[SIZE=2][Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
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[SIZE=2]Era impegnato in un compito importante, con l’approvazione e l’incoraggiamento del balivo di Trenth; la scorta a Yamo di Nindamos non era cosa da poco, si sentiva onorato da quel compito, e Nindamos l’aveva apertamente ringraziato e lodato. Nonostante ciò desiderava che si sbrigassero, perché voleva parlare di nuovo con Nìn e chiedere alla bambina dei mesi nei quali era stato lontano. Inoltre la sensazione di occhi che l’osservavano non l’aveva lasciato un momento. Li sentiva addosso. Qualcosa pareva vibrare nell’aria, come la corda di un liuto. Tre giorni prima, solo il pensiero della sensazione che stava provando sarebbe bastato a far rabbrividire Ardic; ora era un pericolo fra tanti.[/SIZE]
[SIZE=2]Accarezzandosi la barba, voltò le spalle al caldo focolare. Cinque sedie alte, intarsiate in modo semplice ma squisito, formavano una sorta di ferro di cavallo di fronte al caminetto. Il posto d’onore, dove il balivo sedeva quando riceveva in quel luogo, si trovava più distante dal calore del fuoco.[/SIZE]
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[SIZE=2]“Deve trattarsi di Elfi delle selve” disse il balivo, non riuscendo del tutto a impedire che dalla sua voce trasparisse un certo nervosismo. Di certo entro un mese sarebbero cominciati ad arrivare dai suoi possedimenti nel Trenth e nelle Terre Selvagge uomini armati, non appena avessero appreso che la Corte di Ardor aveva innalzato di nuovo le sue bandiere, ma ci sarebbe voluto mezzo anno prima che quelli che Hamac stava reclutando fossero in grado allo stesso tempo di cavalcare maneggiando una spada e resistere all’orrore della Magia Oscura. “… e qualche Sindar che è rimasto qui, forse.”[/SIZE]
[SIZE=2]“No.” rispose Yamo, secco. “Non sono Elfi delle Selve, né Sindar. Oric ne ha portati due.”[/SIZE]
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[SIZE=2]La prima fu una fanciulla, nuda e legata, che opponeva resistenza a ogni passo che era costretta a fare. Il sangue scorreva sul suo volto e le appesantiva i capelli neri. Finché il soldato che la stava spingendo non le fece lo sgambetto. Cadde a sedere sulla pietra, e sgranò talmente gli occhi che Ardic avrebbe riso se non avesse provato pena per quella donna. Poi apparve un ragazzo assai alto, furioso e scalciante; aveva la guancia sinistra scura e gonfia e gli occhi grigi sembravano leggermente storditi. Un altro soldato lo spinse accanto alla fanciulla, in ginocchio; rimasero in silenzio, a schiena dritta, impassibili e senza vergogna.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sono due di Ardor. Conosciamo la loro lingua. Gli altri sono morti o fuggiti” disse Yamo. “Ci dovremo accontentare. Hamac dà troppa importanza al modo in cui questa gente è trattata, considerato ciò che hanno fatto. Lei possiede il Potere, e l’ha usato per uccidere più di qualcuno dei nostri; sottilmente, di notte. Fino a quando Oric non l’ha presa. Lui ammazza con il veleno, nel quale intinge le sue frecce.”[/SIZE]
[SIZE=2]Il balivo si segnò e imprecò. “Qualcuno deve portare queste notizie alle Colonie.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Abbiamo mandato dei messaggeri. Veloci come il vento, raggiungeranno tutti i Valdacli prima di un mese.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Ci vorranno prove, Yamo” disse Hamac. “La parola di Oric e … quello che abbiamo visto … non sono sufficienti per condannare un popolo intero. Molti la pensano come me. Tu stesso sei qui per intercessione di Valandor.”[/SIZE]
[SIZE=2]Yamo rispose con un brusco cenno del capo. “Lo so. Ciò che dici, alfiere Hamac, è giusto.” Distrattamente, sfiorò il manico del pugnale che portava appeso alla cintura. “Ma le prove ci sono. Siamo ormai certi che la creatura alata manifestatosi nella battaglia di fronte ad Alsarias fosse un Demone dell’Ombra, evocato dall’Elfo di nome Maité; di fronte a voi vedete Lariessé e Moridin. Lariessé e Maité sono unite in un vincolo che le lega all’Ordine delle Tesarath di Ardor, Moridin, il maschio, è l’amante di questa Lariessé. Gli abiti di questi Elfi e gli oggetti che potevano essere bruciati sono stati dati alle fiamme, perché nessun Valdaclo desidera possedere ciò che prima apparteneva ad un 'Avalôiyada' , a chi è ‘Contro i Valar’. Le altre cose, compresi i gioielli, sono state fatte a pezzi a martellate, e poi seppellite. Non possiamo rischiare che gli oggetti maledetti della loro Corte ci rendano vulnerabili.”[/SIZE]
[SIZE=2]Un fulmine guizzò, illuminando brevemente i battenti delle finestre, e un rombo di tuono particolarmente fragoroso parve sottolineare le sue parole. In mille anni, sei Signori del Valdacli erano stati assassinati da emissari di Ardor o rovesciati da un’aperta ribellione orchestrata dalla Corte; due di essi erano stati condotti a Shaan-Ta-Rhun e probabilmente avrebbero desiderato esser morti.[/SIZE]
[SIZE=2]“Conoscete la situazione” disse Oric. “Solo uno sciocco non la reputerebbe gravissima, e nessuno di noi è uno sciocco.” [/SIZE]
[SIZE=2]Ardic sapeva della Corte, tutti i Valdacli sapevano. La Corte di Ardor era un involucro: se una manciata dei suoi sudditi, per lo più coloro che erano nati in Geshaan, erano uomini passabili, la gran maggioranza del resto erano crudeli e brutali. Razze che praticavano sacrifici umani e schiavitù; popoli come quelli di Dushêra e del Mumakan, che adoravano Morgoth, il Sommo Signore dell’Oscurità, o strani dei e spiritelli comunque riconducibili a emanazioni dell’Ombra. Gli Elfi che dominavano su quelle razze erano Avari; Elfi Oscuri che si accoppiavano con gli Orchi e che allevavano una deforme progenie di Orchi in grado di vivere di giorno. Elfi Oscuri sudditi di Ardana, una pazza e corrotta regina dei Noldor che si era macchiata dei più orrendi delitti e che aveva generato un figlio con uno dei suoi stessi figli, per poterlo sacrificare al Dio del Male nel corso di un rito che avrebbe dovuto oscurare il Sole e la Luna e riportare Morgoth stesso nella Terra di Mezzo. [/SIZE]
[SIZE=2]I Valdacli e tutte le Genti Libere del sud del mondo avevano temuto il Male di Ardor per tre Ere; solo alla fine dell’Era Terza quel Male era stato sconfitto, ma il prezzo pagato era stato grande. E ora che i Valdacli erano disuniti, che i Noldor stavano partendo, stando a ciò che Yamo ed Oric stavano raccontando l’erbaccia dilagava di nuovo. [/SIZE]
[SIZE=2]Certo, Ardic non si fidava di Oric, e ciò che era accaduto dopo la morte di Ardana, lo sterminio degli Elfi di Ardor, i massacri, nulla di tutto ciò aveva giustificazione … ma ogni nuova settimana arrivavano altre notizie da ciò che era stata Ardor, ciascuna peggiore della precedente.[/SIZE]
[SIZE=2]“Se non riusciamo a fermare questo incendio prima che si propaghi alle città dell’Usakan nelle quali la Luce è finalmente tornata dopo così tanto tempo”, disse Yamo, “la paura di Ardor ritornerà. Troveranno alleati.” Se non fossero riusciti a mantenere libere le capitali, sarebbe stato come annunciare al mondo che Ardor era più forte e che i Valdacli non potevano dar loro sicurezza. Che i Valdacli non erano adatti a governare.[/SIZE]
[SIZE=2]“Il Concilio deve essere riunito”, disse ancora. “Non mi piace, ma dev’essere fatto, perciò così sarà.”[/SIZE]
[SIZE=2]Alla luce di una lampada, Ardic scorse un servitore che prima non aveva notato. Non l’aveva proprio visto, non vi aveva prestato attenzione. Non era uno dei suoi … non era … gridò e si scagliò dietro la colonna di pietra che sorreggeva il lato occidentale del soffitto. [/SIZE]
[SIZE=2]“Spie! Tradimento!” [/SIZE]
[SIZE=2]Perché aveva gridato in quel modo? Perché stava pensando che il servitore fosse una spia?[/SIZE]
[SIZE=2]Yamo, Hamac ed Oric estrassero le loro spade in un solo attimo; la mano di Hamac corse verso una delle torce appese alla parete. Ardic aveva già visto come si muovevano le creature dell’Ombra, ma questa era anche più veloce, benché fosse difficile da credere. Sembrò volare davanti alla spada di Oric, ne afferrò il manico e piroettò, scagliandola nel corridoio, poi si gettò verso la finestra.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Corona di Spade", di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Inverno dell'anno 76 della Quarta Era. Da qualche parte, nei territori occidentali dei Valdacli.[/SIZE][SIZE=2][/SIZE]
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[SIZE=2]Il cancello si aprì, e due donne con abiti quasi identici di seta blu lo varcarono con prudenza. O meglio, Margolian si mosse con cautela, gli occhi scuri che guizzavano in cerca di trappole mentre le mani lisciavano l’ampia gonna; il cancello si chiuse dopo un istante.[/SIZE]
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[SIZE=2]La compagnia di Margolian, una giovane tatuata sul viso, alta, con lunghi capelli biondi e vividi occhi verdi, si guardò intorno con freddezza, a malapena degnando Imhâel di un’occhiata. [/SIZE]
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[SIZE=2]Dal portamento sembrava una regina costretta a tollerare la compagnia di comuni soldati e ben intenzionata a ignorare la loro esistenza. Una stupida, visto come imitava il Ragno. Il blu non si addiceva al suo colorito, e avrebbe potuto sfruttare meglio un seno così sodo.[/SIZE]
[SIZE=2]“Imhâel, lei è Alall Daroith” disse Margolian. “Noi abbiamo … viaggiato assieme.” [/SIZE]
[SIZE=2]Non sorrise quando presentò la giovane altezzosa, ma Imhâel sì. Un nome straniero e una ragazza più che bella, ma quale scherzo del destino aveva portato una madre o un amante a dare a sua figlia un soprannome elfico, che significava ‘ultima occasione’? Imhâel odiava l’elfico. Il volto di Alall rimase freddo e sereno ma i suoi occhi si infiammarono. Una bambola scolpita nel ghiaccio ma con un fuoco nascosto. Doveva conoscere il significato del suo soprannome, e non le piaceva.[/SIZE]
[SIZE=2]“Cosa ti porta qui con la tua amica, Margolian?” chiese Imhâel. Il Ragno era davvero l’ultima persona che si aspettava di veder uscire dall’ombra. “Non aver timore di parlare davanti ai miei soldati.” Fece un gesto, e i due accanto alla porta scesero in ginocchio, volgendo lo sguardo verso il pavimento. Non sarebbero proprio morti a un suo ordine, ma ci sarebbero andati vicino.[/SIZE]
[SIZE=2]“Che interesse possono avere se gli togli il loro orgoglio?” chiese Alall con il suo accento strascicato, attraversando la stanza con incedere arrogante. Si teneva dritta come un fuso, sforzandosi di guadagnare ancora di più in altezza. “Sai che Arakhon, Re dei Valdacli, è stato sconfitto? Egli è nelle mani del Maestro, ora.”[/SIZE]
[SIZE=2]Imhâel rimase sereno in volto, con un lieve sforzo. Aveva pensato che quella ragazza fosse una qualche servitrice del Maestro alla quale Margolian assegnava le sue commissioni, forse una nobile convinta che il suo titolo contasse ancora, ma adesso che era più vicina … la ragazza era forte nel Potere. E ormai una cosa del genere era da considerarsi insolita, rarissima tra le donne. Subito, d’istinto, Imhâel abbandonò l’intenzione di negare ogni interesse per Arakhon.[/SIZE]
[SIZE=2]“Lo sospettavo” rispose, rivolgendo un finto sorriso a Margolian da dietro la spalla della giovane. Quanto sapeva il Ragno, quanto era coinvolta? E dove aveva trovato una ragazza così forte, e perché ci viaggiava insieme? Margolian era sempre stata gelosa di chiunque avesse Potere. Di chiunque avesse qualsiasi cosa più di lei. “Abbiamo ricevuto la visita di una spia, mandata da Ardor. Interessata a lui, indubbiamente, perché da altri abbiamo anche capito che la rinata Corte lo cerca. Arakhon ha importunato i Valdacli con lettere, negli ultimi mesi, chiedendo aiuto in un folle piano. Non gli è stato rifiutato direttamente da nessuno, per ora … ho immaginato che il Maestro avrebbe posto fine rapidamente alla sua grave arroganza. Chi è questa ragazza, Margolian? Una scoperta davvero notevole.”[/SIZE]
[SIZE=2]La giovane si avvicinò ancora, fissandolo con occhi che erano fuoco verde. “Ti ha detto il mio nome. Non hai bisogno di sapere altro.” Sapeva di parlare a uno dei Prescelti, eppure usava un tono glaciale. Anche considerando la sua forza, non poteva essere una semplice allieva. A meno che non fosse pazza. “Hai fatto caso all’immobilità degli Orchi di Chennacatt, Imhâel? Presto finirà. Marceranno verso ovest.”[/SIZE]
[SIZE=2]A un tratto Imhâel si rese conto che Margolian stava lasciando alla ragazza la guida della conversazione. Si teneva in disparte in attesa di scoprire qualche debolezza. E lui la stava assecondando! [/SIZE]
[SIZE=2]“Immagino che tu non sia venuta qui per annunciarmi la sconfitta di Arakhon Eshe, Margolian” disse bruscamente. “O per parlarmi del tempo. Che vuoi?” La donna dai capelli scuri si stava spostando di lato lungo la parete; muovendosi con disinvoltura, Imhâel si posizionò in modo da tenerle entrambe sott’occhio.[/SIZE]
[SIZE=2]“Stai commettendo un errore, Imhâel.” Un sorriso spaventoso incurvò appena le labbra di Alall; la ragazza si stava divertendo. “Sono io che comando. Margolian e Zalarit non sono più i prediletti del Maestro. Io sono la Prima tra i Prescelti. Il Maestro ha deciso che è tempo che anche tu lo serva in modo adeguato.”[/SIZE]
