE=2]Dyvim aveva espresso quel concetto molto bene. Il generale non era un Valdaclo, eppure conosceva le leggi dei Valdacli forse più di Arcil. E Arcil continuava a perdersi nei suoi occhi, da quando l’aveva incontrato; e questo non era un bene, per lei e per i Valdacli stessi. Se ne rendeva conto pienamente. Avrebbe dovuto allontanarlo.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Questo vostro modo di parlare delle leggi, Dyvim, è … irritante … come il vostro comportamento” mormorò beffardo Aginor. “Ma questo non ha importanza, dal momento che state parlando con il gradimento della principessa.”[/SIZE]
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[COLOR=navy]Aginor Nindamos[/COLOR][/SIZE]
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[SIZE=2]Per Aginor era difficile accettare la presenza di Dyvim vicino ad Arcil. L’aveva conosciuto ad Hathor quando ancora si faceva chiamare Aetos, e si nascondeva fra i ricchi mercanti della capitale, proteggendo gli Elfi; si erano scontrati verbalmente più di una volta. [/SIZE]
[SIZE=2]Aginor non credeva che Dyvim fosse veramente un inviato di re Elessar di Gondor, mandato ad Ardor per spiare la nuova corte. Pensava, piuttosto, che fosse un traditore, un mercenario. Anche Einor Saren, l'inquisitore, la Mano della Luce, aveva dei dubbi. [/SIZE]
[SIZE=2]Eppure Dyvim godeva della fiducia assoluta di Xan. Ardic, riconoscendo i tratti del suo volto, gli stemmi e le armi, e il suo modo di vestire, si era detto sicuro che la sua appartenenza alla spedizione di Cirmoth di Gondor fosse verosimile. Ronethil non aveva potuto riconoscere in lui il generale nemico descritto da Tarush. Tarush era morto. Gli interrogatori degli Elfi portati loro dallo stesso Dyvim confermavano ciò che lui e l’altro Dùnedain venuto con lui, Amralos, avevano raccontato. Einor aveva protestato, quando Arcil aveva acconsentito alla richiesta di Dyvim di tenere uno di quegli Elfi negli alloggi che gli erano stati assegnati, come sua … compagnia. Ma perché no. Erano addomesticati, ormai.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Non può essere certo irritante come la presunzione di un capitano di sapere che cosa io gradisca o meno, Aginor”, disse Arcil, facendo cenno a Dyvim di proseguire, camminando accanto a lei. Aginor si zittì, scuro in volto. [/SIZE]
[SIZE=2]Gondor. Tutto faceva capo a Gondor. Persino l’erede al trono di Ardor, il discendente di Ardana, sembrava venire da Gondor. Prima o poi Gondor l’avrebbe esasperata a tal punto da indurla a strappare una delle sue bandiere in pezzettini più piccoli di una moneta.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Di conseguenza”, continuò Dyvim, “a meno che il Consiglio non stabilisca che i Valdacli sono in guerra, la principessa dovrà chiedere il consenso minoritario del Consiglio stesso prima di esporsi deliberatamente al pericolo, e dovrà attenersi al responso. Se l’armata di Nindamos marciasse contro Menelcarca senza la principessa alla sua guida, ciò non sarebbe di buon auspicio.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Arcil non sapeva quale incidente causato dall’Ordine potesse aver indotto la creazione di quella legge, ma ormai era in vigore da duemila anni. Per la maggior parte dei Valdacli, qualsiasi legge tanto vecchia acquisiva un’aura di sacralità e un cambiamento era impensabile.[/SIZE]
[SIZE=2]Dyvim aveva menzionato quella … maledetta legge come se stesse dando lezione a un’alunna particolarmente stupida. Eppure, oltre ad avere una bella voce, aveva ragione. Con i soli Erendis e Barendar, gli unici vicini al suo campo, il consenso minoritario era fuori portata quanto quello maggioritario. Per la Luce, persino la dichiarazione di guerra agli Elfi di Ardor, dopo tutto quello che avevano fatto, continuava a richiedere il consenso minoritario! E se non riusciva a ottenere il permesso …[/SIZE]
