Guerra fra Gondor e i Domini dei Valdacli
Dopo la grande vittoria conseguita su Ardor attorno al Tremila della Terza Era, calendario occidentale, i Valdacli non si erano concentrati come i popoli settentrionali sulla guerra imminente contro Mordor. Arpel, Alsarias, Ostelor, Ro Mollo e gran parte delle altre città-stato avevano ripreso a polemizzare e litigare tra loro; tuttavia, nell’estate del Settantaquattro della Quarta Era, nel regno di Elessar Telcontar, quando giunsero notizie dell’avvicinarsi di forze di Gondor e di una grande flotta, si decisero finalmente a superare i contrasti, indicendo una conferenza segreta a Ro-Mollo sotto la presidenza di Yamo di Nindamos, anche se molte delle città dell’est non inviarono rappresentanti.
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Yamo Nindamos , Primo Consigliere di Ostelor
Il maggior punto di discussione fu dove stabilire la posizione difensiva. Secondo i consiglieri di Arpel, ci si sarebbe dovuti attestare nella penisola di Pel, perché la regione dove sorgeva rappresentava il cuore dell’indipendenza delle colonie. Una simile decisione, però, significava abbandonare a Gondor senza combattere tutta la zona settentrionale e centrale dei Domini, con la possibilità che le città a nord passassero a Gondor per salvare i loro territori dalla distruzione. Se, invece, la difesa fosse stata organizzata in una posizione più avanzata, oltre Elorna, verso il Dar, prima gli acquitrini di Erlona stessa e poi gli angusti valichi di Morfuin o della valle di Cirith Celianth avrebbero potuto essere controllati da un piccolo contingente, lasciando libertà e soldati per un contrattacco avvolgente oltre l’Usakan, attraverso il deserto sviluppato grazie all’alleanza con Umbin Swe e gli Adena e con Hathor, mentre sul mare occidentale si sarebbe potuta sfruttare la superiorità numerica delle navi di Ostelor e Ro-Mollo, altrimenti a mal partito contro i Palanrist e le più grandi navi di Gondor e Umbar.
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Una spedizione condotta da Nagomo di Muva e Tamagran di Ostelor venne inviata a nord in piena estate, mentre la flotta d’Occidente al comando di Akhibrazan prendeva il largo per raggiungere il Dar, ma, rendendosi conto che i guadi da difendere sul Mispir erano troppi, la forza tornò a sud, dando agli abitanti della regione settentrionale la sensazione di essere abbandonati a se stessi. A peggiorare le cose, quando gli strateghi dei Valdacli consultarono i consiglieri di Hathor e il famoso oracolo di Tanith, ricevettero un responso estremamente negativo: Ostelor sarebbe stata distrutta, mentre le altre città del sud e dell’est si sarebbero salvate se si fossero tenute in disparte e se avessero sciolto gli eserciti e disperso le flotte. Fu fatto un secondo tentativo, e questa volta la risposta fu più positiva, anche se piuttosto ambigua: i Valdacli avrebbero dovuto difendersi dietro “i muri di legno”, il che poteva significare solo le fortificazioni erette a protezione delle città, sia le murate delle loro navi. La maggioranza accettò questa seconda interpretazione, e venne chiesto alle colonie nelle regioni dell’Usakan di inviare la loro potente flotta e unirla a quella di Ostelor e Ro Mollo; ciò non fu possibile, perché le colonie stavano per essere attaccata da bande di pirati provenienti dal Grande Harad e dall’oriente, probabilmente per ordine dell’assemblea dei capitani di Ormal. Infine, i Valdacli decisero di attestarsi a nord, essendo i capitani di Nagomo troppo timorosi di dover difendere da soli la regione.
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Nagomo di Muva
Intanto Cirmoth di Gondor, nella primavera del Settantacinque, dopo essersi rifiutato per ben due volte di dar battaglia per mare in estate e autunno, e aver attraversato gli acquitrini di Elorna nel corso dell’inverno con salmerie e macchine d’assedio realizzando una delle più notevoli imprese d’ingegneria di quei tempi, ottenuto l’appoggio esplicito di Valandor Hamina cominciò a muovere le sue imponenti forze lungo il perimetro del Miredor. Come aveva fatto Elessar nel nord, Valandor inviò messaggeri nei Domini a chiedere pegni di sottomissione, ricevendo risposte positive soltanto dalle città-stato più settentrionali.