[SIZE=2]Imhâel si raddrizzò di scatto. “Questo è assurdo.” Non riuscì a trattenere la rabbia. “Una donna di cui non ho mai sentito parlare è stata nominata Prima tra i Prescelti?” Non gl’importava che gli altri provassero a manipolarlo – trovava sempre il modo di rivoltargli contro i loro stessi complotti – ma Margolian doveva averlo scambiato per un’idiota! Imhâel non aveva dubbi che fosse Margolian a manovrare quell’odiosa ragazza, nonostante gli sguardi che si lanciavano come fossero pugnalate. “Io servo il Maestro e me stesso, nessun altro! Credo che adesso dovreste andarvene a fare il vostro piccolo gioco da qualche altra parte. Forse qualcuno ci cascherà. O magari potreste cercare voi gli elfi di Ardor. Fate attenzione, però: questa è terra dei Valdacli, non vi piacerebbe se qualcuno dei miei soldati usasse il vostro cuore come bersaglio del suo arco.”[/SIZE]
[SIZE=2]Improvvisamente, il buio ingoiò la stanza. A un tratto gli uccelli in gabbia esplosero in un frenetico cinguettio; le ali si agitavano all’impazzata contro le sbarre di bambù. Dietro di lui, la voce di Alall gracchiò distorta, come pietra che si sbriciola.[/SIZE]
[SIZE=2]“Il Maestro immaginava che non avresti creduto alle mie parole, Imhâel. Il tempo in cui potevi andare per la tua strada è passato, ora.” [/SIZE]
[SIZE=2]Una sfera di … chissà cosa … si materializzò nell’aria, un globo nero, ma una luce argentea riempì la stanza. Gli specchi non la riflettevano; quella luce pareva renderli opachi. Gli uccelli si fermarono e zittirono; senza capire perché, Imhâel seppe che erano morti.[/SIZE]
[SIZE=2]“Alcuni degli incantesimi degli Elfi sono … divertenti. Piacevoli da imparare, per quanto non sia per me possibile arrivare da sola ad abbracciarne l’Essenza. Una volta appresone il segreto, possono essere usati contro di loro. Contro chiunque.”[/SIZE]
[SIZE=2]Guardò a bocca aperta la donna che era lì, pallida, senza occhi ora e vestita di un nero più profondo di quello della sfera. Chi aveva creato la sfera di luce nera se non quella … creatura? A differenza di molti, Imhâel, araldo di Seregul, si era inchinato di fronte ai Nazgûl e non aveva mai avuto paura dei servi di Alatar, non così tanta, eppure le sue mani si sollevarono da sole e lui dovette stringerle una all’altra per tenerle giù e impedire che gli coprissero il volto. Dovette inumidirsi le labbra.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sei una messaggera di Melkor?” [/SIZE]
[SIZE=2]La sua voce era ferma, ma bassa. Non aveva mai sentito di simili messaggeri, eppure … Margolian aveva paura del dolore fisico, ma era comunque antica, era una dei Prescelti, eppure si era gettata a terra in ginocchio con la stessa prontezza dei suoi soldati. E poi c’era quella luce. Imhâel si ritrovò a pentirsi di non avere la sua spada. Ridicolo, ovviamente. [/SIZE]
[SIZE=2]La donna gli passò accanto con andatura sinuosa, e parve non prestargli la minima attenzione. Il suo lungo abito nero rimase immobile, nonostante lei si muovesse. Aginor aveva ipotizzato che simili creature non fossero nel mondo come tutte le altre; ‘spostate rispetto al nostro tempo e alla nostra realtà’, così aveva detto, qualsiasi cosa significasse.[/SIZE]
[SIZE=2]“Io sono la Voce.” Dopo essersi fermata vicino ai soldati, la donna si piegò a prenderne uno per la collottola. “Quando ti parlo, è come se sentissi la voce di Alatar. Quando Alatar parla, è come se Melkor stesso parlasse.” Quella mano si strinse finché non si sentì il rumore sorprendentemente forte delle ossa che si spezzavano. Il ragazzo ebbe uno spasmo e morì scalciando. La donna si raddrizzò lasciando andare il suo cadavere. [/SIZE]
[SIZE=2]“Io sono la Mano. La Mano di Alatar nel mondo, Imhâel. Quando sei davanti a me, sei davanti a lui.”[/SIZE]
[SIZE=2]Imhâel rifletté con cura, anche se in fretta. Aveva paura, un’emozione che era abituato a suscitare più che a provare, ma era in grado di controllarla. Sebbene non avesse mai guidato eserciti a differenza di alcuni degli altri, non era né estraneo al rischio né un codardo, ma quella che aveva davanti non era una semplice minaccia. Imhâel decise di credere a quella donna. O a qualsiasi cosa fosse in realtà. Alatar stava davvero alterando gli eventi in modo più diretto, ora, proprio come lui aveva temuto. Se avesse saputo … o meglio, se avesse deciso di agire di conseguenza: immaginare che non lo sapesse era una scommessa da stupidi, a quel punto.[/SIZE]
[SIZE=2]Imhâel s’inginocchiò con eleganza davanti ad Alall. [/SIZE]
[SIZE=2]“Cosa vuoi che faccia?” La sua voce aveva riacquisito forza. Una necessaria flessibilità non era vigliaccheria. “Devo chiamarti mia signora, o preferisci un altro titolo? Non mi sentirei a mio agio facendolo, anche se sei la sua Mano.”[/SIZE]
[SIZE=2]Alall lo stupì scoppiando a ridere, e riprendendo l’aspetto del momento in cui era giunta. “Sei più coraggioso di tanti altri. E più saggio. Alall andrà bene. Purché ti ricordi chi sono. Purché non permetti al tuo coraggio di superare troppo la paura. Vieni, Imhâel. Oric. Parleremo dei Valdacli, ora; parleremo di Nindamos.”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Sentiero dei Pugnali", di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Inverno dell'anno 76 della Quarta Era. Da qualche parte, nel Grande Harad.[/SIZE]
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[SIZE=2]Arakhon si svegliò avvolto dalle tenebre e dal dolore, disteso sulla schiena. Aveva le mani legate. I suoi vestiti erano scomparsi di nuovo, come la prima volta dopo la battaglia di Isra, e poteva avvertire un rozzo pagliericcio sotto di lui. Avevano preso anche i suoi stivali. Aveva le mani legate dietro la schiena. Sapevano chi era, di cosa era capace, anche se ormai, resosi conto delle capacità di guarigione degli Asha'man, aveva rinunciato all'idea di uccidersi. Dopo tutti i giorni passati appeso alla catena, il pagliericcio era un letto lussuoso. Cautamente, si mise a sedere. Si sentiva confuso e ogni muscolo nel suo corpo gli doleva come se fosse stato percosso, ma pareva che non avesse nulla di rotto, nessun livido.[/SIZE]
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[SIZE=2]Mettendosi lentamente in piedi, procedette a tentoni lungo la parete di pietra accanto al pagliericcio, raggiungendo un angolo quasi immediatamente e poi una porta ricoperta con scabre listelle di ferro. Nell’oscurità gli sembrò di intuire il contorno di una finestrella, ma non poté aprirla. Nessuna traccia di luce filtrava attorno ai suoi bordi. Dentro la sua testa, la rabbia, la furia cominciarono di nuovo ad ansimare. [/SIZE][SIZE=2]Arakhon proseguì a tentoni, le pietre del pavimento fredde sotto i suoi piedi nudi. L’angolo successivo giunse quasi subito, e poi un terzo, dove le dita dei suoi piedi colpirono qualcosa che sbatacchiò sul pavimento. Si chinò e trovò un secchio di legno. Lo lasciò lì e si obbligò a completare il giro fino a tornare alla porta di ferro. Tutt’intorno. Era dentro una cassa nera lunga tre passi e larga poco più di due. Alzando una mano trovò il soffitto di pietra a meno di un piede sopra la testa.[/SIZE]
[SIZE=2]“Rinchiuso, adesso.”, ansimò con voce roca. ‘Quella donna mi ha tolto le catene per mettermi in una tomba. Devo uscire.’[/SIZE]
[SIZE=2]Ignorando la voce che urlava nella sua testa, Arakhon si ritrasse dalla porta finché non ritenne di essere al centro della cella, poi si sedette a gambe incrociate in terra. Era il più lontano possibile dai muri, e nel buio cercò di immaginarli più distanti, ma sembrava che se avesse allungato una mano, non avrebbe dovuto tendere del tutto il braccio per toccare la pietra. Poteva percepire i propri tremiti, come se fosse il corpo di qualcun altro a fremere in modo incontrollabile. Le pareti sembravano incombere proprio accanto a lui, il soffitto appena sopra la sua testa. Doveva combattere o sarebbe diventato pazzo nel momento in cui fosse arrivato qualcuno a farlo uscire. Avrebbero dovuto lasciarlo uscire, alla fine, anche solo per consegnarlo a degli inviati di Alatar. E in quel momento lui li avrebbe sconfitti. Quanti mesi sarebbero trascorsi prima che i suoi compagni venissero a cercarlo? Il terrore si aggiunse ai suoi tremiti quando si rese conto che Khalid, forse, era morto ormai, e nessuno sapeva dove trovarlo.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non mi arrenderò!” urlò. “Sarò forte quanto servirà!”[/SIZE]
[SIZE=2]In quello spazio ristretto, la sua voce rimbombò come un tuono.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "Il Cuore dell'Inverno", di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Dagli occhi di Zalarit scendevano lacrime, su guance che erano già umide. L’uomo si contorse sul pagliericcio duro agitando braccia e gambe in una lotta per svegliarsi disperata quanto inutile. Non era più consapevole di star sognando, tutto sembrava reale.[/SIZE]
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[SIZE=2]La caverna scoscesa non gli era familiare; aveva la volta ricoperta di pietre simili a zanne, le pareti che risplendevano di una luce pallida. Zalarit non aveva mai fatto questo viaggio in discesa; mai, da quando, tanto tempo addietro, era andato per la prima volta a inchinarsi di fronte al Maestro dedicandogli la propria anima. Era un sogno; i ricordi, però, rimanevano, e in quelle profondità l’istinto gridava e graffiava per fuggire. Mai come adesso il suo fallimento era stato noto in tutta la sua grandezza. In passato era sempre riuscito a nascondere i propri insuccessi al suo signore. Molte volte. Nel sogno potevano essere fatte cose che altrove erano impossibili. E ne potevano accadere di inimmaginabili.[/SIZE]
[SIZE=2]Zalarit sussultò quando una di quelle pietre affilate gli sfiorò la guancia, poi si sforzò di riprendere il controllo. Le zanne non sfioravano nemmeno la strana creatura che lo guidava, anche se era assai più alta di lui, ma Zalarit era costretto a chinare il capo o aggirare quelle punte. [/SIZE]
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[SIZE=2]La realtà era come argilla nelle mani del Maestro, che spesso dimostrava il suo scontento in questo modo. Un dente di pietra lo colpì a una spalla e Zalarit dovette piegarsi per passare sotto a un altro. Adesso il cunicolo era così basso da non permettergli di stare dritto. Doveva inchinarsi sempre di più, procedendo accovacciato dietro alla creatura, cercando di avvicinarsi. Il passo di quel mostro non cambiava mai, ma per quanto lui si affrettasse, la distanza fra loro due non diminuiva. La volta si abbassava sempre più, le fauci del Maestro che torturavano i traditori e gli stolti, e Zalarit dovette procedere carponi, poi strisciando sui gomiti e le ginocchia. La luce divampò e lampeggiò nel budello di roccia, il Pozzo del Destino, proprio dietro a lui, e Zalarit si stese sul ventre, trascinandosi con le mani e spingendo con i piedi. Le punte di pietre gli penetravano la carne, impigliandosi nel vestito. Ormai ansimante, si dimenò per l’ultimo tratto con nelle orecchie il rumore della lana che si lacerava.[/SIZE]
[SIZE=2]Si guardò alle spalle e fu scosso da brividi. Al posto del cunicolo, vide un solido muro di pietra. Forse il Maestro aveva calcolato tutto, e se lui fosse stato più lento …[/SIZE]
[SIZE=2]La roccia su cui si trovava Zalarit sporgeva sopra un lago rosso di roccia fusa striato di nero, dove fiamme grandi come uomini danzavano, morivano e riapparivano. La sala saliva verso l’alto apparentemente senza soffitto, fino a un cielo dove le nuvole, striate di rosso, giallo e nero, correvano folli come se fossero portate dal vento dei tempi. Nulla di tutto ciò catturò l’attenzione di Zalarit; la prigione del Sommo Signore non era più vicina che in qualsiasi altro posto del mondo. Il Potere scorreva tutto intorno a lui, così forte che provare a toccarlo l’avrebbe ridotto in cenere. Non che avesse intenzione di pagare quel prezzo.[/SIZE]
[SIZE=2]Iniziò a mettersi in ginocchio e qualcosa lo colpì fra le scapole, spingendolo di nuovo faccia a terra e facendogli uscire tutta l’aria dai polmoni. Stordito, si affannò nel tentativo di respirare, quindi si guardò alle spalle. [/SIZE]
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[SIZE=2]Il Maestro in persona teneva il bastone della stregoneria fermamente piantato nella sua schiena, mentre lo sguardo senza occhi della creatura lo osservava come se fosse un insetto.[/SIZE]
[SIZE=2]ZALARIT. [/SIZE]
[SIZE=2]La voce nella sua testa azzerò tutti i pensieri sul Maestro e sul SenzAnima. Azzerò quasi ogni pensiero. Davanti a tutto ciò, qualsiasi abbraccio di amante era una goccia d’acqua paragonata all’oceano. [/SIZE]
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[SIZE=2]QUANTO È GRANDE IL TUO FALLIMENTO, ZALARIT? I PRESCELTI SONO SEMPRE I PIÙ FORTI, MA TU HAI SBAGLIATO MOLTE COSE. HAI REGALATO VITTORIE AI MIEI NEMICI, ZALARIT.[/SIZE]