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[SIZE=2]Xan si schiarì la voce. “Non puoi fare molto se attacchi da sola, principessa, e il Consiglio lo scoprirebbe immediatamente. Penso che troveresti difficile passare anche un’ora da sola, senza avere attorno uno dei loro inviati, dopo un fatto simile. Non arriverebbero a metterti delle guardie addosso o a minare la tua autorità, ma ci sono altri sistemi. Posso farti esempi da … diverse fonti.” Xan non parlava mai di cose segrete in maniera diretta.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Sono così prevedibile?” chiese Arcil dopo un momento. Erano circondati da carri, e sotto i carri si vedevano le sagome scure dei conducenti addormentati, gli stallieri e tutti gli altri che servivano a mantenere in movimento quell’esercito. Avevano tende, armi, riserve di cibo e di acqua e migliaia di cose necessarie ai guerrieri di Nindamos e a chi li serviva. Menelcarca era là: Arcil poteva quasi toccarlo con un dito.[/SIZE]
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[SIZE=2]“No, principessa” rise sommessamente Dyvim. “Ho solo pensato a ciò che avrei fatto al tuo posto; ma è risaputo che io non ho la tua dignità e il buonsenso. La principessa di Nindamos non può certo prendermi come modello. Credo che tu debba lasciare il giovane erede al trono di Ardor libero di fare ciò che vuole, solo per ora, mentre ti occupi dei problemi più immediati.”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Così rischiamo che gli Elfi ci portino tutti al Pozzo del Destino” mormorò Arcil. Doveva esserci un modo per occuparsi dei ‘problemi più immediati’ ed evitare di fare errori pericolosi, ma per il momento lei non lo vedeva. “Questo è il peggior posto che potevo scegliere per una passeggiata e per rilassarmi. Tanto vale che me ne vada a letto.”[/SIZE]
[SIZE=2]“In questo caso, principessa, ti auguro una buona notte.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Gli occhi grigi di Dyvim riflettevano la luce dei falò. Arcil si distolse da lui, inumidendosi le labbra.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Corona di Spade" di Robert Jordan[/SIZE]
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[SIZE=2]Sulla costa orientale di Ardinaak, ottobre dell'anno 76[/SIZE]
[SIZE=2]“Hai chiesto di essere svegliata prima che sorgesse il sole, Regina Madre.”[/SIZE]
[SIZE=2]Lynn aprì gli occhi – tra sé aveva stabilito che si sarebbe destata un pochino più tardi – e, pur non volendo, si girò di nuovo verso il cuscino distogliendo lo sguardo dal volto che l’osservava. Severo e molto pallido, non era una visione piacevole di prima mattina. Caralin era sempre più che rispettosa, ma la sua bocca sempre piegata verso il basso e gli occhi scuri e profondissimi dicevano che era sempre impietosa nel giudicare chiunque, e il tono piatto della sua voce capovolgeva il significato di ogni sua parola.[/SIZE]
[SIZE=2]“Spero che tu abbia dormito bene, Madre” disse, mentre con l’espressione riusciva ad accusarla di indolenza. I capelli, acconciati in crocchie sopra le orecchie, parevano tirarle dolorosamente il viso. L’abito rosso sacerdotale che indossava sempre serviva solo ad aggiungere cupezza al suo aspetto.[/SIZE]
[SIZE=2]Purtroppo, Lynn non era riuscita a riposare nemmeno un po’. Troppi pensieri si affollavano nella sua mente da quando aveva ricevuto la notizia degli eventi di Menelcarca. Si alzò, si lavò mani e viso, si spazzolò i capelli mentre Caralin le preparava gli indumenti, indossò una sottoveste pulita, e infine si sottopose al rituale della vestizione. ‘Sottoporsi’ era la parola giusta. [/SIZE]
[SIZE=2]“Mi pare di aver capito che rimarremo ancora qui, Madre.” L’immagine riflessa di Caralin nello specchio diceva: ‘Incapace di decidere’. Lynn non le rispose. “Questa tonalità d’avorio si adeguerà perfettamente alla tua carnagione, Madre” disse Caralin abbottonando il vestito di Lynn, mentre con il volto l’accusava di vanità. Lynn, sollevata dal fatto che quella notte ci sarebbe stata Ianwen a servirla, indossò la stola e se ne andò non appena la Tesarath ebbe finito di prepararla.[/SIZE]
