Non erano passati che due giorni dall'incontro con le driadi e già un brusco risveglio fece tornare Loras alla realtà.
Qualcuno stava tentando di avvicinarsi all'accampamento che avevano stabilito nelle vicinanze del campo di battaglia, doveva essere lucido e vigile se voleva avere qualche possibilità di avvertire i suoi compagni in tempo prima che gli o l'intruso facesse irruzione. Nascosto dalle ombre della notte si acquattò, tentando di capire da che parte sarebbe avanzato il pericolo.
Il silenzio rotto solo da qualche canto di animali notturni lo faceva rabbrividire, era sicuro che lo avrebbero colto alla sprovvista, essi sapevano che lui era li ad ascoltare. Dopo alcuni istanti, che parvero un'eternità, il tocco freddo di un coltello puntato alla sua gola lo fece trasalire.
“Non gridare ...”
La voce femminile che gli proveniva dalle spalle non era ciò che si era aspettato, comunque non sarebbe stato in grado di agire tanto rapidamente senza rischiare inutilmente la vita, decise quindi di assecondarla.
“Alzati e dirigiti verso quella direzione ...” fece la donna.
Come un automa Loras si alzò piano e cominciò a camminare verso il punto indicatogli.
Arrivati a destinazione si ritrovò due archi puntati direttamente alla testa, dietro c'erano due elfi che lo guardavano con disprezzo.
“Credo che le armi ora non servano più, costui è Loras uno dei servitori di Artagora di Hathor ...” mentre la lama ghiacciata lentamente si ritraeva dalla sua gola e gli archi si abbassavano all'unisono.
“Ci scusiamo per averti trascinato con la forza, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto; devi portarci da Artagora ho bisogno di conferire con lui ...”.
Deglutendo a fatica l'uomo si girò verso la persona che gli aveva parlato: “Prima mi minacciate e poi volete il mio aiuto?”
“Permetti che mi presenti: io sono Tara e questi sono Borgil fratello del Re ed Elendil la mia scorta, ci serve che tu ci accompagni al tuo accampamento in modo che le donne che sono con voi non facciano azioni avventate nei nostri confronti.”
Niara era nelle vicinanze e sapeva che l'avevano catturato, mentre Maité sarebbe stata sicuramente all'oscuro del suo destino. Pensando a loro disse freddamente: “Va bene vi accompagnerò ... se volete seguirmi ...”
Al campo ormai erano tutti svegli con le armi in pugno, Maitè vedendo Loras alla testa di quel gruppo fece a tutti il gesto di abbassare le armi.
A una decina di metri Tara chiese ad alta voce di voler vedere Artagora, che si fece largo tra gli sguardi incuriositi dei compagni.
Dopo le presentazioni i due si allontanarono per parlare in privato.
Loras, dal canto suo, si sedette su una pietra vicino al fuoco pensando a quanto stava succedendo. Il destino è un grosso dilemma: crudele e spietato in certi momenti, dolce e tenero in altri.
Il pensiero gli tornò alla notte passata con Niara nel suo viaggio dal Passo Fiammanera alla piana di Alsarias, l'esplosione di piacere provata nel ritrovarsi intimamente con una creatura bellissima, quanto era la mezzelfa, e il ribrezzo nel ritrovarsi faccia a faccia con degli elfi che lo disprezzavano, a priori, dall'alto della loro regalità.
L'incontro tra Tara e Artagora, ne era certo, lo avrebbe portato ad un altro lungo viaggio in compagnia di questo nuovo gruppo. Come avrebbe reagito se gli avessero rubato ciò che lui aveva conquistato in questo lungo tempo trascorso fuori dalle mura di Ostelor? Staccarsi dalla realtà ed ubbidire rigorosamente agli ordini dettati dai suoi nuovi compagni, fu la risposta che si diede altrimenti la sua vita sarebbe presto giunta al termine.
***
Le mappe diventavano sempre più difficili da decifrare, anche perchè la sua attenzione era incentrata nell'osservare, senza dare nell'occhio, chi lo controllava.
Il colloquio avuto con Artagora la notte prima era stata spiata da quella che li intendeva portare tutti verso una destinazione costellata da numerose insidie.
Tara sembrava non aver intenzione di interferire sulle azioni che Loras avrebbe compiuto nel momento in cui sarebbe stato sicuro di aver una via di scampo, anzi, tentava di apparire la più fiduciosa di tutto il gruppo nei suoi confronti cercando, al tempo stesso, di fargli cambiare idea sulle sue intenzioni e sulla sua bontà.
Salvare la Terra di Mezzo dal male che la stava per invadere, questa era la sua missione: un nuovo Oscuro signore stava acquisendo sempre più potere e lei doveva raggiungere una fortezza a Nord oltre le montagne, dopo un deserto per conferire con i signori di quel luogo.
Tutti buoni propositi che a Loras importavano meno degli escrementi del cavallo di Borgil. La donna era stata più volte una voltagabbana, aveva combattuto prima per una fazione e poi per l'altra, inducendo diversi temporanei alleati a seguire le sue indicazioni sullo schieramento in campo delle forze per poi sparire e combattere dall'altra parte assicurandosi le vittorie.
