Repost dal sito di "Esaedro". Arakhon e i suoi compagni alla ricerca di tracce nel mare attorno a Same. Novembre 2005
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"Piove", disse Tuija. "Fra poco verrà giù a secchi".
Anysa si strinse nel mantello cerato, e calò il suo berretto di lana sugli occhi. "Che bello. Questa barca puzza come un molo coperto di pesce morto, quando piove. Fa freddo, siamo nella nebbia da settimane, non c'è uno spago di vento, si mangia poco. Adesso anche piove, e qua sopra non c'è un posto per ripararsi. Bella barca. Degna di un principe".
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Ciryaher aspirò un pò dalla pipa, soffiandone fuori il fumo. Giocò con le spirali azzurrognole, lasciando che gli avvolgessero il viso; l'umidità della sera e dell'acqua rendevano questi giochi di fumo più facili da fare, e gli davano un'aria quasi mistica. Le ossa gli dolevano, però, e non si sentiva certo di buonumore; la primavera, su quel mare, non portava il buon odore dei fiori e il canto degli uccelli. Non era casa.
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Casa... quanto tempo. Le giornate d'avventura vissute dopo Azrubel avevano riempito totalmente la sua mente per un pò, e non ci aveva più pensato; ma la vela bianca e rossa della nave di Arakhon, sulla quale viaggiavano da quasi un mese, era una presenza che risvegliava il ricordo, e il ricordo incombeva su di lui come il peso di un sacco pieno di pietre. Si sollevò faticosamente, e lasciò il suo posto vicino alla lanterna di poppa, sotto il telo, alle due ragazze. "Sedete un pò voi", disse. "Io ho bisogno di camminare. Vado a vedere come va".
"Niente di nuovo sull'orizzonte, Mastro Ciryaher. Lo gridano ogni mattina. Avrei voglia di buttarli in mare", disse Tuija.
"Lo immagino, mia damigella", rispose Ciryaher, "Ma, per quanto tu sia diventata forte e robusta, non credo che avresti nessuna probabilità contro le braccia e la salute di questi ragazzi. Sono un buon equipaggio; Arakhon possiede una bella nave", disse. "La ricchezza della sua famiglia, in Ostelor, è fuori di dubbio", aggiunse poi pensieroso.
"Per forza", rispose Tuija. "Rubano. Prendono tutto quello che vedono sul mare".
"Tu conosci bene questa gente, Ciryhaer", disse Anysa, quasi sussurrando. "Vengono da dove sei venuto tu, sono tuoi fratelli. Ci aiuteranno veramente"? Strinse più forte la corda delle vele, sporgendosi verso il bordo, il viso contro la bassa brezza marina.
Ciryaher si preparò a rispondere nel modo più gentile che conoscesse, ma non ebbe il coraggio di farlo; Anysa, di colpo, si era voltata, e nel buio, attraverso la pioggia che ora scendeva in una fitta coltre di goccioline, i suoi occhi grigi scintillavano, e sembravano trafiggerlo come una lama rovente. Occhi che scavavano nell'anima; occhi non umani, occhi che incutevano timore e cercavano qualcosa.
Tuija rispose al suo posto. "Il capitano Arakhon è un uomo buono. Anysa, Arakhon non ci avrebbe portato fin qua se non volesse aiutarci. Khalid ormai ha capito quasi tutto quello che c'è scritto nel diario, e anche lui ti vuole bene. Troveremo tuo padre, e poi ce ne torneremo a casa, e canteremo", disse; "Accenderemo un grande fuoco nel bosco di vicino all'albero più alto di Vaisala, e... balleremo...". Poi il suo sorriso si ruppe, e scoppiò in singhiozzi amari.
Ciryaher, con un groppo in gola, diede loro le spalle e si allontanò a piccoli passi verso l'albero maestro; anche Anysa, silenziosamente, piangeva. Sapevano bene che non c'era quasi più speranza di ritrovare Athair, per quanto la fiducia di Khalid fosse più forte dell'acciaio di Gondor e la perizia di Eldoth su quei mari leggendaria.
E Arakhon non cercava i loro amici perduti; i suoi erano, in un certo senso, affari di famiglia.
Middle Earth Role Playing: Gli altri Dei, avventura fantastica all'estremo meridione della Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien. Di [EMAIL="[email protected]"]Tiercullus[/EMAIL]
Repost dal sito di "Esaedro": Athair percorre i corridoi segreti della Città del Popolo Che Non Sogna. Novembre 2005.