[SIZE=2]A est il sole non era ancora sorto. Il paesaggio era un continuo alternarsi di rovine e terrapieni, con pendii alti fino a dieci braccia e zone in cui il terreno sembrava scavato da dita giganti. Le ombre ammantavano ancora l’accampamento, allestito in una piccola valle, ma erano tutti svegli in quella calura che, nonostante l’avanzare di ottobre, non sembrava mai diminuire. L’aria era satura di odori di cucina e la gente era affaccendata. Solo le novizie vestite di bianco andavano quasi di corsa: una novizia intelligente svolge sempre i propri compiti quanto più alacremente possibile. I Valdacli della scorta invece non avevano mai fretta.[/SIZE]
[SIZE=2]Era sicura che Caralin non lo faceva di proposito, ma bastava il suo viso a renderle sgradita quella presenza, quasi avesse Seaine per cameriera. Quel pensiero la fece ridere di cuore. Seaine avrebbe messo in riga la propria padrona in un attimo, chiarendo senza dubbio chi delle due doveva correre e servire. Un uomo dai capelli grigi si fermò e le sorrise come a voler condividere il suo divertimento. Ma solo per un istante. Poi si accorse che stava sorridendo alla Regina Madre di Ardor, non a una semplice donna di passaggio, e l’allegria svanì dal suo volto mentre lui si chinava di nuovo sul suo lavoro.[/SIZE]
[SIZE=2]Si sistemò il vestito; era uscita davvero troppo in fretta dalla sua tenda. Sospirò. Caralin aveva il volto di un boia, ma cercava di fare il suo dovere meglio che poteva. Perché era tutto così difficile, adesso?[/SIZE]
[SIZE=2]Mentre si avvicinava alla tenda che usava per ricevere visite, una sensazione di solennità rimpiazzò la preoccupazione per Caralin. Ogni volta che si fermavano per un giorno, Seaine entrava nella sua tenda con una risma di petizioni. Una lavandaia che implorava clemenza per un’accusa di furto, nonostante fosse stata presa con dei gioielli cuciti nell’orlo dell’abito; un fabbro che chiedeva un posto di lavoro. Un fabbricante di bardature che chiedeva alla Regina Madre di pregare per lui affinché avesse un figlio maschio; uno dei soldati del generale Adarrathil che desiderava avere la benedizione personale della Madre per il suo matrimonio con una donna degli Elfi. Lynn sospettava che Seaine lavorasse sodo alla ricerca di persone che compilassero petizioni, qualcosa per distrarla, per tenerle lontano Xir dalla mente mentre la Custode si occupava di ciò che considerava importante. Quella mattina, Lynn avrebbe potuto farle mangiare le petizioni per colazione.[/SIZE]
[SIZE=2]Quando entrò nella tenda, però, Seaine non era da sola.[/SIZE]
[SIZE=2]“Che la Luce ti illumini stamattina, Madre” disse Aredhel, con un inchino profondo che fece ondeggiare le frange del suo scialle. La ragazza era dotata di tutta l’eleganza degli Elfi, derivatale da Seaine, anche se il vestito a collo alto che indossava era molto modesto e più adatto alla caccia che alla Corte. “Abbiamo fatto ciò che ci hai ordinato, ma nessuno ha ancora potuto scoprire presso quale etnia elfica dei Fuinar Nùmenion si sia ora nascosto. Altri esploratori si sono spinti a nord, e manderanno lettere presto.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Alcuni riportano che gli Elfi di Gildor hanno abbandonato le case che avevano costruito, ma non i servitori umani, e che si stanno dirigendo verso le montagne” aggiunse Seaine acida, con un inchino molto meno profondo. “Mi auguro che non l’abbiano fatto seguendo l’antica strada verso nordovest, perché in quel caso sarà proprio là che i Valdacli li aspetteranno. Ma a parte questo, e la diceria che Fuinur e Morgil siano rinchiusi in Menelcarca in attesa dell’esercito di Arcil, non sappiamo altro.”[/SIZE]
