Le riunioni si svolgevano in una grande sala sotto le camere private di Andalonil. Dapprincipio Ender non vi partecipò; la catasta mortale di carta e inchiostro lo infastidiva e soffocava dalla noia, e quando i notabili richiedevano la sua presenza era distratto solo dalle conversazioni con i servitori e con Paraphion. Rimaneva preferibilmente confinato alla periferia degli affari del casato, lontano dagli eventi che sentiva addirsi meno alle sue capacità e preferenze, e sempre più frequentemente perso in altri pensieri e nel desiderio di Zenabeth.
Chiuso in quello che era ora il suo alloggio, al riparo da occhi indiscreti, Ender si dimenticava però a volte della dignità che la sua posizione gli obbligava a mantenere e, arrotolato il tappeto, poggiava l’orecchio al pavimento, e pian piano imparava qualcosa di più su Andalonil e sui suoi alleati.
La sua curiosità si destò completamente dopo la seduta del Consiglio; dopo il suo intervento e il suggerimento in favore di Arakhon e dell’atteggiamento da tenere verso Yamo Nindamos, Andalonil lo invitò a partecipare ai suoi successivi incontri con i notabili del suo partito. Andalonil si augurava che non trovasse il compito troppo noioso, ma erano questioni della massima riservatezza e importanza, e per questo non potevano essere coinvolte persone qualunque.
Tutte le sedie intorno ai tavoli disposti a ferro di cavallo erano occupate, quel giorno, tranne una; lo sorprese la presenza di Arbalzor, di Tamagran e di Tarfil, che di tanto in tanto sembrava fissarlo.
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Arbalzor [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
L'Ammiraglio Tarfil
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Il giudice Tamagran
Le tre grandi finestre, picchiettate da una tiepida pioggia di primavera, illuminavano la stanza con una bigia luce mattutina. Nonostante la stagione era acceso il camino, ma il fuoco non riusciva a togliere l’umidità.
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Adin Angavu
Con tono indignato, Adin Angavu sventolò un foglio dicendo: “Il signore Cuduma manda un saluto fraterno a tutti i compagni”; Ender si fermò un attimo ad ascoltare il mormorio e i commenti poco eleganti proferiti da Tarfil.
“Un inconveniente a Rò-Mollò rende indispensabile la sua presenza”.
Andalonil rivolse lo sguardo a Davi; questi si alzò e si mosse verso il centro della stanza, dove si trovavano due casse con doghe in ferro e il coperchio socchiuso per i troppi fasci di carte che contenevano. Accanto, c’erano due carte arrotolate e legate con un nastro verde. Davi rimase a guardarle, coprendosi la bocca con le mani in un momento di religioso silenzio.
“Signori, ho qui con me tutta la documentazione di un’idea che, da quando ho studiato la mappa del mondo, non sono più riuscito a togliermi dalla mente, sia nella veglia che nel sonno. Anno dopo anno, ho temuto che una simile opportunità potesse sfuggirmi, che altri vedessero quello che avevo visto e che un giorno avrebbero trovato il coraggio di trasformarlo in realtà. Ogni volta che ci riunivamo per parlare di affari o che ricevevo una lettera dai miei amici di Tul Isra o dai commercianti della costa occidentale, temevo di venire a sapere che qualcuno mi aveva preceduto e non mi rimaneva che stare a guardare mente degli stranieri si godevano il premio.
A parte qualche rara eccezione, ho sempre tenuto questi pensieri per me, per la paura che facendone parola, avrei permesso ad altri di approfittare di questo tesoro al posto nostro.
Ho esposto le mie idee ad alcune persone ad Arpel e nelle Colonie, ma ho sopravvalutato i miei interlocutori. Capivano la grandezza dell’intuizione, ma non avevano il coraggio necessario per procedere. Ora li ringrazio per la loro mancata lungimiranza: hanno guidato i miei passi con più sicurezza di quanto non avessi immaginato. Mi hanno guidato a Ostelor e verso Andalonil, signori, al momento giusto, ora che, per la prima volta, possiamo prendere in considerazione una simile impresa. Vengo direttamente dal Dar dove ho appreso, da fonti sicure, che abbiamo ancora del tempo, ma non molto”.
Si chinò a prendere la carta più grande. Tarfil fece per aiutarlo, ma Andalonil lo invitò a rimanere seduto e aiutò lui stesso Davi a spiegare la carta afferrandone un capo e affiancandolo nell’esposizione.