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Cirmoth di Gondor [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Valandor Hamina [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Beleridan
Lasciato l’Harad ed entrate ormai nei Domini stessi, le truppe di Cirmoth marciarono lungo la costa, nella piana di Maldor, mentre la flotta, uscita in mare aperto, era pronta a trasportare a terra i rifornimenti per l’esercito ormai esausto. Seguivano il contorno del mare avvicinandosi ai Valdacli, che li aspettavano sulla punta di Ro-Mollo e nello stretto braccio di mare della baia di Drel, presso Tol Torgul.
[size=2]Loxias, storico di Parga, anno Centottanta della Quarta Era[/size]
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La Battaglia d'Aprile
La guerra a Same: l'ascesa e la caduta di Nurmi Nihti
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Nurmi Nihti, tiranno di Same
I rapporti tra Nurmi Nihti e i potentati Valdacli ebbero inizio nel 53 della Quarta Era: Nurmi, un condottiero mercenario di sangue misto conosciuto nei domini meridionali come “l’Astuto” e “il Grande”, accolse una richiesta d’aiuto da parte di Atharuman, capitano di Arpel, per salvare le campagne della città dal saccheggio da parte dei Teocrati di Izagune, seguace di Unnath Edril. L’amicizia alla base dell’intervento era motivata dal sostegno fornito da Atharuman a Nurmi nel 51 per deporre silenziosamente l’ultimo re della dinastia Seinikka nella piccola colonia di Same, e dall’accordo fra le città Valdacle di concedere tacitamente Same stessa a Nurmi, nel 54.
Alla morte di Atharuman, avvenuta nel 59, la sfera d’influenza dei Valdacli fu divisa fra domini settentrionali e meridionali, con a capo rispettivamente i due figli di Atharuman, Valandor Hamina e Banath , e pare che i due andassero piuttosto d’accordo. Anche se le pressioni da Gondor continuavano a infastidire i governanti Valdacli, gli stessi mantennero per un certo periodo relazioni amichevoli fra loro e tutte le colonie, e con Gondor stessa, tanto che Valandor Hamina venne identificato e sostenuto da re Elessar Telcontar come suo potenziale rappresentante. Dietro pressioni della madre, nel 64 Valandor divorziò dalla moglie Zendimar per sposare Zibeth, figlia del potente Abrahil di Arpel, che venne rimandata al padre dopo un anno per motivi sconosciuti; forse, perché ritenuta sterile. Questo fatto non meritò a Valandor la benevolenza di Arpel e lo allontanò da Banath, soprattutto perché dopo poco tempo le voci di una relazione incestuosa fra Valandor stesso e Lithie, figlia di Zendimar, si diffusero nelle corti.
Nel frattempo, le relazioni di Nurmi con Arpel si erano deteriorate, perché Abrahil e Banath avevano disapprovato la sua dichiarazione d’indipendenza e la presa di possesso delle miniere d’argento dei monti vicino a Ulvila, tradizionalmente asservite ai Valdacli: dal momento che la sua stella ad Arpel era tramontata, dopo un tentativo mal riuscito di acquisire influenza presso Baranor Meneldir, Nurmi strinse legami con Ostelor, mandando ad Arminidun, Primo Consigliere della città repubblica, molto dell’argento un tempo destinato a Banath, e una giovane amante, Taleli.
Per un breve periodo, con l’appoggio di Atto Reho, influente esponente delle famiglie delle terre di Same, nonché grazie all’abilità diplomatica del ministro Cledda Elidda e alle navi e armi di una potente compagnia mercenaria guidata da Ahnta Faris, Nurmi acquisì grande influenza e prestigio, tanto da poter ergersi, nell’anno 71, ad ago della bilancia fra le pretese territoriali dei Valdacli, che avevano mantenuto in Same il loro ambasciatore Aldor, e le richieste di Gondor, che aveva inviato a sud una spedizione guidata da Valadil e voleva la creazione di un porto libero nelle colonie stesse. Nonostante l’assassinio di Cledda e la successiva morte di Ahnta in uno scontro sul campo, Nurmi riuscì a reprimere con successo il tentativo di rivolta di Tadoor Danagaer, sostenuto inizialmente dalla famiglia Eshe di Ostelor.