[SIZE=2]Lynn rivolse alle due un sorriso, quindi si sedette al suo posto. Da sotto il porta inchiostro di pietra sporgeva l’angolo di una pergamena ripiegata che proveniva da Sorul. Poteva essere una lettera con notizie di suo figlio. Le mani le prudevano per la voglia di leggerla, ma si costrinse a non prenderla. Già troppi avevano dimenticato le buone maniere. Inoltre, la ragazza rappresentava un suo interesse, da quando era tornata da Geshaan. I Valdacli di Arcil l’avevano presa durante l’estate; grazie alla benevolenza di Alatar, era stato possibile mandare la richiesta di uno scambio, ed Aredhel era stata restituita, ma portava ancora dentro di se i segni di quella prigionia. Vivere in quel campo, assieme ai soldati, non era facile per lei.[/SIZE]
[SIZE=2]“Mi dispiace che abbiate incontrato delle difficoltà con i Valdacli, Aredhel. Parlerò con Adarrathil.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Grazie, Madre,” rispose Aredhel “ma non è necessario che tu ti prenda il disturbo.”[/SIZE]
[SIZE=2]Seaine si toccò lo scialle, indugiando. “Edhel, l'allieva di Alatar, voleva sapere perché Aredhel ha voluto esser condotta a Sorul,” aggiunse dopo un momento “ma non glielo abbiamo detto.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non c’era bisogno di mantenere il segreto, Figlie.” Nei confronti di Alatar, non era peraltro possibile farlo; Lynn ne era convinta. Lynn lanciò un’occhiata all’angolo della pergamena. Voleva davvero leggerla. Forse c’era qualcosa. “Grazie a tutte e due.” Aredhel comprese che era un modo per congedarsi e fece l’inchino prima di andare via, ma si fermò quando vide che Seaine era rimasta lì.[/SIZE]
[SIZE=2]“Mi spiace che tu non sia stata incoronata a Menelcarca,” disse Seaine a Lynn in tono frustrato “ così sapresti che quanto sto per dirti è la verità.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non è il momento di infastidire la Madre” iniziò a dire Aredhel, ma poi incrociò le braccia al petto e spostò l’attenzione su Lynn. Sul viso aveva un misto di pazienza e qualcos’altro. Era chiaramente in disaccordo con la madre, le due non provavano amore l’una per l’altra, eppure questa volta Aredhel era pronta a farsi indietro. Lynn si chiese per cosa.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non è la corona a fare di una donna una regina, Figlia.” Qualsiasi cosa pensassero le altre. “Dimmi la verità, e io ti crederò, Seaine.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non mi piaci.” I capelli biondi di Seaine ondeggiarono quando mosse il capo per enfatizzare il concetto. “Devi saperlo. Con ogni probabilità sei rosa dal dubbio e non sai decidere che cosa sia meglio fare, ora che Fuinur si è rivelato per ciò che è, che è sempre stato. Credi che io sia malvagia, credi che io ti disprezzi perché non eri che una novizia, e tale avresti dovuto rimanere quando tornasti a Menelcarca dopo essere fuggita. Io non sono come Sheriam; sono ancora convinta che tu non abbia ricevuto nemmeno la metà della punizione che meritavi. Forse questa mia ammissione ti aiuterà a capire che sto dicendo la verità. La nostra situazione è disperata. Alatar ci ha offerto la sua protezione.” Il volto di Seaine diventava sempre più tetro.[/SIZE]
[SIZE=2]Aredhel sollevò gli occhi al cielo e intervenne. “Regina, ciò che mia madre sta cercando di dire senza giungere al punto è che non ci siamo legate a te perché non avevamo scelta e nemmeno in segno di gratitudine per la benevolenza di Alatar nei tuoi confronti, e quindi nei nostri.” Si inumidì le labbra, come se pensasse che la benevolenza di Alatar non era stato un regalo da ispirare tanta gratitudine.[/SIZE]
[SIZE=2]“Allora perché?” chiese Lynn appoggiandosi allo schienale.[/SIZE]