Il compito di Ender era rimanere invisibile, ascoltare e capire; così fece: ascoltò e osservò per tutto il giorno. Vide mani e bacchette muoversi sulle mappe: i Domini Valdacli, le terre di Hathor subito liquidate, l’Oriente, il Grande Harad dove Davi aveva mosso i primi passi come mercante e fatto la sua fortuna, le colonie di Gondor a nord. Pagine e pagine di numeri, carichi e distanze; porti, abitanti, scambi di mercanzia: Davi parlò di Tresti, Umbar, Dol Amroth, Sarbad, di nuovo di Tul Isra e delle ricchezze dell’Oriente, degli arcipelaghi verso Morija. Zucchero, melassa, tabacco, legname pregiato, tinte naturali e decine di altre merci vennero presentate e valutate e si parlò anche di come raccoglierle e trasportarle.
Davi e Andalonil puntavano in alto, più in alto di quanto qualsiasi uomo avrebbe potuto osare, e solo un poco alla volta Ender riuscì a seguirli. Andalonil ne era consapevole, e fu attento a non allarmare il suo pubblico svelando i suoi piani troppo prematuramente. L’argomento della discussione si andò espandendo, quasi a caso, ma ripensandoci successivamente Ender si rese conto che Andalonil non perse mai di vista il suo obiettivo. Parlò degli haradani, e dei mercanti orientali, del Khand e della guerra a nord, e della potenza dei popoli che vivevano attorno a quella regione, ancora addormentata, alle spalle di Gondor. Improvvisamente, con l’agilità di una volpe, Andalonil si spostò in oriente per parlare di Ra-Morij, dell’oro e delle isole delle spezie, fino ad arrivare addirittura all’estremo limite del continente. Raccontò ai presenti dell’incredibile moltitudine di persone che vi abitava, di quel che vendevano dei frutti del loro instancabile lavoro e di quel che compravano per soddisfare i loro insaziabili appetiti. Ogni tanto anche gli altri notabili intervenivano, se non altro per far mostra delle loro conoscenze, ma subito si ritraevano, guardandosi sbigottiti. Non sembravano capirne più di Ender.
Un’altra carta, in un primo momento incomprensibile, venne srotolata davanti a loro. La sagoma dei Domini era stata sradicata dalla sua naturale collocazione e ora si trovava in un angolo. Sul lato opposto, campeggiavano le sagome quasi sconosciute dell’Oriente e di Morija, Cypharia e Sharya. Sotto, annunciata dalle trombe di una schiera di araldi, era rappresentata una nave che veleggiava verso l’Ovest.
“Signori, nobile Tamagran”, disse Davi, "Abbiamo toccato quasi ogni parte del mondo in cui ci possa essere profitto commerciale per mercanti o interi regni. Come potete vedere, tutto ciò che da questa metà del mondo potrebbe essere acquistato o venduto nell’altra metà, sarebbe ben più conveniente e facile da trasportare se esistesse una rotta da Ovest a Est. Questa rotta esiste”.
Ender riuscì a stento a trattenere un’esclamazione di sorpresa; guardando i volti dei notabili capì però che era stato l’unico ad accogliere l’idea con tanto entusiasmo. I presenti cominciarono ad agitarsi sulla sedia e a tamburellare nervosamente con le dita sul tavolo. Telumehtar corrugò la fronte, Tamagran sembrava invece deceduto, tanta era la totale freddezza della sua espressione. Solo Arbalzor sembrò mostrare una scintilla d’interesse. Tarfil, da vera canaglia, ruppe il ghiaccio e con la mano destra a mò di coltello finse di tagliare del burro.
“Un semplice taglio, eh, Andalonil? Così? Ma forse nella realtà è un pò più grande di come appare nella carta. E forse anche un pò più dura di una striscia di tela cerata”.
Andalonil non raccolse la scortesia di quel commento: preferì sorridere, fiducioso in mezzo ad amici, tanto quanto lo era stato nella seduta del Consiglio.
“Noto con piacere che siete dotato di immaginazione, Tarfil. Ma vi assicuro che quella di Davi non è una fantasia, signori. Forse Tarfil sogna di attraversare il grande mare a nuoto...”. Con la mano, Andalonil imitò il gesto di Tarfil, usando sarcasticamente il polso come il dorso di un nuotatore.
“Io non faccio il passo più lungo della gamba”, disse Tarfil. “Una rotta attraverso il mare? Le Acque che si dividono per lasciare il passo ai discendenti di Numenor? Un giorno, forse: non poniamo limiti alle capacità dell’uomo. Ma non ora, signori. No, la mia proposta è assai meno complicata e dispendiosa, ma non per questo meno vantaggiosa. Una base commerciale sulla costa orientale, nel punto più a sud: un porto, un villaggio e, col tempo, una città...”.