Arminidun perse la sua carica di Primo Consigliere di Ostelor nell’estate del 74. Il suo successore, Yamo Nindamos, influenzato dagli altri membri del Consiglio e, si crede, dall’ambasciatore di Hathor, si liberò prontamente degli aggressivi rappresentanti e mercenari del re-fantoccio di Same, gettandoli letteralmente in mare assieme a tutti i loro averi e servitori, e provocando una violenta reazione. Mentre Yamo si trovava impegnato contro Gondor e contro Valandor Hamina nei campi di Maldor, Nurmi, confidando nella protezione dell’inverno raccolse tutti gli uomini che potè e mandò le sue truppe a prendere possesso di tutti i forti e delle terre che ancora, in Same, appartenevano formalmente ai domini dei Valdacli, e mandò le sue galee a saccheggiare i villaggi costieri del Pelegebu, nella parte meridionale dei domini. Un emissario di Nurmi giunse inoltre oltre i monti Eloro per mare, dal momento che i soldati di Ostelor e Ro-Mollò bloccavano tutte le strade via terra per il nord; riuscì finalmente a mettersi in contatto con Valandor, che aveva la sua corte a Urland, nell’entroterra della baia di Drel, appena a nord di Mispir, e gli consegnò, oltre a cinque casse piene d’argento e gemme, il seguente messaggio:
“Essi intendono attaccarci da terra e dal mare, conquistare la città di Rauma e prendere noi stessi prigionieri. Perciò vi imploriamo di accorrere in nostro aiuto, altrimenti saremo distrutti”
Ma Valandor, tenutesi le cinque casse, ignorò il messaggio e il messaggero; sapeva che era già troppo tardi. Poche settimane prima, infatti, nonostante l’approssimarsi dell’inverno e il bisogno di inviare forze a nord, con l’approvazione di Yamo e di Akhibrazan Arpel aveva inviato cinquanta galee contro Nurmi sotto la guida di Adarrathil, alle quali si erano uniti esploratori Sameani e genieri venuti dall’Usakan e da Hathor.
La battaglia
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Adarrathil di Arpel, capitano dei Valdacli
L’entità delle forze di Nurmi è sconosciuta, e ciò vale non soltanto per questa campagna, ma praticamente per tutte le sue operazioni militari. Anche se alcune fonti in Ostelor affermano che poteva disporre soltanto di alcune migliaia di cavalieri, secondo altre poteva mettere in campo diecimila uomini tra cavalleria e fanteria mercenaria. In ogni caso, per difendere Same da Adarrathil, Nurmi divise l’esercito in due contingenti: il suo capitano Atto Reho ne guidò uno verso Ulvila, mentre egli si attestò sulla costa di Rauma insediandosi nella fortezza di Azrubel.
Ma Adarrathil fu più veloce. Ignorata Rauma e concentrate tutte le sue forze su Ulvila prima dell’arrivo del contingente di Reho, Adarrathil mise al sicuro dall’inverno le sue galee e occupò con i suoi soldati i passi, minacciando direttamente le miniere e impedento a Reho di muoversi verso nord, mentre con alcuni suoi distaccamenti i Valdacli, molto più addestrati, motivati e guidati dagli esploratori Sameani, tagliavano ai mercenari Haradani di Nurmi la ritirata. Dopo aver tentato senza successo di aprirsi un varco e ormai con l’inverno addosso, Reho avviò inutili trattative, mentre i suoi uomini brontolavano. Forse per un caso fortunato, oppure, come si disse poi, grazie a un traditore che venne lautamente ricompensato da Adarrathil per il suo voltafaccia, i Valdacli scoprirono una via oltre lo schieramento di Reho e quando una falange di soldati con scudo grande e corazza comparve sul fianco dei mercenari, gli stessi furono presi dal panico e fuggirono verso le pianure ghiacciate, dove morirono. E’ anche verosimile che la loro fuga fosse provocata da false notizie che un contingente ancora più forte si avvicinava da sud – notizie diffuse dalla gente di Rauma desiderosa di liberarsi del piccolo tiranno Nurmi. I soldati di Adarrathil attesero il disgelo, dopodiché, mantenendo il blocco navale, marciarono prima sulle miniere d’argento e poi su Rauma, dove nel marzo del 75 diedero inizio all’assedio.
Il fatto che Adarrathil abbia circondato con faciità la città e la fortezza e abbia combattuto in Same per dieci mesi implica che disponesse di truppe piuttosto numerose, molto probabilmente rinforzate dalle genti di Same. Anche se non possedevano macchine per abbattere le mura del castello e della fortezza, i Valdacli potevano attingere alle risorse offerte dalla popolazione, mentre altri capitani mercenari abbandonavano Nurmi per tornare nell’Harad e nel Mumakan. Impreparati per un assedio, i difensori non avevano provviste a sufficienza. Non solo Nurmi era intrappolato al suo interno, ma il suo capitano Irkko era fuggito a nascondersi nella zona di Lomilindi, per proteggere la moglie e i figli.
