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La storia del nobile cavaliere (di Andrea Piccolo)
I campi di battaglia erano delle fosse comuni di soldati amici e nemici. Il cielo era grigio e l’odore di morte aleggiava un po’ ovunque.
Prima di quell’infausto scontro, vi era un piccolo campo di fiori. Le piante crescevano rigogliose, prima che mani umane rovinassero quel delicato equilibrio naturale. Ma ora, si nutrivano del sangue secco dei soldati morti per il loro paese. Per il loro credo. Spade frantumate, scudi infranti e pezzi di uomini erano la cornice di quel macabro spettacolo. I corvi lo osservavano con grande gaudio. Erano appena sopraggiunti, chiamati dall’odor di sangue che si sentiva in quelle contrade.
Gli uccelli neri planavano con delicatezza verso il terreno. Volavano alla cieca, come se avessero saputo che, in qualunque luogo atterrassero, avrebbero trovato sempre qualche pezzo di carne morta in putrefazione.
I cavalieri rimasti prendevano i compagni caduti e li bruciavano, credendo che fosse la scelta migliore per preservare la loro dignità. Essi speravano che quel fuoco li divorasse prima dei corvi. Le pire erano rudimentali. Il legno usato era quello degli alberi giovani e primaverili e non bruciava facilmente.
Il tempo passò velocemente, quasi pietoso delle persone addette al rogo. La sera arrivò come un velo di sicurezza. Il buio, che avrebbe messo inquietudine nei cuori della gente civilizzata, forniva ai soldati un pensiero di protezione.
I sopravvissuti erano pochi e male organizzati. Attendevano gli ordini del consigliere militare di Qualiq per poter procedere oltre. Per coloro che avevano combattuto fino al giorno prima, nonostante la tristezza ristagnante, vi era un momento lirico e di riposo.
L’accampamento precedente fu bruciato dal nemico. Le tende erette erano un po' rudimentali e un po' di proprietà dell’altro esercito, al quale non serviva più un riparo per la notte. Esse erano state trafugate dalla sponda opposta e private del loro antico prestigio di appartenere al regno di Asaer.
I cavalli furono portati lontani. Non sopportavano il fetore che permeava vicino alle fosse.
In disparte, quattro uomini stavano seduti davanti ad un fuocherello lento e poco volenteroso, ma che emanava più calore di quanto essi potevano sospettare. Ognuno di loro aveva un otre d’acqua e un po’ di vino trafugato dalle tende del capitano avversario. La bevanda scarlatta era bevuta in onore dei caduti.
Erano seduti ai quattro angoli di un quadrato immaginario. Silenti. Sorseggiavano quel liquido rosso preso da mano galeotta. L’angolo a nord era occupato da un soldato grosso, l’ideale d'uomo per una guerra: alto come una montagna, forte come un bisonte e dalla folta e increspata barba non curata.
Di fronte a questi, vi era un giovine magro, molto magro. In quel circolo di uomini, era provato dalla fame più di ogni altro. Aveva occhi affossati e stanchi. Il colore della sua pelle era praticamente bianco. Era evidente che questo ragazzino proveniva da una strada malfamata, raccolto o costretto alla guerra. Era particolarmente sporco: la sua chioma oltre ad essere oleosa e poco amata, era piena di piccole croste e di forfora. Nelle braccia si potevano notare delle piccole piaghe e delle ferite infette precedenti alla battaglia.
Alla sua destra, vi era un ragazzo della medesima età, non tanto alto e magro, ma non ai livelli del suo compare. Aveva un casco di capelli bruni e un filo di barba portato con fierezza come se fosse una medaglia al valore. Non era particolarmente ferito, ma era stanco come i suoi compagni di focolare. Il suo aspetto e il suo modo di esprimersi erano raffinati, ma nonostante questa regalità da nobilotto, non mostrava superbia nel suo comportamento o nel suo discorrere, come se fosse riconoscente del suo stato.
Non guardava il suo coetaneo. Provava un leggero disgusto nell'osservarlo. Forse perché non voleva vedere a cosa portavano le tasse imposte, dai suoi parenti, al popolo.
Un uomo anziano, un veterano, guardava intensamente il giovane fiero. Aveva una folta barba grigia, come il colore dei suoi capelli privi di forza. Il volto era solcato da poderose rughe. I suoi occhi erano circondati da occhiaie nere e cadenti. Il suo sguardo non sembrava speranzoso. Anzi, era molto triste e stanco.