Davi riportò l’attenzione su di lui aprendo il coperchio di una delle casse, con un colpo secco.
“Una base su quelle coste non sarebbe tollerata da Morija; le vostre città ci hanno già provato più di una volta, durante il regno del re orientale Unegen e poi della loro regina Liara, e le spedizioni non sono tornate. Dopo la morte di Gilzamir gli unici al quale è permesso il commercio con l’oriente sono gli Eshe, e non intendono, come abbiamo sentito al Consiglio, condividere i loro segreti con altri. E comunque non è mai stata mia intenzione pagare tributi spropositati agli Eshe; io e Davi lavoriamo su questa idea da molto tempo. Signori, Tamagran, Telumehtar, a questo punto, per voi, concreti uomini d’affari, rimane solo una domanda: si può fare?”
La cassa era colma di carte impolverate e ingiallite dal tempo, su cui era posata una decina di sottili manoscritti redatti su fresca carta bianca. Mentre parlava, Davi li prese.
“Ho parlato con l’unico uomo che abbia conosciuto chi potesse vantare una buona conoscenza del Grande Mare Occidentale. Qui, su questi fogli, ci sono le sue parole. In cambio di un’adeguata ricompensa ho deciso di lasciare a voi soli d’usare questa sapienza per un primo viaggio. Nel caso decidiate di accettare la mia proposta, ne ritarderò la diffusione, dietro ulteriore compenso, s’intende, fino a che la seconda spedizione di una vostra compagnia non sarà salpata”.
Dopo aver distribuito le copie, Tamagran si sporse per scambiare alcune parole sottovoce con Andalonil. Questi si volse verso Ender, in modo da poterlo guardare negli occhi. “Credo sia giunto il momento di riposarvi, Ender. Diciamo... un’ora? Facciamo due, via. Vi sono grato della vostra pazienza”.
Ender ritornò dopo più di due ore, solo una volta che fu trascorso un tempo a suo giudizio più che sufficiente alla lettura del documento. Da dietro le doppie porte che conducevano alla sala si sentiva un tumulto di voci. Dissensi?
Dopo un attimo di dubbio, Ender sentì un rumore di piatti e bicchieri, e un profumo di quaglie con salsa di ribes e di vini che Andalonil non si era mai sognato di bere da solo. Un momento dopo apparvero cinque valletti. Il primo bussò alla porta ed entrò, l’ultimo gliela chiuse davanti. Uscirono tenendo in equilibrio sulle mani e sulle braccia i resti del pranzo, uno perfino con un cesto sulla testa.
“Possiamo approfittare ancora del vostro tempo, Ender?”
La seduta si concluse rapidamente. Ender fece appena in tempo a trascrivere le parole del giudice Tamagran come gli fu chiesto: all’argomento presentato dal sire Andalonil, ascoltato il signor Davi e condivisa la sua esposizione dalla maggioranza dei partecipanti, l’assemblea avrebbe dato seguito quanto prima formando una Compagnia.
“Non c’è bisogno di dirlo, signori: non una parola con nessuno. Non una parola fuori da questa stanza”.
I notabili uscirono uno dopo l’altro, non prima di avere gettato nel fuoco la propria copia della relazione consegnata da Davi. Andalonil se ne andò per ultimo, rivolgendo a Ender un sorriso. Rimase solo, a guardare la pila di carta che fumava sulla brace, fino a che non prese fuoco e produsse una fiamma vivace.
Davanti a una sedia era rimasto un bicchiere pulito. Accanto, c’era la copia del documento destinata a Cuduma.
[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "La Nave del Sole Nascente", di Douglas Galbraith [/size]
Si mosse sul cornicione, e saltò con prudenza oltre il davanzale, con un piccolo tonfo. Rimase fermo nella stanza grande, quella che Arminidun usava per ricevere gli ospiti. Aveva scoperto quanto fosse facile da raggiungere già la prima sera. Sentì poi dei passi leggeri; probabilmente una delle serve, diretta alla latrina. Ma un momento dopo sentì la voce di Zenabeth: “Ender?”
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Zenabeth
Era un poco a disagio all’idea di essere entrato di nuovo in casa di Arminidun. Gli sembrava di aver capito che la bella stagione rianimasse Ostelor, la risvegliasse dopo l’immobilità dell’inverno: tante cose stavano accadendo in così poco tempo. Tantissime cose. In alcune, si sentiva coinvolto, un pò suo malgrado un pò per desiderio. Se lo avessero scoperto in quella casa, sarebbero accadute delle altre cose, e l'inimicizia di Arminidun nei suoi confronti si sarebbe trasformata in odio. Ma non gli importava; Zenabeth era un fiore prigioniero in un roveto.