[SIZE=2]Battendo le palpebre, Zalarit si sforzò di trovare qualcosa da dire. “Sommo Signore, hanno avuto successo solo in delle sciocchezze, e li ho combattuti come ho potuto. Ho portato il Sacrificio fino alla Porta, ho trovato un possibile modo per spezzare la protezione. E ho nascosto le mie tracce.” Zalarit riuscì a ridere. “Esercitandosi per trovarmi i segugi di Zayed hanno avuto sorprese tali da far loro desiderare la morte, e altre ancora ne avranno.” Silenzio. Forse era un bene. Quegli stolti avevano rinunciato ad inseguirlo nelle terre di Mo-Rhûn, tra i loro alleati, per questo aveva mantenuto tutto quel vantaggio su Arakhon, ma nessuno aveva bisogno di saperlo. “Sommo Signore, Maestro, entrambi sapete come vi ho servito. Io servo nell’ombra, e i vostri nemici non sentono mai il mio morso se non quando il veleno è già entrato in azione.” Zalarit non osava dire di aver fallito di proposito, ma almeno, per salvarsi, poteva suggerirlo. “Sommo Signore, sai quanti dei tuoi nemici ho abbattuto durante tutti questi anni, nell’adorazione del Fuoco Segreto. E l’ho fatto rimanendo invisibile nell’ombra. E se anche mi vedevano, mi ignoravano poiché non credevano potessi rappresentare una minaccia.” Silenzio. Poi …[/SIZE]
[SIZE=2]I PRESCELTI SONO SEMPRE I PIÙ FORTI. LA MIA MANO SI MUOVE.[/SIZE]
[SIZE=2]La voce che gli rimbombava nel cranio gli ridusse le ossa in miele fuso e il cervello in fiamme. Il Maestro gli stringeva il mento con una mano ora, costringendolo a tenere la testa in su prima che la vista gli si schiarisse abbastanza da poter vedere il pugnale che aveva nell’altra mano. Tutti i suoi sogni sarebbero finiti lì con la gola tagliata, e il suo corpo sarebbe diventato cibo per i Troll. Forse Gâl, il più grande di loro, avrebbe riservato a sé stesso il pezzo migliore. Forse …[/SIZE]
[SIZE=2]No. Sapeva che sarebbe morto, ma i Troll non avrebbero mangiato un solo pezzo del suo corpo! Si preparò a combattere e sgranò gli occhi. Non c’era nulla attorno a lui. Nulla! Era come se fosse stato tagliato via dalla fonte del Potere! Sapeva che non era vero, si diceva che la lacerazione, l’esser rifiutati dal Sommo Signore era il dolore più profondo che si potesse sperimentare, impossibile da attenuare, ma …[/SIZE]
[SIZE=2]In quei momenti di stupore, il Maestro lo costrinse ad aprire la bocca, gli passò la lama sulla lingua e poi gli punse un orecchio. Quando il Maestro si rialzò con il suo sangue e la sua saliva sulla lama, Zalarit aveva già capito. Alcune cose potevano essere fatte solo in quel luogo.[/SIZE]
[SIZE=2]“No” mormorò. Non riusciva a distogliere gli occhi dal 'cour’souvra'. “No. Non io! NON IO!”[/SIZE]
[SIZE=2]Ignorandolo, il Maestro passò i fluidi dal pugnale nel 'cour’souvra'.[/SIZE]
[SIZE=2]“Pietà, Maestro!” Sapeva che Alatar non possedeva nessuna pietà, ma se fosse stato legato in una cella con dei lupi rabbiosi avrebbe implorato lo stesso. In alcuni momenti si implorava pietà anche quando si sapeva che era impossibile riceverne. “Ti ho servito con tutto il cuore, Sommo Signore. Ti imploro pietà. Ti imploro! PIETÀ!”[/SIZE]
[SIZE=2]POTRAI ANCORA SERVIRMI.[/SIZE]
[SIZE=2]La voce lo gettò in un’estasi incontrollabile, ma nello stesso istante tutto avvampò come il sole e nel pieno della beatitudine Zalarit conobbe il dolore che avrebbe provato immergendosi in un lago incandescente. Gridò in preda alle convulsioni contorcendosi in un’agonia infinita, un dolore folle che superava tutto. Poi non rimase nulla se non il ricordo della sofferenza, e la modesta pietà dell’oscurità lo sopraffece mentre si agitava sul pagliericcio. [/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Corona di Spade" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]“Grazie per avermi ricevuto, Nirien” disse Hurin mentre si raddrizzava. “Ho notizie importanti da Ardor. E altro. Non so nemmeno da dove iniziare.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Inizia da dove vuoi” rispose Nirien. “Valandor ha riservato queste stanze a me, e sono protette da Sentinelle mandate da re Eäromä, in caso a qualcuno venisse in mente di usare i trucchi d’infanzia per origliare.” Le sopracciglia di Hurin si sollevarono per la sorpresa, e Nirien aggiunse, “Sono cambiate molte cose da quando sei andato via, Hurin. Adesso parla.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Hurin[/SIZE]
[SIZE=2]“Inizio dalla cosa più importante, allora. La nostra ricerca non è stata priva di sacrifici, ed essi sono stati molto dolorosi. Ma Tuija è salva, ed è alla corte dell’elfo Fuinur. Fuinur l’ha accolta offrendole la sua amicizia.”[/SIZE]
[SIZE=2][Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
[COLOR=navy]Nirien[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=2]Nirien sentì che la tensione le abbandonava il petto. “Speravo che fosse così” mormorò, “anche se non osavo neppure pensare a quanto grande fosse il rischio che lei ha accettato di correre. Nel cuore di Fuinur, Luce e Tenebra si combattono incessantemente, ma la Tenebra è più forte. Sei tornato da solo, Hurin; non ti chiederò della sorte dei tuoi altri compagni.”[/SIZE]
[SIZE=2]Una piccola contrazione delle sopracciglia fu l’unica reazione di Hurin. Di rado Nirien riceveva qualcuno, fosse anche un re, senza la presenza delle guardie; sapeva che la missione di Tuija era importante, ma solo ora iniziava a comprendere realmente quanto. “Ingdion è rimasto fra i Valdacli di Arcil, Nirien; Eiél non tornerà.”[/SIZE]
[SIZE=2]Nirien inspirò a fondo. “Mi sono giunti dei rapporti da esploratori che potevano solo riferirmi quanto avevano sentito, e le voci giungono a decine con ogni nave o carovana di mercanti, ma non potevo essere sicura.” Nirien prese il suo posto sullo scranno, invitando Hurin a sedere di fronte a lei. “Eppure penso di poter indovinare gran parte di quello che è successo. Sapevi che Arakhon è stato sconfitto nel Grande Harad?”[/SIZE]
[SIZE=2]“No, non ne ero al corrente, Nirien. Questa non è una buona notizia.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non lo è, in realtà, no, anche se ha fatto la felicità di Valandor. Non sappiamo quanto sia vero, ci auguriamo di ricevere altre notizie molto presto da compagni fidati. Il viaggio è lungo, purtroppo, ed a causa della guerra l’unica via sicura per l’Harad Orientale è Fiammanera. Ma continua, Hurin, ti prego; bramo ascoltare tutto ciò che sai.”[/SIZE]
[SIZE=2]“L’esercito di Fuinur di Ardor è stato distrutto a Tanith. Due degli Umar sono stati uccisi, i loro guerrieri schiacciati e respinti dai Valdacli e dagli Hathoriani che hanno combattuto per la loro città. Il resto dell’orda Mumakana è in fuga verso est, e verrà distrutta dall’armata di Erendis che marcia loro incontro, tagliandole la ritirata. Gli Umar delle terre orientali sono impegnati dalla flotta di Ronethil e non potranno correre in aiuto dei fuggiaschi. Ci sono state molte voci, raccontano che due delle loro Sorelle Tesarath siano state catturate da Ralmoth, entrambe lo stesso giorno, e giustiziate sul posto. A quanto pare, l’autorità di uno degli Arconti di Hathor, Athanasios, è stata messa in discussione dopo il suo fallimento nello schierare i suoi combattenti assieme a Ralmoth; egli ha dovuto andarsene da qualche parte, altri Arconti sono ora accusati di passività. Xan di Thernes è stato nominato Stratega; è un uomo che odia gli stranieri con tutta la sua anima, eppure Arcil si fida di lui, ed è lei la più influente nella regione, intende concedergli autorità sull’intera Hathor e gli Hathoriani sono disposti sembra ad accettarla dopo che la loro capitale è stata liberata da Ralmoth. C’è circa una dozzina di versioni diverse su come sia andata la battaglia, ma concordano tutte sue una cosa: i Mumakani e i Valdacli erano in battaglia gli uni contro gli altri, quando all’improvviso c’è stato un lampo di luce nel cielo ed è apparso un demone alato che ha combattuto contro Ralmoth. Dicono che sia stata la consapevolezza di star lottando contro l’Ombra a dare ancora più coraggio e determinazione ai Valdacli. Ho protetto Tuija come mi hai ordinato, e non ero con loro, Nirien, e di questo mi vergogno.”[/SIZE]
[SIZE=2]Nirien scosse il capo, irritata. “Abbiamo fatto ciò che era necessario.” ‘E se anche l’ultimo degli scrivani di Valandor lo viene a sapere, sarò infilzata su uno spiedo prima che giunga l’alba, se prima non mi fanno a pezzi’, aggiunse tra sé. ‘Succederà a me, a Daeron, alla giovane Tuija, e probabilmente a chiunque sia considerato nostro amico’. Non era facile portare avanti quei colloqui segreti, quando anche un caro amico poteva tradirla considerandolo un dovere. ‘Vorrei essere sicura che non avrebbero ragione’. [/SIZE][SIZE=2]“Tuija farà ciò che va fatto. Che altro hai da dirmi, Hurin?”[/SIZE]
[SIZE=2]In risposta, Hurin mise un sacco di cuoio sul tavolo e ne estrasse una scatola di legno nero finemente intagliato in un motivo ottagonale, con incise rune d’argento attorno al bordo. Posò la scatola sul tavolo e guardò Nirien con silenziosa aspettativa.[/SIZE]
[SIZE=2]Nirien non dovette avvicinarsi abbastanza da leggere le rune per sapere che cosa dicevano. ‘Carn Aduamin’; ‘Immagine allo Specchio’. “Cosa?” annaspò. “Lo hai portato fin qui, per centinaia di leghe, con gli Elfi di Fuinur che lo staranno cercando ovunque? Luce, uomo, doveva essere lasciato dove l’avete trovato!”[/SIZE]
[SIZE=2]“Lo so, Nirien,” rispose tranquillo Hurin “ma gli Elfi di Ardor si aspettano di trovarlo durante qualche grande avventura, in una delle loro fortezze, non in un sacco portato da due uomini che scortano una ragazza malata. Se l’avessimo lasciato a Kirnak, il rischio sarebbe stato maggiore. A Fuinur, comunque, non servirebbero a nulla, non è lui a controllarle.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Che vuoi dire? Si è proclamato re della nuova Corte, tutti i Signori dovrebbero rispondere alla sua autorità, ormai. Ha per caso escogitato dei piani dei quali non siamo a conoscenza? Le incursioni degli Orchi da Chennacatt si moltiplicano.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Stavolta non è opera sua, Nirien. Noi facciamo piani, parliamo dei giorni che verranno, ma talvolta la ruota intesse il domani come vuole. Fuinur non è l’unico dei Signori di Ardor ad essere ancora vivo, come sospettavi. Potrebbe invero essere il male minore.”[/SIZE]
[SIZE=2]Nirien rabbrividì. Poi annuì. “Per il momento, questa notizia resterà nota solo a noi due. Rifletterò sul da farsi.”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Tul Harar, febbraio dell'anno 76 della Quarta Era. Nella casa degli Eshe.[/SIZE]
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[SIZE=2]“C’erano comunque buone ragioni, per lui, principessa, per tornare subito a Tul Harar. È vero. Però avevano già mandato messaggi, sei messaggeri, per essere sicuri che la città ricevesse la notizia della battaglia di Isra … solo due hanno passato i picchetti dei nemici, così mi ha raccontato Samaduin. Eppure Artagora ha rischiato la sua vita per portarvi quelle stesse notizie. È venuto di persona. Non dovreste odiarlo.”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Non so in quale modo si sia intromesso nella missione di Arakhon e di Khalid.” Lal non poté fare a meno di usare un tono duro e sentì Zenabeth ritrarsi. Non si rivolgeva mai così a un ospite … a nessuno. [/SIZE]
[SIZE=2]“A mia volta, non so che missione avessero Arakhon e Khalid,” disse seccamente Zenabeth “ma non posso pensare che l'arconte Artagora abbia liberamente scelto di ignorare la trattativa e di abbandonarli. L’Ombra colpisce in un modo o nell’altro tutti quelli che considera pericolosi; cosa credete che sarebbe cambiato, se Artagora avesse trattato? I servi dell’Ombra non avrebbero restituito Khalid, tantomeno Arakhon. Sapevano che Artagora non aveva scelta, non hanno fatto altro che colpire anche lui indirettamente ma altrettanto dolorosamente.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Chiunque non sia un re sostenuto da un grande esercito non è che una pedina su una scacchiera? Questo stai cercando di dirmi, Zenabeth? Per fortuna gli stallieri e i cuochi della casa hanno un’opinione migliore del mio sposo di quella che ha dimostrato Artagora e che stai dimostrando tu. Sono sinceramente addolorati. Mi hanno detto che Khalid è il più grande degli uomini dai tempi di re Ciryatan dell’Ovest.”[/SIZE]
[SIZE=2]Data la presenza dei servitori, Zenabeth mantenne la sua voce bassa, al meglio che potesse fare. [/SIZE]
[SIZE=2]“Ho incontrato Khalid e i tuoi compagni, principessa Lal. Ho conosciuto Arakhon. Ma non sono dei re, Lal, e dubito fortemente che uno di loro sogni di unificare il mondo sotto un unico sovrano. No, nessuno sogna più i sogni di Ciryatan e Pharazon, e se lo facesse, non sarebbe nient’altro che un segno di aver ceduto all’ambizione.”[/SIZE]
[SIZE=2]Lal emise un verso di disgusto, o forse di frustrazione. Si era sempre tenuta in disparte, cercando di esaudire ogni desiderio di suo padre prima, dei suoi fratelli e del suo sposo poi. Aveva parlato sempre come se la sua voce e le loro fossero quasi una sola. Ora non le rimaneva più niente se non una speranza. “Non ho alcun desiderio di cedere, Zenabeth. E non lo farò. I regni stanno scomparendo sotto l’attacco degli eserciti di Alatar, gli uomini credono in nuovi dei; falsi dei. I loro idoli spuntano dappertutto. I nobili che giocano pericolosamente e lottano per il potere sono più numerosi che mai, come ai tempi della guerra contro Akhorahil. Ognuno di noi sa che l’Ombra, nelle nostre terre, non è stata sconfitta assieme a Sauron, ma si agita di nuovo, e che Alatar incarna Vatra, minacciandoci. Forse il tempo si sta facendo più breve per noi tutti, Zenabeth. Mi sembra addirittura di sentirlo. Khalid è l’Eroe che sconfiggerà Vatra, io ne sono certa; Khalid non è morto, e io lo troverò.”[/SIZE]
[SIZE=2]Zenabeth esitò, prima di rispondere. “Come desideri, principessa. Ti esporrai a gravi pericoli lasciando Tul Harar.”[/SIZE]