Il silenzio fu rotto quando l’ideale d’uomo bevve il suo ultimo sorso da quel calice rudimentale.
“ Sono addolorato per coloro che sono caduti. Non ho la forza di non piangere. Ho perso un mio caro amico nella battaglia di oggi... bevo alla sua memoria.”
Mentre diceva questo, gli occhi iniziarono a diventare sempre più rossi, fino a far sorgere un fiume di lacrime in piena.
Il veterano, per consolarlo, gli passò il suo calice di vino.
“ Tieni Dondenic. Il vino non mi piace. Bevi alla salute del tuo amico.”
“Grazie Veterano, sei un vero amico. Grazie infinite.”, detto questo brindò ancora una volta, confidando nella bevanda consolatrice.
“Perché ti chiamano Veterano?”, chiese il giovane di strada.
“Non c’è un perché preciso. Mi faccio chiamare così perché ho perso il mio nome in guerra e cerco di recuperarlo in un campo di battaglia. Prima, ci hai aiutato a portare quel giovane- e indicò col volto il ragazzo che gli stava davanti- Non ti ho nemmeno ringraziato. Come ti chiami?”
“Non ho nome, come tutti gli orfani della capitale. I trovatelli sono venduti come schiavi o vengono abbandonati per strada. Ho solo un numero che mi identifica. Non volevo accettare il mio destino e, da piccolo, quando mi hanno impresso il mio numero, sono scappato. Ho sempre vissuto alla giornata, come meglio potevo. Sono 1234.
Non serve che mi ringrazi in strada o in una guerra. Siamo tutti fratelli e se non ci aiutiamo a vicenda, possiamo trovare solo nemici. Lo dico per vita vissuta.”
Il veterano sembrava colpito dalle parole di 1234.
“Ti ringrazio ugualmente. Perché nessuno si è mai curato di trovarti un nome?”
“Non importava a nessuno… Sono conosciuto così perché mi sono sempre presentato in questo modo. Coloro che mi hanno cresciuto, non avendo fantasia, mi hanno sempre chiamato con questo numero… Però ero apprezzato!”
Divenne leggermente cupo. Improvvisamente, si rese conto che nessuno lo aveva mai considerato un essere umano. Quel cercare di sembrare apprezzato, nonostante la sua non-identità, non era altro che un patetico modo per auto-ingannarsi.
Il Veterano era pensieroso. Aveva intuito perché aveva aiutato loro a fuggire dal campo di battaglia, salvando così il cavaliere. Sentendo il ragazzo, il suo spirito paterno si ridestò e, viste le sue ragioni, volle dargli un apprezzamento.
“1234 è un nome che non si adatta al tuo aspetto. Pensavo che ti chiamassi Seuwer. In elfico vuol dire fuscello. Si, penso che da oggi ti chiamerò Seuwer.”
“Seuwer….Mi piace, suona bene!”
Il giovane non trattenne le lacrime e, senza pensare alle sue azioni, andò ad abbracciare il Veterano. Il vecchio, imbarazzato, con un leggero movimento, cercò di staccarselo di dosso.
Dondenic era commosso da quell’avvenimento, tanto quanto il giovane Seuwer. Prese il calice del cavaliere e bevve un altro sorso di vino per evitare di abbandonarsi alle emozioni ancora una volta.
Il nobile era quasi estraneo alla vicenda e non era colpito dal dolce gesto del vecchio, ma dal fatto che sapesse l’elfico, nonostante fosse un popolano o una persona mediocre.
“Veterano, come fate a sapere l’elfico? Domanda che pongo per un’insana curiosità.”
“So l’elfico e molte altre lingue, se ti interessa, Oemerk. Non ti devi sorprendere per cose simili. Ho viaggiato, prima di fare il soldato.”
“Ero solo curioso. Siete un tipo ambiguo. Continuo a non capire perché vi fate chiamare con un nome così strano: Veterano...”
“Le mie ragioni sono qualcosa che non ti riguardano, nonostante tu sia un nobile. E' stata la tua prima vera battaglia, vero?”