[SIZE=2]Seaine riprese a parlare prima che Aredhel potesse aprire bocca. “Perché sei veramente la regina di Ardor, adesso.” Il tono di voce era adirato. “E ci rendiamo conto di quello che sta accadendo. Alcune pensano che tu sia un pupazzo nelle mani di Alatar, che egli ti dica quando e dove camminare. Non è giusto.” Gli occhi mandavano lampi di rabbia. “Avrei lasciato comunque Menelcarca perché anche ciò che ha fatto Fuinur non è giusto. Il tradimento di Fuinur fa rivoltare le viscere, ed è ancor più difficile da sopportare, perché l’Ordine sapeva, l’ordine era certo di non potersi fidare di lui. Per Morgil non ho parole, perché Sheriam e l’Ordine lo onoravano, e ancora non capisco i motivi della sua scelta di schierarsi con Fuinur. Ma ho fatto ciò che Sheriam mi aveva ordinato di fare. Adesso tu sei stata eletta Madre, e Sheriam è stata uccisa dagli Hathoriani. Il tradimento ci circonda. Ma io non ti tradirò. Sheriam è morta, e io sono al tuo servizio. Se lo desideri. Potrai fidarti di me per sempre. Devi credermi. Tu sei l’unica cosa che resta di Ardor, fino a quando non ritroviamo il Re. Devi credermi.”[/SIZE]
[SIZE=2]“E tu, Aredhel?” chiese subito Lynn, mantenendosi inespressiva. Sapere che cosa provavano le Sorelle era già terribile, ma sentirselo dire era … doloroso.[/SIZE]
[SIZE=2]“Anch’io sono con te," sospirò Aredhel “se lo desideri.” Allargò le mani, sprezzante. “So che non siamo un gran guadagno in confronto a ciò che eri a Menelcarca, ma, a quanto pare tu non hai altro. Noi non abbiamo altro. Devo ammettere di aver esitato, Madre. È stata lei a insistere che facessimo questo passo. Francamente …” sistemò di nuovo lo scialle anche se non era necessario, e la sua voce divenne più ferma. “Francamente non vedo come sia possibile pensare a mantenere integra la Corte, contro nemici così potenti come i Valdacli di Arcil, e ora che il tradimento di Fuinur l’ha spezzata al suo interno. Ma stiamo cercando di comportarci da suddite devote.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Lynn estrasse il foglio di pergamena che stava sotto la boccetta d’inchiostro e se lo fece girare fra le mani mentre rifletteva. Che cosa c’era dietro tutto questo? Seaine e Aredhel, suddite devote di Lynn, Regina di Ardor. Regina di Ardor. Sembrava improbabile come un lupo che diventava amico di un pastore. Eppure, ora, tutto era diventato possibile.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Regina” disse Seaine, quindi si fermò, con un’espressione di sorpresa in volto. Era la prima volta che si rivolgeva a Lynn in quel modo. Dopo aver sospirato profondamente, proseguì. “Regina, so che per te è difficile crederci …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Vorrei che smettessi di ripeterlo” osservò Lynn. “Vi crederò finché non scoprirò che mi avete mentito, e smetterò di fidarmi di voi solo se mi dimostrerete che non ve lo meritate. Come si fa con ogni altra persona. Voi siete già suddite devote. Se Menelcarca non è più, e null’altro resta, io sarò assieme a voi; sarò Ardor per voi.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Le due donne si scambiarono delle occhiate. Stavolta era Seaine a sembrare indecisa. Alla fine, Aredhel s’inginocchiò accanto a Lynn per baciarle la mano. [/SIZE]
[SIZE=2]“Per la Luce e la mia speranza di salvezza e rinascita in Iluvatar, io, Aredhel, ti giuro fedeltà, Lynn, Regina di Ardor. Giuro di servirti fedelmente e di obbedirti, a costo della mia vita e del mio onore.” Guardò Seaine con espressione interrogativa.[/SIZE]
[SIZE=2]Lynn poté solo annuire. Questo non faceva parte del rituale di Tesarath; era il modo in cui i nobili di Nùmenor prestavano fedeltà a un governante. Nemmeno alcuni re ricevevano un giuramento tanto impegnativo, ma non appena Aredhel si alzò con un sorriso di sollievo sul volto, Seaine prese lentamente il suo posto. [/SIZE]
[SIZE=2]“Per ... la mia Regina, Lynn, io, Seaine …”[/SIZE]