Durante tutta la primavera del 75, Adarrathil percorse a cavallo i dintorni di Rauma e Ulvila, affermando la propria autorità, stringendo amicizia con i pescatori e i contadini, riprendendo possesso dei forti e della vecchia legazione di Vaisala e ricostruendone gli edifici distrutti da un incendio. Nel frattempo, nessuno dei subordinati di Nurmi fuggiti l’inverno precedente nelle altre città o nell’interno fece alcun tentativo per liberarlo, né, a quanto sembra, egli cercò di effettuare qualche sortita.
Era ormai il decimo mese di guerra e il quarto d’assedio. Le malattie e, probabilmente, la fame, stavano mettendo a dura prova i difensori di Azrubel: e Nurmi, che non era mai stato un sovrano popolare, udiva da ogni parte notizie della defezione dei suoi compatrioti. Alla fine, un martedì del mese di giugno dell’anno 75, la fortezza aprì le porte al suo conquistatore. Adarrathil si proclamò Sovrintendente di Same in nome di Arpel e dei Valdacli. Nurmi, nonostante tutto, aveva ancora amici in Ostelor; fu accolto nella casa di Arminidun, e mandato poi nelle terre nordoccidentali dei domini, dove venne invitato a entrare in una comunità d’asceti.
La battaglia della piana di Maldor (maggio 75 Quarta Era)
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Era appena trascorsa la prima metà del pomeriggio quando i gondoriani sferrarono il secondo attacco, ma questo, diversamente dal primo, non si scatenò contro i balestrieri di Bendaman: si mosse verso il loro centro e le macchine da guerra. I valdacli erano pronti a sostenerlo, e serrarono i ranghi.
Le frecce degli Elfi di Eäroma volarono in un nugolo fitto come uno stormo d’uccelli. Gli armigeri dell’ala sinistra di Tamagran, che nel primo assalto, con il sostegno dei balestrieri, avevano respinto la cavalleria umbareana di Sajadi, schierata dalla loro parte, si trovarono a fronteggiare un numero di uomini doppio del precedente e la loro carica, iniziata fiduciosamente, rallentò sino a diventare una lenta avanzata per poi bloccarsi, mentre gli uomini si acquattavano dietro gli scudi. Yamo non avanzò minimamente in loro sostegno, perchè la sua falange centrale era tenuta ferma a una cinquantina di passi dall’incombente carica di Cirmoth. I Valdacli non intendevano ritirarsi, ma non potevano avanzare, e i dardi dal lungo stelo continuavano a piantarsi negli scudi e in corpi sventatamente esposti, mentre le lance di Gondor uccidevano e straziavano, finché gli uomini di Tamagran non cedettero, abbandonando gli scudi e le armi e fuggendo, cercando di portarsi fuori tiro, seguiti da quelli della falange di Ostelor; e un’altra breve tregua calò sul campo di battaglia il cui suolo era arrossato dal sangue. I tamburi tacquero e nessun altro insulto fu urlato da una parte e dall’altra di quel pascolo cosparso di cadaveri. I condottieri di Ostelor ancora vivi si riunirono sotto la bandiera di Yamo; ma Tamagran giaceva ormai in mezzo ai suoi uomini.
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Yamo Nindamos
Yamo era d’umore tetro. I suoi soldati, ragionava, non avrebbero mai resistito a quello che Imrazan definiva il terzo battesimo di frecce, sostenuto dalla magia nera degli Elfi, e alla carica contemporanea di Cirmoth. “Quei bastardi ci respingeranno verso nord” , predisse Imrazan. “Che siano maledette le loro anime lorde di sangue” . “In tal caso, ripiegheremo” , disse Yamo. “Sono più veloci di noi” , ribatté Imrazan. Si era tolto l’elmo e la fettuccia di cuoio gli aveva lasciato sui capelli un solco circolare che prendeva tutto il cranio.
“Massacreremo la loro fanteria” , aggiunse con ferocia un altro condottiero.