Oemerk, capendo che si riferiva al suo svenimento dovuto alla paura, divenne più cupo. Quell’espressione indifferente stampata sul suo volto, cambiò in iraconda. Era estremamente orgoglioso. Suo padre gli aveva insegnato poche cose e una di queste era l’essere superbo. La sua fanciullezza era dedita a costruirsi la vecchiaia: non poteva permettersi il lusso di un sorriso. Come tutti quelli della sua classe, non amava essere beffato, benché meno da un plebeo venuto da chissà quale buco infame. Tuttavia, dopo qualche istante, riuscì a trovare un po’ di mitezza, convincendosi che era stato solo un misero caso e che non sarebbe mai più accaduto.
“Dai Oemerk, è capitato a tutti. Non prendertela per così poco! Nonostante la mia taglia, temo la guerra. Sono terrorizzato da ciò che mi potrebbe accadere. E non sto scherzando. Se non avessi le frecce amiche puntate su di me, fuggirei per tornare a casa da mia moglie e da mio figlio.”
Oemerk, con gli occhi, fulminò Dondenic. Poi abbassò lo sguardo provando pietà per quello strano guerriero.
“Perché sei venuto in guerra allora?”, gli chiese.
“Sono stato costretto dalla leva obbligatoria di sua maestà- dicendo questo prese una postura fiera ed ironica- il re non poteva usare il suo esercito scelto per aprire le linee. Per missioni omicide come questa, manda la povera gente comandata da nobili di bassa lega…..ops!”
Dopo quest’ultima osservazione, Oemerk non riusciva quasi a trattenere la rabbia che covava dentro di sé. Seuwer, vedendo quel che stava per succedere, parlò.
“Sono andato in guerra di mia spontanea volontà. Uno dei miei amici di strada mi ha detto che potevo guadagnare un mucchio di soldi, coi i bottini, e che sarebbe stata una passeggiata.
Non sono un ratto di fogna privo d’ambizione.... Vorrei avere una famiglia, in un remoto futuro, e, possibilmente, vorrei mantenerla. Però non volevo che scoprissero il mio stato di schiavo del marchio. Ne avevo il terrore. Ma questa battaglia è stata così devastante che mi ha salvato.
Questo era il mio primo giorno…. Non ho avuto coraggio di uccidere nessuno. Ogni volta che guardavo un soldato, vedevo stampato nel loro viso il mio numero: 1234.”
“Che cosa dici? Sono nemici! Non sono noi. Sono ostacoli che il nostro regno deve rimuovere per progredire. Avevi il diritto e il dovere di ammazzarli.”
“Dimmi Oemerk, quanti avversari hai ucciso oggi prima di cadere nel panico?”
Oemerk, con aria altezzosa e piena di superbia, rispose: “ Quattro nemici, Veterano.”
“Ora dimmi, quanti uomini hai ucciso?”
“Che cosa dite? Mi pare di avervelo già detto!”
“Hai ucciso degli uomini senza sapere che erano uomini. Noi siamo semplicemente fratelli che litigano per un giocattolo. Voi nobili mascherate la vita umana spezzata con un altro vocabolo: nemico. Poi mascherate i suicidi con martiri e patrioti.
Hai ucciso un tuo riflesso. Questo non ti rende diverso da un volgare assassino di strada. L’unica cosa che ci differenzia, è che loro si tengono le ricchezze, invece noi ci teniamo il sangue secco dei nostri nemici.”
“Come vi permettete? Allora, anche voi siete un assassino.”
“So di esserlo, ma non mi resta altro nella vita se non odiare qualcosa…. Non ho che questa spada. Tanto, l’inferno mi abbraccerà lo stesso. E questo vale anche per te.”
“Capitano?”, disse Dondenic
“Non importa. Sono abituato a trattare con i nobili, oramai non ci faccio più caso.”
Si alzò. Poi se ne andò alla ricerca di un luogo per appartarsi.
“Bravo hai visto cosa hai fatto? Hai offeso Veterano!”, disse Seuwer.
“Mi ha paragonato ad un assassino!”, si giustificò Oemerk.
“Lo sei! Ti vanti di avere ucciso delle persone, come me!”, replicò il ragazzino.
“Basta, vi prego basta….”, supplicò Dondenic.
Dopo un breve respiro, ripresero a discutere.