[SIZE=2]'Per la Luce, di fronte ai Valar'; così aveva giurato Aredhel. 'Per la Regina'; così aveva giurato Seaine. Tutto ciò che Xir avrebbe sperato per la nuova Ardor. E anche di più.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Corona di Spade" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]E, con l’atto di ribellione di Fuinur al tempio di Menelcarca e il tradimento al re Númenion, che discendeva da Ardana, così fu che la paura di Fuinur il Rinnegato, che la libertà di Ardor e la volontà di Númenion venissero inghiottiti dalla malizia di Alatar, il corrotto Stregone Blu, e precipitassero nel nulla, non si avverò; ma Fuinur e Morgil, ripudiati da Númenion al di là di ogni perdono ché egli rivedeva ora di fronte ai suoi occhi ciò che al tempo di Ardaniel era già accaduto, cacciati dalla Corte, rimasero in potere di Morgoth. Ché ora, più che nei giorni del loro ritorno alla Terra Eccelsa, l’angoscia li divorava, e consumavano il proprio spirito nel dominio della magia e dei pochi servi che loro rimanevano, ispirando brama di male. Ciononostante, a lungo sopravvisse la loro maestà siccome spiriti dell’Ombra, volti in terrore, e di fronte alla faccia di Fuinur e del suo ministro tutti che non fossero i potentissimi precipitavano in un buio abisso di paura.[/SIZE]
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[SIZE=2]Ora, quando Númenion giunse dal tempio e si riseppe che Fuinur aveva di nuovo tradito e che il sogno di Ardor Rinata era stato invano, gli Elfi abbandonarono il villaggio ai piedi di Menelcarca e rimasero per un tempo nascosti nell’oscurità, dentro le loro foreste, mentre le armi dei Valdacli incombevano sulla loro sorte, e gli Uomini e i Mezzelfi che erano venuti per servirli stavano accanto a loro e piangevano. Númenion non parlava; guardava Menelcarca avvolto da fumo di fuochi e dai fulmini, e scrutava gli astri. Ambasciatori dei Valdacli vennero nel frattempo chiedendo la loro resa, e gli Elfi di Ardor ebbero paura.[/SIZE]
[SIZE=2]Poi, all’improvviso, Númenion comparve in mezzo a loro e convocò tutti alla sua corte, sulla cima della collina di Tûn; la condanna del bando decretato contro Fuinur e Morgil si era risaputa, ed essa era a causa della ribellione contro il sangue di Ardana. Gran folla pertanto si radunò in fretta, per udire ciò che Númenion avrebbe detto; e il colle e le strade che vi si arrampicavano erano illuminate dalla luce di molte torce, ciascuno reggendone in mano. [/SIZE]
[SIZE=2]Númenion portava sangue immortale, era maestro di eloquenza, e la sua lingua aveva grande potere sui cuori quando voleva usarne; e quella notte pronunciò di fronte agli ultimi di Ardor un discorso che essi mai dimenticarono. Fiere e impetuose erano le sue parole, ridondanti di collera e orgoglio. L’ira di Númenion andava soprattutto a Fuinur, perché ai suoi occhi tutto ciò che Fuinur aveva fatto e detto appariva ora frutto delle menzogne di Morgoth stesso; era conturbato dal dolore per le uccisioni delle quali era stato testimone, esacerbato per la fine della speranza in un regno di Ardor luminoso e giusto.[/SIZE]
[SIZE=2]“Perché mai, popolo mio,” gridò “perché mai dovremmo portare ancora nei nostri cuori la memoria dell’oscuro Fuinur, del geloso Morgil, incapaci di far fede alla loro parola, incapaci di difendere persino il loro stesso regno dallo stregone Alatar? E per quanto egli sia loro nemico, forse che essi e lui non sono di una stessa schiatta? La vendetta ha mosso i pensieri di Fuinur e Morgil lontano da qui, lontano da Ardor, ed essi hanno alzato la mano sul loro stesso re; Fuinur e Morgil hanno osato colpire il re di Ardor con la loro magia, e questo basta. Ma anche se fosse altrimenti non dimorerei più nella stessa terra con la schiatta dell’uccisore di Ardaniel, perché fu causa Fuinur che ella morì. Pure, non sono io l’unico valente tra questo valente popolo. E forse che non avete tutti voi perduto il vostro sogno? E che cosa altro non avete perduto, confinati come siete in una terra angusta ai piedi di un monte, una terra dominata dall’Ombra?[/SIZE]
[SIZE=2]Qui avrebbe potuto esser luce, che i Valar ci avrebbero dato, mentre ora l’oscurità di Alatar e del suo allievo prediletto Fuinur tutto livellerà. Dobbiamo starcene qui con le mani in mano, a sperare per sempre, popolo delle tenebre che avvolgono Menelcarca, abitatori di brume evocate dall’oscuro Guardiano, versando vane lacrime? O non conviene piuttosto tornare dai nostri fratelli, dalle nostre sorelle? Là stanno ancora e attendono noi che, nella nostra follia, li abbiamo abbandonati. Andiamocene di qui! Lasciate che i rinnegati restino a Menelcarca! Sia esso, per sempre, la loro dimora!”[/SIZE]