“Alla morte i fanti” , scattò Yamo, spazientito da un commento tanto sciocco. Lui voleva catturare Cirmoth e i nobili del settentrione, perché i loro riscatti l’avrebbero reso ricco, e desiderava soprattutto mettere le mani su alcuni che avevano giurato fedeltà a Valandor e la cui presenza nell’esercito nemico ne dimostrava il tradimento. Per quei felloni non sarebbe stato chiesto alcun riscatto, ma si sarebbe provveduto a giustiziarli, quale esempio per chiunque intendesse infrangere il proprio giuramento, dopo di che nulla avrebbe impedito a Yamo, se quel giorno avesse riportato la vittoria, di penetrare nel nord con il suo piccolo esercito e impadronirsi dei beni dei traditori. Avrebbe confiscato ogni cosa: la legna dai parchi, le lenzuola dai letti, i letti stessi, le tegole dai tetti, il vasellame, le stoviglie, gli armenti, persino i giunchi dall’argine dei ruscelli. “Li annienteremo, oggi” , sentenziò.
“Allora dovremo usare un po’ d’intelligenza” , suggerì allegramente Telumehtar.
Gli altri condottieri gli rivolsero occhiate sospettose. L’intelligenza non era una qualità da loro apprezzata, perché non serviva a cacciare cinghiali, a uccidere cervi, a godere delle donne e a prendere prigionieri. Era una dote che poteva andar bene per gli uomini di scienza, o certamente anche per la sciocca genia del sud, e pure per le donne, sempre che non la ostentassero, ma su un campo di battaglia? A che cosa poteva servire?
L’erba del suolo tremò. A sferrare l’attacco erano tutti gli uomini di Gondor venuti con Cirmoth, e la loro fierezza sconvolse i valdacli di Ostelor che, di fronte a quella carica inarrestabile, arretrarono. Dopo aver piantato le lance nelle carni dei valdacli e averle abbandonate dov’erano, i neri fanti di Minas Tirith sguainarono le spade e presero a menare fendenti su uomini ormai atterriti, rannicchiati su se stessi, impossibilitati a fuggire perché la calca era eccessiva. Altri gondoriani stavano arrivando, correvano verso il nemico per contribuire alla carneficina. Gli uomini del loro seguito si unirono a loro, impugnando spade o roteando asce. I tamburi si erano di nuovo zittiti e la strage era cominciata.
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Cirmoth di Gondor
Non era la prima volta che Cirmoth assisteva a un evento del genere. Gli era già capitato di vedere le sorti di una battaglia cambiare radicalmente da un istante all’altro. I Valdacli li avevano sfidati dalle loro posizioni, si sentivano baldanzosi e sicuri di vincere, eppure adesso erano in rotta, e a mollare per primi erano stati proprio gli uomini dell’ala di Yamo. Le macchine da guerra erano catturate, ormai, e i soldati dell’Albero Bianco imperversavano sui nemici in preda al panico colpendoli con spade, asce, bastoni e mazze. “Prigionieri!” urlò Cirmoth ai suoi uomini. “Voglio che mi portiate molti prigionieri!” . Un valdaclo vibrò la propria ascia verso Cirmoth, però mancò il bersaglio e fu trafitto dalla spada del nobile, quindi ricevette il colpo di grazia dal pugnale di uno scudiero, il quale gli stracciò subito dopo il farsetto imbottito per cercarvi qualche moneta. Due carpentieri di Urland, armati di accette da falegnami, immobilizzarono un uomo d’arme di Ostelor e, con il manico dei loro strumenti da lavoro, lo colpirono ripetutamente sul cranio, uccidendolo lentamente. Un gondoriano barcollò all’indietro, ansimando, con il ventre squarciato, e un valdaclo gli balzò addosso, urlando rabbiosamente, ma inciampò in un bastone con cui un altro soldato gli aveva fatto lo sgambetto e finì a terra, sotto una valanga di uomini. Quando i cavalieri di Minas Tirith si girarono per tornare indietro, facendosi largo a spintoni e fendenti fra le truppe nemiche, i loro mantelli grondavano di sangue. Erano penetrati a fondo nello schieramento valdaclo, annientato la falange di Ostelor, schiacchiato Yamo, e adesso si dirigevano verso la successiva ondata dei loro compagni d’arme, i quali combattevano con la visiera alzata, perché il nemico, in preda al panico, non offriva una resistenza significativa.
Lo stendardo di Gondor sventolava alto sulla collina, al posto di quello Valdaclo, abbattuto. Tuttavia, l’ala destra dell’esercito Valdaclo non aveva subito alcuna perdita.