“Oemerk, hai appena parlato con un tuo superiore. Lui non ama abusare della sua carica. Finisce col sentirsi in colpa. E non trovarlo strano per i suoi discorsi, è fatto così! Ha rinunciato al suo nome per un peccato da lui commesso, ma ora non ho cuore di parlarvene...”
“Io vado a cercarlo. A dopo.”, disse Seuwer.
“Va pure.”
Oemerk, con aria disinteressata, congedò il giovane Seuwer, il quale, senza curarsi del suo compare, rincorse Veterano. Era sua intenzione calmarlo e farlo tornare al focolare.
“Non capisco quello strano uomo, Dondenic.”
“Ha avuto una vita difficile e non si confida con nessuno tranne me. Io lo conosco bene. E' da due anni che siamo in questo reggimento suicida…..”
“Perché il re vuole un reggimento suicida?”
“La tua domanda ha una risposta ovvia. Qui, oltre a quelli con una famiglia, ci sono anche i nullatenenti come quel giovane. Uomini troppo inutili per vivere, secondo l’alta società.”
“Ma è una cosa terribile! Oddio ora mi sento una… per averlo trattato male. Come prima, quando mi ha appoggiato a terra...”
“Credo che quel ragazzo non abbia conosciuto altro che il bastone e il disprezzo. Ci ha salvati solo per essere apprezzato. Ora potrebbe morire contento.”
“Invece Veterano... Quali sono le sue origini?”
“Era il primo cavaliere della città di Kryanel e fratello del nobile che la governa. A mio parere, la sua, è una storia mesta. Ma per me, tutto è triste da quando sono in guerra.
Egli era innamorato di sua cognata. Una passione molto forte, quasi indomabile ed è inutile dire che cosa successe.
Da quella relazione galeotta nacque un bambino, il figlio del marchese più potente del regno.
Come tutti i nobili che ambiscono al nome della casata, ha insegnato ben pochi valori al figlio. Del resto, come quelli che ti ha insegnato tuo padre, quando ti dava un poco d’attenzione. Immagino che tu sia un secondogenito.
Vedendolo crescere come un cortigiano privo di spina dorsale e di coscienza propria, Veterano si ribellò, confessando la relazione adultera al fratello. Sperava, in questo modo, di togliere il suo unico figlio dalle sue grinfie.
Di tutta risposta, lui uccise la moglie mascherando l’avvelenamento con una malattia incurabile, mentre il figlio fu affidato alle sue cure.
Veterano stava per suicidarsi a causa del senso di colpa che provava nei confronti della sua amante. Tuttavia decise di non farlo. Scelse di crescere il figlio nei panni di un maestro d'armi.
Ovviamente Veterano si affezionò molto al ragazzo. Così tanto da dargli parte del suo cuore.
Ma la situazione cambiò. Il Marchese decise di mandare in guerra anche suo figlio. Lo spedì nel “reparto suicida”. Veterano, essendo in guerra, non poteva impedirgli di compiere questa crudeltà.
Soffrì molto per la morte di suo figlio. Aveva solo venti anni. Quello che non si dolse, invece, fu il Marchese.”
Nell'udire questa storia, Oemerk si sentì raggelare. Nei panni del figlio di Veterano, aveva riconosciuto parte della sua vita. Anche lui era disprezzato dal padre. Per egli, esisteva solo suo fratello maggiore, l’erede. Lui era solo la riserva. La sua vita non aveva valore alcuno. E solo in caso della morte del fratello, sarebbe stato visto sotto una luce diversa.
“Da quel giorno, iniziò a farsi chiamare Veterano e continua a farlo tuttora, a due anni da quel tragico ed infausto giorno. Lui era il capitano della legione reale, noi ci trovavamo qua per caso e dovevamo incontrare il capitano del reparto suicida per suggerirgli le mosse da fare.”
Dondenic sembrava molto provato dalla storia appena raccontata e, vedendo quel giovane sconfortato, gli dette una piccola pacca sulla spalla, per rincuorarlo.
“Ha fatto tutto questo per un figlio... voleva dire che lo amava tanto, non è vero? Perché i padri amorevoli sono sempre coloro che soffrono? Io odio mio padre. Lo odio. Detesto mio fratello.
Disprezzo me stesso. Disprezzo tutti.”