“Chissà come sarebbe stata se fosse vissuta in una fattoria a coltivare l'orto e la prole di un contadino” questo pensiero indusse l'uomo a sorridere e a notare la fantastica giornata di sole che li attendeva nel cammino verso il passo Fiammanera.
Dopo qualche giorno la vista della fortezza rianimò lo spirito di Loras ormai spento dopo l'aver notato l'interesse che Niara provava per uno dei nuovi arrivati. Presto l'avrebbe persa e non avrebbe potuto farci niente. Il destino aveva deciso di togliergli quello che gli aveva fatto assaporare, di cui non gli rimarrà soltanto che il sogno di una notte. Ma non solo quello, con Niara la sicurezza era diventata reale, gli spettri delle terre selvagge li avevano appena sfiorati e, da quando lei faceva parte del suo gruppo, ogni pericolo era diventato un facile ostacolo da superare. Non conosceva i piani dei suoi nuovi sgraditi compagni, alti e sicuri nelle loro scintillanti armature di elfica fattura, ma sapeva che presto o tardi quella sicurezza di cui non poteva fare a meno avrebbe seguito un suo percorso diverso da quello che stava per intraprendere lui.
La narrazione della battaglia di Alsarias di Artagora nella fortezza rivelò a Loras eventi di cui era completamente all'oscuro. La comparsa del demone sulle mura non era stata pubblicizzata da nessuno dei suoi compagni in tutto il viaggio.
La scoperta di questi nuovi eventi lo indussero, appena raggiunto l'accampamento fuori dalle mura, ad appartarsi con Maité e a chiederle chiarimenti in merito senza essere spiati dagli orecchi sempre vigili e attenti dei militari della scorta di Tara.
Non fu sorpreso dal venire a conoscenza che la donna sapeva tutto riguardo quello che era successo sul campo di battaglia, ne dalle rivelazioni riguardo i sentimenti e la vita che la riguardava. La sorpresa fu quando Maité gli rivelò uno degli scopi che Loras poteva prendere ad esempio come scelta di vita: la convivenza pacifica e cordiale tra le diverse razze umane e semiumane che popolavano la Terra di Mezzo. La visione di intere città abitate da culture diverse e in perfetta sintonia rendeva l'animo colmo di gioia e felicità dell'uomo. Alla fine di quell'istante che si protrasse all'infinito Loras si mise a ridere e in cuor suo sperò ardentemente che fosse anche il vero sogno dell'elfa che aveva davanti. In fondo bisogna dare una possibilità a tutti per riscattarsi.
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Per certi versi, per come la vedeva Maité, quella regione era morta come le zone bruciate delle Terre Selvagge che aveva attraversando venendo a ovest, anche se l’erba copriva il terreno e le foglie riempivano gli alberi. Tutto, ai suoi occhi, aveva quell’aspetto scolorito, come indumenti lavati troppo spesso e lasciati troppo tempo al sole.
Diverse volte si erano fermati vicini a dei torrenti, e l’acqua era bassa, anche se spesso si era scavata un letto profondo fra due rive. Era limpida tranne per il fango che i cavalli smuovevano, ma non aveva il colore dell’acqua delle foreste di Taaliraan. Borgil l’assaggiava per primo, e faceva aspettare gli altri prima di distribuirla e lasciarli bere; in bocca a Maité, l’acqua era fresca, ma questo era il meglio che se ne potesse dire. Per lei, aveva un sapore piatto, come se fosse stata bollita.
Borgil, in testa alla loro breve colonna, sempre assieme a Tara, cantava sottovoce, mormorando quasi con timidezza. Maité aveva sentito le canzoni degli Elfi degli Alberi molti anni prima, quando la Torre era ancora alta e forte e la brezza portava il profumo del mare attraverso le finestre della sua piccola stanza, a Tharin. Sembrava canto puro, musica senza parole, almeno nessuna parola che lei potesse decifrare; la lingua dei Silvani era segreta, e se c’era un testo, si dissolveva nella melodia come l’acqua affluiva nei torrenti. Niara era poco dietro a loro, e ascoltava a bocca aperta; delicato com’era, il canto l’aveva rapita, distratta, riempiendole la mente quasi come un vuoto. Maité la guardava preoccupata; il Talento stava scomparendo; forse questi elfi di Valagalen erano fra i pochi ad averlo ormai, e questo rendeva la voce di Borgil ancora più preziosa. E più insidiosa.
Avevano ormai cavalcato per metà della mattinata, quando Nirien le si avvicinò, e le porse le mani nel saluto elfico.
“Cugina, ché tale io ti considero. In questi giorni, mai ci siamo parlate un poco più a lungo, e ti chiedo scusa. Fra noi sei la benvenuta. Il re Eäromä vorrà certamente conoscerti, quando torneremo a Valagalen. Ivi potrai dimorare a tuo piacimento, salvo che dovrai restarci senza più dipartirti dal nostro regno, essendo la legge di Eäromä che nessuno, il quale trovi la strada per venire nel Galen, possa poi andarsene. A meno che tu non preferisca le terre degli Uomini e ivi potrai vivere come più ti piace.”