“Uccideteli tutti!” , ruggì. Se lui e i suoi compagni fossero riusciti a spezzare il fronte nemico, i gondoriani si sarebbero trovati nel caos e, nell’impossibilità di riformarsi, sarebbero diventati carne da macello. “A morte! Sterminateli! Spezzate il loro fronte! Dividete lo schieramento a metà!” ruggì ancora Yamo. Sollevò lo scudo per parare il colpo di una spada nemica, con la propria tirò un fendente alla cieca e si rese conto che la lama aveva perforato una cotta di maglia. Girò l’elsa e trasse a sé l’arma, prima che restasse imprigionata nelle carni del ferito, poi si proiettò in avanti, sempre coprendosi con lo scudo che gli bloccava la visuale, e sentì l’avversario barcollare all’indietro sotto la sua spinta. Abbassò leggermente lo scudo, per sbirciare al di sopra del bordo superiore, quindi ripartì in avanti come un ariete, facendo crollare a terra il gondoriano, ma rischiando a sua volta di cadere, perché era inciampato nel corpo riverso al suolo. Riuscì a mantenere l’equilibrio piantando nel terreno il bordo inferiore dello scudo, si raddrizzò e affondò la spada in un volto barbuto. La lama mise a nudo uno zigomo e asportò un occhio, e per quell’uomo, caduto all’indietro, a bocca aperta, fu la fine di ogni combattimento. Poi Yamo, dopo aver schivato, piegandosi di lato, un colpo d’ascia e aver parato con lo scudo un fendente di spada, si lanciò selvaggiamente verso i due nuovi assalitori. “Numénor!” tuonò. “Numénor! Per Numénor!”
Proprio in quell’istante qualcosa – una spada o una lancia – lo fece inciampare e lui cadde a terra, proteggendosi istintivamente con lo scudo. Udì accanto a sé un fragoroso scalpiccio e, augurandosi che a produrlo fossero i suoi uomini, intervenuti a smantellare l’ultima resistenza di Gondor, attese di sentire levarsi dalle file del nemico le prime urla di dolore, invece avvertì solo alcuni insistenti colpetti sul proprio elmo. Il ticchettio smise per ricominciare subito dopo.
“Il nobile Yamo?” chiese una voce garbata.
Lui percepì a stento quelle parole, perché le urla che attendeva avevano cominciato a levarsi, ma i gentili colpetti sulla cresta dell’elmo lo convinsero che poteva abbassare lo scudo senza correre rischi. Sulle prime non vide nulla, perché nella caduta l’elmo era ruotato di mezzo giro, così fu costretto a rimetterlo a posto, lasciandosi sfuggire numerose imprecazioni allorché fu finalmente in grado di osservare quanto stava accadendo.
“Caro Yamo, immagino che intendiate arrendervi, vero?” chiese la voce garbata. “Ma certo.”
“Madre mia.” Ripeté Yamo, fissando Cirmoth che troneggiava sopra di lui.
“Posso darvi una mano?” chiese premurosamente il gondoriano, piegandosi verso di lui. “Del resto parleremo più avanti.”
“Morte”, imprecò Yamo. “Maledizione!” aggiunse, perché aveva ormai capito che il fragore di passi che aveva sentito risuonare accanto a sé era stato prodotto dal nemico e che le urla strazianti erano state lanciate dai valdacli. Nonostante tutto, il centro dello schieramento Valdaclo non aveva retto, e per l’esercito di Ostelor la battaglia si era trasformata in una disastrosa sconfitta.
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Tharmaroth di Urland
A occidente, sul fianco destro, figure coperte di cotte di maglia si scontravano sui corpi delle precedenti vittime, con movimenti resi goffi da quei loro rivestimenti metallici, in un vorticare di spade e asce contro scudi e crani. Nell’uccidere, gli uomini grugnivano e, impegnati in forsennati corpo a corpo, si scontravano e morivano fra le felci melmose. Akhibrazan era laggiù, fermo come una roccia, alla testa degli uomini di Rò-Mollò, a farsi beffe dei gondoriani di Tharmaroth in fuga e a incitarli a combattere. Anche Telumehtar, troppo furbo per farsi sorprendere una seconda volta in posizione di svantaggio, guardava la scena, ma da lontano, da dietro a loro, e si meravigliava che degli uomini potessero precipitarsi volontariamente in un simile mattatoio. Poi, consapevole che in quel giorno di morte non si sarebbe né vinta né persa la battaglia, si diresse verso la costa con Bendaman e i sopravvissuti della falange di Ostelor; Akhibrazan, come d’accordo, lo avrebbe seguito prima del calar del buio.
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Akhibrazan di Rò-Mollò [Permesso negato per la visualizzazione di questa immagine]
Telumethar di Ostelor
I Valdacli avevano ancora la possibilità di riorganizzare il loro esercito e di ottenere una grande vittoria, nonostante che l’ala sinistra fosse stata disastrosamente sbaragliata; ora, senza Yamo e Tamagran, forse sarebbe stato addirittura più facile.