[SIZE=2]“È il mio dovere. Le profezie devono avverarsi. Mi hanno insegnato che è così, che deve essere così, anche se il loro adempimento dovesse rinnegare tutte le altre cose insegnate. Se dovesse essere contro tutto quello che noi rappresentiamo.” Strofinandosi le braccia, Lal andò verso una delle finestre per guardare giù, nel giardino. Toccò le tende. “Qui, nella casa degli Eshe, vengono appese delle tende per decorare le stanze, e si coltivano giardini meravigliosi, ma non c’è parte di questa città che non sia costruita per la battaglia. Alle battaglie di Artagora non posso contribuire, ma combatterò la mia. Per Khalid, e per Arakhon.”[/SIZE]
[SIZE=2]Zenaran fissò intensamente la schiena della principessa. Che cosa le stava succedendo? Non era mai stata così, da quando le navi Morijane erano tornate a Tul Harar. [/SIZE]
[SIZE=2]“Perché hai congedato la tua guardia del corpo, principessa, se intendi affrontare i nemici?”[/SIZE]
[SIZE=2]Lal sorrise, con un’espressione amara. “Là dove devo andare, il coraggioso Tzu non potrebbe seguirmi.” Le sue mani si mossero verso il piccolo scrigno d’oro. ‘Eppure il nostro mondo brucerà’, pensò, ‘in un modo o nell’altro, qualsiasi cosa noi faremo’.[/SIZE]
[SIZE=2]~[/SIZE]
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[FONT=Calibri][SIZE=3]Queste parole svaniranno qualche momento dopo che la lettera sarà stata aperta – una difesa fatta apposta per te – per cui stai attento. Se stai leggendo significa che gli eventi a Ra-Morij si sono succeduti come speravo.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Fin dal giorno in cui ho raggiunto il Grande Harad, sapevo – non devi preoccuparti di capire come: certi segreti appartenevano ad altre persone e io non ne tradirò la memoria – che un giorno a Tul Harar ti sarebbero giunte delle notizie su Ar-Venie. Non sapevo di cosa si sarebbe trattato – se quello che abbiamo sentito è vero, che la Luce abbia pietà della sua anima; era testarda e ostinata, con il carattere di una leonessa a volte, ma era comunque una brava e buona donna – ma ogni volta le notizie rendevano necessario andare più in là, fare più in fretta, eppure non riuscivo a farvelo capire. La mia maledizione. C’erano tre diramazioni che si snodavano da Morija, ma se stai leggendo la lettera, siamo tornati alla fortezza, io sono morto, e in un certo senso anche Ba.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Gli altri due percorsi erano anche più pericolosi. In uno, Rugia non riusciva a trovare la forza di distruggere il suo popolo e ti uccideva a Ra-Morij. Nell’altro gli schiavi di Ba ti portavano via, a Mo-Rhun, e quando ti avremmo rivisto, ti saresti presentato come Ar-Arakhon e saresti stato il servo devoto di Alatar.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Spero che Khalid e Suri siano sopravvissuti incolumi. Come prima cosa vorrei dirti di toglierti dalla testa che io sia stato un uomo speciale. Ho cominciato a credere, in questa breve stagione della mia vita, che le Shenjin abbiano ragione; non era il mio posto, questo. Ma era parte del Disegno; morto Shakor in modo così stupido, qualcuno doveva riempire quel vuoto, sedersi e giocare tutte le sue carte. Vedi, non so cosa accadrà in seguito, tranne forse una piccola cosa che comunque non ti riguarda. La ruota gira, e tesse come vuole.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Non vi ho mai traditi. Non potevo dirtelo, per lo stesso motivo per cui non potevo dirlo a Khalid. Se aveste potuto scegliere, non ero sicuro di cosa avreste fatto. A quanto pare i Valdacli come te e la gente del Dàr come lui hanno in sé molto del celebre sangue di Numénor, e più di qualcosa in comune con gli uomini di Gondor. Si dice che un uomo di Gondor si lascerebbe ferire da una pugnalata per evitare che venisse fatto del male a un amico, considerandolo uno scambio equo. Non ho osato rischiare che voi poteste anteporre la mia vita alla vostra, sicuri che in qualche modo avreste potuto sfuggire al fato. Non un rischio, temo, ma una sciocca certezza, come di certo ha dimostrato la giornata di oggi.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Ti prego di consegnare la seconda lettera, in qualche modo, al re di Gondor, non appena tornerai a casa. Non aprirla. C’è una piccola faccenda di cui qualche volta vi ho parlato, che devo chiarire per ridare a Ostelor e a tutto il Sud la pace; se avessi avuto più coraggio, avrei potuto parlare con Ar-Venie – forse l’avrei salvata.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Se Tuija è già andata via, dille che ciò che le ho fatto è per il suo bene. Un giorno capirà e, spero, non mi vorrà più del male per questo. Se vuoi ancora essere mio amico, occupati di lei in tutto, ma non farglielo capire, e lascia che pensi di esser libera com’è sempre stata.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Ti rimane solo l’ultima battaglia da combattere e adesso, assieme ai tuoi alleati, sarai forte quanto il tuo nemico. Non fidarti completamente di nessun mago o incantatore d’ora in poi. Non parlo solo degli uomini malvagi come Ba, anche se devi sempre essere in guardia nei loro confronti. Incontrerai avversari peggiori; non esitare mai. Sospetta degli Elfi come degli stregoni di Rhun, come dei menestrelli di Ostelor. Abbiamo fatto danzare il mondo alla nostra musica per tre Ere. E’ un’abitudine difficile da spezzare, come ho imparato danzando al suono di quella stessa canzone. Voi dovete essere liberi, e anche chi ha le migliori intenzioni potrebbe cercare di guidare i vostri passi come ho fatto io, tante volte, tutte le volte nelle quali vi chiedevate il perché.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Che Iluvatar ti illumini e ti protegga. Te la caverai bene.[/SIZE][/FONT]
[FONT=Calibri][SIZE=3]Ciryaher[/SIZE][/FONT]
[SIZE=2]Dei colpi rapidi e insistenti richiamarono la sua attenzione. Nessun servitore avrebbe bussato a quel modo alla stanza di qualcuno, tantomeno alla sua. Sapeva di chi si trattava. Zenabeth rimase a guardarsi nello specchio fino a quando gli occhi non le restituirono un’immagine serena, ogni pensiero celato nella loro profondità. [/SIZE]
[SIZE=2]Controllò che la lettera fosse ancora al suo posto, e richiuse lo scrittoio; era consapevole di quanto grave fosse ciò che aveva fatto, ma era stata per un momento sicura che la principessa Lal avesse intenzione di distruggerla, e questo le era sembrato sbagliato. Zenabeth aveva imparato molto tempo prima a fidarsi dei sentimenti improvvisi; aveva intenzione di chiedere consiglio ad Ender, non appena fosse tornato, e se lui fosse stato d’accordo avrebbe consegnato la lettera ad Artagora. [/SIZE]
[SIZE=2]Una seconda raffica di colpi, anche più vigorosi dei precedenti, risuonò prima che lei attraversasse la stanza per aprire la porta, sfoggiando un sorriso calmo per l’uomo che era venuto a chiamarla.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Grande Caccia" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Il Maestro diceva che Elessar di Gondor voleva governare il mondo, schiacciare ogni nazione, calpestare ogni uomo. Diceva che i Valdacli non potevano più limitarsi a tenere il pericolo fuori dalle loro terre e illudersi che fosse sufficiente. Diceva che era imminente il giorno in cui le Sette Colonie avrebbero raggiunto la gloria che a esse spettava, ma fra i Valdacli e la loro gloria c’era Elessar.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non c’è speranza. Prima o poi bisognerà dare la caccia agli uomini che servono Elessar, e gli Elfi, e ucciderli tutti, fino all’ultimo. Il Maestro dice che alcune delle donne degli Elfi potrebbero essere salvate – le giovani, le novizie – se vengono portate al suo cospetto, ma il loro ordine dev’essere sradicato. Ecco cosa dice il Maestro. Ardor dev’essere distrutta così come Elessar.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Per un momento Arakhon rimase in piedi in mezzo alla stanza, con le braccia piene di libri e pergamene arrotolate, i capelli che quasi sfioravano le travi, gli occhi scuri sgranati nel nulla a fissare visioni della grande città bianca che cadeva in macerie, ai piedi del Mindolluin. Quindi sobbalzò, come se si fosse reso conto di cosa aveva appena detto. Agitò incerto la barba a punta.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ecco cosa … cosa dice. Io … io personalmente credo che sia esagerato. Il Maestro, il nostro sommo signore … ha un modo tale di parlare che trascina ogni uomo al di là delle proprie convinzioni. Ma è vero che se i Valdacli, separati fra loro, possono fare patti con Elessar, quando saranno uniti potranno anche distruggerlo.” Fu scosso da brividi, e non sembrò accorgersene. “Ecco cosa io dico.”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Come credi” rispose Margolian, piena di malizia. “Penso che la tua idea sia quella giusta, mio re. Ma non fermarti a un paio dei signori Valdacli. Chiedi anche ai nuovi padroni di Ardor di servirti. Pensa a cosa sarebbe il tuo palazzo a Ostelor con venti delle loro sacerdotesse, stese ai piedi della tua regina, pronte a obberdirle."[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon rabbrividì di nuovo, poi guardò Margolian corrucciato. “Forse non sarebbe una cosa giusta.”[/SIZE]
[SIZE=2]“E cosa te lo fa pensare?" Ribatté lei ironica. “Presto potrai proporre al signore Barendar di sposare dama Arcil di Nindamos e di sedersi al fianco del tuo trono.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Dama Arcil. Non ne ho mai sentito parlare. Solo poco. Forse ho sentito il nome.”[/SIZE]
[SIZE=2]Margolian rise sarcastica. “Bé, nemmeno tu puoi sapere tutto su ogni re, regina e nobile, mio signore Arakhon. Solo il Maestro sa tutto. Uno o due nomi saranno sfuggiti alla tua attenzione, ma imparerai.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Conosco i nomi di re e regine, ragazza, e anche quelli di tutti i sommi signori della Terra di Mezzo.”[/SIZE]
[SIZE=2]Margolian digrignò i denti. “Come dici tu, mio signore. Sire, sto preparando delle lettere per conto tuo. Abbiamo incontrato alcuni messaggeri e letto i documenti che ti erano stati indirizzati, i servitori della tua famiglia stanno facendo un eccellente lavoro. Vorrai firmarle, di grazia?”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Illustri saggi,[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]La vostra città è la mia città. I vostri giardini, sono i miei giardini.[/SIZE]
[SIZE=2]Le vostre torri, sono nei miei occhi.[/SIZE]
[SIZE=2]Le vostre sale, i vostri volti, sono davanti a me.[/SIZE]
[SIZE=2]La vostra città è la mia casa.[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]Qual è l'uomo che non difende la sua casa?[/SIZE]
[SIZE=2]Qual è l'uomo che non sente il desiderio di salvare le sue alte mura?[/SIZE]
[SIZE=2]Qual è l'uomo che non trema in questi giorni di fronte a queste notizie?[/SIZE]
[SIZE=2]Qual è l'uomo che non sente la paura di fronte alla sconfitta? A una probabile morte? A una forse ben peggiore fine come la schiavitù?[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]Quell'uomo sono anche io.[/SIZE]
[SIZE=2]Ar-Arakhon dei Domini Valdacli.[/SIZE]
[SIZE=2]Che cammina verso nord, oltre i deserti, verso il nemico della nostra casa, dei nostri giardini, delle nostre torri.[/SIZE]
[SIZE=2]Cammino poiché il drago ruggisce con voi e vi dia speranza fino all'ultimo giorno della battaglia.[/SIZE]
[SIZE=2]La speranza non deve morire.[/SIZE]
[SIZE=2]Cammino verso i vostri alleati ora nemici e sarò intermediario vostro con voi a rischio della mia vita solamente.[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]In tutti voi ho visto, illustri saggi, l'occhio attento alle cose che si muovono nel mondo, io sarò sempre un vostro amico e camminerò oltre il deserto a nord con nella mente il placido fiume che mi culla fino alle strade di Tul Harar. La mia casa.[/SIZE]
[SIZE=2][/SIZE]
[SIZE=2]Illustri saggi, Parlatori di Tul Harar, voi lo sapete,[/SIZE]
[SIZE=2]Tornerò![/SIZE]
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[SIZE=2]Ar-Arakhon dei Domini Valdacli[/SIZE]
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[SIZE=2]Arakhon cominciava a chiedersi se la fortuna che era stata al suo fianco tutta la notte non lo avesse infine abbandonato. D’istinto, estrasse una custodia cilindrica, la aprì, e rovesciò i dadi sul tavolo.[/SIZE]
[SIZE=2]Erano del tipo numerato con i pallini, e tutti e cinque erano caduti mostrando la faccia su cui ce n’era solo uno. In alcuni giochi quel punteggio veniva chiamato ‘Occhi del Morto’. Era un tiro perdente, in questi giochi, ma vincente in altri. ‘Ma io a quale gioco sto giocando?’, si chiese Arakhon. Non lo ricordava più. Raccolse i dadi e li lanciò di nuovo. Cinque puntini. Un altro lancio, e di nuovo gli Occhi del Morto lo fissarono.[/SIZE]
[SIZE=2]“Se hai usato quei dadi per vincere tutto quell’oro agli Asha’man,” osservò Alall con calma “non mi meraviglia la tua fretta di partire.” Si era tolta la giubba e i pantaloni, e si stava sfilando la camicia dalla testa. Aveva le ginocchia forti e le gambe sembravano un fascio di tendini e muscoli lunghi. [/SIZE]
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[SIZE=2]“Valdaclo, una bambina di dodici anni ti strapperebbe il cuore se ti scoprisse a usare dadi come quelli contro di lei”, disse nel suo accento strascicato.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non si tratta dei dadi” borbottò Arakhon. “È la fortuna.” La fortuna degli Eshe, o la fortuna dell’Oscuro Signore?, si domandò. Rimise i dadi nella custodia e chiuse il coperchio.[/SIZE]