Maité però ignorò il gesto di Nirien e la mano che le veniva porta. “Io non riconosco la tua legge” replicò. “Né tu né nessuno della tua stirpe in questa terra avete il diritto di impadronirvi di regni o di stabilire confini, ovunque siano. Questa terra appartiene al mio popolo, al quale, alleandovi con gli Uomini, voi arrecate guerra e turbamento, comportandovi in maniera offensiva e ingiusta. Non mi curo affatto dei vostri scopi e dei vostri segreti, né sono venuta per spiarvi, ma soltanto per reclamare ciò che è nostro. E vi accompagnerò solo finché ciò mi sarà vantaggioso. Pure, per quanto io sia stupita dalla decisione di un Luminoso di mescolarsi a voi, ebbene, è un suo diritto, e se così vuole che con voi resti: lasciamo che rimanga nella gabbia, dove ben presto s’immalinconirà, come è già accaduto. Non altrettanto vale per me.”
Nirien rimase per un momento in silenzio, poi si raddrizzò, e rispose con voce severa.
“Non intendo discutere con te, Elfo Scuro. Le spade e il coraggio dei Fuinàr costituiscono l’unica difesa delle tue terre senza sole. La salvezza della tua vita la devi alla mia stirpe; e, non fosse per essa, già da un pezzo ti troveresti ridotta in servaggio in qualche casa dei Valdacli. E qui Eäromä è Re. E, che tu lo voglia o meno, il suo giudizio è legge. Quest’unica scelta ti è concessa: di viaggiare e tornare con noi e vivere in Valagalen, o di morire laddove ci fermeremo prima di voltarci a ovest; e lo stesso vale per chi hai portato con te.”
Maité guardò Nirien negli occhi; non era affatto intimorita, ma rimase a lungo immobile e muta. E Nirien ne fu suo malgrado spaventata, perché la sapeva pericolosa.
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Alla fine di quell'istante che si protrasse all'infinito, Loras si mise a ridere, e in cuor suo sperò ardentemente che fosse anche il vero sogno dell' Elfo che aveva davanti.
Maité ascoltò Loras, e gli sorrise. Ben poco poteva egli capire del passato, e di ciò che sarebbe stato nel futuro. La via era buia, e gli ultimi Luminosi abbandonavano le aule di Eä. Dalla beatitudine la vita di Maité era passata al dolore; lei voleva, ora, tentare l’altra strada, di giungere dal dolore alla gioia.
Così parlò a Loras, con queste parole:
"Così, dunque, amico mio! Tra i fiori radianti dei giardini di Tanith, illuminati dal riflesso della luna sul mare, guardavo le stelle; nelle grandi montagne di Pelòri c’era una breccia, e, nella profonda vallata che dalla mia casa scendeva verso il mare, un’alta collina verde. Su quella collina sbocciavano i fiori più belli che mai si fossero visti a est dei Monti di Aman.
E quanto era bella la nostra città, dalle mura e i contrafforti candidi; e la più alta delle sue torri era la Torre della Regina, Mindon Telumendil, il cui faro d’argento brillava da lontano tra le brume del mare. Poche sono le navi di Uomini mortali dalle quali se ne sia scorto l’esile raggio. Là a lungo vivemmo in pace. E poiché di tutti i ricordi di Valinor molte di coloro che erano state all’Ovest amavamo soprattutto l’Albero Bianco, le Sorelle ne costruirono per loro uno che era come un’immagine ridotta di Telperion, salvo che non dava luce propria: Galathilion, così era detto in lingua Sindarin.
Grande era la nostra scienza e l’abilità, Loras; il culmine della gloria e della felicità. Ma ancor maggiore era la nostra sete di nuove conoscenze, e sempre gli allievi superavano i maestri. E tagliavamo e foggiavamo gemme estratte dalla terra, e conferivamo loro molte forme. Non le tesoreggiavamo, ma le davamo liberamente, ed esse arricchivano tutta Ardor. Molti gioielli diedero noi i Noldor, opali, diamanti e pallidi cristalli, che spargemmo sulle rive e gettammo nelle lagune; meravigliose erano le spiagge in quei giorni, e d’inverno nuotavamo, oppure avanzavamo nelle onde sulla battigia, i capelli scintillanti alla luce del tramonto. E se desideravamo, potevamo recarci al Menelcarca e calpestare le sue strade dorate e calcare le scale di cristallo che portavano in alto, fino a scorgere Valinor stessa.
Di’ questo, Loras, a chi ti chiederà, un giorno, perché io abbia intrapreso questo cammino. Se Maité non può abbattere le mura nelle quali i suoi fratelli e le sue sorelle hanno chiuso il loro cuore, perlomeno non esita nell’assalirle, e non se ne sta in preda a oziose recriminazioni. E può essere che Eru abbia messo in me un fuoco maggiore di quanto Nirien creda. Io continuerò la mia marcia, e alla fine essi capiranno, e mi seguiranno. Proprio così!”
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