Il cibo che Zenabeth gli servì non era buono come quello della cucina di Arunil, ma era comunque molto migliore della zuppa di cipolle e patate di quando era stato soldato sulla costa. C’erano spesse fette di prosciutto fritto e salsa di mele, e un dolce fatto di frutta, semi e spezie. Zenabeth gli diede anche della birra, e parlarono con disinvoltura di svariati argomenti, fino a notte fonda.
“Siete stato davvero un mercenario?”
“Per qualche tempo. Ma, in un modo diverso, lo sono ancora.”
“E vi separereste dal vostro padrone se trovaste giusto farlo. Cosa direbbe lui?”
“Non lo so. Non lo conosco così bene. A quanto pare, è un brav’uomo. Non credo che gli dispiacerebbe se io me ne andassi per raggiungere terre migliori.”
“Allora tenete davvero alla vostra libertà più che a qualsiasi altra cosa.”
“Certo. Non sono sicuro. Ho troppo sonno per preoccuparmene adesso.”
Si girò per guardarla. Il suo viso era troppo vicino. Non riusciva a metterne a fuoco i suoi lineamenti. “Ho veramente troppo sonno”, aggiunse.
“Non reggete la gemmallegra”, rise lei.
“Non c’era fumo.”
“Nel dolce. Io ve lo avevo detto che era speziato.”
“E’ questo che intendevate?”
“Si. E’ questo che significa speziato in tutta Ostelor.”
“Oh. A casa mia significa che c’è lo zenzero. O il limone.”
“Lo so”. Zenabeth si appoggiò contro di lui e sospirò. “Non vi fidate di questa città, di questa gente, vero?”
“Certo che no. Non ancora. Loro non si fidano di me. Se mi fidassi, non avrebbero rispetto. Mi riterrebbero sciocco e ingenuo, di quelli che cacciano i loro padroni nei guai.”
“Ma voi avete stretto la mano di Andalonil.”
“Proprio così. E credo che lui sarà onesto con me. Per quel che vale.”
Entrambi rimasero in silenzio, pensandoci su. Dopo un momento, Ender si risvegliò di scatto. Zenabeth si raddrizzò accanto a lui.
“Mi metto a dormire”, annunciò Zenabeth.
“Anch’io”, replicò Ender. “Me ne vado, la notte diventa corta in primavera”.
“Non siate ridicolo”, gli disse lei, “Questo letto è grande abbastanza. Dormite con me. Finché potete. Nidim non farà salire nessuno. Mio padre torna domani”.
Ci volle molto poco a persuaderlo. Il materasso di piume era profondo, anche se puzzava un poco di umidità. La prese subito, con forza, con desiderio; sapeva di dover osservare una certa cautela, ma il vino della taverna di Munalzan, quel pomeriggio, e la gemmallegra avevano sciolto il nodo della sua volontà.
Dopo, cadde in un sonno molto profondo.
Verso mattino si svegliò una prima volta quando Zenabeth gli buttò un braccio addosso. Il fuoco si era spento e la stanza era fredda. Nel sonno, la ragazza si era stretta a lui e ora era premuta contro la sua schiena. Cominciò ad allontanarsi da lei, ma era troppo caldo e confortevole. Sentiva il suo respiro contro la nuca. Aveva un odore di donna che non era un profumo ma una parte di lei.
La gemmallegra gli dava ancora un poco alla testa, anche nella fresca aria del mattino. Solo, ormai oltre al muro del giardino della casa di Arminidun e vicino ai bastioni del porto, Ender inghiottì lunghe sorsate d’aria fresca, con avidità. Rimase appoggiato alla ringhiera di un bastione, fino a quando i rumori e le voci degli stivatori della piazza del caricamento non arrivarono fino a lui e fu pieno giorno.
“E’ bello il porto, di mattina. Molto rumore, e molta attività. Tutto si risveglia. Mentre, nelle case dei nobili, le fanciulle leggiadre sono ancora avvolte nelle spirali dei sogni. Quali sogni, ahimè?”
Riconobbe subito la voce di Sha. L’uomo era solo; così come lui, stava appoggiato alla ringhiera, ad una certa distanza.
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Sha Bla, lo speziale
“Vi infastidisce se vi accompagno?”
[size=2]Adattamento di un dialogo tratto da "Il viaggio dell'Assassino", di Robin Hobb [/size]
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