In quella parte della galleria la volta era più alta; poteva stare quasi in piedi. La testa piegata solo leggermente di lato, osservava la cavità nella parete. Non era tanto alta; Tuija o uno degli uomini del villaggio della costa ci sarebbero passati rimanendo diritti. Stendendo le braccia, poteva toccare entrambe le colonne ai lati, e quindi riteneva di poterla definire larga, anche se non troppo. Sicuramente sopra le due colonne poggiava un'architrave, ma non poteva vederla completamente; gli antichi muratori (istintivamente, sentiva di poterli chiamare così) avevano saldato fra loro pietre di una certa larghezza utilizzando un materiale nero e poroso molto resistente. Le pietre sporgevano, rispetto alle colonne, quasi della lunghezza del suo intero braccio, formando una parete alta fino al soffitto. A livello del pavimento, si vedeva un gradino.
Chi aveva cercato di aprire il passaggio aveva lavorato in fretta, grossolanamente. Le pietre erano sbrecciate, e sul pavimento c'erano ancora moltissimi frammenti, alcuni dei quali piuttosto grossi, e tanta polvere; polvere che scricchiolava e strideva sotto i suoi stivali, che generava un rumore ed echi nel corridoio. La maggior parte dei detriti era stata rimossa e portata in fretta da qualche altra parte, più all'interno.
Prese il suo coltello e provò ad incidere la roccia, con forza; la punta lasciava un solco appena visibile. Quella pietra era molto dura; c'era voluto sicuramente un certo tempo. E, supponendo che i blocchi più grossi fossero risultati difficili da spezzare, e avessero dovuto essere asportati interi, quello scavo doveva essere stato fatto da lavoratori molto robusti. Tutt'altro che antichi, considerati gli avanzi di un pane di segale poco più in là, e i mazzuoli di legno nell'angolo.
Si inginocchiò, appoggiò il coltello contro il muro, e posò di nuovo le dita sul sottile e brillante disegno che, poco prima, riflettendo appena la luce della sua lampada, aveva attirato in quella direzione l'attenzione dei suoi occhi, sensibili a quella particolare luminescenza. Se non avesse notato quel lieve baluginare, là a mezza altezza, sulla colonna, avrebbe di certo preso la strada diritta, quella dalla quale proveniva la corrente d'aria più forte, e non si sarebbe accorto dello scavo.
Cinque simboli. Non erano rune d' Ithilien; non c'era luna là sotto, e l' Ithilien era lontano. E non erano segni incantati; le sue dita non avvertivano nessun potere in essi. Ed era questo in realtà ad inquietarlo, a far crescere la paura dentro di lui. Non capiva. Non riusciva a capire. Più si sforzava di vedere oltre, più quel cancello rimaneva per lui chiuso. Più il desiderio di conoscere il segreto di quel luogo cresceva, più lo stesso si allontanava e le cose diventavano confuse, distorte.
Il disegno era chiaro di fronte ai suoi occhi, e preciso nella sua mente, come la prima volta nel quale l'aveva visto: a Vaisala, e nel diario di Intillamon. Quel simbolo era carico di significato e di storia; ma quel significato rimaneva per lui sconosciuto, e quella storia lontana e misteriosa. Eppure, dietro quella soglia, qualcosa di millenario dormiva, in attesa di essere risvegliato da una parola. La differenza fra la vita e la morte.
Artagora incontra Ciryaher ad Azrubel, nella baia di Rauma, in Same. Repost dal sito di "Esaedro", novembre 2005.
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"Da quanto tempo, quindi, studiate la cultura di questa terra remota"? Il tono dell'uomo era cortese, affabile; nonostante tutto, però, Artagora non riusciva a scacciare dai suoi pensieri l'impressione che ci fosse una certa diffidenza, una qualche ostilità nei gesti di Ciryaher.
Avevano suonato assieme il liuto, mangiato e bevuto alla salute e lunga vita del re, e apprezzato la sauna e i massaggi. Il gelo dell'inizio di primavera aveva lasciato posto al sole. Poche ore di un sole pallido e distante a dire il vero; già calava la sera. Ma tutto ciò che comincia bene finisce bene; era sopravvissuto anche a questo inverno, e forse c'era qualche buona notizia.
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"Vedete", disse Artagora, "In verità non sono di queste parti. Vengo da un paese a settentrione... un luogo un pò più caldo, se posso permettermi".
"Certo che potete", rispose Ciryaher. "In verità, come dite voi, la desolazione di questa terra è difficilmente pareggiabile. E' un posto orrendo. V' invidio terribilmente la possibilità di potervi spostare a piacimento, e di viaggiare con comodità", disse.