“Invece, io, non posso non provare pietà: mia moglie mi attende da due anni e non ho visto crescere mio figlio. Sono pessimo perché non ho la forza per andarmene. Temo le conseguenze. Purtroppo sono pur sempre un essere umano.”
“Perché hai paura di tornare a casa?”
“Se diserto, mi sequestrano la bottega e la mia famiglia cadrà in rovina. Mio figlio diventerà uno straccione... Io voglio il meglio per il mio ragazzo! Se rimango, invece, non ho la certezza di poterli rivedere. Non ho la certezza di poterli riabbracciare...”
“Mi dispiace tanto. Invece io non ho nulla che mi aspetta a casa…”
“No, non è vero. La casa è il luogo in cui, prima o poi, tutti devono tornare. Io combatto. Uccido. Mi macchio di una colpa che mi costerebbe l’impiccagione. Lotto per questo, seppur sia una mera illusione.”
“Io combatto per me stesso. Sono costretto a combattere sin dalla mia infanzia.”
“Mi auguro di non morire. Non mi importa nulla della mia Patria e della mia religione. Sono egoista. Non lotto per cose che non mi appartengono e che non mi potranno mai appartenere.”
***
Il giovane si inoltrò per le vie che aveva preso il Veterano, confidando di trovare quel uomo che aveva colpito il suo cuore magro e fasciato.
Come un segugio, seguì le sue tracce sino al limitare di una foresta. La stessa da cui era stata presa la legna per le pire.
Entrando, vide Veterano parlare con degli uomini in armatura rossa. Osservandoli gli tornò alla mente la battaglia: erano i soldati di Asaer!
Non stavano discutendo animosamente, sembravano quasi compari. Il giovane stava immaginando le cose più disparate. Ma mai e poi mai avrebbe pensato al tradimento del suo salvatore. Cercava di negare l’evidenza con le fantasie più assurde.
Rimase ad osservarli. Poi, quando riuscì ad accettare quello che aveva visto, arretrò lentamente per non fare rumore.
I suoi passi erano lenti. Era abituato a sfuggire in situazioni ben peggiori senza fare il minimo rumore.
Appena si sentì al sicuro, corse via.
Scappò con tutto il fiato che aveva in corpo. Era talmente agitato che sbagliò strada per ben tre volte. Giunse all’inizio del percorso. Lì, stanco, si sedette alla ricerca di un po’ di riposo. Si sentiva al sicuro. Non era più da solo nella foresta. In caso di ritorno di Veterano, sarebbe bastato un urlo per avvertire il campo del pericolo.
Stava guardando la luna che osservava, coperta dalle nuvole, il campo di battaglia.
“Suggestivo il paesaggio? Adoro osservare la luna di notte!”, disse Veterano sbucando dalla foresta.
Udendo la sua voce, Seuwer divenne ancora più bianco di quanto già non lo fosse. Quando vide Veterano avvicinarsi da amico, capì che egli non ne sapeva niente. Pensò che fosse meglio non far trasparire alcuna espressione o parole che lo potessero condurre alla verità. Non poteva attardarsi ancora. Doveva riferirlo subito. Ma era stremato e non poteva fare altro che riposare un altro po’.
“Si, Veterano. La- la trovo anche io una cosa suggestiva. Qualunque cosa voglia dire suggestiva, ovviamente.”
Con quel balbettio, si sentì tradire. Poi riprese un po’ di lucidità.
“Alzati. Mi sembri spossato... Ti hanno fatto arrabbiare al focolare, vero? Anche a me. L’unico di cui possa fidarmi è Dondenic. Mi ha salvato due volte in campo di battaglia. Oggi la luna è davvero bellissima. Incantevole custode d’efferati segreti e di morti tristi.”
“Sì, Veterano.”
L'uomo si sedette accanto al giovane per osservare quella splendida sfera luminosa. Il traditore era pallido in volto. Il chiarore della notte illuminava un espressione contorta e incontrollata. Aveva paura di quel uomo. Una paura che ammirava da lontano colui che gli ha dato il nome.
”Tu sei innocente- Seuwer si sentì lusingato da quel complimento- Non devi cadere nel circolo vizioso in cui sono caduto io. Sei giovane, maturo ed ancora con le mani pulite.”
“Grazie, Veterano.”
“Mi dispiace per il fatto che tu non abbia mai avuto un nome. Preserva la tua ingenuità anche con il nome che ti ho dato. Non puoi essere un umano. Sei troppo pulito.”