[SIZE=2]“Quindi” disse Alall stendendosi sul letto “immagino che non mi dirai da dove proviene tutto quell’oro.”[/SIZE]
[SIZE=2]“L’ho vinto. Stanotte. Giocando con i loro dadi.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Come no. E immagino che non mi vorrai parlare di quel documento che sventolavi ovunque. Ho visto il sigillo, Arakhon. O di tutti quei discorsi sulla missione che vuoi affidarci per conto dei Valdacli del Sud, o del perché la regina di Morija sia scomparsa.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Alall, sto preparando una lettera che dovrà esser portata a Valandor. Gli Asha’man mi hanno portato questo documento che è stato scritto da Suri. Non so come se lo siano procurato.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Se non me lo vuoi dire, mi metto a dormire. Puoi spegnere le lampade?” Alall rotolò nuda su un fianco appoggiandosi al cuscino e si tirò addosso un lenzuolo.[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon si spogliò e si infilò accanto a lei dopo aver spento le lanterne.[/SIZE]
[SIZE=2]“Che la mia anima incenerisca, Valdaclo. Non ne hai mai abbastanza?”[/SIZE]
[SIZE=2]Fecero l’amore, e riposarono vicini su quel soffice materasso di piume.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Drago Rinato" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]“Ti ho vista arrivare …”[/SIZE]
[SIZE=2]L’uomo fece una pausa, sollevando un boccale d’argento, e la guardò da sopra il bordo, con occhi crudeli.[/SIZE]
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[SIZE=2]Margolian si alzò velocemente, si inginocchiò e appoggiò la fronte sul pavimento di pietra.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ti riverisco ardentemente, Maestro. Mio padrone.” [/SIZE]
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[SIZE=2]Beruthiel (Margolian)[/SIZE]
[SIZE=2]Quel titolo le bruciò sulla lingua. Non percepiva la protezione che Alatar usava su di lei, eppure Margolian non pensò neppure di toccare il Potere. Non prese neppure in considerazione l’idea di attingervi. Ogni volta che il Maestro andava da lei, le mostrava la Trappola dell’Anima.[/SIZE]
[SIZE=2]Alatar sorrise. “E sei impaziente di obbedire?” chiese, con quella voce graffiante.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Si, sono impaziende di obbedire, Maestro.” [/SIZE]
[SIZE=2]“Ti sei goduta il tempo che hai trascorso fra i Mortali?”[/SIZE]
[SIZE=2]Margolian sentì dita gelate stringerle il cuore. Lei sapeva che il suo tempo non sarebbe stato infinito, ma ne voleva ancora un po’. Ancora un po’ di tempo, prima del Pozzo del Destino, e …[/SIZE]
[SIZE=2]“Ti imploro, Maestro. So che ormai la tua vittoria è vicina, che tutto risplende della tua gloria. Essa acceca i tuoi nemici e li rende impotenti, incapaci di sollevarsi dal fango nel quale strisciano, e presto essi non saranno più … concedimi altro tempo.”[/SIZE]
[SIZE=2]“La vittoria è qualcosa di effimero. È una moneta che cambia di mano facilmente. Guarda i miei nemici, Beruthiel. Errori e cattiva sorte li hanno messi alla mia mercé proprio nel momento in cui stavano per afferrarla a loro volta, la moneta della vittoria. La Compagnia è sciolta; pochi sono quelli fra loro che mi sfuggono ancora, e non sono che pedine: i loro re, i loro generali sconfitti, abbattuti. Tuttavia quei pochi sono dotati di coraggio, e d’ingegno. E l’inverno è ancora lontano. Il mio regno verrà, molto presto. Ma prima di quel momento … sei pronta a sacrificare tutto per me, Beruthiel?”[/SIZE]
[SIZE=2]Avrebbe detto e fatto qualsiasi cosa fosse necessaria per ottenere anche solo le briciole di quello che sarebbe stato il futuro regno di Alatar, ora che egli aveva tutto ciò che era necessario per trionfare, ma sussultò lo stesso quando le sue dita fredde le si infilarono di colpo fra i capelli. Memore del passato, Beruthiel si costrinse a non arretrare, a non gridare, a rinunciare persino a pensare.[/SIZE]
[SIZE=2]“Chiudi gli occhi,” le disse il Maestro “e tienili chiusi fino a quando non ti sarà ordinato di aprirli.”[/SIZE]
[SIZE=2]Beruthiel obbedì immediatamente. Una delle prime lezioni di Alatar era stata sull’obbedienza, molto tempo prima.[/SIZE]
[SIZE=2]A un tratto la mano che le stringeva i capelli la spinse in avanti e lei gridò pur non volendo. Beruthiel protese le mani per proteggersi e Alatar la rilasciò. La donna barcollò per almeno dieci passi. [/SIZE]
[SIZE=2]“Adesso puoi guardare. Ti è stata data una possibilità più grande di quanto credi.” [/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Corona di Spade" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Il sole aveva quasi raggiunto le cime degli alberi quando i capitani di Nindamos cavalcarono attraverso l’ampio accampamento dell’esercito delle Colonie Occidentali. Carri e tende proiettavano lunghe ombre sulla neve, e molti uomini stavano lavorando duramente per costruire altri ripari usando i cespugli. Le tende non erano sufficienti nemmeno per i soldati, e nel campo c’era un numero quasi altrettanto grande di sellai, lavandaie, carpentieri, vivandiere e così via, tutti inevitabilmente al seguito di ogni esercito. Il risuonare delle incudini faceva capire che carradori, armaioli e fabbri erano ancora al lavoro. I fuochi per cucinare erano accesi in ogni dove, e i cavalieri in cerca di riposo e cibo cotto si spogliarono dell’armatura non appena i loro esausti animali vennero portati via. Aginor e Ralmoth fecero eccezione, continuando a cavalcare accanto alla loro signora.[/SIZE]
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[SIZE=2]Un’accoglienza dignitosa per Arcil di Nindamos avrebbe previsto i servitori che correvano a portare bevande fresche e panni umidi coi quali ripulirsi, con i signori e le loro dame che si occupavano personalmente di prendere le redini e che offrivano un bacio per festeggiare il Dorato. E i servitori sarebbero accorsi anche per qualsiasi altro ospite di riguardo, ma nessuno si mosse dal padiglione. Ralmoth smontò di sella e andò a tenere le redini di Daishar, e un giovane del loro seguito, lo stesso che la notte prima aveva montato la guardia di fronte alla tenda, si precipitò a reggere la staffa di Arcil. Con la sua giubba di velluto rosso e con il lucente mantello nero superava in splendore tutti i nobili che da sotto il telo osservavano la scena. Sembravano quasi tutti vestiti con abiti robusti, pochi ricami e pochissime sete o merletti.[/SIZE]
[SIZE=2]Sul pavimento del tendone erano stati stesi i tappeti e i bracieri accesi spargevano un buon odore d’incenso, portato dalla brezza assieme al fumo. Le sedie per le delegazioni erano sistemate in due file opposte, sette per ognuna. Quando Arcil ed Erendis presero posto, erano sedute due spanne più in alto degli altri. La mancanza di qualsiasi parola di benvenuto pesava nell’aria. Arcil non si era recata a ricevere dei supplicanti; lei ed Erendis erano pari.[/SIZE]
[SIZE=2]I capitani rimasero in piedi dietro le principesse, e Ralmoth e Aginor spinsero teatralmente indietro i mantelli e si tolsero i guanti nel saluto dei Valdacli; di fronte a loro, Girilzor e Mirael fecero lo stesso. All’esterno, il vessillo del falco con la spada di Arcil salì nella brezza che si andava rinforzando. Solo l’Elfo seduto accanto alla sedia di Erendis, su un piccolo sgabello coperto da un drappo grigio, rovinava la grandiosità dell’immagine, ma la rovinava poco, perché coi suoi grandi occhi profondi Maité fissava Valdacli di Arcil e Valdacli di Erendis con un’intensa aria di sfida. [/SIZE]
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[SIZE=2]Arcil sgranò gli occhi vedendola, ma non fu davvero sorpresa. Aveva immaginato che la natura dell’invito di Erendis aveva a che fare con il popolo di Ardor; con amarezza, dovette riconoscere che era stata la lettera di Numènion a convincerla ad accettare l’incontro. Con calma, fece un cenno del capo e Aginor indicò la linea di sedie ai nobili di Nindamos che avevano accompagnato Arcil. Non importava chi era arrivato prima o chi aveva fornito il padiglione, non c’erano dubbi su chi aveva alla fine indetto quell’incontro, su chi era al comando.[/SIZE]
[SIZE=2]Quel gesto non fu ben accolto, ovviamente. Ci fu un momento di silenziosa esitazione mentre gli accompagnatori di Erendis si spremevano le meningi per trovare il modo di riguadagnare la loro posizione, e non poche smorfie quando si resero conto che non era possibile. Cupi in volto, sette di loro si misero a sedere, quattro uomini e tre donne, con un grande e rabbioso aggiustare di mantelli e lisciare di gonne. I nobili di rango minore si posizionarono in piedi dietro le sedie, e fu chiaro che c’era poco amore tra Orrostar e Hyarrostar. Uomini o donne che fossero, mormoravano e si spintonavano per ottenere la precedenza di fronte all’imbarazzo di Erendis e agli occhi divertiti di Arcil, bisticciando tra loro con la stessa animosità con cui bisticciavano coi loro ‘alleati’ dell’Ovest. Anche i capitani di Nindamos ricevettero una discreta quantità di sguardi cupi, e qualche occhiata di traverso arrivò anche a Xan di Hathor, che se ne stava in disparte con l’elmo sotto un braccio. Era famoso da entrambi i lati del confine, e rispettato persino da quelli che lo volevano morto. Lui ignorò gli sguardi acidi dei nobili come aveva ignorato le parole dei capitani dei Valdacli.[/SIZE]
[SIZE=2]Un altro uomo non si unì a nessuno dei due gruppi. Abbronzato, alto quanto Arcil, giubba scura e pettorali, Barendar era dal lato opposto rispetto a Xan, poggiato a uno dei sostegni del padiglione con un’arrogante disinvoltura, e si guardava intorno senza nulla rivelare dei propri pensieri. Intorno al braccio sinistro teneva legato un lungo fazzoletto rosso. Arcil avrebbe voluto sapere cosa ci faceva lì. In ogni caso, doveva parlare con lui. Se riusciva a farlo senza che un centinaio di servitori di Erendis origliassero.[/SIZE]
[SIZE=2]Girilzor, magro e segnato dalle intemperie e con indosso un mantello rosso, si sporse dal suo posto e fece per parlare, ma Aginor lo precedette con voce chiara e stentorea.[/SIZE]
[SIZE=2]“Principessa, permettimi di presentarti queste persone. Da Orrostar, Erendis, Alto Seggio della sua casata e del Consiglio dei Sette Valdacli. Perinor, Alto Seggio della sua casata. Ellorien Aemlin, Alto Seggio della casata Caran, e suo marito, Culhan Caran.” I nobili risposero con amarezza a quell’appello, limitandosi a un cenno del capo. Aginor proseguì senza pause; era un bene che gli esploratori di Ralmoth fossero riusciti a fornire i nomi di quelli che erano stati scelti per l’incontro. “Da Hyarrostar, Donel. Macador. Fearna.” I nobili di Hyarrostar parvero risentirsi anche più di quelli del nord per la mancanza di titoli onorifici. Donel, che indossava più merletti di gran parte delle donne, si torse con foga i baffi, e Macador sembrava volesse strapparsi i propri dal viso mentre tormentava l’impugnatura della spada. Aginor non ci fece alcun caso. “Siete sotto lo sguardo del Sigillo di Nindamos. Siete al cospetto della principessa Arcil. Potete ora presentare le vostre suppliche.”[/SIZE]
[SIZE=2]Bene. Questo a Erendis non piacque, neanche un po’. Sembrava imbottita di cachi acerbi. Arcil la guardò, trattenendo il sorriso. Forse aveva creduto di poter fingere che lei non fosse affatto la più potente del Consiglio. Avrebbe imparato che lo era. Ovviamente, per prima cosa bisognava insegnarlo al Consiglio stesso.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ci sono antichi legami fra Nindamos e la tua casata, Erendis” disse Arcil con voce ferma. “Ho sempre saputo di essere la benvenuta in Orrostar o nelle tue terre all’Occidente. Perché allora voi portate un esercito contro di me? Vi accompagnate agli Elfi, e vi intromettete in faccende che troni e imperatori hanno paura di sfiorare. Re e regine sono caduti per essersi mischiati negli affari di Ardor.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Erendis scambiò uno sguardo con l’Elfo seduto accanto a lei, che si alzò. Era una bella donna con le ossa sottili; i capelli erano neri e lo sguardo era duro come quello di un Custode. Con le mani infilate nei guanti neri si stringeva i bordi del mantello lungo i fianchi, ma chiaramente non per paura. La bocca compressa in un’esile linea, Maité studiò la fila di adunanti, e solo allora parlò. Ignorando Arcil, rivolta ai nobili e ai capitani dietro a lei. Sconvolta, digrignando i denti, Arcil pensò di trafiggerle il cuore e di interrompere così subito quell’oltraggio, ma le prime parole dell’Elfo stupirono i convenuti e sollevarono mormorii. Assunse un’espressione attenta.[/SIZE]
[SIZE=2]“Dopo la lettera segreta spedita da Numènion, re di Ardor, alla principessa Arcil, siamo qui proprio perché vogliamo evitare che i Valdacli si avvicinino troppo agli affari di Ardor.” La voce di Maité era autoritaria, cosa poco sorprendente visto che era viva e libera accanto a Erendis. Non c’erano segni dell’insicurezza che sarebbe stato legittimo aspettarsi da un prigioniero. “Se tutto quello che avete saputo è vero, allora nel migliore dei casi lasciarci passare tranquillamente attraverso Mittalmar per permetterci di prestar soccorso a re Numènion, minacciato dalle forze dell’Ombra, potrebbe sembrare un atto di sostegno, o persino alleanza con Ardor, agli occhi del Consiglio dei Valdacli. Se non lo farete, però, e non vi opporrete voi stessi all’Ombra che vi minaccia da meridione e da oriente, rischierete di imparare quello che il chicco d’uva impara dalla pigiatrice.”[/SIZE]
