Il sole era scomparso ormai da molto tempo dietro l'orizzonte, il fuoco da campo crepitava mentre Loras ci scaldava sopra una salsiccia. Le ombre proiettate dalla debole luce prodotta non erano inquietanti quanto quelle delle terre selvagge. Non c'era nulla di cui aver paura, gli elfi erano li e lo proteggevano.
Il Fato gli aveva imposto questo viaggio e lui lo aveva accettato facendo buon viso a cattivo gioco, in fondo doveva più di un favore ad Amak..
Le sue due compagne di avventure erano spettri nella foresta; pur capendo i primitivi segreti dell'osservazione non era in grado di parlare con la terra e dedurre dove esse si trovassero, anche se sapeva benissimo che lo seguivano come un'ombra. Lui era nato e vissuto in città, sarebbe trascorso ancora molto tempo prima di riuscire a comprendere quei segreti.
Addentò il cibo appena cotto, quando si accorse che Maite era accanto a lui che guardava il fuoco, sembrava fosse stata sempre li, immobile come una roccia con lo sguardo fisso sulle fiamme.
“Ne vuoi un po'?”
“No grazie, non ho bisogno, ho già mangiato.”
“Sai dov'è Niara?”
“Certo.”
Non avrebbe ricevuto indicazioni sul dove, a meno che non glielo avesse chiesto esplicitamente, ma se la donna avesse continuato a comunicare così le avrebbe estrapolato ben poche informazioni. Non ne valeva la pena e l'elfa non si fidava di lui: era chiaro, quindi decise di cambiar discorso.
“Chi è stato a conciarti in quel modo?” fino a quel momento Loras non aveva proferito parola riguardo l'ematoma sull'occhio di Maite.
“Un uomo che conosci.”
Le grida che l'uomo ricordava di aver sentito provenire dalla casa di Oric nelle terre selvagge tornarono alla sua memoria ...
“Allora eri tu ...”
Non ci fu risposta.
Loras tirò fuori il coltello e cominciò ad affilarlo, mentre spostò lo sguardo verso il fuoco.
“Lo ucciderò!”
“Devi crescere ancora molto, Loras ...”
“Si lo so, ma gente come quella non dovrebbe vivere.”
“Vi abbiamo seguiti sin da quando entraste nel bosco e voi non ve ne siete mai accorti.”
“Nemmeno i briganti, al campo dell'armata che abbiamo passato, mi hanno notato.”
Silenzio.
“Ma tu parli al plurale, c'era qualcuno con te?”
“Si”
“Chi?”
“Altri due.”
“E che fine hanno fatto?”
“Sono morti.”
“Chi ... è ...”, ma le parole gli morirono in gola, il principe e i suoi mastini si erano macchiati di altri due delitti.
Passò diverso tempo prima che i due tornassero a comunicare, il fuoco stava languendo: “Vuoi dormire qua?”
“Gli elfi non hanno bisogno di dormire.”
“Siete ancora molti?”
“Non tanti come una volta”
“Perchè mi stai aiutando?”
“Voi avete aiutato noi.”
“Nella guerra dell'anello intendi?”
“No.”
Maite era una bellissima elfa, ma il suo esprimersi a monosillabi rendeva Loras inquieto e poco propenso a stringere qualsiasi tipo di amicizia con lei, al contrario di Niara che, quando poteva, cercava di parlare il più possibile, con il suo gesticolare.
Apatica era l'aggettivo più consono pensò l'uomo, forse la roccia sarebbe stata più morbida da penetrare. Non c'era traccia di speranza negli occhi della donna, l'allegria che, forse, li aveva illuminati un tempo era scomparsa.
“E' venuto il tempo, per gli uomini, di dominare il mondo.”
“Questo ti preoccupa?”
“Siete deboli, vivete poco.”
“Impariamo in fretta, evolviamo, non come voi che ve ne andate piuttosto che ammettere di aver sbagliato.”
“Noi non saremo mai amici Loras, lo sai?”
“Certo, ma non per colpa mia. Buonanotte!”
L'uomo spense le ultime braci e si ritirò nella tenda, mentre Maite scomparve nel buio della notte.
Non avevano più molta strada da fare. Loras aveva voluto partire quasi subito dopo la battaglia del passo; Hamac aveva accettato.
Seduto fra le rocce, al buio, ringraziò Niara per esser rimasta accanto a lui. La notte era fredda, non avevano potuto correre il rischio di un falò; giù, sulla piana, vedevano i fuochi da campo dei due eserciti, a centinaia, come stelle bianche e rosse sulla linea della terra.
Loras fissò Maité, lontana fra gli arbusti. C’era in lei troppo degli Elfi perché si potesse sentire tranquillo in sua presenza. Diceva e disponeva delle cose con un’essenzialità penetrante. Come Niara, era più bella che mai, ma i suoi occhi blu erano sempre offuscati dal grigio di un’ansia che Loras non riusciva a comprendere. La fronte era corrugata così spesso che quando rilassava il viso si vedevano le linee pallide della pelle che non era stata raggiunta dal sole.