"(a piacimento un fico secco)", pensò Artagora. "(e comodo come un sacco di zucche)".
"Caro Ciryaher", rispose, "In realtà i privilegi di cui godo sono veramente poca cosa...". "Ma no, ma no", lo interruppe l'altro; "La vostra splendida nave..."
"(non è mia)", pensò ancora Artagora, "(e non può non saperlo, ha già incontrato Arakhon. Meglio non dire altro, questo qui mi sta imbrogliando...)".
"Mi state ascoltando, Artagora? Stavo dicendo della vostra splendida nave, così magnificamente armata. Rappresenta bene la potenza di Eshefar, anche a questa distanza dalle sue rotte di commercio... ".
"(appunto)"; ormai Artagora seguiva più il flusso dei suoi pensieri che le parole di Ciryaher. "(non gli ho mai detto che la nave è di Eshefar. Meglio non aggiungere altro. Questo tipo è molto meno scemo di quanto sembri a prima vista. L'apparenza inganna, lo dico sempre. Silenzio, Artagora, silenzio; non è la prima volta che ci troviamo nei guai, ne usciremo...)".
"Caro Ciryaher, che ne dite di una boccata d'aria. Ah, la fresca brezza della sera", disse, e, senza attendere risposta o attendere che Ciryaher lo seguisse, s'incamminò svelto verso il cortile della fortezza. Ma prima che avesse mosso il terzo passo, si trovò costretto a cambiare direzione e a voltarsi di nuovo verso il fuoco. Sulla porta era comparsa una figura alta, snella, incappucciata ed inequivocabilmente armata di un coltellaccio.
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"(lo sapevo, lo sapevo, siamo nei guai. E' quella donna con gli occhi da elfo che ho visto stamattina; prima non c'era nessuno sulla porta. Sono sicuro che è lei, le donne di qui non hanno capelli così neri. Mi perseguitano, maledetti elfi - non mi lasciano in pace. Pensi che siano spariti, ed eccoli qua. Morirò con di fronte la faccia di un elfo invece degli aranceti di casa mia...)".
Ciryaher s'interpose rapidamente fra lui e la porta con una bottiglia e un calice in mano, ignorando palesemente la donna. "Un'ottima idea ! Un pò di fresco ci farà senz'altro bene, in effetti in sauna faceva un certo caldo, forse troppo. Gradite questo liquore"?, disse, versando un liquido scuro nel calice. "E' un distillato purissimo di erbe. L'ambasciatore lo amava. Alla sua salute !", brindò.
"Ah, c'è un ambasciatore del Consiglio qui !", esclamò Artagora. "Mi farebbe piacere incontrarlo. Dove si trova"? Chiese.
"E' morto", rispose Ciryaher. "Una tragica fine. Salute !". Vuotò il bicchiere.
Artagora si sforzò di mantenere un'espressione calma. "Se cercate denaro sappiate che non ne ho, proprio neanche l'ombra. Non ho un soldo. Ahimé !", disse. La sua intenzione era sfoderare la sua migliore retorica, e forse una citazione di Armenion avrebbe fatto un certo effetto su quegli ignoranti; non avrebbero osato derubare o malmenare un uomo di arte e scienza. Ma la donna lo prese per la gola, sollevandolo da terra e sbattendolo contro la parete. "Che volete da me"? Balbettò spaventato, con il fiato già corto in gola.
"Qualche grammo della vostra sapienza, Artagora", rispose Ciryaher. "E se parlerete con l'eloquenza che di certo vi contraddistingue, Anysa non vi farà niente".
Estratto dai diari personali di Artagora (repost dal sito di "Esaedro", gennaio 2006)
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...ho avuto diverse opportunità di riflettere della morale degli elfi, rendendomi conto solo dopo molto tempo di sbagliare a considerare la questione con il metro dei miei maestri di etica, che alla fine di uomini parlavano: non sono uomini, la vita di un uomo dura quanto un loro battito di ciglia; non vedo in loro bene o male, almeno non come li conosciamo noi nella nostra breve vita, e in più di un'occasione ho avuto la percezione, incrociando le loro cammini, di essere per loro solo una presenza breve e incidentale; pormi ad affrontare questioni che li riguardavano, e quindi misurate sui loro valori mi ha spesso messo in pericolo, e solo ricordarmi della mia umanità mi ha aiutato a salvarmi, oltre ad una immeritata benevolenza del destino.
Al loro cospetto siamo sottili come un foglio di carta, ed altrettanto fragili...
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