La battaglia del Capo (aprile 75 Quarta Era)
Ancor prima che la flotta congiunta di Ostelor e Rò-Mollò cominciasse a prendere seriamente forma sotto il comando di Akhibrazan, Arendir, al quale Cirmoth aveva affidato la guida delle sue navi, colpì per primo. Nel marzo del 75, guidò ventitré galee verso il Valagalen, facendo in modo di non essere fermato dall’esitante Valandor Hamina, timoroso di una guerra, incerto sulle proprie possibilità e non disposto a spendere molto denaro. Quando, nella sua discesa verso sud, arrivò al largo del porto di Rò-Mollò, Arendir aveva già distrutto un numero considerevole di navi nemiche e razziato provviste sufficienti a raggiungere il Drel e doppiare il capo. Qui, nei primi giorni d’aprile, sparse il terrore fra le navi valdacle all’ancora nella piccola baia di Galen, affondandone ventiquattro. Penetrò quindi nella baia arrivando al Miredor, dove attaccò gli accampamenti costieri, distruggendo gran parte delle doghe destinate ai barili per le provviste immagazzinate per l’imminente guerra; soltanto il bisogno di rinforzi gli impedì di rimanere per provocare danni peggiori.
Quando si ebbe conferma che la flotta dei Valdacli, in reazione alla sortita di Arendir, era partita, Valandor Hamina si limitò a permettere alle navi di Gondor di difendere le sue coste. Egli aveva ai suoi ordini i migliori comandanti, che lo esortavano all’offensiva, e duecento navi erano ormai pronte a prendere il mare, ma non volle ascoltarne i consigli.
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Akhibrazan di Rò-Mollò
La flotta di Akhibrazan, composta da centotrenta navi, lasciò Alsarias il 14 aprile, ma, dopo essere incappata in una burrasca, si rifugiò a Tol Torgul, dove ci si accorse che le provviste stivate nei barili appena costruiti con legno non stagionato sarebbero presto andate a male, mentre numerose navi ed equipaggi non erano nelle migliori condizioni per combattere. Ricevuti viveri freschi, la flotta riprese il mare.
In una notte di luna, tra il 20 e il 21 aprile, le due squadre navali si avvistarono e si avvicinarono l’una all’altra. I capitani di Gondor avevano il vento a favore; gli ammiragli di Ostelor e Rò-Mollò navi più manovrabili ed equipaggi migliori, e terminarono la prima schermaglia decisamente in vantaggio. Gundril di Umbar scrisse che “le navi del nemico erano così rapide e agili, che non c’era modo di fare nulla contro di esse”. La perdita peggiore subita quel giorno dai gondoriani fu quella della “Romenna”, che trasportava l’oro della flotta.
I Valdacli non riuscirono a sfruttare il vantaggio iniziale. Mentre i gondoriani si disimpegnavano dirigendosi a ovest, Akhibrazan, che guidava l’inseguimento, scomparve nelle tenebre quando virò per catturare una nave avversaria. Questo provocò notevole confusione nella flotta di Ostelor, ritardando fatalmente quello che avrebbe potuto essere un tempestivo colpo mortale. Le due squadre procedettero ancora verso ovest, con i Gondoriani che puntavano ancora una volta a doppiare il capo oltre Rò-Mollò per stabilire una base d’operazioni a sud. I Valdacli inseguirono e tartassarono gli avversari con le loro macchine navali, che permettevano di tirare da grande distanza; quando riuscirono a raggiungere la flotta di Gondor e a darle addosso, il loro comandante, giunto oltre il capo, decise di evitare il Drel per dirigersi di nuovo a nord, dove pensava che fosse più facile unirsi alle forze di Valandor. Il rapido disperdersi delle navi di Gondor sembrò ai Valdacli la corsa di un gregge di pecore.
Con i rinforzi giunti da Ostelor al comando di Tarfil, Akhibrazan si rese conto di essere conto di essere nella migliore situazione possibile. Il 30 aprile tenne un consiglio di guerra con Telumethar e Tarfil; piuttosto che attendere l’arrivo delle piccole imbarcazioni da pesca richieste per essere usate come vascelli del fuoco alchemico di Hathor, i comandanti decisero di scaricare alcune delle loro navi, lasciando che il vento favorevole le portasse contro la flotta nemica all’ancora.