[SIZE=2]Diversi nobili si alzarono in piedi accigliati, stringendo i loro pugnali. Maité si sedette, serena in volto, come se non si fosse accorta di quegli sguardi e dei loro gesti, ma Arcil ne dubitava.[/SIZE]
[SIZE=2]“E nel peggiore dei casi …" intervenne Erendis “Oltre le missive di Arakhon Eshe di Ostelor, spedite a tutto il Consiglio, abbiamo ricevuto … lettere, che dicono che misteriosi emissari di un uomo che si fa chiamare ‘il Maestro’, e soldati di Adarrathil di Arpel, se non lui stesso, sono entrati segretamente in Ardinaak, la Cittadella di Ardor. Dicerie sarebbe una definizione più esatta, ma ci sono arrivate da diverse parti, ed è per questo che abbiamo accettato fra noi Maité, inviata dal nuovo sovrano degli Elfi. Maité ci ha detto molte cose, e sappiamo che sono vere. Nessuno di noi vorrebbe vedere una rottura definitiva fra le famiglie del Consiglio e una battaglia qui nelle Colonie.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Che la Luce ce ne scampi e liberi!” esplose Ellorien, rossa in viso. Donel annuì come per incoraggiarla, spostandosi verso il bordo della sedia, e anche Perinor sembrava pronto a intervenire.[/SIZE]
[SIZE=2]“Nessuno vuole vederla neppure tra i miei” rispose con foga Aginor. “Non tra fratelli! Certo che no! Abbiamo sentito quello che è successo a ovest! E quelle voci su Ardor …”[/SIZE]
[SIZE=2]Arcil lo interruppe con fermezza. “Per favore, capitano Aginor. Avrai il tuo turno per parlare.” [/SIZE]
[SIZE=2]Si rivolse a Erendis – a tutti gli adunanti, in realtà – senza aspettare la risposta del capitano. [/SIZE]
[SIZE=2]Erendis l’aveva minacciata apertamente, ma Arcil sembrava imperturbata. Intuiva che Erendis stava semplicemente esponendo la realtà dei fatti. La esponeva convinta che tutti la dovessero vedere nella sua prospettiva.[/SIZE]
[SIZE=2]“Come dici, Erendis, quelle sono le nostre peggiori paure, se le storie sono vere. E anche se non lo sono. Forse alcuni servi dell’Ombra e traditori si stanno segretamente radunando in Ardor. E di sicuro degli Elfi hanno tentato di guidare gli eserciti del Mumak contro i Valdacli. Abbastanza spesso è parso che il nemico mirasse a un obiettivo e in seguito ci siamo resi conto che aveva puntato a un altro per tutto il tempo. Mi riesce difficile immaginare che persino tu, Erendis, riesca a spingerti così oltre da accettare le parole degli Elfi, ma di recente ho visto cose che mi fanno pensare che nessuna mossa mi sembrerebbe troppo contorta pur di poter avere la meglio. Una battaglia con l’Avversario, se egli è ancora fra noi, se egli è qui, potrebbe devastare la nostra terra per leghe. Quella battaglia, se riuscisse veramente a spingerci l’uno contro l’altro, potrebbe distruggerci.” Erendis tremò leggermente nell’udire le parole di Arcil, ed Arcil non pensò che fosse per il freddo.[/SIZE]
[SIZE=2]Erendis si alzò in piedi. “Per dirla con parole semplici, Arcil, dovete dirci tutto quello che sapete.” La sua voce era sorprendentemente acuta, ora, ma non meno ferma di quella di Arcil. “Se devo morire per difendere le mie terre e la mia gente allora sarà meglio farlo qui, dove non debbano morire anche le mie terre e la mia gente.” Nei suoi occhi duri non c’era serenità.[/SIZE]
[SIZE=2]Arcil fissò Erendis come se a lei non fosse mai neppure venuta in mente quell’idea, e non fu la sola. Alcuni cominciarono a discutere a gran voce finché altri non li zittirono. Alcuni agitarono i pugni. Ma cosa era preso a Erendis per allearsi con gli Elfi?[/SIZE]
[SIZE=2]Arcil trasse un respiro. Un bocciolo di rosa, che si apre al sole. Calma. Era arrivato il momento in cui Aginor e Ralmoth si aspettavano che lei desse l’ordine di imprigionare Erendis. Non ci sarebbero state trattative. Non ce ne potevano essere.[/SIZE]
[SIZE=2]“Erendis” disse Arcil con voce piana, guardando a turno Ellorien e gli altri nobili seduti. “Il re di Ardor che ha mandato da te l’Elfo che ti siede accanto era un usurpatore, che risponde al nome di Fuinur, e che ha violato ciò che sta alla base dei principi stessi di rinnovamento che senza dubbio ti ha annunciato a giustificazione dei suoi gesti. Io ho ricevuto la lettera di Numènion, è vero. L’ho ricevuta per mano di un Numènoreano negli occhi del quale ho visto verità. Numènion è il vero erede di Ardor; egli discende per padre da fratelli di Nindamos che andarono al Nord. Io sono Arcil di Nindamos.” [/SIZE]
[SIZE=2]Era maestosa e serena. [/SIZE]
[SIZE=2]“Stiamo andando ad Ardor, ora, non più per cancellarne persino il nome, ma per incontrare un nostro fratello e togliervi gli Elfi che servono l’Ombra. E per processarli. In quelle terre ritornerà la pace e non dubito che il fratello ritrovato vorrà accogliere in esse l’Albero Bianco, ma questi sono affari del Consiglio, e non ti riguardano direttamente, Erendis, se non in quanto vi appartieni per discendenza di sangue e ti permettono di sapere la verità. Anche questo cosiddetto ‘Maestro’ è affar nostro; gli stregoni, i teocrati sono sempre stati affari di Nindamos. Ce la vedremo con lui quando lo riterremo opportuno, quando il tempo sarà maturo, ma ti assicuro che ancora non lo è. Nulla può esser fatto in fretta. Le questioni più importanti devono avere la precedenza. Il Consiglio stesso, fra le importanti, lo è più di ogni altra.”[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Il Sentiero dei Pugnali" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Nella Musica, tutto giungeva a compimento. In essa erano i figli prediletti di Eru, ed erano anche Creature di spirito venute al mondo con Arda e altre più antiche di Arda stessa, che spirito non avevano.[/SIZE]
[SIZE=2]Alla Musica, la Creatura che aveva volto il suo sguardo a nord, verso il deserto, non era estranea. Camminò, si spostò, da un’ombra all’altra, da un anfratto a un pozzo, da un tetto abbandonato alla tenda di una carovana, lasciando dietro a sé sgomento e morte. La Creatura era antica: di Arda aveva visto i primi giorni. Non li ricordava, perché non aveva intelligenza, ma li sentiva parte del suo essere, così come tutto ciò che era seguito, così come Utumno e il lungo attendere nel buio. L’Elfo l’aveva chiamata e avvinta al suo volere con un grande incantesimo; quest’Elfo, legato a sua volta al Maia, era certo che tutte le creature avessero spirito e in questo si sbagliava, eppure non era completamente in errore, perché in qualche modo la Creatura senza intelligenza aveva consapevolezza di sé. La Creatura era in grado di capire, quasi di pensare, in un qualche modo. [/SIZE]
[SIZE=2]L’Elfo era incatenato al Maia e la Creatura sapeva cosa significava portare una catena, perché adesso era incatenata all’Elfo e prima lo era stata ad altri e prima ancora a Morgoth. A modo suo, la Creatura rideva dell’Elfo. Vendetta, rivalsa, tempo, erano tutti concetti che per la Creatura non avevano significato, la Creatura era capace solo di odiare, distruggere in risposta a quell’odio, finché lo stesso non si fosse spento, e poi aspettare, aspettare di odiare di nuovo e di distruggere e di aspettare ancora. Fino alla fine del mondo. All’Elfo piaceva divorare le anime; alla fine del mondo, la Creatura avrebbe divorato la sua, e per l’Elfo il mondo non sarebbe finito.[/SIZE]
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[SIZE=2]L’Elfo voleva, adesso, che la Creatura liberasse un certo uomo, che aveva sangue di Uomo e di Elfo, e poi l’incantesimo si sarebbe dissolto e la Creatura sarebbe tornata alla sua attesa. Questo uomo era incatenato allo stesso Maia che incatenava l’Elfo, e in qualche modo la Creatura capiva che Uomo, Elfo e Maia condividevano ora uno stesso destino; l’Elfo non lo sapeva, ma lo sospettava, e allora aveva comandato alla Creatura di divorare l’anima dell’uomo se l’avesse trovata incatenata a quella del Maia. Questo doveva fare, la Creatura. [/SIZE]
[SIZE=2]C’erano molti uomini assieme all’uomo, e più di uno aveva sangue di Elfo e di Uomo, e per la Creatura questo non aveva importanza, non avvertiva disturbo, la Creatura sapeva chi cercare e cosa fare, ora. [/SIZE]
[SIZE=2]Si mosse dalla notte alla realtà, e uccise.[/SIZE]
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[SIZE=1]Di Tiercullus[/SIZE]
[SIZE=2]Giugno dell'anno 76 della Quarta Era. Alla Torre.[/SIZE]
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[SIZE=2]Artagora si svegliò nel buio più completo e rimase sotto le coperte cercando di capire cosa poteva aver interrotto il suo sonno. Doveva essere stato qualcosa. Non il sogno: stava insegnando a nuotare a Tara, in un laghetto del bosco giù a casa, a Parga. No, doveva essere stato qualcos’altro. Lo percepì di nuovo, come il debole refolo di un nauseabondo miasma che si insinuava da sotto la porta. Non era affatto un odore, in realtà. Una sensazione, ma l’avvertiva come odore. Gli capitava qualche volta, da quando era stato in Ny Chennacatt. Putrido, come qualcosa morta da una settimana e rimasta in acque stagnanti. Si dileguò, ma non del tutto. Sentendo passi rapidi nel corridoio, scese dal letto, e indossò l’armatura.[/SIZE]
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[SIZE=2]Gettando via il lenzuolo, Alall si alzò avvolgendosi attorno la veste. Arakhon dormiva. Nel buio, piena di Potere, percepì il proprio corpo che rabbrividiva, ma il freddo sembrava lontano da dove si trovava lei. Aprì la porta con cautela e uscì. Le finestre arcuate alle due estremità del corridoio lasciavano filtrare la luce lunare. Dopo l’oscurità profonda della sua stanza era quasi come trovarsi alla luce del giorno. Nulla si muoveva ma poteva sentire … qualcosa … che si avvicinava. Qualcosa di terribile. Simile alla contaminazione che imperversava in lei con il Potere stesso. Si mise una mano sul ventre, come per proteggere il bambino che portava; quando il corridoio esplose in un mare di fiamme, gridò.[/SIZE]
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[SIZE=2]Farah l’aveva svegliato e si era precipitata nel corridoio urlando di nemici e di pericolo, ma Zalarit esitò. Poteva combattere contro qualsiasi cosa gli avessero inviato contro, ma gli pareva che il nemico si trovasse al piano di sopra. Vicino alla camera in cui Alall dormiva con Arakhon. [/SIZE]
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[SIZE=2]Ender gli passò di fronte, la spada in pugno. Con un po’ di fortuna, non si sarebbero svegliati più, sicuramente lui non sarebbe sceso a combattere per loro. A quel punto sarebbe rimasto in disparte a guardare, eccome. Dalle scale veniva molto fumo, e Zalarit sentiva il fuoco crepitare; non poteva essere che magia, ma chi aveva osato attaccarli proprio in quella fortezza, e come li avevano trovati? [/SIZE]
[SIZE=2]Si ricordò poi del bambino. Malvolentieri, si mosse verso il fumo, proteggendosi con un incantesimo; se quel bambino fosse morto, il Maestro si sarebbe infuriato.[/SIZE]
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[SIZE=2]Camminando verso il centro della stanza, Tzu si fermò sopra al mosaico che decorava il pavimento. Era il posto giusto. ‘Volpe di Seta’ gli aveva detto che bisognava scegliere sempre il territorio su cui combattere, quando era possibile, e aspettare che il nemico si facesse avanti. Il livello più alto del palazzo era una grande stanza dal soffitto leggermente a cupola e piccole colonne con le scanalature a spirale. Tutto intorno c’erano finestre ad arco che inondavano di luce lunare ogni angolo della stanza. La polvere e la sabbia sul pavimento non mostravano nessuna traccia. Era perfetto. [/SIZE][SIZE=2]Vide Suri a poca distanza da lui, stava nascosto in quella poca ombra che c’era; gli sorrise. Il luogo adatto per incontrare l’aggressore, fra la Luce e le tenebre.[/SIZE]
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[SIZE=2]La fetida sensazione divenne sempre più forte, e un odore di zolfo bruciato riempì l’aria. A un tratto il pavimento si disintegrò, tutto fu avvolto dalla luce rossa delle fiamme, e videro figure in movimento sotto di loro. Prima non si mossero, paralizzati dal terrore; quindi Suri e Tzu fluirono, di tecnica in tecnica, come se stessero danzando. In un batter d’occhi, la tecnica del Turbine sulla Montagna divenne Il Vento Soffia Oltre il Muro, e quindi l’Apertura del Ventaglio. Danzarono incontro alla morte, per difendere il loro signore, Arakhon.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "I Fuochi del Cielo" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Nei racconti delle guide Amazigh, per chi era fortunato e riusciva a trascinarsi all’ombra delle rocce la morte arrivava sempre dolcemente. Dopo la terribile sofferenza dei primi giorni, la sete non si sentiva più; la stanchezza vinceva il corpo, la stanchezza pervadeva le membra, a poco a poco raggiungeva la mente. Tutto diventava distante, e ci si addormentava, per non svegliarsi più.[/SIZE]