[SIZE=2]A lungo parlò, di continuo sollecitando gli Elfi a seguirlo e a tornare assieme a lui all’Ovest, prima che fosse troppo tardi; ed egli faceva eco alle parole del Bianco Consiglio, che l’era degli Elfi era finita, che Fuinur li aveva gabbati e avrebbe voluto tenerli in cattività, per modo che potesse dominare la Terra di Mezzo come un nuovo Oscuro Signore.[/SIZE]
[SIZE=2]Parlò di Gondor, del sire Elrond e di Bosco Dorato. Molti appresero allora, per la prima volta, dei Rifugi Oscuri e delle ultime navi. “Dite addio alla paura!” gridò Númenion. “Dite addio alla debolezza! Dite addio ai vostri tesori! Procedete leggeri. Gettate le vostre spade. Perché chiederemo il perdono di Manwë Sulimo, re supremo di Arda. Andremo più lungi di Oromë. Ci inchineremo di fronte a Tulkas. Questa è la fine di guerra e odio, la fine delle menzogne di Morgoth. Ma non è la fine di Ardor; perché Ardor rimarrà nei nostri cuori, Ardor sarà con noi, solo con noi, e null’altro la soppianterà!”[/SIZE]
[SIZE=2]Alla fine, dopo lunghe discussioni, la maggior parte degli Elfi che erano stati di Ardor seguirono il loro re e seguirono Elendil, unico dei Noldor fra loro schierato con il re, e si sentirono infiammati da un desiderio di cose nuove e contrade dimenticate, sentirono nei loro cuori la voce del mare. Sicché, quando Eirbé e Faelivrin, ultime delle Sorelle di Tesarath a esser rimaste con loro, si levarono per parlare invitando alla moderazione e all’indugio, Elendil diede voce e un grande grido si levò: “No, partiamo!”. E seduta stante Númenion e il suo popolo si misero in marcia. Faelivrin s’incamminò assieme alla sua gente; Eirbé tornò a Menelcarca, per implorare il suo signore Morgil di prenderla con sé.[/SIZE]
[SIZE=2]Ben poco potevano anti vedere coloro che osarono imboccare quella via sconosciuta. Ma tutto fu fatto in grandissima fretta, Númenion continuando a spronarli, nella tema che i loro cuori avessero a raffreddarsi e le sue parole perdere peso, e che altri ricordi prevalessero; e per fieri che fossero quegli Elfi, Númenion non dimenticava certo la potenza di Alatar. Ma da sud, nessun nemico giunse: Alatar restò distante. Non intendeva ostacolare i propositi di Númenion. [/SIZE]
[SIZE=2]~[/SIZE]
[SIZE=2]E Alatar, ripudiato a sua volta dal suo allievo Fuinur, infuriato per la morte dei suoi generali, pensò di schiacciarlo e di distruggere Menelcarca, e fino all’inverno mandò terribili armate contro di lui, guidate dalla folle Rilia. Ma poi ristette, lasciandoli nel loro oscuro tempio a simboleggiare il Male agli occhi degli Uomini, e permettendo che gli Uomini morissero e soffrissero mentre combattevano contro di loro, nella convinzione di lottare per un ideale giusto. Alatar tornò a radunare tutti i servi che poté trovare, e venne in persona alle rovine di Ardinaak, la Cittadella di Ardor crollata assieme a Mordor. Quivi negli anni tornò a scavare i suoi vasti sotterranei e segrete, e sopra le loro porte, mascherandola da posto di guardia dei Valdacli, drizzò una nuova e grande torre. E solo una volta si dipartì, per breve tempo e in segreto, dal suo meridionale dominio; anzi, ben di rado usciva dai luoghi profondi della sua roccaforte, governando i governanti e i loro eserciti dal suo trono. [/SIZE][SIZE=2]Di Ardor, tenne la sua eletta regina, e poche delle sapienti di Tesarath, e permise alla regina di continuare a cercare Númenion, ch’ella amava come un figlio.[/SIZE]
[SIZE=2]E così, sul finire dell’anno 76 della Quarta Era del Mondo, per mano di Fuinur il Rinnegato, la storia di Ardor, la Terra Eccelsa, nella Terra di Mezzo, finì.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Silmarillion" di J.R.R. Tolkien[/SIZE]
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