“Qual è il tuo vero nome?”
“Veterano è il nome che ho per negare il mio peccato. Il mio nome lo dirò solo in punto di morte a colui che mi ucciderà.”
Veterano mise il braccio sinistro sulle spalle di Seuwer, per abbracciarlo. Sembrava un padre sinceramente orgoglioso del proprio figlio. Poi si alzò e se ne andò.
Mentre si allontanava, Seuwer cadde a terra. Dalla sua gola sgorgò sangue, che iniziò ad alimentare le piante vicino a lui. I suoi occhi erano spalancati, privi di vita e lentamente perdevano il colore di un tempo. Il giovane morì. Senza che nessuno sapesse mai il suo nome. Senza che nessuno sapesse che il suo nome era Seuwer 1234.
“Rimani innocente nella tua morte, Seuwer. Se torno vivo, giuro che ti costruirò una tomba.”
Dalla mano di Veterano cadde un piccolo coltello sporco di sangue.
“Vado a cercare Veterano, Dondenic. Tu rimani qua nel caso venisse qualche superiore, va bene?”
“Si, Oemerk. Chiederai scusa per la tua condotta?”
“Forse… Prima voglio sapere qualcosa.”
Dopo averlo cercato nell'accampamento senza risultati, Oemerk andò verso la foresta. Mentre si avvicinava alla boscaglia vide, in lontananza, il vecchio uccidere Seuwer.
Vide Veterano abbracciare paternamente il giovane. Grazie al riflesso della luna, vide che nel fare quell’azione, tirò fuori un piccolo coltello che recise la gola a quel povero ragazzo.
All’inizio, credeva che fosse un’illusione. Poi, in preda alla furia, estrasse fuori la sua spada e corse contro al vecchio.
Non sapeva perché lo faceva. Forse si sentiva tradito. Forse provava pietà per 1234, che aveva ottenuto da quel uomo il suo nome. Veterano aveva tradito la fiducia di quel ragazzo. Per quale motivo aveva compiuto quel gesto, egli non lo sapeva. Ma anche sapendolo, non l'avrebbe giustificato.
Era pronto all’inevitabile conflitto. Mentre si avvicinava, Veterano prese coscienza dell’accaduto e si preparò di conseguenza: doveva evitare che trapelassero informazioni, anche a costo della sua stessa vita. Si odiava per quello che aveva fatto, ma sapeva che tutte le vite erano necessarie al suo fine. La sua umanità fu messa a tacere da un odio che non poteva essere giustificato da altre persone al di fuori di lui.
Si trovavano l'uno di fronte all'altro. I due guerrieri si guardarono intensamente negli occhi. Uno aveva uno sguardo pieno di odio, mentre l’altro mostrava una veneranda, calma pazienza e una rabbia silente che solo uno sguardo attento e sagace avrebbe potuto riconoscerla.
Il vecchio prese in mano la sua arma e la puntò verso Oemerk con uno sguardo inumano quanto era mite.
“Perché l’hai fatto, Veterano?”
“Sapeva troppo. Ed ora sai troppo anche tu. Dunque, per evitare che il mio piano vada al diavolo per colpa tua, devo ucciderti. Se con lui sono stato dolce, con te sarò truce.”
“Cosa sapeva? Parla!”
“Questa volta non ti concederò il beneficio del dubbio. Mi ha visto mentre mi accordavo con il nemico. Le manovre che ho fatto sono state ideate per rendere scoperto l’esercito reale, in modo tale da renderlo vulnerabile per un attacco a sorpresa.”
“Hai tradito la tua stessa patria? Vuoi uccidere un intero esercito? Sei un ipocrita!”
“Smettila di fare questa scenata senza senso! Io sono solo un assassino. Alcuni morti in più non mi cambieranno l’esistenza tormentata che mi aspetterà all’inferno.”
“Tu hai ucciso Seuwer! Lui si fidava di te!”
“Credi che non abbia sofferto nel ucciderlo? Ma era necessario per la riuscita di questa delicata operazione, non credi?”
“Sei un bastardo! Perché vuoi tradirci causando la morte dei tuoi stessi uomini?”
“Per mio figlio. Voglio vedere distrutta la patria insulsa che lo ha ucciso. Voglio che mio fratello riceva la fustigazione dal nemico, affinché non possa morire con dignità. Se lo avessi accoppato con le mie stesse mani...