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[SIZE=2]La sofferenza di Alall, invece, non aveva fine. Non si era mai abituata al caldo del deserto; la sua casa, sulla riva del mare, a Same, era circondata da verdi alberi alti come la torre di fronte al porto di Ostelor, che durante la breve estate gettavano tutt’attorno una fresca ombra. D’inverno, tutto era sepolto dalla neve, tutto era come cristallo bianco. Avrebbe desiderato piangere; voleva quella neve, voleva tornare a casa. Voleva stringere la sua bambola, Aira, voleva stringerla forte e cantare con lei la canzone di Talvea. [/SIZE]
[SIZE=2]Continuava a strisciare su quel letto di sabbia e pietrisco; pietre affilate come coltelli che graffiavano la sua carne, sabbia che si mescolava al sangue facendo bruciare le sue piaghe. La sete la straziava, la divorava; non aveva smesso per un attimo di avere sete. Il fuoco le scottava il petto a ogni respiro. Avrebbe voluto arrendersi e morire; dietro a lei, l’Ombra stendeva dita gelide sul deserto, avvicinandosi piano, piano, sempre di più, quasi toccando i piedi che trascinava, e Alall conosceva quell’Ombra. Era la consapevolezza di ciò che l’attendeva oltre quell’Ombra, che le dava la forza di continuare. Gemendo, si morse le labbra per non urlare, e strisciò ancora un poco più avanti, cercando con la mano di prendere la ciotola d’acqua putrida davanti a lei.[/SIZE]
[SIZE=2]Il Maestro mosse un altro passo, e spostò la ciotola più avanti. Alall crollò sulla schiena, il viso sporco, le braccia aperte, le mani chiuse a pugno con le unghie conficcate nei palmi; incapace di continuare, cercò di gridare al cielo tutta la sua rabbia e il suo terrore mentre l’Ombra, con il suo gelo, le sfiorava le dita dei piedi. Il suo urlo non fu che un singulto.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non sono forse stato un buon padre, per te, Alall?”[/SIZE]
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[SIZE=2]La voce del Maestro era come un colpo sulla pelle di un tamburo, per le sue orecchie. Sforzandosi ancora, fece cenno di sì con la testa.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non ho forse fatto per te tutto ciò che potevo, non ti ho dato forse tutto ciò che avevo, per fare di te la più forte, la più astuta, la migliore fra le mie figlie e i miei figli?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Si, si. Maestro. Si … ”. Il gelo dell’Ombra le prese le caviglie; si sentiva trascinare, adesso, trascinare verso un pozzo. Il terrore le prese lo stomaco, la gola. [/SIZE][SIZE=2]“Maestro! Salvami, Maestro. Non lasciarmi! Ti supplico!”[/SIZE]
[SIZE=2]“Suppliche, pietà … tutti i miei figli sembrano conoscer queste parole molto bene. Pietà. Pietà per che cosa, Alall? Dopo tutto ciò che ho fatto per te, tu mi hai tradito. La morte ha toccato il tuo cuore, Alall. Il tuo spirito sta lasciando Arda. Non lo riporterò indietro. Sai cosa troverai.”[/SIZE]
[SIZE=2]“No, no.” [/SIZE]
[SIZE=2]Alall singhiozzava, adesso. Non le sentiva più, le caviglie. Sapeva di essere in un sogno, assieme al Maestro. Un sogno brutto. Dal quale non si sarebbe svegliata. Si voltò freneticamente sulla pancia, graffiandosi ancora sulle pietre taglienti; cercò con le braccia qualcosa a cui aggrapparsi. Non c’era niente.[/SIZE]
[SIZE=2]“Hai perso il bambino, Alall. Dopo tutto il lavoro che ho fatto. Hai perso il bambino. Tutto da rifare dall’inizio, adesso, Alall.” [/SIZE]
[SIZE=2]Alatar raccolse la ciotola. Con un’espressione dubbiosa, ne valutò il peso, il contenuto, e versò un po’ dell’acqua fangosa in essa contenuta sul terreno. L’acqua cadde, e scomparve in un istante nelle mille fenditure della terra spaccata dal sole. Alall sentì il suo cuore fermarsi per qualche momento, il respiro le mancò di colpo. Sgranò gli occhi, cercando aria; i suoi polmoni non trovavano che sabbia, si sentiva schiacciare il petto.[/SIZE]
[SIZE=2]“Per colpa tua Zalarit è morto. So che l’odiavi, e lui odiava te, ma adesso siamo più deboli e occorrerà mandare qualcuno nel settentrione, prima che tutta la trama si disfi. Mandare qualcuno da te vuol dire fare le cose più piano, eppure ... Hai lasciato Zalarit da solo. Il suo corpo è disfatto. Il suo spirito non potrà servirmi per molto, molto tempo, adesso.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Zalarit? Morto? No …”. [/SIZE]
[SIZE=2]Alall annaspò. Un altro singulto. Due. Il gelo le arrivava alle ginocchia, e non sentiva più le gambe. “Maestro! Non potevamo sapere. Una creatura mostruosa ci ha trovati. Non eravamo preparati a questo. Non ho colpa, Maestro, non ho colpa! Ti supplico! Ho vinto per te, Maestro, ho vinto i tuoi nemici molte volte!”[/SIZE]
[SIZE=2]Alatar giocò con la ciotola. Non era nient’altro che un piccolo e fragile manufatto d’argilla, opera forse di un vasaio, forse di un bambino. Conteneva un po’ di acqua sporca. Guardò il cielo.[/SIZE]
[SIZE=2]“Vi ha sorpresi. Il più promettente fra gli stregoni, non avrebbe potuto fare di meglio. Una creatura del Mondo Interno. La sua audacia ha stupito anche me. Uno dei Noldor, uno degli ultimi. Non poteva essere che così.[/SIZE][SIZE=2]”[/SIZE]
[SIZE=2]Alatar s’inginocchiò accanto ad Alall, e lasciò cadere una goccia d’acqua sulle sue labbra. L’acqua era vita. Alall si sentì viva, ancora viva. L’acqua era sporca, l’acqua era la sua anima. Il sole, implacabile, l’asciugò subito. Il respiro le mancò ancora.[/SIZE]
[SIZE=2]“Perché hai cercato di proteggere Arakhon, Alall? Avresti dovuto andartene, salvare il bambino. Il bambino, non il padre. Ma non occorre che tu mi dica niente, bambina. L’ho capito. Sono stato io a commettere l’errore. Ho dato a te l’amore di Arakhon perché tu eri pura e perfetta, e anche il bambino sarebbe stato puro e perfetto. Perfetto, per ciò che avevo in mente, per le imprese che avrebbe compiuto. Sarebbe stato un grande re.”[/SIZE]
[SIZE=2]Non respirava più, adesso. Guardava il cielo, la sfera rossa del sole che la bruciava, con gli occhi spalancati, la bocca piegata in un ultimo singulto. Sentiva la morsa del gelo attorno al cuore, come una mano che si stringeva su di esso, e scivolava.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ti sei invaghita di lui. Solo per un attimo, però quell’attimo è bastato. Due errori, però, non uno. L'altro mio errore è stato quello di sottovalutare l'Elfo. Non sarà più così.”[/SIZE]
[SIZE=2]Alatar le aprì la bocca con le dita, e rovesciò nella gola di Alall tutta l’acqua della ciotola, fino alle ultime gocce sporche. Alall inspirò con forza, tossì; si sollevò di colpo rovesciandosi su un fianco, e vomitò tutto.[/SIZE]
[SIZE=2]“Potrai servirmi ancora, Alall.”[/SIZE]
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[SIZE=1]Di Tiercullus[/SIZE]
[SIZE=2]Giugno dell'anno 76 della Quarta Era. A Tul Harar.[/SIZE]
[SIZE=2]Si accorse d’improvviso che Eadur aveva smesso di parlare e si voltò, pronto a continuare a metterla sotto torchio.[/SIZE]
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[COLOR=navy]Eadur[/COLOR][/SIZE]
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[SIZE=2]La donna si era sporta in avanti come se si stesse alzando, con una mano sul bracciolo della poltrona e l’altra sollevata per fare un gesto. Su quel volto sottile era impressa una provocazione stizzosa, ma non rivolta a lui. La donna non si muoveva, non batteva nemmeno ciglio. Non era nemmeno certo che respirasse. Ma lui stesso era a malapena consapevole della donna.[/SIZE]
[SIZE=2]“Stai meditando?” chiese il Maestro. “Posso almeno sperare che riguardi ciò che ti ho detto di cercare?”[/SIZE]
[SIZE=2]Il Maestro. Alatar. [/SIZE]
[SIZE=2]Appariva solo di poco più alto della media, muscoloso, solido, con indosso una giubba nello stile orientale, così fittamente ricamata in oro che era difficile vedere il blu sottostante, ma qualcosa in lui gli conferiva maggiore statura. Gli occhi erano più freddi del cuore dell’inverno. Il viso era quello di un vecchio, ma i segni dell’età sembravano un ornamento adeguato a quell’uomo. Qualsiasi cosa si frapponeva fra Alatar e la sua meta veniva tolta di mezzo. Travolta, annientata. Sapeva che il Maestro gli avrebbe ridotto le viscere in acqua al minimo segno percepito come offesa.[/SIZE]
[SIZE=2]Si scostò velocemente dalla finestra e si gettò in ginocchio davanti al Maestro. Disprezzava le streghe di Rò-Mollò, disprezzava gli Asha’man, disprezzava chiunque usasse il Potere, chiunque si immischiasse con ciò che poteva spezzare il mondo, chiunque adoperasse ciò che i figli di Eru non avrebbero mai dovuto conoscere. Anche Alatar usava il Potere, ma un Maia non era un semplice mortale. Non era affatto mortale, e se lo avesse servito bene non lo sarebbe stato nemmeno lui. “Padrone, ho visto messaggeri di Morija.”[/SIZE]
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[SIZE=2]“Qui?” Stranamente, per un attimo il Maestro sembrò colto alla sprovvista. Mormorò qualcosa sottovoce e lui impallidì nel sentire una parola.[/SIZE]
[SIZE=2]“Padrone, sai che non ti tradirei mai …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Tu? Sciocco. Non ne avresti il coraggio. Sei sicuro di aver visto uomini di Morija, oltre a quelli venuti con Arakhon?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Si, Padrone. Al porto, vicino a una delle loro navi orientali. So di poterli trovare di nuovo. La nave è giunta pochi giorni fa.”[/SIZE]
[SIZE=2]Alatar lo guardò tetro, carezzandosi la barba. Sembrava che stesse guardando attraverso di lui, e a lui non piaceva sentirsi insignificante, soprattutto quando sapeva che era vero.[/SIZE]
[SIZE=2]“No” rispose Alatar alla fine. “Ciò che dovrai fare è più importante. Sarà la sola cosa importante, per quanto ti riguarda. La morte di quegli uomini sarebbe conveniente, certo, ma non se attira l’attenzione dei governanti di questa città. Se dovesse risultare che la loro attenzione è già stata attirata qui, se dovessero interessarsi a ciò che farai, allora moriranno. Altrimenti questo può aspettare.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Ma …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non hai sentito chiaramente?” La barba di Alatar deformò il sorriso facendolo somigliare a un ringhio. “Di recente ho visto tua sorella Abrizir, a Ostelor. Non stava bene. Gridava e piangeva, agitandosi costantemente e tirandosi i capelli. Le donne soffrono più degli uomini, qualche volta, per le attenzioni dei miei Asha’man, ma gli Asha’man devono pur trovare piacere da qualche parte. Non ti preoccupare, non ha sofferto troppo a lungo. I Senzanima sono sempre affamati.” Il sorriso svanì, la voce era dura come pietra. “Anche quelli che disobbediscono possono ritrovarsi di fronte a loro. Sembrava che Abrizir sorridesse, alla fine. Pensi che tu sorrideresti?”[/SIZE]
[SIZE=2]Deglutì pur non volendo e represse uno spasmo al pensiero di Abrizir, con la risata sempre pronta e la sua conoscenza dei cavalli, Abrizir che osava galoppare dove altri temevano anche solo di camminare. Era stata la sua sorella preferita, eppure adesso lei era morta e lui no. Se nel mondo esisteva ancora la pietà, Abrizir non conosceva il perché del proprio destino. “Vivo per servire e obbedire, Padrone.” Non si riteneva un codardo, ma certo non avrebbe disobbedito al Maestro. Non più di una volta.[/SIZE]
[SIZE=2]“Allora mettiti subito in marcia!” gridò Alatar. “So che Arakhon è di nuovo libero, lui e i suoi soldatini di legno. Sono alla Torre Eterna! Erano nelle mie mani, tutto era pronto, adesso è da rifare. Ho percepito ciò che stanno facendo, li ho percepiti, li ho percepiti! Adesso andrai da loro assieme ai capitani che ti darò. Non farmi diventare impaziente.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Padrone …” Cercò di umettarsi le labbra. “Padrone, il deserto … attraversare il deserto d’estate è impossibile. E ci sono le spie dell’Assemblea. Non sono sicuro di quante siano, ma se solo sentono una parola … Mohfa …”[/SIZE]
[SIZE=2]Dopo avergli fatto cenno di tacere, Alatar fece alcuni passi veloci per tre volte, avanti e indietro, con le mani giunte dietro la schiena. Non sembrava preoccupata, solamente … pensieroso. Alla fine annuì. [/SIZE]
[SIZE=2]“Della donna dell'Assemblea occupati tu. Io ti manderò … qualcuno che si occupi degli alleati di Arakhon Eshe.” A quel punto rise. “Vorrei quasi poter vedere le loro facce, quando torneranno. Molto bene. Hai ancora un po’ di tempo. Poi forse offrirò le possibilità che ho dato a te a qualcun altro.” Sollevò una ciocca dei capelli di Eadur con un dito; la donna non si era mossa e lo fissava senza battere ciglio. “Questa bambina di sicuro afferrerebbe subito una simile occasione.”[/SIZE]
[SIZE=2]Represse una fitta di paura. Il Maestro degradava con la stessa velocità con cui promuoveva, e con la stessa frequenza. Non lasciavano mai un fallimento impunito.[/SIZE]
[SIZE=2]“Padrone, ucciderò Arakhon. Lo farò …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Hai davvero poco cervello” rispose Alatar con un altro sorriso. “Zalarit non si sbagliava su di te. Farai meglio a sperare di averne di più nell’eseguire i miei ordini. A quanto pare, non hai capito niente.” Sorrideva, ma sembrava tutt’altro che divertito. “Ripeterò ancora una volta. Deludimi e perderai tutta la tua famiglia. Adesso la protegge solo la mia mano.”[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "La Corona di Spade" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Giugno dell'anno 76 della Quarta Era. A Tul Harar.[/SIZE]
[SIZE=2]“Non posso, Hadnan. Quando Mu’had è tornato di fronte all’Assemblea ho pensato che fosse per annunciarci la morte di Arakhon Eshe, e la fine dell’alleanza con i Valdacli di Ostelor, ma non è stato così. Intendo concedergli il tempo di cui ha bisogno per tener fede ai suoi impegni.”[/SIZE]