Anche se i Gondoriani erano consapevoli dell’eventualità di una simile mossa e avevano predisposto delle navi picchetto per impedirla, i Valdacli riuscirono a dar fuoco alle imbarcazioni nelle prime ore del mattino. Nella fretta di sciogliere gli ormeggi e sganciare le catene delle ancore delle navi più grandi per evitare le fiamme, nella flotta di Gondor cominciò a crearsi il caos; benché nessuna nave fosse direttamente minacciata dal fuoco, si verificarono collisioni, e la squadra, alle prime luci del giorno, si ritrovò disseminata lungo la costa senza alcun ordine.
Questo significò il disastro dell’intera invasione dal mare. Dal momento che la maggior parte delle provviste e delle scorte era stata usata durante gli attacchi subiti nei giorni precedenti, Arendir si rese conto che non avrebbe potuto combattere i Valdacli; inoltre, non aveva la possibilità di congiungersi con Cirmoth, perché fra loro si trovavano le armate di Yamo; non gli restava, quindi, altra scelta che ordinare la ritirata verso casa, girando a nord per le coste di Elorna.
Akhibrazan, lasciata la flotta al comando di Tarfil e rientrato ad Alsarias, si diresse subito al campo di Yamo Nindamos per portare la notizia della vittoria.
La battaglia di Alsarias (giugno 75 Quarta Era)
Come poi risultò, vinta la battaglia della piana di Maldor, la sconfitta della flotta di Cirmoth non costituì, per la spedizione che aveva attraversato le paludi e umiliato Yamo di Nindamos, alcuna minaccia. Con la vittoria, i soldati di Gondor e Umbar avevano guadagnato il controllo dei boschi del Thontaur e della Breccia di Elorna; potevano accedere, quindi, alle vie di commercio che portavano al Grande Harad e approvvigionarsi. Solo una piccola guarnigione al comando di un capitano di Arpel, inoltre, difendeva il Cammino di Trenth e il passo di Fiamma Nera, e la bella stagione rendeva possibili sortite dei cavalieri di Sajadi anche verso meridione, il fiume Usìra e gli Emyn Hith.
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Imrathir, capitano di Arpel
Yamo, prima della sconfitta, aveva inviato messaggeri a est e a nord, ma dall’Oriente non era riuscito ad ottenere in tempo appoggi per la sua guerra in particolare a causa delle perdite causate dai corsari del Golfo di Ormal, e a nord la sua voce non aveva raccolto consensi. Valandor Hamina, avendo intenzione di assumere il controllo della regione del Miredor e del redditizio commercio della città di Ostelor, si era infatti schierato definitivamente con re Elessar Telcontar, nonché con i principi di Mispir e del Maldor, togliendo il controllo di tutto il territorio a settentrione delle Montagne Gialle ai Valdacli e innalzando a Urland la bandiera di Gondor. Da nordest, inoltre, erano giunti inaspettatamente gli Elfi, guidati da Eäromä, e Cirmoth aveva potuto contare su un alleato inatteso.
Cirmoth, che disponeva ancora di circa 6.000 dei fanti di Gondor, degli Elfi di Eäromä e di 2.000 dei cavalieri di Sajadi del Dar, inspiegabilmente non marciò subito contro gli uomini di Akhibrazan, ma attese nella piana, permettendo alle forze di Rò-Mollò e di Ostelor di riorganizzarsi e di ricevere messaggi e rinforzi dalle loro città.
Akhibrazan, ritiratosi dietro le formidabili fortificazioni di Alsarias (i “bastioni di Ostelor”) con circa 15.000 dei suoi fanti di Rò-Mollò e 7.000 fra arcieri, balestrieri di Ostelor e uomini della milizia capitanati da Telumethar, si trovò comunque ad affrontare un formidabile schieramento di nobili al servizio di Valandor che, insieme, nonostante le perdite di Maldor, misero in campo un esercito di 2.000 cavalieri, 6.000 arcieri e 18.000 fra fanti e milizia.
22.000 Valdacli si trovavano quindi a difendere la strada costiera per Ostelor dall’attacco di un esercito di più di 36.000 uomini; impresa, invero, tutt’altro che disperata, essendo i “bastioni di Ostelor” una difesa formidabile e avendo Akhibrazan ricevuto anche, in suo aiuto, alcuni ingegneri Hathoriani, che avevano realizzato una temibile macchina da guerra. In Alsarias, però, si parlava di dissenso tra i ranghi dei Valdacli, e se Alsarias fosse caduta, nulla avrebbe più fermato la marcia di Cirmoth verso Ostelor, distante solo pochi giorni.
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