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Maité era debole. Le sue ferite erano gravi, e per quanto si fosse ripresa piuttosto bene durante le settimane passate alla locanda di Hamac, Loras doveva spesso aiutarla a camminare, e nei tratti più difficili non ce l’avrebbe fatta senza di lui. In quei momenti, quando Maité cedeva al dolore abbandonando tutto il suo peso sulle spalle di Loras, ed egli ansimava per la stanchezza, Niara guardava entrambi, come se fosse incapace di capire che cosa stesse succedendo, e poi scompariva di nuovo nel bosco o si allontanava ridendo.
Un giorno, poco dopo l’alba, mentre Maité stava seduta a scrutare verso ovest, Loras si era avvicinato e aveva chiesto se vedesse cose che agli Uomini erano celate. Come se non avesse sentito la domanda, Maité aveva detto piano: “Ci deve essere una soluzione. Nulla, nessuno può andare avanti così. Ci deve essere una strada che conduce alla fine di tutto questo.”
“Presto verranno le tempeste d’autunno” aveva risposto Loras, “E il gelo toccherà gli alberi. Le tempeste non sono mai lontane dietro al primo gelo, e con le tempeste per le città della costa viene la pace.”
“Pace? Ha”. Maité aveva emesso un suono incredulo. “E’ pace giacere svegli e chiedersi chi sarà il prossimo a morire? Questa non è pace. Questa è una tortura. Ci deve essere una strada. E io intendo trovarla. Grazie a te, io posso trovarla.”
Le sue parole erano suonate quasi come una minaccia. Si erano guardati, e dopo un poco Loras era riuscito a trovare parole di circostanza che Maité era sembrata quasi disposta ad accettare, e si erano fatti compagnia nel breve tempo che rimaneva prima che Niara tornasse e che si rimettessero in marcia. Ma una pentola aggiustata non è mai resistente come una intera, e Loras aveva maledetto il giorno in cui Maité era comparsa.
Il ricordo di quella giornata, però, l’aveva innervosito. Non sarebbe riuscito a dormire; il terreno sembrava fatto solo di spuntoni di roccia e acuminati aghi di pino, e nonostante fosse piena estate, spirava un vento gelido. Un presagio di ciò che sarebbe accaduto il giorno dopo di fronte a quelle mura, forse; molti, ad Alsarias e sulle colline poco a occidente della piana di Maldor, non avrebbero dormito. Come se non bastasse, Maité si era messa a mormorare parole incomprensibili nella sua lingua Elfica, e a cantare piano una melodia, un canto che a Loras non piaceva tanto.
Chiuse gli occhi. Tentò di non pensare e di lasciare il resto del mondo fuori dalla sua testa, come faceva sempre quando si trovava a dover dormire fuori dal suo letto. Era diventata da tempo un’abitudine.
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Qualcosa lo toccò furtivamente sul viso. Riconobbe subito i modi di Niara, e quindi si limitò a riaprire gli occhi e guardare verso di lei piuttosto che balzare in piedi, la lama in pugno. Niara dovette però accorgersi della sua ansia, perché gli si buttò subito fra le braccia, senza esitazioni o riserve. Loras ne fu stupito, per un momento non seppe cosa fare e molte domande gli attraversarono la mente. Il canto di Maité si sentiva più forte, e Loras si chiese se questo significasse qualche cosa. Niara si mosse contro il suo corpo. Loras accarezzò i suoi capelli splendenti, la guardò negli occhi. La passione che in un attimo lo travolse fu come un’inondazione di primavera che si riversa senza preavviso nel letto di un torrente, spingendo via tutti i detriti dell’inverno. Le sue intenzioni di intrattenere una conversazione tranquilla e il ricordo di Kiryazis furono spazzati via. Niara rimase senza fiato mentre Loras la stringeva con forza, poi si arrese a lui. Quando lo baciò famelica, si sentì all’improvviso a disagio, senza capire del tutto perché lo desiderasse. Era così giovane e così bella. Sembrava vanità credere che potesse volere qualcuno malridotto e consumato come lui. Non gli permise di indugiare su quei dubbi, ma lo attirò su di sé senza esitazione.
Più tardi avrebbe ricordato immagini di capelli rossi sparsi sulla coperta, il profumo di miele e di montagna della sua pelle, perfino il modo in cui gettava indietro la testa e mormorava il suo fervore.
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La creatura spiegò le sue ali, e scivolò verso Alsarias, nel mare della notte, con un grido soffocato che Niara e Loras non udirono.
Maité chiuse gli occhi. Sulla sua mano c'era ancora un leggero tremito. Sapeva di aver schermato bene i suoi pensieri. Lo aveva sempre fatto quando era in presenza di Uomini. Niara, dunque, non aveva schermato i suoi. Naturalmente, non sapeva come farlo.
Debole, si alzò; piano, attenta a non muoversi troppo in fretta per non cadere, iniziò a cancellare, con la mano, i segni del cerchio.
Non aveva deciso lei quello che era successo. Dubitava che lo avesse deciso qualcuno. Sperò di essere stata l’unica ad aver percepito la creatura appieno. In tal caso non ci sarebbe stato nulla di male, purché lei non ne parlasse mai. Purché fosse riuscita a cancellare per sempre dalla sua mente la dolcezza della bocca di Loras, e la forza delle sue braccia.
[size=2]Da "L'Assassino di Corte", di Robin Hobb[/size]
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