[SIZE=2]L’uomo la fissava stupito. Mohfa aveva dei magnifici capelli neri. La sua bellezza era tale da sembrare esotica. L’espressione fiera le dava ancora più fascino. Se fosse riuscito a infilarsi nel suo letto anche solo pr una notte, forse … ma non sarebbe accaduto. Lui stesso aveva spezzato la volontà di molte persone, e riconosceva in Mohfa i segni di una forza non comune.[/SIZE]
[SIZE=2]“Hadnan, la tua offerta è generosa nei confronti della mia famiglia, ma non appoggerò una proposta come quella di Minjai, non apriremo le porte di Tul Harar a Naiman. Mu’had tornerà con i soldati promessi dagli Eshe. Mentre attendiamo il suo ritorno, libereremo la città dalla spie, Hadnan. Presto sapremo i nomi dei loro capi.”[/SIZE]
[SIZE=2]Mohfa era una donna molto intelligente. Eppure lui avrebbe scommesso comunque che, con un po’ più di tempo, e se solo …[/SIZE]
[SIZE=2]“Molto bene” le disse gentilmente Hadnan. “Se non puoi, non puoi. Lascerò cadere la mia proposta all’Assemblea. Forse scoprirai qualcosa di più, su questi rifugiati di Ostelor. Sono certo che ci riuscirai.” Alzandosi, la prese per le spalle, per accompagnarla, e la fece girare verso la porta.[/SIZE]
[SIZE=2]“Ti ringrazio, Hadnan. Il tuo consiglio e il tuo appoggio sono stati importanti …”[/SIZE]
[SIZE=2]Quando lei si mosse verso la porta, gli occhi già posati sulla maniglia, Hadnan torse il suo fazzoletto trasformandolo in una corda e lo strinse attorno al collo della donna. Cercò di ignorare i gorgoglii stridenti e il frenetico strusciare dei piedi sul pavimento. Le dita di Mohfa gli artigliavano la mano, ma Hadnan fissava dritto avanti a sé. Anche a occhi aperti, vedeva Isheia. Gli succedeva ogni volta che uccideva. Voleva molto bene a sua figlia, ma lei aveva scoperto cosa era diventato e non sarebbe rimasta in silenzio. Mohfa scalciava con furia ma, dopo un tempo che parve eterno, i suoi movimenti rallentarono fino ad arrestarsi, e la donna divenne un peso morto fra le sue mani. Hadnan tenne stretta la corda mentre contava fino a sessanta; poi la sciolse e lasciò cadere Mohfa. Prima o poi avrebbe capito. Che era un allievo del Maestro. Avrebbe puntato il dito contro di lui.[/SIZE]
[SIZE=2]Eliminare il corpo non sarebbe stato facile, ma per fortuna Hadnan aveva molti servitori fedeli, e i pochi che sapevano della visita di Mohfa l’avrebbero seguita nella sua tomba nel deserto. Forse poteva trovare l’uomo che aveva lasciato il messaggio sotto la porta. Probabilmente conosceva altri servi del Maestro.[/SIZE]
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[SIZE=1]Da "I Fuochi del Cielo" di Robert Jordan[/SIZE]
[SIZE=2]Nell’aria calda e umida dell’alba, mentre gli altri raggiungevano in silenzio i gradini di pietra che portavano alle stanze superiori, il Valdaclo appoggiò al muro la lancia, scrutando poco dietro a se, nella penombra del corridoio.[/SIZE]
[SIZE=2]“Sono sveglia, Arakhon.”[/SIZE]
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[SIZE=2]Il Valdaclo prese di nuovo la lancia, e percorse i pochi passi che lo separavano da lei, prendendo posto su un piccolo sgabello che aveva trovato in un angolo. Non dormivano da più di un giorno.[/SIZE]
[SIZE=2]“Come ti senti?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Mi sento meglio”, rispose Alall.[/SIZE]
[SIZE=2]“Saremo presto fuori.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Avresti dovuto sceglierti un avversario meno temibile, mio caro.” La voce di Alall tradiva la fatica che le costava parlare. “Ma tu vuoi dimostrargli di essere più forte. In fondo, ti ammiro per la profondità della tua anima e per il tuo modo di pensare.” Alall tossì leggermente, e sembrò respirare a vuoto per un momento. “Ah, se … il mio corpo fosse forte come i miei pensieri …”[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon si protese in avanti e la guardò. Presto Ender e Suri sarebbero tornati. [/SIZE]
[SIZE=2]“Sei libera da lui. Riacquisterai le forze. Ci vorrà un po’ di tempo, ma ci riuscirai.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Sei stanco, Arakhon … e ti preoccupi troppo. Si tratta di nostro figlio … o di Alatar … oppure di entrambi?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Alatar non vincerà. Avanzeremo verso sud e scacceremo gli Easterling. Se va tutto bene, libereremo Tul Harar entro la fine dell’autunno. Forse anche prima.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Sii prudente, Arakhon. Hai capito che cosa teneva legati me, Naiman, persino la giovane Urrit … ma Alatar non ci metterà molto a trovare altri servi … molti andranno a lui convinti di fare per il meglio, entusiasti del loro ideale …”[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon si inumidì le labbra. “Sono ancora in ansia per Artagora. E per Farah. Non ha mai raggiunto l’uscita di questo palazzo, ci sta aspettando da qualche parte.” Si accigliò. “Puoi dirmi come liberarla dall’incantesimo? Non posso far sapere a Ender che mi fido di te, non sarebbe vero comunque, non completamente. Ma penso di poterlo fare. T’immagini che cosa potrebbe succedere?”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non è poi così terribile, Arakhon … Farah sta bene. Almeno non sente di esser debole. Se non dovesse vedere il nuovo giorno, potrai comunque esser sicuro che sarà morta felice … non così con me …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Potrei fare questo, Alall, ma potrei anche strapparti la verità.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Non puoi … non posso liberare Farah dall’incantesimo, è troppo ... Non ho mai potuto farlo, mio caro.” Un tono di lieve divertimento trasparì dalle parole di Alall.[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon annuì. “Me l’aspettavo.” [/SIZE]
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[SIZE=2]Si alzò e le offrì un sorso d’acqua dalla bottiglia che aveva trovato su un tavolo. “Non dovresti parlare. Non dovrei parlarti. Non ti voglio stancare.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Posso sempre ascoltare …”[/SIZE]
[SIZE=2]“Allora … ascolta soltanto. Non posso negare che il fatto di parlarti, e di sapere che mi ascolti come se tu fossi mia amica, mi sembra strano. Ma è come se sentissi che è giusto, e mi aiuta a chiarire le idee. E so che non è l’incantesimo di Alatar. So che non sei più la stessa che ho combattuto.” Si protese verso di lei e le toccò la fronte. “Sei molto calda.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Starò meglio … e poi hai ucciso tutti i guaritori, non c’è nient’altro che tu possa fare per me, hai già fatto tutto quello che potevi … e te ne sono grata. Continua …”[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon aprì la bocca come per protestare, poi sorrise debolmente e proseguì. “Alatar … non ha più nessuno qui se non Urrit. Non è forte a sufficienza, altrimenti l’avrebbero già usata per aprire la via, per entrare nella Torre. E finora, in tutti questi mesi, non avete scoperto nient’altro. Ciò non toglie che stavate tramando qualcosa. E io so che tu hai capito. So che hai capito, e che anche Alatar sa.”[/SIZE]
[SIZE=2]“Allora … è meglio … che tu sia molto prudente … e che te ne vada da qualche parte lontano da qui … a meno che tu non desideri entrare … sai già tutto ciò che ti occorre, mio caro. Ma hai bisogno … di qualcuno che abbia forza … che possa toccare … l’essenza del mondo. Nient’altro che questo … e se non ci fossimo … distratti …” Alall impallidì.[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon si alzò di colpo e la sollevò a sedere, appoggiandole la schiena al muro, e reggendole il capo. Si rese conto che non aveva più i disegni sul viso, e che il suo viso era dolce. Vide, allora, che i segni tracciati dai guaritori sulle braccia di Alall si erano trasformati in rivoli di un inchiostro dal colore simile a sangue scuro, e che erano diventati indistinti, quasi invisibili.[/SIZE]
[SIZE=2]“No … starò subito meglio … se vuoi entrare nella Torre, Arakhon … tu puoi … se entrerete … nessuno di voi ne uscirà … non sarà come prima. Cambierete … ” Alall si appoggiò sulla mano e sul braccio destro. Arakhon vide la sofferenza nei suoi occhi, e la paura. “Un momento … Arakhon … tienimi la mano …”[/SIZE]
[SIZE=2]Arakhon continuò a reggere il capo di Alall con una mano, mentre con l’altra teneva la sua mano, la mano che lei stringeva forte. E non la lasciò, mentre guardava Alall scivolare verso il niente, e morire, fino a quando il suo respiro si fermò. Allora le chiuse gli occhi, rimpiangendo di non aver conosciuto la donna che Alall era stata prima di incontrare Alatar, e chiamò Suri.[/SIZE]
[SIZE=1]Da "Tenebre" di L.E. Modesitt[/SIZE]
[FONT=Comic Sans MS]La Compagnia[/FONT][FONT=Comic Sans MS] della Luna si apprestava mestamente ad uscire dalle rovine del Menelcarca… La gioia per aver ritovata sana e salva la principessa Arcil non compensava il dolore per la scomparsa della regina Wei.[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Ad attenderli nell’ampia sala dell’ingresso, oltre agli uomini di Nindamos, c’erano il campione dell’ umanità Xan, l’uomo perfetto, la probabile spia del loro vero nemico, assieme ad una decina dei suoi uomini, possenti quanto lui.[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Tutto accadde velocemente: non appena i due gruppi si avvicinarono, lady Arcil fissò il possente hatoriano ed abbandonò il braccio di Arakon che la sosteneva. Non appena Xan fu ad un passo da lei, lo sguardo della donna si fece improvvisamente lucido; fulmineamente estrasse dalla sua veste un pugnale di cristallo e lo affondò nella gola del guerriero il quale, con gli occhi sbarrati dallo stupore, si portò le mani al collo e crollò sul pavimento, mentre la principessa si avventava su di lui, continuando a colpirlo. Gli uomini di Xan, colti alla sprovvista, esitarono per un istante, in quel momento la voce di re Arakon tuonò: “Uomini di Nindamos! Difendete la vostra signora!” Tutti, a questo punto, sfoderarono le loro armi e si gettarono sugli hatoriani. Re Arakon, Artagora, Suri, Ender e Daoud si frapposero fra la principessa, che continuava ad infierire sul corpo di Xan, e gli uomini di quest’ultimo i quali, visto il loro capitano in difficoltà, cercavano di raggiungerlo mentre Tuija, opportunamente, si defilava dal combattimento imminente.[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Due hatoriani si gettarono addosso al re, mentre gli altri impegnarono i suoi alleati… Daoud fissò il massiccio guerriero che gli si parava innanzi e ripensò a quando suo padre Mutamìn istruiva lui ed i suoi fratelli nell’arte della scherma: “Vedete ragazzi” diceva “se temete che il vostro avversario sia più forte di voi, la vostra unica speranza è di essere più veloci di lui! Quindi dovete colpire sempre per primi, altrimenti non avrete nessuna possibilità! Prendete esempio dalla vipera del deserto, che non ha paura di attaccare anche gli uomini e che colpisce così velocemente che, a volte, non si riesce ad evitare il suo morso!”[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Daoud attaccò prima che l’hatoriano riuscisse a chiudere la guardia, affondando la sua spada nel petto massiccio dell’avversario, che spirò senza emettere un grido.[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Il principe del deserto si girò verso i suoi compagni: Artagora combatteva nel mezzo della confusione, re Arakon teneva testa ai suoi avversari, che non riuscivano ad assestare un colpo su di lui, mentre Ender e Suri stavano arretrando sotto i colpi degli avversari: sia loro che gli hatoriani erano feriti, anche se non in modo serio. Daud fece per affiancarsi ad Ender, che gli era più vicino, ma quest’ultimo, accortosi delle intenzioni del compagno gli gridò “No! Aiuta Suri!”[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Velocemente l’haradrim si portò alle spalle dell’avversario che, con un colpo possente aveva stordito Suri e si preparava a colpirlo nuovamente… la punta di una spada che gli sbucò improvvisamente dal petto non gli lasciò il tempo di farlo.[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Dopo che Suri ebbe recuperato, assieme i due esaminarono la situazione: Arakon conteneva ancora gli attacchi dei due avversari mentre Ender, complici forse le eccessive libagioni del giorno prima, era in palese difficoltà. Daoud stava per dire a Suri di affiancare il re, quando scoprì che il compagno ci aveva già pensato da solo, quindi si lanciò in aiuto del valdaclo. Questa volta l’avversario hatoriano lo sentì arrivare, ma non riuscì a girarsi in tempo per evitare di essere decapitato da un preciso fendente del principe del deserto. A quel punto, Daoud ed Ender si unirono a re Arakon ed a Suri, eliminando gli ultimi due avversari, mentre Artagora ed il resto della guarnigione di Nindamos sgominavano i rimanenti uomini di Xan.[/FONT]
[FONT=Comic Sans MS]Quando tutto finì, re Arakon si inginocchiò accanto alla principessa Arcil, che ancora continuava ad infierire sul corpo oramai inerte di Xan, la bloccò con gentilezza e le tolse delicatamente il pugnale dalle mani, mentre Xan ed i suoi lentamente riacquistavano le loro vere sembianze, ovvero statue di creta…[/FONT]
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