Se Qualiq venisse totalmente distrutto, la gente vivrebbe meglio. Questo regno non è altro che un porcile burocratico e nobiliare. La sua esistenza nella cartina non cambierà le sorti del mondo!”
“ Sei un vile!”
“Sono un vile perché ho amato mio figlio e la mia donna? Mi è stato portato via tutto! E anche se tu mi uccidessi stasera, confido sempre nella crudeltà umana per vedere realizzato il mio sogno. Non puoi cercare giustificazioni al tuo prossimo fendente. Non puoi confutare le mie idee. Tu non hai subito quello che io ho sopportato!”
“Allora combatterò fino all’ultimo.”
Sembrava deciso ad uccidere quell’uomo. Anche se sapeva che, in fondo, aveva ragione. Chi, in quel campo di soldati, non aveva, per un sol istante, odiato la propria patria maledicendola e sperando nella sua distruzione? In quel momento, capì che i sogni del patriottismo non erano altro che misere illusioni che facevano apprezzare il proprio paese. Un paese che meritava di essere distrutto. Ma per il giovane Oemerk, non era questo un fine allettante. Quel che importava erano i mezzi usati. La vita umana non ha alcun valore, se rapportata alla vita di un familiare o di un amico, poteva capirlo perfettamente, ma in quell’esercito vi erano gli stessi sogni e angosce da lui conosciute.
Poteva scappare e dare l'allarme, ma sapeva che non sarebbe riuscito nemmeno a voltarsi.
Oemerk corse verso il suo avversario e cercò di colpirlo con un rapido fendente, ma venne facilmente parato dal suo avversario. Veterano sapeva dove avrebbe colpito il suo avversario. Lo sapeva ancor prima che questi facesse la sua mossa. Le due spade, una impugnata ad una mano, mentre l’altra a due, erano a confronto. La forza avrebbe determinato il risultato dello scontro.
Non appena vide il ragazzo distratto, riuscì a prendere un pugnale con la mano sinistra e glielo conficcò nella gamba destra. Il vecchio si liberò dalla presa e cercò di trafiggerlo nuovamente.
Ma Oemerk scivolò suo stesso sangue, evitando la sua fine per un colpo di fortuna.
Il giovane si rialzò velocemente. Cercò di ferire il vecchio al torace. Veterano non si accorse di lui, ma riuscì ad evitare il fendente.
Quando il ragazzo fu alla sua portata, prese l’ultimo piccolo pugnale rimasto nel braccio sinistro e lo conficcò nel torace del ragazzo, ferendone i polmoni. Al giovane mancò il respiro. Si accasciò a terra, sbattendo contro il braccio destro del vecchio, che perse la presa della sua spada da capitano.
Veterano vide il ragazzo steso, morente sulla terra già alimentata dal sangue di altri valorosi. Si sentì colpevole di questa uccisione: aveva ucciso un altro figlio.
La sua superbia lo fece abbassare la guardia. Mentre cercava di raccogliere la sua spada, il giovane, raccolte le sue ultime forze, gli trafisse il cuore.
Il vecchio si accasciò accanto a Oemerk. Fu compiaciuto, nonostante la sconfitta. Era sicuro che il suo piano sarebbe andato comunque a segno. Nessuno era vivo per informare gli eserciti ignoranti.
“Il mio nome è Seuwer. Oramai non ha più importanza nasconderlo.”, mormorò Veterano.
“…..”
“Povero figlio, morto così giovane. Addio mondo. Salve, fiamme crude che mi aspettano trepidanti.”
“I corpi furono rinvenuti il giorno dopo da Dondenic. Pianse due notti per la perdita del suo migliore amico. Prima di partire a supportare l’esercito reale, attaccato a sorpresa e quasi decimato, seppellì tutti e tre questi valorosi. 1234 ebbe una lapide con il suo nuovo nome. Finalmente, almeno nella morte, non sarebbe stato solo un numero.
Dondenic durante la battaglia fu ferito gravemente. Per questa ragione fu congedato con tutti gli onori. Morì un mese dopo, fra le braccia di sua moglie e di suo figlio, durante l’assedio portato avanti da Asaer che si apprestava ad invadere la capitale.”
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