di Pongo
AraKhon camminava.
Un cane bavoso, enorme e nero lo seguiva ansimante, lo teneva al guinzaglio il suo servo, Suri, un ragazzo giovane e biondo che proveniva dalle isole. “Ponto è contento signore!” disse lo sbarbatello.
AraKhon si bloccò.
Il cagnaccio urinò all’angolo di una casa e poi annusò la sua piscia soddisfatto di essere a terra dopo più di un mese.
AraKhon avanzava.
AraKhon apriva la strada ed alla sua destra lo seguiva un principe dei deserti del Nord dal nome di Mutamin. Il nobile era abbigliato nella maniera tipica della sua gente con un turbante che gli fasciava la testa e guardava avanti cercando di capire dove stessero andando.
Lì vicino un altro uomo, d’arme sicuramente, un capitano, con il volto imbronciato, con una spada gigantesca al fianco; un uomo violento, feroce, con una lingua tagliente quanto il grosso penzolante ferro alla cintura, tanto che si diceva che l’abilità di ferire con l’una non era minore di quella dell’altra. Ender il sanguinario guerriero sputò a terra, nella sabbia, infastidito dallo sciamare della gente la attorno.
AraKon era arrivato da Ovest ed era ora nel deserto, all’inizio del deserto, a Tul Harar.
Una città frenetica; mercanti d’ogni specie, artigiani, bottegai, odori, schiavi, nobili titolati, mutilati, ladri, bestie da soma, olezzi, forzati, sgualdrine, fragranze, militi, trafficanti, operai, puzze, briganti, nomadi, storpi, mercenari blasonati, imbonitori, polvere, marinai, aromi, mendicanti, assassini prezzolati, pezzenti, spiantati erano tutti lì.
Tutti lì intorno.
AraKhon ambulava.
Si spingeva avanti a tutti. Una donna dal bel sorriso alla sua destra lo conduceva avanti con passi sicuri. Un’amica d’infanzia, cresciuta nella sua casa tra la sua servitù, compagna di giochi da piccola, compagna di viaggio da adulta, ora. La bella Tara. Ma AraKhon faticava a tenere quel passo calmo e inconsapevolmente la superava ed allora lei, scattava un paio di metri dicendogli da quella parte oppure indicando con la mano di qua.
AraKhon si inoltrava.
Osservava.
Sapeva che il deserto era laggiù oltre quel porto, oltre quelle mura e salito lungo le strade nella parte più alta della città lanciò lo sguardo oltre le fortificazioni e non vide il deserto, ma un fiume che scendeva verso di lui con le sponde verdi piene di vegetazione. Si chiese quanto fossero distanti la famose sabbie e le Montagne Gialle.
Qualcuno lo urtò.
AraKhon passò oltre.
Non era importante cosa quella gente, cosa quel mondo che cominciava laggiù si aspettasse da lui. Se fosse un facoltoso, un ottuso, un taccagno, un pervertito o che altro.
Si passò l’avambraccio sulla parte superiore della faccia per nettarsi il sudore della medesima. Sentì la dura carne della cicatrice che come un tatuaggio gli si snodava sulla fronte e lo accompagnava da quando era giovane.
Arakhon procedeva.
Lo raggiunse uno studioso di musica, medicina, alchimia ed arti arcane; mastro Chyriare era nel seguito di AraKhon in questa nuova landa.
AraKhon proseguiva.
Il tatuaggio sulla fronte gli si mosse ed accentuò il tormento di quei primi passi dall’altra parte del continente.
Avrebbero detto di lui che era un lussurioso, un beone, uno sperperatore di oro. Poco importava.
Due settimane dopo AraKhon decise di risalire il fiume.
AraKhon incedeva.
Si spingeva.
Avanzava.
Verso tutto e tutti.
Contro tutto e tutti.
Non si sarebbe fermato.
AraKhon marciava.
Ed il drappello lo seguì fino in fondo.
…dagli appunti di viaggio di Suri “ I miei viaggi ad Ovest 74-75 Q.E.”
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